COCCHI, Angelo (al secolo Tommaso; in cinese Kao)
Nato a Firenze nel maggio 1597 da Antonio, entrò nell'Ordine dei predicatori il 30 nov. 1610 nel convento di S. Domenico a Fiesole, dove professò i voti il 24 maggio 1613. Terminati gli studi di teologia, fu inviato dai suoi superiori a perfezionarsi a Salamanca. Ivi maturò il proposito di recarsi nelle Indie come missionario e nel 1620 partì da Cadice. Dopo un viaggio assai lungo e travagliato - la sua nave toccò il Messico ed egli fu ordinato sacerdote ad Acapulpo il 25 marzo 1621 - giunse a Manila nella seconda metà del 1622. A partire da quest'epoca venne conosciuto anche sotto il nome di Angelo di S. Antonio o di S. Antonino. Fu successivamente a Bataan (1623), a Abucay (1625), a Cavite (1627), dove si dedicò allo studio della lingua locale. Nel 1628 era vicario di Tan-shui nell'isola di Formosa impegnato nello studio del cinese in vista di una eventuale destinazione nel continente cinese.
L'occasione gli si offerse allorché il governatore spagnolo delle Filippine, desideroso di intrattenere buone relazioni con le autorità cinesi del Fukien, decise di inviar loro un'ambasceria e incaricò della sua organizzazione il collega di Formosa, don Juan de Alcarazo. Il C. e un altro domenicano italiano, Tommaso Sierra della Maddalena, vennero prescelti per tale compito, forse perché, come suppone il Biermann, avevano probabilità in quanto italiani di essere meglio accolti degli Spagnoli, a quel tempo particolarmente odiati dai Cinesi.
Ricevute da Manila le lettere di accreditamento e il dono (un grande vassoio di argento) da offrire alle autorità cinesi, il C. e il Sierra si imbarcarono nel dicembre 1631 insieme con altri dieci compagni su due giunche, senza immaginare che il comandante e i marinai erano in realtà dei pericolosi ladroni. Infatti, una volta in alto mare, questi massacrarono sei dei componenti l'ambasceria, fra cui il Sierra, e ferirono gravemente altri due. Il C. e gli altri tre compagni riuscirono a scampare alla morte asserragliandosi in una cabina, dove vennero rinchiusi dai pirati; quindi, abbandonati alla loro sorte nella giunca che imbarcava acqua, fecero naufragio su un'isola nei pressi di Ch'üanchou nel Fukien il 1º genn. 1632. Di là furono condotti a Fu-ning prima, a Fuchou (Foochow) poi.
Qui il governatore della provincia, Hsiung Wen-ts'an, mentre rifiutò di ricevere il C. come inviato, essendo questi rimasto privo delle credenziali, fece arrestare e punire severamente i pirati, nonostante il C. intercedesse in loro favore. Hsiung ordinò comunque al C. e ai suoi compagni di lasciar il paese, procurando loro i mezzi necessari per il viaggio. Quando, nel giugno dello stesso anno, giunse il momento della partenza, il C. riuscì ad ingannare le autorità cinesi facendo partire al suo posto un cristiano giapponese e si recò quindi di nascosto a Fu-an, nella prefettura di Fu-ning, dove una diecina di cristiani, già convertiti dal gesuita G. Alenis e di buona condizione sociale, erano disposti ad accoglierlo.
A Fu-an il C. fondò una chiesa ed un'altra, dopo qualche tempo, anche a Tingt'ou, gettando le basi per l'opera missionaria in Cina dell'Ordine dei predicatori. Non potendo però bastare da solo alle esigenze della missione, il C. chiese il 24 dic. 1632 al provinciale delle Filippine collaboratori, che gli furono inviati nelle persone del confratello Juan Baptista de Morales e del francescano Antonio Caballero di S. Maria, primo del suo Ordine a rimettere piede in Cina dopo l'epoca mongola. Essi giunsero a Fu-an il 2 luglio 1633.
Il C. morì a Fu-an il 18 nov. 1633.
Non edotto a sufficienza delle difficoltà che i gesuiti avevano dovuto affrontare fin dal primo inizio della loro attività in Cina, il C. mostrò di non apprezzare del tutto l'operato del suo predecessore nella missione. Egli aveva tratto fra l'altro l'impressione che il culto e la devozione del Cristo crocifisso non avessero ricevuto nell'insegnamento dell'Aleni tutta l'importanza che meritavano, senza forse sapere che il cauto atteggiamento dei gesuiti al riguardo era conseguenza delle passate sfavorevoli esperienze da essi fatte. Nel 1600 un eunuco preposto alla amministrazione delle dogane aveva accusato infatti Matteo Ricci e D. Pantoja di empietà e di complotto contro l'imperatore perché nel loro bagaglio aveva rinvenuto un crocifisso di legno: oggetto dal significato per lui oscuro e comunque sospetto. Così pure quei riti - come, per es., il culto degli antenati o di Confucio - che i gesuiti avevano ritenuto di tollerare come non superstiziosi, anche per non urtare le suscettibilità della onnipotente classe dei letterati, vennero invece giudicati dai collaboratori e successori del C. come incompatibili con gli insegnamenti della religione cristiana e pertanto da proibire senz'altro. Il contrasto fra queste due concezioni non poteva mancare di acuirsi a mano a mano che altri religiosi degli Ordini domenicano e francescano riuscivano ad entrare in Cina per la via del Fukien, senza passare per Macao, fino allora, per disposizione delle autorità cinesi, porta obbligata di ingresso nel continente. Ivi i gesuiti, con l'appoggio dei Portoghesi (rivali a loro volta per motivi di concorrenza commerciale degli Spagnoli di Manila) e forti della autorità della bolla di Clemente VIII Onerosa pastoralis officii cura del 12 dic. 1600, che proibiva ai missionari di entrare in Cina per altre vie che non fossero quelle attraverso le Indie orientali portoghesi, tendevano ad esercitare un controllo selettivo sui missionari destinati in Cina al fine di assicurare una unità di azione all'opera di evangelizzazione. Allorché per la successiva bolla di Paolo V Sedis Apostolicae dell'11 giugno 1608 venne concesso ai missionari di recarsi in Cina e nelle Indie in genere attraverso qualsiasi via, questa unità venne meno. Le conseguenti rivalità fra i tre Ordini religiosi ebbero una negativa influenza sull'opera delle missioni in Cina.
