MORELLI, Angelo Adamo (Giovanni Battista)
, Angelo Adamo Nacque da Francesco e da una Vittoria di Iacopo di cui si ignora il cognome a Castronovo in Garfagnana. Il 7 febbraio 1655 fu battezzato nella chiesa di S. Pietro con il nome di Angelo Adamo.
Nel 1674 entrò nella provincia romana dell’ordine dei francescani riformati e nel giorno della professione solenne, il 30 ottobre 1675, assunse il nome in religione di Giovanni Battista. Fu ordinato sacerdote il 1° febbraio 1679 e nello stesso anno ammesso tra i missionari della congregazione di Propaganda Fide. Mediante decreto del 12 ottobre 1679 fu destinato per dieci anni alle missioni in Siam e in Cina. Nel febbraio 1680 lasciò Roma insieme con il confratello Angelo da Albano e raggiunse Livorno in attesa dell’occasione propizia per imbarcarsi alla volta della Siria. Resosi impossibile tale tragitto, fu ordinato ai due missionari di raggiungere Venezia per unirsi a Bernardino Della Chiesa, già superiore del convento di orvieto, consacrato vescovo di Argoli e successivamente nominato vicario apostolico della provincia meridionale del Fujian. Della Chiesa e il confratello Francesco Nicolai erano diretti in Cina su mandato di Propaganda Fide (Acta congregationum particularium super rebus Sinarum et Indiarum Orientalium anni 1677-98, decretum 2 oct. 1679, c. 94). Prima di raggiungere Venezia, effettuarono una breve sosta a Firenze, dove furono ricevuti dal granduca Cosimo III, che dimostrò loro particolare benevolenza. Morelli sarebbe diventato suo corrispondente dall’Asia, da dove gli avrebbe indirizzato un cospicuo numero delle missive che compongono il suo corposo epistolario. Il 2 luglio 1680, prestato giuramento di obbedienza alla Congregazione, Morelli fu formalmente associato alla missione di Della Chiesa e intraprese il lungo viaggio che si concluse il 22 febbraio 1682 nella città commerciale di Surat nel Gujarat (India). Qui incontrarono il vicario apostolico di Propaganda Fide e vescovo di Eliopoli, nonché cofondatore della Società delle Missioni estere di Parigi, François Pallu (1626-1684), in attesa di imbarcarsi su una nave della Compagnia francese delle Indie diretta in Tonchino.
Pallu era stato consacrato vicario apostolico per il Siam, il Tonchino e la Cocincina con il breve Ecclesiae catholicae del 15 aprile 1680, nonché vicario apostolico del Fujian (Cina meridionale) e amministratore generale di tutte le missioni nell’Impero cinese. Tale atto avrebbe avuto profonde ripercussioni nella vita delle missioni cattoliche in Cina, aprendo di fatto una nuova epoca, caratterizzata da profondi dissidi tra ordini religiosi, Santa Sede e Propaganda Fide, la quale era nata non solo con la finalità di promuovere e regolamentare l’evangelizzazione, ma anche di gestire e contenere l’ingerenza delle Corone europee nella vita ecclesiale. Sino a quel momento i missionari non avevano riconosciuto formalmente altra autorità se non quella papale, nel caso dei gesuiti suggellata dal quarto voto di obbedienza circa missiones. I missionari in Cina erano tenuti ad attenersi alla normativa statutaria del proprio ordine o congregazione di appartenenza, esercitando la loro opera pastorale in modo più o meno indipendente, pur limitatamente ai periodi nei quali l’autorità imperiale Qing concedeva una certa libertà di circolazione all’interno delle province. L’introduzione della figura del vicario apostolico, un vescovo direttamente consacrato dal pontefice, e del prefetto apostolico, non insignito del rango episcopale ma comunque vicario del pontefice, modificava completamente questo scenario, limitando di fatto, o comunque sottoponendo a rigido controllo, l’iniziativa dei missionari.
