DELL’ACQUA, Angelo
Nacque a Milano, nel quartiere di Porta Ticinese, il 9 dicembre 1903 da Giovanni, meccanico, e Giuseppina Varalli, di professione magliaia. I genitori erano originari di Sesto Calende, un piccolo centro sul lago Maggiore, ed erano momentaneamente residenti nel capoluogo lombardo per gli impegni di lavoro del padre; da questo matrimonio nacquero successivamente la sorella Margherita e Pio, morto in tenera età. Negli anni dell’infanzia di Angelo le difficoltà economiche spinsero il padre a trasferirsi più volte fuori regione, incluso un periodo di lavoro in Campania. Trascorse quindi l’infanzia a Sesto Calende, dove dapprima frequentò la scuola materna presso il locale istituto retto dalle suore orsoline e quindi le scuole elementari. Si iscrisse di seguito all’istituto tecnico del collegio De Filippi di Arona, a poca distanza da Sesto Calende, utilizzando il periodo delle vacanze per lavorare presso la tipografia Furlani, sempre a Sesto Calende (Lanfranchi, 1997, pp. 11-12). Fu durante questo primo anno di frequenza dell’istituto che maturò la decisione di entrare in seminario, favorito in questo anche dal rapporto che era venuto consolidandosi con don Rocco Colombo, coadiutore della parrocchia di Sesto Calende. Frequentò quindi i cinque anni del ginnasio presso il seminario arcivescovile di S. Pietro Martire a Seveso; presso il seminario di Monza frequentò invece le classi del liceo. I rapporti periodici stesi dai suoi formatori in seminario lo descrivono come un buon studente, anche se non tra i migliori del suo corso, inizialmente confuso da quelli che venivano ripetutamente descritti come «scrupoli» (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, p. 29), dai quali riuscì gradualmente a liberarsi, venendo infine riconosciuto come un chierico capace di socializzare con tutti e di vivere con serenità la pure complicata vita di una comunità come era quella del seminario. Frequentò di seguito il corso teologico presso il seminario di Milano, usufruendo di una borsa di studio intitolata al cardinale Ferrari, che ebbe modo di incontrare poco prima della morte nel 1921.
L’8 dicembre 1925, undici giorni prima di ricevere il diaconato, fece la conoscenza del nuovo cardinale arcivescovo di Milano, Eugenio Tosi, che poche settimane più tardi gli comunicò la decisione di tenerlo presso la sua segreteria particolare; già in passato Tosi aveva preso al suo servizio giovani chierici prossimi all’ordinazione, in alcuni casi proprio per svolgere una forma di accompagnamento verso soggetti che ne potevano sentire maggiormente il bisogno; quali che fossero le ragioni che lo avevano condotto alla scelta di Dell’Acqua – ancora non chiare – resta il dato della stima manifestata da subito dall’arcivescovo nei suoi confronti, al punto di decidere di conferirgli l’ordinazione sacerdotale non insieme agli altri seminaristi a Milano, ma nella sua parrocchia di Sesto Calende, il 9 maggio 1926. Sempre al 1926 risale il suo ingresso nella congregazione degli Oblati dei santi Ambrogio e Carlo, istituita quattro secoli prima per dotare l’arcivescovo di Milano di un gruppo di sacerdoti particolarmente vincolati alle sue direttive. Rimase al servizio del cardinale Tosi fino alla sua morte, nel gennaio 1929, in anni in cui Milano stava conoscendo una profonda trasformazione, con una popolazione in costante incremento che andava di pari passo con l’aumento del numero delle parrocchie. Soprattutto la sua posizione gli consentiva di vedere da vicino tutta la complessità del rapporto tra potere civile e religioso in anni in cui non solo la “conciliazione” tra Stato e Chiesa doveva intervenire, ma soprattutto ci si doveva confrontare con le azioni violente condotte dalle squadre fasciste ai danni delle organizzazioni cattoliche; Dell’Acqua fu anche testimone diretto, e non mancò di intervenire a sua difesa, del crescente disagio del cardinale Tosi per l’onerosa visita apostolica compiuta in diocesi dal benedettino Ildefonso Schuster su mandato di Pio XI, che condusse infine a un significativo ricambio nell’organigramma del seminario diocesano nonché alla decisione, dai più – a partire dallo stesso Tosi – giudicata infelice, della costruzione del seminario di Venegono, distante da Milano (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, pp. 55-59). Questi primi anni di sacerdozio accanto a Tosi gli consentirono anche di avvicinare sacerdoti diocesani attivissimi sul piano sociale come Carlo Sonzini, Carlo Gnocchi e Luigi Monza che con la loro azione stavano ridefinendo profondamente le più sperimentate coordinate del ministero sacerdotale.
