CESI, Angelo
Ultimogenito di Federico, duca d'Acquasparta, e di Olimpia Orsini, e fratello, quindi, di Federico, il fondatore dell'Accademia dei Lincei, nacque a Roma nel 1602. Avviato alla carriera ecclesiastica, il prestigio della famiglia valse a collocarlo giovanissimo in posizioni d'un certo rilievo: "referendarius", come annota il Mandosio, "utriusque signaturae... variis in ecclesiastica ditione praefecturis ornatus", vicelegato a Bologna nel 1621 - donde scrive, il 21 dicembre, una lettera all'arcivescovo di Milano Federico Borromeo - e nel 1623-1624, morto il vescovo di Rimini Cipriano Pavoni, Urbano VIII lo nominò, il 19 luglio 1627, suo successore.
Preso, per lui, possesso della diocesi il 26 dal governatore della città Bartolomeo Fioravanti, il C. viene consacrato il 1º agosto e fa, il 14 novembre, il suo ingresso solenne pel quale il Comune, per quanto in preda ad angoscianti difficoltà finanziarie, s'affanna a stanziare 250 scudi.
Tutt'altro che continuata la presenza in sede del C., ché dal 1629 al 1632 rimane per lo più a Roma, incaricato inoltre, per breve tempo, nel 1630, di sostituire il card. Antonio Barberini, assorbito da impegni militari, nelle sue tre legazioni di Bologna, Romagna e Ferrara.
Fu, sebbene trattenuto per lunghi periodi a Roma, un vescovo non privo di meriti e seppe reggere la diocesi con saviezza: "senza ferro e senza foco, ma con la sola piacevolezza" e "dolcezza" richiamò "alla salute" molte "anime...vicine al precipizio", ricorderà una commemorazione funebre giuntaci anonima, forse da identificare coll'orazione pronunciata a Rimini nel novembre del 1647 dal generale dei teatini Agostino Bozomo in occasione della tumulazione. Elogio probabilmente allusivo all'accoglimento, disposto dal C. nel 1629, di prostitute pentite in un apposito ritiro con accanto la chiesa di S. Maria del Soccorso. Si ricordano, inoltre, del suo episcopato i sinodi (uno, svoltosi nel giugno 1630, un secondo tenutosi nel giugno 1639, nel quale si stabilisce l'istituzione d'un maestro di cerimonie da scegliersi tra i titolari delle parrocchie urbane), l'accurata scelta dei parroci, la promozione dell'adorazione del Santissimo e la solennità, particolarmente accentuata, conferita alla festa del Corpus Domini. Sensibile allo slancio missionario benedì, con voluto clamore, il 5 febbr. 1628, nella chiesa di S. Bernardino l'ancona dedicata a martiri vantati dai minoriti in Giappone; favorì l'insediamento dei gesuiti; introdusse le cappuccine istituendo il convento nella casa donatagli da Ferrando Neri che aveva voluto, così, assecondare la figlia Raffaella votatasi alla regola di s. Chiara. Non estraneo alla miseria dei fedeli, raccomandò vivamente, nel corso della carestia del 1631, da Roma i poveri alla sollecitudine del Comune e volle, così almeno il Tonini, erigere "un monte frumentario in monte scudolo". Il C. è, infine, fondatore, nel 1629, d'una accademia - adottò per impresa il libro della Sacra Scrittura illustrato dal motto "Omnibus omnia" - la quale, formata da religiosi, secolari e regolari, riminesi, avrebbe dovuto, con riunioni quanto meno quindicinali, dibattere ed approfondire argomenti strutturali.
Ritenuto "soggetto qualificato per bontà di vita e per nascita", l'ambasciatore veneto a Roma Angelo Contarini prevede, nella sua lettera del 7 genn. 1645, imminente il conferimento al C. della nunziatura presso la Serenissima; voce non infondata ché Innocenzo X, dopo averne parlato, nell'udienza del 14 gennaio, al Contarini come di uomo "di lettere, d'integrità di costumi e di nascimento honorevolissimo" e perciò adattissimo a rappresentarlo presso "sì grande Republica" lo nomina nunzio a Venezia il 21 febbraio.