Tale situazione era resa ancor più complessa dai diritti esercitati dalle autorità portoghesi che si richiamano alle concessioni in favore della Corona lusitana previste dal trattato di Saragozza (1529) e dal padroado sugli uffici ecclesiastici nei territori portoghesi o, come nel caso della Cina, che ricadevano sotto l’egida della Corona lusitana. Poiché Macao era suffraganea dell’arcidiocesi di Goa, colonia portoghese, i missionari diretti in Cina erano di fatto soggetti alla giurisdizione portoghese. Nel 1690 furono create le diocesi di Pechino e di Nanchino, anch’esse suffraganee dell’arcidiocesi di Goa. In genere le autorità portoghesi non permisero ai missionari che non fossero salpati da Lisbona, il transito a Macao e conseguentemente l’entrata in Cina. Il decreto che stabilì la dipendenza di tutti i missionari, sia secolari sia regolari, dalla giurisdizione del vicario, fu promulgato il 28 gennaio 1680, con annessa una formula di giuramento che ciascun missionario doveva prestare alla congregazione di Propaganda Fide. Sono noti casi nei quali i missionari, soprattutto spagnoli, si rifiutarono di pronunciare tale giuramento, minando in tal modo il loro futuro nella tanto ambita missione in Cina. Le rivalità tra ordini religiosi e tra religiosi di diversa nazionalità all’interno di uno stesso ordine, l’antagonismo nei confronti dei gesuiti e il diretto coinvolgimento di questi ultimi nella controversia dei riti, sono solo gli aspetti più salienti di un insieme di vicende di estrema complessità che costituiscono un capitolo tra i più intricati della storia dell’espansione europea in Asia. Tali vicende si intrecciano inoltre a importanti rivolgimenti politici che coinvolgevano i regni asiatici e dei quali i missionari erano sovente testimoni.
Il corposo epistolario di Morelli, diretto principalmente a Cosimo III de’ Medici, è prodigo di dettagli relativi al commercio delle spezie, del quale l’olanda aveva ormai sottratto il monopolio al Portogallo. Si trattava evidentemente di un argomento di sicuro interesse per il suo protettore, la cui famiglia aveva avuto antichi interessi commerciali in Asia orientale. Le lettere di Morelli descrivono i cibi, il vestiario, i luoghi di culto, le lingue delle popolazioni con le quali egli veniva in contatto; sono dunque di notevole interesse da un punto di vista proto-etnografico. A differenza delle lettere di alcuni missionari gesuiti, che ebbero ampia circolazione in Europa in edizioni a stampa in ottavo, dal costo contenuto e dunque accessibili a un vasto pubblico, le epistole di Morelli dovettero però di rado valicare i confini della corte medicea. Esse costituiscono tuttavia, per lo storico moderno, non solo la principale fonte per ricostruire le tappe del suo travagliato viaggio attraverso l’Asia orientale, ma anche un importante strumento di indagine sulla vita quotidiana in terra di missione, sulle negoziazioni, i compromessi, le delicate mediazioni che tale vita comportava, comprese le miserie e le frustrazioni derivanti da una scelta che sovente, come pare essere nel caso di Morelli, risultava troppo ardua da sostenere.
Morelli e Angelo da Albano rimasero a Surat su istruzioni di Della Chiesa, che invece continuò il viaggio alla volta della Cina. La decisione di modificare i piani originari fu dettata, secondo quanto riferisce Morelli a Cosimo III il 25 dicembre 1682 (Sinica Franciscana, VI [1961], parte II, pp. 1267-1276), dalle difficoltà che l’ingresso nell’Impero rappresentava. Morelli raggiunse dapprima la città thailandese di Ayuthaya, a sud del fiume Chao Phraya, dove era l’insediamento, intitolato a s. Giuseppe, delle missioni estere di Parigi. Dopo una breve sosta, Pallu decise di inviarlo alla volta del Tonchino, ma la missione, a causa della morte del re e dei continui conflitti con la Cocincina, non ebbe un esito fortunato. Al ritorno in Siam, Morelli scoprì che Angelo da Albano era stato inviato in Laos con un missionario francese e che la delegazione capeggiata da Della Chiesa, avendo fatto naufragio, era stata costretta a riparare proprio a Ayuthaya, dove aveva intrapreso lo studio del cinese, pronta a ripartire alla successiva favorevole occasione. Una certa disillusione traspare dal resoconto che Morelli indirizzò a Cosimo, non tanto per essere stato, di fatto, assoldato dalla Società delle missioni estere di Parigi, ma per aver visto frustrato, in primo luogo, il desiderio di recarsi in Cina e poi quello di distinguersi nella missione tonchinese, che doveva «addolcire il cuore di quel re a non perseguitar tanto la religione». Mentre al compagno Angelo toccava di «andar a fondar una nova missione in quel regno [il Laos], non essendo ancor stato in questo nostro tempo predicato l’evangelio a quei popoli», a lui non restava altro che dimorare «in questo regno, non trovandomi troppo habile a far sì travagliosi viaggi» (lettera a Cosimo III, 19 novembre 1689, in Sinica Franciscana, VI [1961], parte II, pp. 1325-1327).
