CASTIGLIONE (Castiglioni, Castilionacus), Angelo
Nacque, da famiglia patrizia, a Genova in data non determinabile, come non precisabili sono le circostanze dei primi anni della sua vita.
Il 2 luglio 1525 entrò nella Congregazione di S. Maria di Monte Oliveto e vi rimase sino al 1538, quando era priore di quel monastero. In questi anni si fece in Genova quella fama di brillante ed efficace predicatore che rimase il suo tratto distintivo, pur se raggiunse grande stima anche come teologo. Nel 1538 passò alla congregazione mantovana dell'Ordine della Beatissima Vergine del Monte Carmelo, e da lì il carmelitano genovese passò a Verona per associarsi all'impresa di riforma di quella diocesi, cui il vescovo Giovan Maria Giberti chiamava in quegli anni uomini che si distinguevano per doti intellettuali e zelo religioso. Il Giberti mise a frutto le doti di predicatore del C., lo ebbe fra i suoi familiari per quindici mesi e lo raccomandò nel testamento al suo successore. Quando il Giberti venne a morte, il 30 dic. 1543, il C. fu incaricato dell'orazione funebre, che pronunciò il giorno di S. Silvestro (trascritta e pubblicata da P. F. Zini, si legge in I. M. Giberti... Opera…,Hostiliae 1740, pp. 297-306).
La sistemazione veronese, auspicata per il C. nel testamento del Giberti, non ebbe luogo, come del resto neppure per altri del gruppo gibertino che si disperse, "dopo la dissoluzione di quel nodo, che tenne molti di noi legati insieme per un tempo in una medesima stanza", come scrisse uno di loro, Francesco Della Torre (cfr. Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini..., Vinegia 1545, II, c. 41r). Per un certo tempo il C. non ebbe "novo padrone", e conobbe forse le oscillazioni tipiche in questi anni di gruppi e figure del così detto evangelismo italiano.
Certo è che nel 1554 Celso Martinengo, esule e pastore in Ginevra, rimproverava al C., ormai inserito duramente nell'attività di repressione dell'eresia, il suo ripiegamento dalle posizioni che gli aveva manifestato in un incontro di "otto anni fà",quindi del 1546: "ancora voi vi accomodate al mondo e contro coscienza predicate contro quella dottrina che tenete, o almeno avete ancora, benché occultamente, predicato". Per Martinengo, il C. è un esempio della regressione inevitabile cui vanno incontro quelli che restano negli "atrii papali",coprendosi del mantello di Nicodemo: la simulazione nicodemitica diventa presto "peccato in Spirito Santo". E tuttavia Martinengo sembra sperare una resipiscenza; ma la risposta del C., datata da Genova, il 6 luglio 1554, esprimendo stupore per la presunzione di familiarità con cui il Martinengo gli si rivolge sulla base di un insignificante incontro di otto anni prima, ritorce sull'esule l'accusa di doppiezza e protesta un'indefettibile ortodossia cattolica.
Questo episodio, comunque vada interpretato, chiude in ogni modo la fase gibertiana del Castiglione. L'ultima, la più densa e produttiva fase della sua attività, è milanese e borromea. Come collaboratore del grande arcivescovo di Milano (il C. non fu il solo a passare dal Giberti al Borromeo: si può ricordare l'Ormaneto e Alberto Lino), egli divenne una delle figure di punta della lotta contro l'eresia nella diocesi milanese. Fu considerata esemplare la sua Predica fatta nel Duomo di Milano la terza Domenica d'ottobre, nel 1553, per far animo ad alcuni sospetti d'heretica pravità i quali al fine della Predica abiurarono alla presenza del Popolo:"una cantilena quasi rimata - dice il Cantimori - nella quale il disprezzo del privilegiato, perché chierico e perché dotto verso la gente dedicata alle arti meccaniche più umili concorre, assieme a un vago sentore come di incantazione ed esorcismo, a produrre un'eloquenza avviata alla ricerca di effetti quasi magici".