Partito da Roma il 27 marzo, incontrato ad Assisi il suo predecessore Vitelli, sbrigate a Rimini le pratiche che lo attendevano e date disposizioni pel buon andamento della diocesi, il C. giunge a Venezia il 12 maggio, rimandando comunque di qualche giorno l'ingresso solenne. Lo precede il lusinghiero giudizio, che ribadisce e amplia quelli già forniti dal Contarini, inviato il 2 maggio dall'ambasciatore Bertucci Valier, il quale aveva avuto modo d'incontrarlo a Rimini: "è prelato al taglio, per appunto, del bisogno publico, di maturità, di prudenza che non farà carriere né affetterà titoli di rigor soverchio, che condurrà seco buoni et discreti ministri et si dichiara di volerli tali. Nato di nobilissima casa, ricco et che si tratta con splendore..., per tutti questi rispetti io pronostico un'ottima nontiatura". Meno accomodanti, tuttavia, di quanto il Valier supponesse le direttive contenute nell'istruzione dell'11 marzo: compito principale del C., infatti, opporre alla "mondana ragione di stato" veneta - per cui la Repubblica, "in virtù di alcune sue leggi fondate più tosto sopra molto continuati abusi che in concessioni, pontificie", ha, di fatto, "messo mano sopra gli ecclesiastici" - la romana "ragione canonica", facendo presente "non mancar... esempi della vendetta" divina per "quei prencipi secolari" che hanno osato "por la mano sopra le persone a Dio dedicate". Né si stanchi di ribadire, "in qualsivoglia emergente", siffatto principio, ripetendolo, se occorre, "due e tre volte e quante più vedrà essere necessario". Vigili, inoltre, sulle presenze eterodosse, "ebrei", "inglesi", "olandesi" ed "altre simili nationi", circoscrivendone "gl'effetti" inquinanti; sorvegli i costumi dei "regolari" e procuri "vivano virtuosamente dentro i loro claustri" (non necessita, in effetti, "regola più stretta", basta il rispetto di quella vigente), senza bighellonare, "con grave scandolo", per la città; eviti la degenerazione dei litigi all'interno d'un clero intrigante e avido sì da non offrire il destro ad interventi statali lesivi dell'"immunità ecclesiastica"; induca i religiosi più ricchi a devolvere "le facoltà che possedono" al "sostentamento comune" anziché siano "alcuni pochi" a "dilapidarle"; presti la massima attenzione all'attività editoriale vista la "grande facilità", a Venezia, "di publicar... li libri"; gli uomini al suo servizio siano disciplinati e non provochino turbamenti; curi i buoni rapporti cogli altri diplomatici e diffonda il convincimento che "l'affare della pace publica... è la cura principale" d'Innocenzo X.
All'usuale e scontata preoccupazione romana per le questioni giurisdizionali faceva riscontro un ambiente ove, così denunciava il C., "il negotio dell'immunità ecclesiastica è punto durissimo et se ne sono impossessati in maniera che non se ne fanno scrupolo alcuno e praticano con gli ecclesiastici indifferentemente come co' laici".
