ANGELO da Vallombrosa
Nacque probabilmente verso la metà del sec. XV.
Incerto è il suo cognome di famiglia: nei repertori degli incunaboli le sue pubblicazioni sono poste sotto "Angelo (Fondi) da Vallombrosa" senza alcuna delucidazione relativa al casato attribuitogli, mentre i biografi vallombrosiani e gli storici di Bologna asseriscono che A. appartenne alla nobile famiglia bolognese "Leonora" o "de, Leonori" o "de Leonori": questa notizia appare confermata dalla epigrafe in distici latini, posta sulla lapide della sua tomba, nella chiesa di Vallombrosa, in cui si legge testualmente: "Angelus hic latitat Leonora stirpe verendus" (Diz. stor. biogr., I, p. 328).
Fu a Roma uditore della S. Rota; prese l'abito vallombrosano in età adulta nel monastero di S. Prassede, dove fece la sua professione il 15 genn. 1488 nelle mani del generale dell'Ordine Biagio Milanesi. In breve ottenne la vicaria perpetua della pieve di Montemignaio in Toscana e l'abbazia di S. Cecilia della Corvara presso Bologna. A questo punto gli agiografi aggiungono che egli respinse onori e prebende per ritirarsi a vita contemplativa nell'eremo delle Celle presso Vallombrosa, ma trascurano poi di dar notizia delle sue aspre polemiche contro il Savonarola, soffermandosi invece sulle sue eccezionali qualità mistiche e culturali.
Riguardo alla sua nomina ad abate di S. Cecilia della Corvara, troviamo interessanti e non del tutto edificanti notizie nelle Memorie dei Trombelli sulle canoniche di S. Maria del Reno e S. Salvatore presso Bologna (cap. XXXI, pp. 124 s.). Nell'ottobre del 1487 papa Innocenzo VIII avrebbe nominato abate di S. Cecilia della Corvara "Angelo de, Lianori, Chierico Bolognese e Dottore di leggi, con patto espresso che vestisse l'abito Vallombrosiano e ne professasse la regola". Con tale investitura il pontefice revocava di fatto, senza spiegare i motivi della sua improvvisa decisione, la cessione della badia di Corvara ai canonici regolari di S. Salvatore, effettuata per iniziativa dell'abate vallombrosano Tommaso da Manzolino. A., in un memoriale al pontefice, chiamò "simoniache" le convenzioni intercorse fra l'abate Tommaso e i canonici regolari. Da questo nacque aspra controversia fra le due congregazioni religiose, finché il papa, con breve del 7 apr. 1490 (Trombelli, Appendice, doc. XXXVIII, pp. 416 s.), cercò di sanare lo scandalo, permettendo ai canonici di S. Salvatore di accogliere e nutrire l'abate Tommaso, a cui A. si rifiutava di pagare la pensione e al quale il generale dei vallombrosani faceva divieto di rifugiarsi presso i canonici regolari e che perciò andava vagando qua e là "con disonore della sua religione e dello stato monastico". Risulta quindi da una scrittura, in data 2 luglio 1523,che, per comporre l'annosa controversia, A. concesse finalmente al vecchio abate una pensione annua di 50 fiorini d'oro col patto espresso che egli rinunciasse ad ogni pretesa sulla badia della Corvara.