Dal 1682 al 1686 Morelli si dedicò dunque, presso la missione francese di Ayuthaya, vicino a Bangkok, alla cura pastorale dei profughi del piccolo regno di Pegu (Birmania) e dei mercanti portoghesi, che fuggivano dai territori dove divampava il conflitto birmano-thailandese. Nella lettera a Cosimo III del 2 aprile 1688 Morelli riferì di essere in procinto di intraprendere un viaggio in Pegu insieme con un confratello francese, ma anche in questo caso le sue aspirazioni furono frustrate da una improvvisa malattia del compagno che li obbligò a fare ritorno dopo solo otto giorni di viaggio. L’inquieto Morelli non tardò tuttavia a intraprendere un’altra missione. Questa volta fu inviato presso il doge di Venezia per conto del primo ministro del Siam, Costantino Phaulkon (Geracchi, Falconi, Falcon), greco di origine veneziana, giunto in Siam da bambino su una nave inglese. I missionari erano debitori nei confronti di Phaulkon, poiché egli provvedeva al loro sostentamento e ne finanziava i viaggi in Cina. Non fu dunque arduo ottenere il permesso episcopale affinché Morelli intraprendesse il viaggio. Tornò in Europa proprio pochi mesi prima dello scoppio di una violenta insurrezione nella quale persero la vita il re Phra Narai e il fido Phaulkon. L’usurpatore della Corona, Pra Petraja, non fu altrettanto benevolo nei confronti dei missionari, i quali furono costretti a lasciare quel prezioso avamposto lungo il cammino per la Cina.
Nel frattempo Morelli fu raggiunto da un nuovo decreto di Propaganda Fide che lo destinava per altri dieci anni alla missione in Cina. Questa volta però dovette fare il viaggio da solo, poiché «la Sacra Congregazione non vuole fare la spesa, sì perché l’esperienza m’ha fatto conoscere, quanto sfortunato sia ne’ viaggi» (lettera a Cosimo III, 19 novembre 1689, in Sinica Franciscana, VI [1961], parte II, pp. 1325-1327). Fu inviato a Lisbona, dove dimorò due anni, ma, rifiutatosi di prestare giuramento di fedeltà al padroado lusitano, giuramento che era in contraddizione con quello già prestato a Propaganda Fide, fu costretto a riparare a Madrid. Qui indirizzò una supplica al Concilio delle Indie (Consejo de Indias), affinché gli venisse concesso di transitare attraverso le Indie occidentali. ottenuto un responso negativo, non gli rimase che intraprendere il viaggio per terra, da Aleppo, dove giunse su una nave francese salpata da Livorno. Nel frattempo si era interrotta la corrispondenza con Cosimo III. Da allora Morelli scrisse solo ai suoi confratelli superiori e ad alcuni amici tra i convertiti del Siam e del Pegu. Difficilmente si trovano nelle lettere missionarie passaggi tanto apertamente critici nei confronti della politica della Santa Sede e di Propaganda Fide, considerati colpevoli di eccessiva indulgenza e sottomissione nei confronti del Portogallo, come quelli che talvolta si leggono nelle sue missive (a esempio nella lettera al viceprocuratore dei missionari francescani riformati Antonio da Lucca, datata Surat, 15 dicembre 1694 [Sinica Franciscana, VI [1961], parte II, p. 1344]).
A Propaganda Fide Morelli rimproverava di essere venuta meno allo spirito che presiedeva alla nomina dei vicari e prefetti apostolici, in virtù della prospettiva di ricevere sussidi dalla Corona portoghese, al punto che «più forza hanno le pensioni che tutte le relationi de’ poveri missionari, che altro cercano che il progresso delle missioni e la salvazione dell’anime ». Morelli era consapevole di quanto questa situazione fosse pericolosa per il futuro della missione cattolica in Cina: «Solo basteria una mala lingua, che facesse intendere all’imperatore le pretensioni di Portugallo nella Cina, o la copia dell’eretione de’ vescovati in Cina, con la pretensione de’ portughesi, per far cacciar tutti dalla Cina; e suscitar una persecuttione, peggiore che nel Giappone».
Il 17 agosto 1695 Morelli raggiunse finalmente il porto di Canton, ma era determinato a lasciare immediatamente la tanto sospirata missione cinese «se non haverò li mei sussidi certi, che non spero» (lettera ad Antonio da Lucca, Canton, 18 novembre 1695, in Sinica Franciscana, VI [1961], parte II, pp. 1353, 1358). Trovato asilo presso i confratelli spagnoli, apprese che Della Chiesa e gli antichi compagni di viaggio si erano stabiliti a Nanchino, dove avevano comperato una casa ed edificato una chiesa. Giovanni Francesco Nicolai da Leonessa, vicario apostolico di Nanchino, di passaggio a Canton alla volta di Roma, gli fece sapere che Della Chiesa lo voleva con sé. Morelli fu dapprima ben lieto di recarsi «a questa metropoli, sperando che venissero li necessarii sostenti» (Arch. della Congregazione di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, 7, c. 248), ma il suo entusiasmo si attenuò presto. Da quando aveva lasciato Pallu e le missioni estere francesi non aveva ricevuto alcun sostegno economico da Propaganda Fide, vivendo delle oblazioni di parenti e amici; le condizioni della vita missionaria erano troppo dure per la sua salute cagionevole; il cinese era per lui una lingua troppo complessa. Riconobbe di «haver perso il tempo» (ibid.) ed era determinato a lasciare la missione di Nanchino e a recarsi in Cocincina, dove il vicario apostolico Francisco Pérez gli prometteva assistenza. Con rammarico ne diede conto l’allora commissario della missione serafica in Cina, Pedro de la Piñuela, in una epistola al provinciale Antonio de S. Domingo, datata Macao, 8 maggio 1700 (Pastrana [Spagna], Arch. provinciae franciscalis S. Gregorii Magni, Historia de la Provincia de San Gregorio en China, 1711, vol. II, p. 2).