Fa da supporto ideale a questa plurisecolare pratica la dottrina "che tutte le cause etiam mere spirituali spettano nel possessorio del principe secolare lasciando all'ecclesiastico la cognitione del petitorio"; persiste, pericolosissima pel C., la memoria del magistero sarpiano, specie della "massima... che l'autorità del principe è da Dio che gli ha dato per sudditi tutti quelli del suo dominio né può alcuna legge terrena trascurarli o esimerli" e un'eco dell'aborrita figura di "fra Paolo" è altresì percepibile laddove il C. lamenta l'esistenza, a Venezia, d'una "gioventù mal avvezza e che poco pensa alla pietà et è imbevuta delle massime politiche di quelli che... odiavano" i gesuiti e li avevano cacciati. Gravissime le responsabilità del clero veneto, su cui più volte il C. insiste non esitando ad asserire che "il male maggiore in materia della giurisdittione fanno specialmente i preti e i frati": in particolare i canonici di Padova ricorrendo contro il vescovo e, a Venezia, "il capitolo patriarcale... contro il patriarca" e i regolari, specie gli osservanti, ostinati, "nella materia dello stellario", a non rispettare la proibizione della Congregazione dell'Inquisizione, appoggiati da settori influenti del patriziato della Repubblica, che, in tal caso, "connive".
Lo stesso dramma della guerra di Candia (puntualmente registrato dal C. che via via osserva il turbamento e la "confusione" di "tutta la piazza" alla notizia dell'aggressione turca, il "timore" per la mancanza di "soldatesca" e "capi di qualità", lo sdegno "grandissimo contro li cavalieri di Malta" pel "licenziamento" della loro milizia giudicato "fatto sollecitamente perché loro non la potessero havere", "il colpo della perdita della Canea... gravissimo", i membri del Collegio "tutti mesti" per la caduta di Novigrad e "col volto a terra"), se colloca in secondo piano singoli punti (il "negotio della coadiutoria di Aquileia", il "regale iuspatronato" veneto sul "primiceriato di Candia", la perdurante controversia cenedese), è ben lungi dall'attenuare l'ossessivo tema della "giurisdittione" e dell'"immunità". Il C. s'affanna, è vero, in ogni udienza ad enfatizzare l'accorato "travaglio" del pontefice per la minaccia ottomana e a reclamizzare l'"ardente zelo" con cui s'adopera "per procurare alla Repubblica nuovi soccorsi e muovere tutti li principi cristiani alla difesa della causa comune"; ma, in realtà, guarda con intimo compiacimento alle immani insormontabili difficoltà (non sanno come "trovar danari di che stanno scarsissimi", Venezia non può "sostener questa guerra a lungo" per la "troppa disparità di forze" ripete di frequente; "la guerra incalza e non hanno più né gente né danari" mentre "il popolo non ne può più" delle "tasse", insiste) che travolgono la Serenissima. Si tratta della "stretta" offerta dalla provvidenza per scalfire e introdurre crepe decisive nell'edificio compatto del giurisdizionalismo veneziano, del "tempo a proposito" (e così pare anche a "molti della nobiltà" prodighi di suggerimenti al C.) per la "restitutione de' giesuiti" - e visto che "vi vuol la ragione dell'interesse" il C. caldeggia, da parte della Compagnia di Gesù, una offerta tra 70 e i 100 mila scudi per la guerra in corso - in terra veneta. E le mosse del C. in tal senso costituiscono il preludio della riammissione del 19 genn. 1657, per la quale s'adopererà il nunzio Carafa con successo.
Atteggiamento quello del C. evidentemente condiviso da Innocenzo X (altrimenti, come lo rimproverò, piuttosto seccamente, quando gli parve che il C. premesse troppo blandamente per procurare gli agognati "sequestri sopra le rendite" venete del cardinale Antonio Barberini, non si sarebbe trattenuto dal richiamarlo all'ordine), il quale, inoltre, ne seguì, di fatto, il consiglio, espresso ancora il 3 giugno 1645, per cui - di fronte all'ineluttabilità d'un concorso del clero alle spese d'una "causa... giustissima" - era "bene", da parte romana, "prevenire" imposizioni senatorie col "concederli", come avvenne, "qualche esattione dagli ecclesiastici". Certo a Venezia ci si accorse del tentativo di "stringerli", in fatto d'immunità ecclesiastica, a progressivi cedimenti: "l'angustia e scarsezza del denaro", sperava il C., avrebbe comunque reso malleabile il Senato. Di fatto si verificò una frattura tra quelli che "stanno più ombrosi e talvolta più duri" e i "buoni", non molti per la verità, "che tengono questa guerra castigo di Dio e lo dicono"; cresce, nel frattempo, preludio a futuri patteggiamenti, il numero di coloro i quali, anche se non osano "parlare", pensano, in cuor loro, sia meglio "lasciar star li preti, anzi farne voto".