È certo tuttavia che A. non fissò la sua residenza a Corvara: dal 1496 lo troviamo sempre a Vallombrosa, di dove spedisce le sue apocalittiche epistole durante il più violento imperversare della tempesta attomo al Savonarola; nell'ottobre del '96 dovette recarsi, almeno per breve tempo, a Roma, dove scrisse la famosa Epistolasullo stato della Chiesa, che poi spedì "al suo reverendo Episcopo" dal monastero di Vallombrosa (Gesamtkatalog..., n. 1916); pure dall'eremo delle Celle provengono le sue severe rampogne alle azioni scismatiche di re Luigi XII e del card. Bemardino di Carvajal. Riguardo al Savonarola, sembrò in un primo tempo che i vallombrosiani simpatizzassero con le sue prediche profetizzanti il rinnovamento della Chiesa. All'inizio del 1496 A. appare preoccupato, soprattutto, di sostenere la posizione di Carlo VIII in Italia, e ciò era tutt'altro che in contrasto con l'opera di pacificazione compiuta da fra' Girolamo: il 1° gennaio egli indirizzava una lettera "Ai Signori e popolo di Firenze" (ibid., nn. 1910, 1911), invitandoli a mantenere "inviolata unione et perpetua amicitia con lo principe di Dio Carlo re di Francia" e analogamente scriveva "Al Senato e Doge di Venezia" (ibid., n. 1907), perché non si opponessero, ma anzi sostenessero l'impresa di Carlo VIII contro i Turchi; il 18 maggio del '96 inviava un'altra epistola ai Fiorentini (ibid., nn. 1908, 1909) perché perseverassero nell'alleanza con re Carlo. Ma già in questa lettera si manifesta il problema di coscienza nei confronti delle profezie savonaroliane riguardo alla riforma della Chiesa, che A. precisa doversi effettuare non con la riprovazione di Roma, ma con l'unione della Chiesa orientale con la latina.
Nella lettera già citata, scritta a Roma il 15 ott.1496, A. inizia il suo attacco violento contro il Savonarola: "in essa si pruova che fra Girolamo non può esser propheta et narrasi molti suoi errori" (ibid., n. 1916). La sua violenza aumentò dopo la pubblicazione solenne della scomunica al Savonarola (18 giugno 1497), quando il terribile eremita decise di convertire o di isolare il ribelle domenicano. L'11 luglio A. indirizzò una lettera a stampa ai frati di S. Marco, usciti di Firenze per salvarsi dalla peste (ibid., n. 1914), invitandoli a convertire il confratello disobbediente all'autorità ecclesiastica; ma quelli risposero indignati il 20 dello stesso mese (ibid. n. 1919) respingendo le sue esortazioni; il giorno 31 A. reagì con una lettera piena di invettive (ibid., n. 1918), che scandalizzò il fisico Gerolamo Cinozzi, il quale il 25 agosto protestò contro l'"Abbate Anachorita" con una sdegnata lettera, diretta al generale dei vallombrosiani e rivolta "a tutti i fedeli ed amatori della verità" (ibid., n. 7044).
Ma la epistola più intollerante, e tuttavia ingenua, A. la spedì, segretamente, al Capitolo fiorentino fra il Natale del '97 e la Settuagesima del '98, pochi mesi prima del supplizio del Savonarola: in essa egli poneva i superiori più direttamente responsabili di fronte al dovere di coscienza di distruggere il ribelle: questa lettera, così rivelatrice della autentica personalità di A., rimasta inedita fino ai nostri giorni, fu pubblicata e illustrata diffusamente dal Sanesi (pp. 80-94).
Si comprende, quindi, perché severo ed anche astioso, pieno di aperto disprezzo, sia il giudizio degli storici savonaroliani nei confronti di A.: tutti (dal Perrens al Villari, allo Schnitzer, al Ridolfi) fanno proprie le parole del cronista Filipepi, che di A. disse fra l'altro: "profetizzò molte pazzie et di nulla s'appose, et tutto che profetizzasse il falso non gli fu fatto alcun male" (Villari-Casanova, Appendice, p. 294). Ma il giudizio più obiettivo, e forse il più giusto, su questo sconcertante anacoreta, crudele per troppo zelo, fu dato dal Sanesi, il quale osserva che, pur nel suo fanatico accanimento, A. agiva in piena buona fede, perché era solo suo intendimento salvare l'unità della Chiesa (pp. 93-94). Il pericolo dello scisma fu la sua preoccupazione dominante: su questo tema sono imperniate le sue lettere del 1511 al card. di Carvajal, a re Luigi XII ed a papa Giulio II, riunite insieme sotto la comune denominazione di "Epistolae pro christiana unitate servanda" (Pastor, III, p. 663); a questo scopo pubblicò la sua Oratio pro Concilio Lateranensi contra Conventiculum Pisanum (erroneamente datata da Hain al 1496), dedicata a Giulio II "Papae Romano o ecumenicoque" con lettera datata 8 sett. 1511, e l'Apologeticum pro Iulio Papa contra Consilium Decii dedicata ai cardinali di S. Romana Chiesa con lettera del 22 novembre 1511.
