BORGIA, Angela
Nacque in data imprecisata negli ultimi decenni del sec. XV da Jofré Lanzol de Romani e da Juana de Moncada. Il padre, figlio di un Lanzol e di Juana Borja, sorella del cardinal Rodrigo poi papa Alessandro VI, aveva assunto il cognome della madre, con il quale è designata sempre nelle fonti la Borgia.
Di lei ancora giovanissima si ricordò il pontefice, quando nel 1500 volle sancire con un matrimonio l'accordo raggiunto con i Della Rovere suoi acerrimi avversari. Il 25 agosto furono stipulati i patti nuziali e il 2 settembre successivo l'atto di matrimonio con Francesco Maria Della Rovere, figlio di Giovanni, prefetto di Roma e nipote del cardinal Giuliano. I rapporti tra le due famiglie si guastarono però di nuovo irrimediabilmente di lì a non molto e il matrimonio, rato ma non consumato per la giovanissima età dei contraenti, non ebbe alcun seguito. La stessa sorte ebbero gli accordi conclusi il 23 nov. 1502 per concedere la B. in sposa a Costanzo di Annibale Bentivoglio. Con essi Cesare Borgia era riuscito a staccare i Bentivoglio dalla lega della Magione, sfuggendo così al grave pericolo di soccombere nella morsa dei confederati. La morte di Alessandro VI e il conseguente tracollo della potenza borgiana tolsero però l'anno seguente ogni interesse anche a questo matrimonio. Del destino della B. avevano deciso intanto i suoi stretti rapporti di amicizia con la cugina Lucrezia che la volle con sé a Ferrara quando vi si trasferì in conseguenza del matrimonio con Alfonso d'Este.
La B. che già a Roma si era fatta notare per la splendida bellezza, per la grazia e la vivacità del temperamento non meno che per la compiuta educazione cortigiana, si guadagnò anche la lode dei letterati: oltre a Diomede Guidalotti che le aveva dedicato due sonetti, la cantò l'ignoto poeta spagnolo che fu alla corte di Ferrara nel 1502, e persino l'Ariosto la ricorderà nell'ultimo canto dell'Orlando furioso. Di Lucrezia restò per lungo tempo, con non poco disappunto dei cortigiani ferraresi, la damigella preferita: compagna prediletta negli svaghi, fu sua appassionata confidente, partecipe dei più intimi segreti della sua intensa vita galante. Sempre presente nelle intricate vicende sentimentali della cugina, nei rapporti col Bembo come in quelli con Francesco Gonzaga, la B. non si rassegnò però certamente a questo semplice ruolo di comprimaria. Alla corte estense trovò del resto spazio sufficiente per quella personale affermazione mondana cui la destinavano il fascino incontestabile e l'innegabile estro della sua personalità squisitamente femminile. L'elegante intreccio di un successo galante che aveva tutta la lievità di un amabile gioco di società rovinò però improvvisamente in una squallida vicenda romanzesca, se non proprio nella truce violenza di uno dei fattacci più ignobili della storia di casa d'Este.
Nel dicembre del 1505 la B. partorì in tutta segretezza un bambino, del quale venne nascosto accuratamente il nome del padre. Corse subito una voce che l'identificava con il fratello bastardo del duca Alfonso, don Giulio d'Este, che l'altro fratello, il cardinale Ippolito, fece bastonare ferocemente e quasi accecare dai suoi scherani nel novembre del 1505. Tanto furore avrebbero provocato i favori concessi a don Giulio dalla B., che avrebbe dileggiato per giunta pubblicamente il meno fortunato cardinale. Le testimonianze contemporanee non sembrano però così probanti e non vale ad accreditarle il gioco sterile delle induzioni e delle congetture intrecciato con impegno ancora non sopito da eruditi e letterati. Certo è solo che già ai primi di gennaio 1506 ebbe inizio alla corte estense una pratica segreta per sposare la B. ad Alessandro Pio, signore di Sassuolo. Il matrimonio, tenacemente avversato dalla madre dello sposo, Eleonora Bentivoglio, vedova di Gilberto Pio, donna energica e intrigante che mal sopportava la tutela estense sulla signoria del figlio, fu celebrato pubblicamente il 6 dicembre, dopo la cacciata dei Bentivoglio da Bologna che indusse la madre, figlia di Giovanni, a più miti consigli. La dote fu scarsa: il fratello della B., il cardinale Pier Ludovico, che dopo la morte di Alessandro VI e il tramonto delle fortune borgiane si era rifugiato a Napoli, fece sapere di trovarsi a corto di mezzi e mandò in tutto 1.000 ducati. Altri 8.000 li aggiunsero gli Estensi, ma dilazionandoli in pagamenti rateali che ancora nel 1518 non erano finiti.
Subito dopo le nozze il Pio condusse la sposa a Sassuolo, senza riuscire però a trattenercela per lungo tempo. Sempre avidissima di feste e di sollazzi la B. ritornò presto a Ferrara, dove la cugina non sapeva fare a meno della sua compagnia. Negli anni successivi si divise tra la corte della duchessa e quella noiosa e provinciale di Sassuolo, che la nascita di vari figli non le rese affatto più lieta. Nelle nuove condizioni di donzella accasata, con uno scandalo alle spalle, un marito e una vigilantissima suocera sempre alle calcagna, le riuscì difficile riguadagnare il prestigio mondano di una volta. Colse l'ultimo successo nella primavera del 1513, quando la cugina la chiamò a Ferrara per predisporre fastose accoglienze a Prospero Colonna. Ma le sue scappate ferraresi erano diventate ormai sempre più rare: finì con l'intristire a Sassuolo alle prese con l'insopportabile suocera che non le dette requie finoalla morte. Una corrispondenza con il cardinale Ippolito, iniziata sin dal 1507, ce la presenta nella veste, a lei tanto scomoda, di signora di Sassuolo, vassalla fedele degli Estensi, ai quali forniva volenterosamente informazioni politiche e assistenza di ogni sorta tutte le volte che le circostanze lo richiedevano. Nel 1510, in pieno infuriare del conflitto con Giulio II, non esitò a consegnare Sassuolo alle truppe ducali contro la volontà del marito e sfidando le ire della suocera. Nell'intrico di vicende politiche e militari che in quegli anni turbinosi la costrinse più volte ad abbandonare Sassuolo precipitosamente, la B. si mostrò animata da un solo fermo proposito: conservare inalterati i suoi legami con la corte estense ai quali era disposta a sacrificare anche gli interessi del piccolo Stato del marito. Per questo motivo il Pio, morendo nel 1517, lasciò la reggenza e la tutela del primogenito Giberto alla madre e non a lei, che non tentò nemmeno di contestare alla suocera i suoi poteri di governo.
Morì a Sassuolo il 4 maggio 1521 e non mancò di circolare una voce che ne attribuiva la morte al veleno della suocera. Alla sua esile vicenda biografica dedicò una fortunata novella Conrad Ferdinand Meyer.
Fonti e Bibl.: N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, I, Milano 1964, pp. 403, 546; F. Gregorovius, L. Borgia, Stuttgart 1874, passim;N. Cionini, A. B. o una pagina di storia sassolese del sec. XVI, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi, s. 5, VI (1910), pp. 49-98; A. Luzio, Isabella d'Este nelle tragedie della sua casa (1505-1506), in Atti e mem. della R. Acc. virgiliana di Mantova, n.s., V (1913), pp. 58, 80-84, 120 s.; M. Bellonci, L. Borgia, Milano 1952, ad Indicem; R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d'Este e altri scritti ariosteschi, Verona 1958, pp. 392 ss.