Alla morte di Tosi venne inviato a Roma affinché perfezionasse i suoi studi in diritto canonico. Lo fece presso la Pontificia Università Gregoriana, risiedendo presso il Seminario lombardo. Fu durante questo periodo romano, nel 1931, che fece per la prima volta conoscenza di mons. Giovanni Battista Montini; sempre a Roma era avvenuto, ma cinque anni prima, l’incontro con Angelo Giuseppe Roncalli, altra figura che si rivelò centrale nella sua vicenda. Nell’estate del 1931 intervenne la richiesta ufficiale della segreteria di Stato all’arcivescovo Schuster affinché Dell’Acqua venisse destinato al servizio diplomatico della S. Sede (Lanfranchi, 1997, p. 25). Nel settembre successivo venne quindi inviato a Istanbul, quale addetto della delegazione apostolica in Turchia (ne diventerà segretario nel 1932), retta da mons. Carlo Margotti. L’azione di quest’ultimo, distintosi anche per filofascismo, aveva finito per indispettire il multiforme universo delle congregazioni religiose operanti in Turchia, particolarmente quelle di origine francese, ma Dell’Acqua, ancora a distanza di decenni, ne difendeva la legittimità e l’opportunità (Roncalli-Dell’Acqua, 2002, p. 127); peraltro va ricordato che, alle mansioni d’ufficio, Dell’Acqua associava anche quelle di taglio pastorale, che lo videro così attivo predicatore e collaboratore di Margotti nello svolgimento del sinodo diocesano del 1933 (Lanfranchi, 1997, p. 27). Fu quindi lui, dopo il richiamo di Margotti in Italia, a reggere la delegazione in attesa dell’arrivo di mons. Roncalli, che affiancò per alcuni mesi e che fu fondamentale nel mostrargli un modello di presenza e di interazione con la popolazione e le autorità turche del tutto differente da quello visto e condiviso sino a questo momento; Roncalli constatò rapidamente «le esuberanze del suo fervore sacerdotale», ma anche come la sua partenza dalla Turchia, che avvenne nel giugno 1935, emblematicamente, fosse avvenuta nell’indifferenza dei cattolici che operavano nel paese (Roncalli, 2006, p. 160).
Fu comunque Margotti a segnare nell’immediato la vicenda di Dell’Acqua, suggerendo che questi venisse integrato nella congregazione Orientale o diventasse rettore del Collegio romeno, appena creato a Roma allo scopo di rinnovare lo spirito del clero locale (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, p. 80). Dell’Acqua, che nel giugno 1936 ricevette anche la nomina a prelato domestico di Sua Santità, fu soprattutto assorbito da una miriade di incombenze di ordine materiale (dalla creazione di una biblioteca all’approntamento di una cucina), che giocarono a sfavore del pur indispensabile approfondimento delle realtà culturali e liturgiche a lui sostanzialmente ignote e che avrebbero dovuto costituire la prima delle sue preoccupazioni; l’esplodere di tensioni all’interno del Collegio unito alle lamentele che giungevano dai vescovi romeni sulla sua gestione condussero quindi la S. Sede a procedere nell’agosto 1939 a un avvicendamento alla guida del Collegio.