Al tema dello scisma si ricollega quello della riforma della Chiesa. A. si dichiarò contrario alla povertà assoluta: a suo parere, alla Chiesa non potevano essere tolti gli ornamenti esteriori, né il clero doveva esser ridotto ad elemosinare perfino il pane; non era giusto soprattutto negare al papa la corresponsione delle "annate", poiché egli aveva bisogno di molto denaro "per percuotere con verga ferrea i principi secolari, questi Faraoni, Neroni e tiranni". A. dichiara di conoscere fin troppo bene "di scienza propria" i vizi di Roma; tuttavia la Chiesa non può essere spogliata dei suoi beni per gli errori dei sacerdoti. Del resto i laici si dolgono delle colpe del clero più per invidia che per virtù: essi certo non se la sentono "di abbandonare le loro care nozze, né di assumersi il dolce giogo di Christo". Concrete proposte di riforma da parte di A. sono la interdizione delle pensioni a carico dei benefici ecclesiastici, la limitazione delle dispense, il miglioramento dei costumi del clero regolare e secolare, la limitazione allo sminuzzarsi degli ordini religiosi. A., per suo conto, fu molto austero e devoto fino al misticismo: di una sua Omelia in laude di Maria fu detto "supera ogni aegregio laudatore di quella" (Gesamtkatalog..., n. 1917).
Morì, nel 1530, in concetto di santità e le sue doti religiose furono sinteticamente celebrate nel già citato epigramma in distici latini, composto dal generale dei vallombrosani Ilario Alcei e inciso sulla sua tomba.
Fonti e Bibl..: Per le epistole e i libelli, di e ad A., editi anteriormente al 1500, si rimanda ai repertori di incunaboli, e precisamente a: L. Hain, Repertorium bibliographicum, I, 1, Milano 1948, pp. 589 s., n. 1096 a-e; W. A. Copinger, Supplement to Hain's Repertorium, II, Milano 1950, p. 53. nn. 471-474; D. Reichling, Appendices. Milano 1953, I, p. 91, n. 1096; III, p. 7, n. 813; IV, pp. 3 s., nn. 1120-1125; VI, p. 4, n. 1673; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, II, Leipzig 1926, coll. 269-274, nn. 1906-1919; Indice generale degli incunaboli, I, Roma 1943, pp. 71 s., nn. 546-557. Per la biografia di A., si vedano: G. G. Trombelli, Memorie istoriche concernenti le due canoniche di S. Maria di Reno e di S. Salvatore unite insieme, Bologna 1752. pp. 123-25, 416 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori Bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 52-54; F. T. Perrens.. Jérôme Savonarola, Paria s.d. [ma 1853], p. 188;p. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de' suoi tempi, I, Firenze 1859, pp. 400 s.; P. Villari-E. Casanova, Scelta di prediche e scritti di fra Girolamo Savonarola, con nuovi docum. inediti intorno alla sua vita, Firenze 1898, pp. 451-518 (in app. Cronaca di Simone Filipepi, pp. 338 ss.); J. Schnitzer, Savonarola. Ein Kulturbild aus der Zeit der Renaissance, München 1924, I, pp. 264, 319 s-, 347, 434; II, pp. 648, 718, 741; L. V. Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, p. 663; Diz. stor. biografico di scrittori, letterati ed artisti dell'Ordìne di Vallombrosa, compilato da T. Sala e pubbl. da F. F. Tarani, I, Firenze 1929, pp. 327-33; E. Sanesi, Vicari e canonici fiorentini e il "caso Savonarola", Firenze s.d. [ma 1932], pp. 80-94 (ed. ed illustrazione della lett. di A. ai canonici del Capitolo fiorentino); R. Ridolfi, Vita di Gerolamo Savonarola, Roma 1952, I. pp. 226, 263, 324; II, pp. 161, 175, 192, 198; Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclés., III, coll. 12 s.