(gr. ᾿Αμϕιάραος) Antica divinità greca di carattere ctonio e profetico, probabilmente già venerata dai Micenei nel 13° sec. a.C. (Apijarewo), poi, a quanto pare, declassata a eroe. Il culto era particolarmente diffuso in Beozia e nel Peloponneso e dal 4-3° sec. a.C. anche nell’Attica, a Ramnunte.
Per il mito, A., figlio di Oicle e di Ipermestra, fu re di Argo e protetto da Apollo, da cui ricevette la virtù profetica. Prevedendo l’esito infausto della guerra dei Sette contro Tebe, non voleva parteciparvi; ma fu obbligato a partire dalla moglie Erifile; nella fuga dell’esercito sconfitto, precipitò con il carro in una voragine aperta dal fulmine di Zeus. I suoi figli Alcmeone e Anfiloco vendicarono la sua morte uccidendo la madre. Trattarono il mito d’A. Eschilo ed Euripide, ma anche i comici e gli autori di Tebaidi greche e latine, da Antimaco di Colofone a Stazio.
Ad A. era dedicato l’ Anfiareo, celebre santuario eretto nei primi del 4° sec. presso Oropo, nel luogo in cui l’eroe sarebbe scomparso, risorgendo come dio presso una fonte. Il dio appariva in sogno a sanare malati, che, dopo un’astinenza di tre giorni dal vino e un giorno di digiuno, si ponevano a dormire sulla pelle d’un ariete sacrificato. Intorno alla metà del 4° sec. presso il santuario si celebravano ogni quattro anni le Anfiaree.