Costretto a letto già alla fine del gennaio 1646 da "febre catarrale con doglia grandissima di testa", le condizioni di salute del C. s'aggravano - il 4 agosto egli stesso precisa d' "haver mandato fuori un calcoletto" mentre la febbre è divenuta "terzana doppia" - sì che, a partire dalla metà d'agosto, impossibilitato persino a "sottoscrivere", lo sostituisce nei "negotii" l'auditore Silvio Arcangeli. Né - a parte un leggero miglioramento che fece sperare in una "felice terminatione del male" - riuscì a riprendersi, malgrado l'accorrere al suo capezzale di vari medici tra cui due illustri luminari del tempo come il Selvatico docente a Padova e il Buonaccorsi professore a Bologna. Morì a Venezia, dopo aver ricevuto, il 19, l'estrema unzione dal patriarca Morosini, il 20 settembre 1646, "quasi all'improviso... per accidente apoplettico", come riferì l'Arcangeli.
La salma, esposta per un giorno a S. Nicolò da Tolentino e poi esaminata - "aperto il corpo" si trovò "qualche difetto dentro nelli rognoni, in uno de' quali delle pietre non molto grosse" -, ebbe, per volontà del Senato, "un suntuosissimo funerale"; i resti, quindi, come il C. stesso aveva disposto, furono collocati, il 18 nov. 1647, nella "cattedrale di Rimini… avanti l'altare della Vergine". Esprimendo le sue ultime volontà s'era preoccupato di raccomandare il fratello Giovanni Federico e i due figli di questo alla benevolenza del pontefice e del cardinale Camillo Pamphili; e pregava nel contempo il fratello di "sodisfare tanto ai debiti del card. nostro zio quanto miei". In effetti, per sostenere con adeguato splendore la dignità della nunziatura, "necesse illi fuit", a detta di Gian Vittorio Rossi, "omnia coemere", a cominciare dalle stoviglie, indebitandosi così fortemente; ed era morto troppo presto prima di tacitare i creditori coi proventi della vendita del raccolto di grano fornitogli "ex sua locupleta ecclesia" riminese.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca univ., ms. 118 n. 50 (editto del card. Antonio Barberini relativo all'estimo fatto dal C. nel 1623); Ibid., ms. 224 n. 7 (relazione della malattia e morte del C.); Rimini, Arch. vescovile, 363, Visita della città dal 1622 al 1649; Ibid., 365, Visita della diocesi dal 1628 al 1644; Ibid., 366, 1632-1639. Visita della diocesi; Ibid., 367, Visita della città e diocesi dal 1637 al 1645; Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Venezia, 68, 69, 71 sino a c. 520r, 72 sino a c. 364r (lettere del C. e qualche cenno su di lui); Ibid., 70 sino alla c. 73v (istruzioni o informazioni al C.); Bibl. Ap. Vaticana, Borg. lat. 121, cc. 25, 26, 111, 121v (due disposizioni del C. vescovo di Rimini e due bolle pontificie a lui del 1º apr. 1628 e del 15 marzo 1629); Ibid., Vat. lat. 12.230, c. 87 (lettera d'ignoto a ignoto ove si prega d'avvertire il C. di ritardare la partenza per Venezia); Vat. lat. 10.477, cc. 89r-100r, 225r-267v: Istruzione a... Cesi .. destinato nunzio a Venezia e Vita di... Cesi di autore ignoto (così intitolata dev'essere, comunque, la sua commem. funebre); Vat. lat. 10.408, cc. 686r-687v: Nota della famiglia che teneva ... Cesi ... a Venezia; Archivio di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Roma, filze 122 (lettere del Contarini del 7 e 14 gennaio, 10 giugno 1645 e del Valier del 2 maggio) e 124 (lettera del 29 sett. 1646); Ibid., Senato. Deliberazioni Roma, regg. 48 passim. 