Dal 1938, in ogni caso, Dell’Acqua aveva compiuto un progresso importante per il suo curriculum, essendo stato nominato minutante presso la congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari. Il dato era di per sé interessante, quanto più, a ben vedere, il percorso sin qui svolto nella diplomazia pontificia non fosse stato dei più brillanti. Certo, Dell’Acqua non veniva dall’Accademia dei nobili ecclesiastici: ma questa, in ultima analisi, non era una precondizione essenziale. Ciò che soprattutto era emersa, in svariate circostanze, era una intransigenza di fondo che finiva per impedirgli un sereno svolgimento delle sue mansioni irritando i suoi interlocutori. Le cose iniziarono a mutare sensibilmente proprio a partire da questa fase di cooptazione nella segreteria di Stato nel momento in cui deflagrava la seconda guerra mondiale (nel frattempo fu anche nominato consultore della congregazione per la Chiesa orientale e membro della commissione per le cause di dispensa matrimoniale). Il conflitto, infatti, obbligò la S. Sede a una profonda revisione del funzionamento delle varie sezioni che componevano la segreteria di Stato, soprattutto aumentando esponenzialmente il personale coinvolto nella trattazione dei sempre più numerosi e delicati dossier che giungevano a Roma (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, pp. 91-93). Dell’Acqua si trovò dunque a far parte di questa struttura – nella quale lavorò per i trent’anni successivi – in un momento del tutto eccezionale, che lo impegnò anche a rivedere profondamente l’attitudine mantenuta sino a quel momento: perché se ufficialmente la sua qualifica lo rendeva il braccio operativo di decisioni prese dai suoi diretti superiori, che in questi primi anni di attività in segreteria di Stato furono mons. Domenico Tardini e il cardinale Luigi Maglione, è pur vero che la fiducia che seppe rapidamente meritarsi da questi si tradusse operativamente nella richiesta di pareri su questioni importanti, che nel corso del conflitto si tradussero per lui principalmente nella risoluzione delle richieste di soccorso per la popolazione ebraica (Ibid., 2004, p. 98). Era il criterio della «massima prudenza» a dover guidare questo lavoro: ed è per questa ragione che Dell’Acqua non mancò di esternare la sua irritazione verso tutti coloro che, rispetto al salvataggio degli ebrei, con parole e azioni indiscrete rischiavano di compromettere il lavoro della S. Sede (Actes, IX, pp. 631-632). Anche i tentativi di interrompere o quantomeno limitare i bombardamenti delle città lo impegnarono attivamente nel corso della guerra: si poté inoltre apprezzare in questo caso una sua maggiore intraprendenza nel momento in cui propose di eludere la posizione di neutralità mantenuta sino a quel momento dalla S. Sede per intervenire direttamente presso i belligeranti o che il papa si facesse portavoce, in occasione del radiomessaggio del natale 1944, di un messaggio di protesta (Ibid., X, p. 555). L’immediato dopoguerra si rivelò per lui non meno impegnativo nel momento in cui la S. Sede dovette fronteggiare le crescenti e drammatiche difficoltà della Chiesa cattolica nell’Europa dell’Est; anche in questo caso si mantenne prudentemente nelle linee tracciate dal suo diretto superiore Tardini, miscelando la ferma deplorazione per la negazione della libertà religiosa da parte dei governi comunisti con i tentativi di creare spazi di sopravvivenza di questa libertà.
Ma nell’immediato dopoguerra Dell’Acqua svolse un ruolo non meno rilevante sul versante italiano diventando, tra le altre cose, un interlocutore importante per quegli esponenti della DC (Democrazia Cristiana) che si riconoscevano nella linea portata avanti da Giuseppe Dossetti e che nel partito avevano avviato una dialettica non priva di asprezze con Alcide De Gasperi. Dell’Acqua costituì in tal senso il canale di accesso per tutti questi personaggi che, pur svolgendo un’azione fondamentale all’interno dell’Assemblea costituente per tutelare gli interessi vaticani, trovarono ostacoli per accreditarsi presso la S. Sede perché sospettati di eccessiva condiscendenza verso i social-comunisti. Dal 1944 la carica di segretario di Stato era vacante e Pio XII procedette a una serie di redistribuzioni degli incarichi; nell’agosto 1950 giunse per Dell’Acqua la nomina a sottosegretario aggiunto della congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari e a partire dall’anno seguente si diffuse la notizia che il papa aveva inteso affidargli il trattamento delle questioni italiane (Fanfani, II, 2011, p. 223). Divenne quindi sempre più evidente la crescente fiducia riposta da Pio XII in questo collaboratore, ricambiata peraltro da una venerazione e un pronto adeguamento alle direttive pontificie davvero privi di ambiguità o riserve (Lanfranchi, 1997, pp. 66-70): e questo anche quando divenne legittimo dubitare dell’attitudine di Pacelli, prostrato dalle malattie, all’esercizio delle sue funzioni. Va aggiunto che Dell’Acqua, in quello che fu il clima sempre più rarefatto della Curia romana nella seconda metà degli anni Cinquanta, riuscì – ed è qui che si può appurare l’importante raffinazione delle sue qualità di diplomatico – a operare una sistematica distinzione tra le direttive ricevute dal papa e quelle di chi riteneva di agire su suo mandato o in sua vece. Così, anche di un uomo davvero intrinseco alla linea di governo pacelliana come Luigi Gedda disse più tardi che pur trattandosi di una persona intelligente, abile e generosa, non si era rivelato sempre leale (Bologna, Fondazione per le scienze religiose, Fondo Giovanni XXIII, Memorandum di A. Dell’Acqua per L.F. Capovilla, 23 giugno 1959).
