BARABINO, Angelo
Nacque a Tortona il 1° genn. 1883, da famiglia di origine genovese. A diciassette anni intraprese studi regolari di pittura all'Accademia di Brera che frequentò per tre anni, fino al momento in cui conobbe G. Pellizza (circa 1903), divenendone l'allievo e passando a lavorare, fino al 1907, anno della morte del maestro, nello studio di Volpedo. Fu il periodo formativo del B.: fedele discepolo del Pellizza di cui adottò il divisionismo, sebbene in forma non programmatica, e le intenzioni sociali, non si discostò mai sostanzialmente da queste premesse. Il proposito di riprendere, nel 1907, gli studi a Brera non ebbe seguito. Nel 1906 mandò alla Promotrice di Firenze un Autoritratto, perduto. Nel 1913 il quadro Rapina,esposto alla Biennale di Brera, gli procurò l'attenzione di V. Grubicy, che l'anno dopo presentò la personale del B. ad Alessandria. Le opere di questi anni, nello stretto ambito della poetica del Pellizza, sono le più pregevoli: Fiori selvatici (Tortona, racc. Torriglia); Il figlio; L'annegato (1909, Tortona, propr. B. Barabino); Pioppi a Scrivia (1913, propr. privata).
Dopo la prima guerra mondiale, il B. passò due anni a Venezia, dove frequentò Spadini. Socialista, con l'avvento del fascismo preferì appartarsi e, dal 1922, si stabilì a Tortona. Espose raramente; tre volte alla Promotrice di Torino: nel 1903 un Paesaggio; nel 1923 Fine di un giovane contadino; nel 1928 Mattino estivo e Idillio. Tenne ancora personali a Sanremo e a Tortona (1921). Nel 1929, invitato da amici italiani, si recò nel Venezuela, portando con sé numerose opere (il trittico Partenza, Allucinazione in trincea, La visione del morto; Le figlie di Lot; L'ira di Dio,ecc.), che furono esposte a Caracas con vendita totale; vi ebbe incarichi ufficiali, come quello di eseguire il ritratto del presidente J. V. Gomez. Rientrato in Italia nel 1931, continuò a dipingere, soprattutto paesaggi.
Morì a Milano il 6 nov. 1950. Due retrospettive furono tenute a Milano e a Tortona nel 1953.
Il B. non ebbe le qualità poetiche del Pellizza e raramente la sua pittura si solleva oltre i limiti di dignitoso mestiere. Più portato per il paesaggio, che rese naturalisticamente traendone effettì a volte gradevoli, ora velato da un pulviscolo divisionista (Riflessi di tramonto,1909, Alessandria, Pinacoteca civica; Meriggio a Torre Garofoli,1943, propr. Piccinini, Tortona), ora in una luce più dura e compatta (La cappella del vecchio cimitero a Giaveno,1920, propr. privata; Albero spoglio a Giaveno,1934, Milano, propr. B. Barabino), fu sovente attratto - sull'esempio del Pellizza - da temi più impegnativi e concettosi. Cosi affrontò argomenti di carattere sociale (La Pietà,1932, propr. B. Barabino; L'uomo della fornace,1928-30, ibid.), biblico (Le figlie di Lot,1927-28, Caracas, coll. privata), si ispirò alle idee dell'amore e della morte, del bene e del male (Altare dei Caduti nella basilica di Broni, 1924-25; Dannazione,1950, Tortona, propr. B. Barabino). È palese in questi dipinti l'intento di "far grande", intento espresso in una maniera larga e semplificata (ma alquanto vacua), arieggiante lo stile "900".
Bibl.: R. Barbiera, Esposizione naz. di Belle Arti a Milano, in L'Illustrazione ital., XXXVII (1910), 2, p. 386; B. Ravazzi, A. B. pittore tortonese,in Alexandria, 2 ott. 1951, p. 54; Onoranze al pittore A. B. (con scritti di E. Tea e vari), Tortona 1953 (in occasione della mostra commemorativa); E. Tea, A. B.,Milano 1961 (con bibl.).