49 passim sino a c. 64v; Ibid., Collegio. Esposizioni Roma, regg. 37, 38 sino a c. 27v; D. Calervi, Descrizione degli archi e dalle statue erette in Rimini nell'ingresso del... C., Venezia 1628; Constitutiones synodi Ariminensis primae ab... A. C. celebratae XIX,XVIII et XVII Kal. Iun. MDCXXX, Arimini 1631; Constitutiones synodi Aryminensis secundae; Arimini 1639; G. Giogalli, Oratio... in parentalibus... A. C. nuntii..., Venetiis 1646; I. N. Eritreo [G. V. Rossi], Epistolarum ad Tyrrhenum tomus posterior, Coloniae 1649, p. 71; Sinodi diocesani italiani. Catalogo bibliografico degli atti a stampa(1534-1878), a cura di S. Da Nadro, Città del Vaticano 1960, pp. 173, 192; G. Galilei, Opere (ediz. naz.), XII, p. 68; XIII, pp. 179, 188, 263, 465; XX, p. 416; Biblioteca Ambrosiana, Milano, F. Borromeo,Indice delle lettere a lui dirette..., Milano 1960, p. 118; P. Mandosio, Bibliotheca romana..., II, Romae 1692, p. 287; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, II, Venetiis 1717, coll. 440-441; G. V. Marchesi, La gall. dell'onore..., II, Forlì1735, p. 378; G. B. Costa, Lettere e documenti... intorno... Guido Cagnacci pittore, in Raccolta d'opuscoli..., a cura di A. Calogerà, XLVII, Venezia 1752, p. 156; L. Nardi, Cronotassi dei pastori della Chiesa riminese..., Rimino 1813, pp. 301-303; E. A. Cicogna, Saggio di bibl. ven., Venezia 1847, n. 2819; Id., prefazione a S. Giogalli, Scrittura... intorno la decadenza del commercio di Venezia, Venezia 1856, p. 7; B. Cecchetti, La Repubblica di Venezia e... Roma..., II, Venezia 1874, p. 288; C. Tonini, La coltura... in Rimini..., II, Rimini 1884, pp. 14-15; Id., Rimini dal 1500 al 1800, Rimini 1897-1888, VI, 1, pp. 455, 459, 461, 463; 2, pp. 380-384, 501, 514; A. Favaro, C. Marsili e la successione di... Magini nella lettura... di Bologna, in Atti e mem. della Dep. di st. patria per le prov. di Romagna, s. 3, XXII (1904), p. 423; H. Biaudet. Les nonciatures..., Helsinki 1910, p. 261; P. Molmenti, Curiosità di storia venez., Bologna 1920, p. 326 n. 1; M. Maylender, Storia delle accademia d'Italia, V, Bologna 1930, pp. 8, 82; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae..., Città del Vaticano 1931, p. 241; E. Martinori, Genealogia e cronistoria di una... famiglia...: i Cesi..., Roma 1931, p. 69 (non condividibile, però, la attribuzione al C. del Discorso a monsig... d'Elci... nunzio a Venezia..., in Bibl. Ap. Vat., Vat. lat., 10.419, ff. 210-235, ché l'autore lo dice frutto dell'esperienza "di molt'anni che ho fatto dimora in Venezia"; né il C. poteva, evidentemente, rivolgersi a chi era destinato, lui morto, a succedergli); L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1, Roma 1932, pp. 264-271 passim;A. Mombelli, La cultura in Romagna nella prima metà del Settecento..., Ravenna 1971, p. 44; P. Litta, Le famiglie celebri d'Italia, s.v. Cesi, tav. II; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 95; G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, XLV, p. 53; LII, p. 310.