Il coronamento di questo ruolo sempre più rilevante svolto all’interno della Curia romana giunse il 17 febbraio 1953, quando Pio XII lo designò quale nuovo sostituto della segreteria di Stato per gli Affari Ordinari. Si trattò di una nomina all’insegna della continuità, giacché a Montini, promosso prosegretario di Stato, era subentrato un uomo collocabile per tanti aspetti sulla medesima lunghezza d’onda. Dell’Acqua rafforzò particolarmente i contatti con Amintore Fanfani, l’uomo forte della DC dopo la morte di De Gasperi, assecondando gli sforzi compiuti da quest’ultimo per attenuare i condizionamenti esercitati dalla S. Sede verso il partito cattolico nella definizione delle linee di governo (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, p. 127); ciò non implicò in alcun modo una cessazione dell’attitudine della S. Sede a trasmettere i propri rilievi rispetto all’evoluzione del quadro politico, cosa di cui fu investito appunto Dell’Acqua in qualità di sostituto. Per questo, oltre alle più generiche ma sincere esortazioni all’unità interna della DC (Sani, 1984, p. 429), Dell’Acqua non mancò di manifestare reiteratamente a Fanfani, l’«apprensione» della S. Sede rispetto al processo di apertura a sinistra (Fanfani, II, 2011, p. 609).
L’elezione di Giovanni XXIII segnò un’ulteriore crescita del suo ruolo; non solo venne confermato nelle sue funzioni, ma il 27 dicembre 1958 venne consacrato vescovo dal papa nella basilica di S. Pietro (vedendosi assegnata, come arcivescovo, la sede titolare di Calcedonia). Papa Roncalli, che procedette immediatamente a una normalizzazione dell’organigramma curiale, trovò in Dell’Acqua un fedele esecutore del suo volere: una funzione importante, se si considera che la Curia romana, anche dopo le nomine decise dal nuovo pontefice, restava saldamente dominata dagli equilibri e dai personaggi che avevano segnato la lunga stagione del pontificato pacelliano; in modo particolare Dell’Acqua assecondò il tentativo di disimpegno voluto dal papa rispetto alle questioni politiche italiane. Per questo ci fu anche il tentativo degli ambienti curiali più refrattari a tale disimpegno di favorire una ‘promozione’ di Dell’Acqua alla nunziatura di Parigi: cosa a cui si oppose Giovanni XXIII in persona che dichiarò che aveva «bisogno» che il sostituto restasse al suo posto (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, p. 136). Per Dell’Acqua era essenziale che i leader della DC non apparissero «agli occhi della opinione pubblica come persone non aventi una propria personalità, una propria linea di condotta, ma strumenti nelle mani di altri per una ben determinata politica. Questo scredita non soltanto le persone loro, ma l’azione stessa della Chiesa e dell’autorità ecclesiastica e presenta al mondo i cattolici italiani come impediti di agire sul terreno politico (quello opinabile)» (Bologna, Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, Fondo Giovanni XXIII, Nota del 29 gennaio 1961, in AR, b. 48 «Affari italiani - 1», fasc. 1961).
Alla morte di Giovanni XXIII Dell’Acqua si adoperò per coagulare consensi intorno al nome del cardinale Montini, col quale aveva mantenuto uno stretto contatto durante il suo episcopato milanese. Fu quindi confermato nella sua funzione di sostituto da Paolo VI, ma era inevitabile, dopo un così lungo periodo di servizio, che intervenisse una svolta nel suo curriculum. Già all’indomani della sua elezione, papa Montini intravide la necessità di condurre in porto una nuova riforma della Curia romana, resa particolarmente urgente dai dibattimenti prima e dai deliberati conciliari poi. Dell’Acqua diede il suo contributo alla realizzazione della costituzione Regimini ecclesiae universae (1967), che definì l’impianto della nuova Curia montiniana fissando in primo luogo la temporaneità delle cariche e incentivando un processo di deitalianizzazione degli uffici curiali (Lanfranchi, 1997, p. 99). Fu dunque contestualmente alla promulgazione della costituzione che intervenne una nuova importante svolta nella vicenda di Dell’Acqua, che nel concistoro del 26 giugno 1967 venne creato cardinale e nel settembre successivo si vide assegnata la presidenza della commissione cardinalizia per la prefettura degli Affari economici della S. Sede, una delle nuove strutture prodotte dalla riforma curiale. Dell’Acqua