Secondo il Gentili, il C. avrebbe scritto e pubblicato in cinese un'opera sulla devozione del rosario, che però non ci è pervenuta. Insieme a F. Mola è autore della biografia del p. Mateo Cobisa, pubblicata da D. Aduarte, Relación…, sulla base del testo manoscritto esistente a Manila, Arch. Prov. Sanct. Ros. 302, ff. 1-24. La relazione del C. al provinciale di Manila del 3 marzo 1632 - il cui testo manoscritto in copia si trova a Roma, Arch. S. Congr. de Prop. Fide, Scritture originali riferite nelle Congregazioni Generali, 103, ff. 114-116 - è stata pubblicata in J. M. González, Galeria…, pp. 54-58 e in História... I, pp. 48-52. In essa il C. descrisse le peripezie del suo viaggio da Formosa al Fukien. Di altre sue relazioni è data notizia in D. Aduarte, Tomo primero..., pp. 627, 629 e 630. Infine una sua lettera del settembre 1633 inviata al gesuita B. de Matos, residente a Fu-chou, e la risposta di quest'ultimo, possono esser lette - secondo il testo in copia da V. Riccio, Hechos...; c. VIII, pp. 67-68 - in J. M. González, História..., I, p. 69. Il C. dava notizia al de Matos dell'arrivo dei suoi due nuovi compagni e si dichiarava pronto a cooperare con i gesuiti nella loro azione missionaria. La risposta del de Matos fu però assai secca: negava che i nuovi venuti potessero amministrare sacramenti o predicare perché, non essendo entrati in Cina per la via di Macao, non avevano ottenuto il permesso del vescovo di quella città o del vicario provinciale, come avrebbero dovuto a norma della bolla di Clemente VIII. E concludeva: "Qui non intrat per ostium, fur est et latro": avendo seguito una via diversa da quella di Macao, avevano violato anche le leggi cinesi ed avrebbero potuto quindi causare danno a loro stessi e a tutta la missione. Più tardi in una sua lettera del 1º maggio 1636 da Hainan, indirizzata a A. Semedo (Arch. Rom. Soc. Iesu, Jap.-Sin. 161, II, ff. 161-162), il de Matos tenne però a ricordare quanto da lui fatto a favore del C. e dei suoi due compagni subito dopo il loro arrivo nel Fukien.
Fonti e Bibl.: Fiesole, Bibl. del convento di S. Domenico, Chronica Convenctus Sancti Dominici de Faesulis, ff. 120v, 167r, Manila, Arch. prov. Sanct. Ros. 413c: V. Riccio, Echos de laOrden de Predicatores en el Imperio de China [ms. sec. XVII], I, c. VIII, pp. 67-68; Ibid., 413 a: idem [ms: sec. XIX], I, C. VIII, f. 52rv (un più antico ms., classificato sotto 413 b, risulta scomparso, forse portato in Spagna dal p. J. M. González); D. Aduarte, Relación de varias cosas y casos que han sucedido en les Reynos de Japon... accompañada con otra de la vida y muerte del religioso Fr. Mateo de Cobisa,dominicoque murió en Isla Hermosa, Manila 1631; Id., Tomo primero de la História de la Provinciadel Santo Rosario de Filipinas,Japón,yChina de la Sagrada Orden de Predicadores, Zaragoça 1693, pp. 614-619, 629 ss. e passim (vedi anche la nuova edizione, II, Madrid 1953, pp. 345-372, 427-435); J. Ferrando-J. Fonseca, Historia de los PP. Dominices en las IslasFilipinas yen su Misiones del Japon,China,Tung-Kin y Formosa, II, Madrid 1870, pp. 327-360; T. M. Gentili, Memorie di un missionario domenicano nella Cina, I, Roma 1887, pp. 98-113; III, ibid. 1888, pp. 441-442; Hilario Ma. Ocio, Reseña biográfica de los religiosos de la Provincia del Santisimo Rosario de Filipinas, Manila 1891, pp. 352-58; B. M. Biermann, DieAnfänge der neueren Dominikanermissionin China, Münster 1927, pp. 27-43; R. Streit, Bibliotheca Missionum, V, Freiburg 1929, pp. 763 s., 951; K. Scott Latourette, A history of Christian Missions in China, New York 1929, pp. 108 s.; Sinica Franciscana, II, ad Claras Aquas 1933, pp. 242, 318, 320; III, ibid. 1936, pp. 92 s.; A. Sisto Rosso, Apostolic Legations to China of the Eighteenth Century, South Pasadena 1948, pp. 104-107; J. M. González, Galeria de Varones illustres, Manila 1951, pp. 11-58; P. Fernandez, Dominicos donde nace el sol, s. l. [Barcellona] 1958, pp. 106-110, 131-134, 156; J. M. González, História de las misiones dominicanas de China 1632-1700, I, Madrid 1964, pp. 48-79; III, ibid. 1967, pp. 12 s.; L. Carrington Goodrich-Chao-Ying Fang, A Dictionary of Ming Biography 1368-1644, I, New York 1976, pp. 409 s.; Enc. Catt., II, coll. 1903 s.