ANFITRIONE (᾿Αμϕιτρύων, Amphitrúo, Amphitrão)
Figlio di Alfeo, re di Tirinto e Ipponoma, marito di Alcmena. Quando A. doveva tornare dalla spedizione dei Tafî, Zeus prese il suo aspetto ed andò da Alcmena la stessa notte o la notte prima del suo ritorno. Secondo i tragici, A. credette la moglie infedele e la portò fin sul rogo. In seguito nacquero due gemelli, Eracle ed Ificle. Secondo alcuni mitografi A. (o Hera) mandò i serpenti nella culla dei gemelli, per sapere quale dei due fosse suo figlio. A. morì combattendo contro i Minî; secondo un'altra versione, A. fu minacciato da Eracle e poi salvato da Atena. A Tebe Pausania (ix, 11, 1) vide i ruderi della casa di Anfitrione. L'arte figurata non ha rappresentato frequentemente A.; Christodoros (Anth. Pal., 11, 367 s.) ci tramanda l'esistenza di una statua di A. come vincitore dei Tafi e Plinio (Nat. hist., xxxv, 63) descrive un dipinto di Zeusi che raffigurava A. come spettatore nella scena del piccolo Eracle che strozza i serpenti. Questo stesso episodio appare su uno stàmnos della scuola del Pittore di Berlino. In un vaso pestano del pittore Python, A. è raffigurato, mentre con due fiaccole accende il rogo, su cui è la moglie Alcmena che invoca l'aiuto di Zeus. La stessa scena appare, con una versione leggermente diversa, su un'anfora campana. Incerta l'identificazione di A. nel personaggio maschile che spesso è presente sui vasi, su urne etrusche e pitture romane, rappresentanti le fatiche di Eracle.
Bibl: H. W. Stoll, in Roscher, I, cc. 321-324, s. v. Amphitryon: J. Escher, in Pauly-Wissowa, I, cc. 1967-969, s. v. Amphitryon; J. C. Hoppin, Red-fig., I, p. 72, n. 82; C. V. A., British Museum, fasc. 2, tv. 1, 2 a e 2 b; Brunn-Körte, I rilievi delle urne etrusche, I-III, Roma-Berlino 1870-1916; W. Helbig, Kampanische Wandgemälde, Lipsia 1908, n. 1123 e p. 458; A. D. Trendall, Pestan Pottery, Londra 1936, p. 56, tav. XV; C. V. A., British Museum, fasc. 2, tav. 6, 7 a; F. Brommer, Herakles, Münster-Colonia 1953, p. 1.