Come predicatore il C. fu stimato dal cardinale Gabriele Paleotti e dal Borromeo e, come dice un suo biografo del Seicento, il Giustiniani, "per lo spatio di 36 anni annuntiò nelle principali città d'Italia la parola di Dio". Morì a Milano nel 1584.
Un suo nipote, insigne nell'ambiente del Borromeo, il gesuita Francesco Adorno, curò per i tipi milanesi del Ponzio una raccolta delle sue prediche, Homeliae per totum annum. Resta inedito all'Ambrosiana di Milano uno scritto più propriamente esegetico-teologico De Animadversione adhibenda in legendis scriptoribus antiquis. Non sono stati rintracciati "alcuni Dialoghi teologici" cheMichele Giustiniani indicava nella "libraria di Prospero Placidi Perugino",a meno che non si identifichino con il citato De Animadversione, che è a struttura dialogica.
Fonti e Bibl.: A. Possevino, Apparatus sacer, I, Venezia 1603, p. 87, inserì nel suo immenso catalogo un breve cenno sull'opera del C., sottolineando l'attività di predicatore, il rapporto col cardinale G. Paleotti e con Carlo Borromeo e l'attività di editore di Francesco Adorno. A metà del Seicento il C. trovò un iperbolico elogiatore nell'ab. G. Ghilini che nel Teatro d'huomini letterati, Venezia 1647, II, pp. 18-19, esaltò le sue prediche come "la Cetra di Dio, e la tromba del Cielo...". Nel medesimo tempo I. Maracci lo inseriva nella sua Bibliotheca Mariana per i suoi meriti nel diffondere, attraverso la predicazione, la devozione della Vergine. Il profilo biografico più completo per il XVII sec. si può leggere in M. Giustiniani, Gli scrittori liguri..., I, Roma 1667, pp. 665,con elenco delle opere sufficientemente diligente; R. Soprani, Li scrittori della Liguria particolarm. della Maritima, Genova 1667, pp. 23-24, definisce il C. "il stupore degli Ingegni che fiorirono nel secolo passato" e integra qualche rinvio del Giustiniani; il gesuita A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum seu Syllabus Scriptorum Ligurum..., Perusiae 1680, s.v. Angelus Castilioneus, ripete Giustiniani e Soprani. Nel Settecento le indicazioni degli onomastici milanesi e di quelli carmelitani (per i quali si rimanda a Cosma de Villiers, Bibliotheca carmelitana, I-II, Orléans 1752) sono riassunti egregiamente da F. Argelati, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 346 s., che fornisce anche un elenco in otto titoli delle opere a stampa e manoscritte, esauriente sol che lo si integri con le indicazioni dell'Inventario Ceruti dei Manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, II, Milano 1975, p. 473 e pp. 14-55 per le lettere da e a Carlo Borromeo. Una prospettiva nuova sulla figura del C. si aprì quando A. Pascal, Una breve polem. tra il riformatore Celso Martinengo e fra A. C. da Genova, in Bulletin de la Société d'histoire vaudoise, XXXV (1915), pp. 77-89, pubblicò lo scambio epistolare già ricordato sopra. Su questa linea vedi anche D. Cantimori, "Nicodemismo" e speranze conciliari nel Cinquecento italiano, in Contibuti alla storiadel Concilio di Trento e della Controriforma, Firenze 1948, pp. 12-23; A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma. G. M. Giberti, Roma 1969, in particolare pp. 275 s., e G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d'Italia dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVII, II, 1,Torino 1974, pp. 1030-1033. Manca uno studio sulle prediche del C.; sulla sua cultura teologica ed esegetica potrebbe offrire indicazione il ms. dell'Ambrosiana, 1, 103, inf.: Angeli Castillionaei Ianuensis Theologi Familiae Alumni Carmeliticae Dialogi sex de Animadversione ac circumspectione adhibenda in legendis Ecclesiasticis scriptoribus.