comprese che si trattava di un incarico transitorio, immaginando che sarebbe presto giunta la nomina a segretario di Stato; si trattava di una aspettativa legittima e condivisa da coloro che avevano potuto apprezzare la qualità del servizio reso per trent’anni da questo prelato all’interno della S. Sede. Per questa ragione la sua nomina a cardinal vicario di Roma, che Paolo VI annunciò nel gennaio 1968, fu da lui accolta inizialmente con «smarrimento» (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, p. 189). Non si poteva, in ogni caso, concepire la decisione di Montini come un atto di allontanamento o di sfiducia. La realtà diocesana di Roma, in questa fase postconciliare, presentava aspetti di particolare criticità (diminuzione della pratica religiosa, emersione di gruppi di contestazione), sostanzialmente dissimulati sino a questo momento. Occorreva perciò qualcuno che prendesse in mano la situazione, sciogliesse gli anacronistici legami tra Curia romana e vicariato e impegnasse la diocesi di Roma nel processo di rinnovamento pastorale auspicato dal Concilio. E certamente Dell’Acqua si dedicò con intraprendenza a questa nuova funzione, dando anche una visibilità sino a quel momento inedita dell’ufficio del cardinale vicario (Impagliazzo, 2006, p. 78); si trattò di un impegno costellato anche di difficoltà e incomprensioni, complicato per di più dal fatto che la funzione di vicario lo impegnava a adeguarsi a interventi e richieste provenienti direttamente dal papa, anche quando questi apparivano contraddittori con quanto egli veniva progettando e realizzando. Il suo ministero si interruppe però improvvisamente il 27 agosto 1972, quando morì a seguito di un attacco cardiaco mentre si trovava in pellegrinaggio a Lourdes; il suo corpo venne sepolto nel cimitero di Sesto Calende e traslato nel 1997 nella locale chiesa parrocchiale. All’indomani della scomparsa, in una lettera alla diocesi di Roma, Paolo VI volle quindi rimarcare la perdita di questa «vita cara e preziosa, tutta assorbita nella intensità d’un ministero pastorale vastissimo e inestimabile»; aggiunse quindi, e davvero non erano parole di circostanza: «Il Cardinale Dell’Acqua era per noi un Fratello, un Amico, un Collaboratore».
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La maggior parte del materiale archivistico relativo alla sua attività resta ancora inaccessibile all’interno degli archivi della S. Sede e del Vicariato di Roma; una parte delle sue carte è conservata a Sesto Calende (Angelo Dell’Acqua, a cura di A. Melloni, 2004, pp. 233-240); relativamente al periodo di servizio svolto durante il pontificato di Giovanni XXII si possono reperire svariati documenti nel Fondo Giovanni XXIII custodito presso la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Tra le fonti edite si segnalano: A. Dell’Acqua, Lettere ai genitori (1932-1964), a cura di M. Lanfranchi, Sesto Calende 1999; A. Dell’Acqua, Lettere agli zii Ernesto e Anna Varalli, a cura di M. Lanfranchi, Sesto Calende 2003; A.G. Roncalli-A. Dell’Acqua, Documenti di un’amicizia (1926-1963), a cura di M. Lanfranchi, Milano 2002; ulteriori riferimenti si rinvengono in A.G. Roncalli-Giovanni XXIII, La mia vita in Oriente. Agende del delegato apostolico, vol. 1, 1935-1939, a cura di V. Martano, Bologna 2006, Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, vol. IX, Le Saint Siège et les victimes de la guerre, janvier-decembre 1943, Città del Vaticano 1975, e in Actes et documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, vol. X, Le Saint Siège et les victimes de la guerre, janvier 1944-juillet 1945, Città del Vaticano 1980.
M. Lanfranchi, Il diplomatico che sorrideva. Profilo biografico del Cardinale Angelo Dell’Acqua, Casciago 1997; Angelo Dell’Acqua. Prete, diplomatico e cardinale al cuore della politica vaticana (1903-1972), a cura di A. Melloni, Bologna 2004; Il Cardinale Angelo Dell’Acqua nel Centenario della Nascita (1903-2003), a cura di M. Lanfranchi, Sesto Calende 2004; M. Impagliazzo, La diocesi del Papa. La Chiesa di Roma e gli anni di Paolo VI (1963-1978), Roma 2006, pp. 67-128; A. Fanfani, Diari, vol. II, 1949-1955, Soveria Mannelli 2011, pp. 223, 609; si veda anche R. Sani, Un laboratorio politico e culturale: «La Civiltà Cattolica», in Pio XII, a cura di A. Riccardi, Roma-Bari 1984, pp. 409-436.