Meritevole di biasimo era, per Piñuela, anche l’immotivata richiesta di Pérez, che aveva insistito affinché Morelli lo seguisse in Cocincina, senza tenere conto delle persecuzioni che invece lo avrebbero obbligato a partire per il Siam.
Le peregrinazioni di Morelli non erano tuttavia concluse e proseguirono ininterrotte dal 1700 al 1706. Nel 1707 raggiunse Pondicherry, in India, dove, nella diocesi di St. Tomas de Meliapur l’anno dopo compose un’opera apologetica dal titolo Luzeiro evangelico que mostra a todos os christãos das Indias orientais o caminho unico, seguro e certo de recta fe... Obra de muita utilidade para os ministros e christãos todos, católicos e protestantes, doutos e indoutos... (Città del Messico 1710).
Nel 1708 si recò nelle Filippine, dove fu definitivamente incardinato alla provincia di S. Gregorio. Secondo lo storico Eusebio Gómez Platero (1880, p. 378), su licenza del provinciale di Manila, Morelli avrebbe fatto ritorno in Europa.
Nulla più si sa di lui, se non che morì l’8 settembre 1716 in una località sconosciuta.
Le epistole di Morelli sono conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 1605 e parzialmente pubblicate a cura di G. Mensaert, Relationes et epistolas primorum fratrum minorum Italorum in Sinis (saeculis XVII-XVIII), in Sinica Franciscana, VI (1961), parte II, pp. 1243-1368.
Fonti e Bibl.: Castelnuovo di Garfagnana, Arch. della parrocchia di S. Pietro, Liber baptizatorum, anni 1642-68, c. 78v; Roma, Arch. della S. Congregazione di Propaganda Fide, Acta prov. Reform. Rom., IV, pp. 157 s., 189, 219, 237, 268; Registro di tutti li frati chierici, c. 80; Acta congregationum particularium super rebus Sinarum, 1677-98, vol. I: 29 agosto 1679; 12 ottobre 1679 e passim; Roma, Convento di S. Francesco a Ripa, Accademia serafica nella quale si riferiscono compendiosamente le vite e morti di morti religiosi …, c. 156; Pedro de la Piñuela, Catalogus religiosorum S.P.N.S. Francisci, qui Sinarum imperium ad Iesu Christi Evangelium praedicandum ingressi sunt, ab anno 1579 usque in 1700 annum, Città del Messico 1700, p. XLII; Id., Epistola ad p. Iohannem Bapt. de Castro Novo, c. 1700, in o. Maas, Cartas de China, II, Documentos ineditos sobre misione de los siglos XVII y XVIII, Siviglia 1917, n. 14a; Pietro Antonio da Venezia, Giardino serafico istorico fecondo di fiori e frutti di virtù, Venezia 1710, I, p. 103; II, pp. 109 s.; E. Gómez Platero, Catalogo biográfico de los religiosos franciscanos, de la prov. de S. Gregorio M. de Filipinas, Manila 1880, p. 378; Martino da Civezza, La Palestina e le rimanenti missioni francescane, Roma 1890, pp. 744- 752; B. Spila, Memorie storiche della provincia riformata romana, II, Milano 1896, pp. 130-134; I. Ricci, Chronologia missionum fratrum minorum in Sinis finitimisque regnis, Firenze 1925, p. 212; A. Kleinhans, Historia studii linguae Arabicae et collegii missionum S. Petri in Urbe, Quaracchi 1930, p. 217; A. Meersman, The franciscans in the ancient burmese Kingdoms of Ava and Pegu, 1557-1818, in Archivum Franciscanum historicum, XXXI (1938), pp. 356-386; Sinica Franciscana, IV (1942), p. 334 e passim; R. Streit - I. Dindinger, Bibliotheca missionum, Münster-Aachen, V, 1964, pp. 659 s., 678, 935; J.M. Beristain y Souza, Biblioteca Hispano Americana septentrional, o catálogo y noticias de los literatos, III, Città del Messico s.a., p. 278.