ANELLO
L'a. (greco δακτύλιος latino anulus e più specificamente: σϕενδόνη e funda per indicare la forma del castone che serra la pietra) quale oggetto di ornamento appare per la prima volta nell'Età del Bronzo nella rudimentale forma di cerchio metallico avvolto a spirale.
Successivamente l'a. venne usato sia per imprimere un sigillo (v.) sulla creta, cera o altro materiale duttile, sia come oggetto di ornamento.
Una serie di a. egiziani, databili intorno alla XII dinastia, ci fornisce la più antica documentazione su tale tipo di a.-sigillo (greco: ὀνύχιον) latino: ungulus) formato da uno scarabeo che è incastonato in un cerchio metallico e girevole intorno ad un perno in modo da presentare verso l'alto ora il lato figurato, ora la retrostante superficie piana su cui talvolta venivano incise iscrizioni. Con ogni probabilità tali a. derivano dai sigilli babilonesi, che più tardi furono tramandati ai Greci d'Asia e quindi passarono in Europa.
Verso la XVII dinastia venne di moda l'a. a castone metallico, decorato con incisione, che ha indubbiamente influito, a sua volta, sugli a. d'oro del periodo cretese-miceneo che, per la finezza di esecuzione del disegno inciso, costituiscono una delle più originali e significative produzioni della oreficeria del periodo. Questi massicci a. d'oro, la cui produzione ha inizio verso la fine del Medio Minoico, col fiorire dello stile naturalistico, e si estende fino al XII sec. a. C., hanno un castone ellittico, su cui, con fine arte miniaturistica, sono incise scene di battaglia, di caccia, di danza, di riti religiosi.
Anche se non si può negare la funzione decorativa di questi a., portati generalmente dagli offerenti nelle cerimonie sacre, è probabile che nel mondo cretese-miceneo fosse noto l'a. sigillo: infatti da scavi recenti è venuta in luce ad Haghia Triada, Cnosso, Zakro, Sklavokampos, una serie di cretule, sicuramente impronte di a. per la finezza dell'incisione, in cui predomina la figurazione di animali.
È probabile che il luogo di produzione di questi a. inizialmente sia stato Creta. Dal XVI sec. in poi essi dovettero essere esportati sul continente greco ed essere imitati in gran copia da artisti micenei, che hanno creato dei veri capolavori d'intaglio e di rappresentazione. Verso il XIV-XII sec., con il diffondersi della civiltà micenea nel bacino del Mediterraneo, si nota negli a. un inipoverimento nello stile ed una disorganizzazione nella composizione, anche se vi sono ripetuti i temi del periodo precedente. Gruppo a parte costituiscono gli a. di Cipro (XIII-XII sec.), a cerchio piatto o convesso o attorto con castone ovale o rotondo, che, per lo stile ed il soggetto, ben possono inquadrarsi nella migliore tradizione micenea. Maggiore durata ha l'a. con pietra incisa, che permane fino al 1000 circa, anche se lo stile mostra una grande decadenza e la decorazione si limita solo a rappresentazioni di animali.
Nel periodo orientalizzante si ha, in genere, un ritorno all'a. con castone inciso di cui la più ricca documentazione ci viene fornita dall'Etruria, particolarmente famosa per l'oreficeria del periodo. Questo tipo di a. denota una diretta discendenza dall'arte egiziana, sia nella forma del castone ellittico, allungato, con i lati lunghi paralleli e le estremità arrotondate, che ricorda il cartouche egizio, sia nella disposizione a zone della parte figurata che riporta i tipici animali di repertorio orientalizzante (sfingi, chimere, pègasi, grifi).
Nel mondo greco del periodo classico, l'a. fu molto diffuso sia come ornamento sia come sigillo. I più antichi a. greci erano senza pietra incastonata (ἄπειροι, ἄψηϕοι, ἄλιϑοι) e completamente in metallo. Ma ben presto tale uso in Atene rimase solo ai cittadini più poveri, poichè si diffuse la moda della gemma da sigillo con montatura mobile, la quale produsse a. di straordinario valore sia per la grandezza della gemma, sia per il pregio artistico dell'incisione. Di ciò fa testo, per altro ambiente, Erodoto, narrando del tiranno di Samo Policrate, il quale amava particolarmente uno smeraldo d'inusitata grandezza.
Di proporzioni più modeste dei precedenti, l'a. del periodo classico presenta un cerchio più o meno stretto che si allarga e si rigonfia per incastonare la pietra o la lama di metallo, ora piana, ora sporgente, che stringe la pietra - onice, cornalina, diaspro, ametista - spesso mobile intorno ad un perno in modo di presentare, a guisa dello scarabeo, e la faccia con soggetto inciso nell'incavo e quella in rilievo.
Per quanto non si possa stabilire con certezza la destinazione a sigillo di queste gemme, che presentano una rozza incisione scarsamente rilevata, l'uso dell'a.-sigillo era talmente inveterato già nel VI sec. da costringere Solone a promulgare leggi che, proibendone la contraffazione, ne tutelassero l'uso.
Molto diffuso nel mondo classico è anche l'a. a castone aureo che, pur ispirandosi ai tipi ionici del periodo orientalizzante, se ne distacca per la forma del castone che verso la fine del VI sec. a. C. si presenta rastremato alle estremità a guisa di occhio. Pur riallacciandosi a quei tipi sub-micenei, geometrici ed orientalizzanti di cui si trovano pregevoli esempi nelle necropoli sicule di Pantalica e Caltagirone, questi a. a castone oculare, cui si attribuiva forse un carattere di amuleto, si distinguono particolarmente per la rappresentazione. Infatti, mentre negli esemplari più antichi sono prevalenti le rappresentazioni geometrizzanti, nel corso del V sec. a. C. la figura umana diventa un elemento ricorrente di rappresentazione. Le figurazioni comprendono divinità, eroi, atleti e predominante è la figura femminile seduta o stante, nuda o con himàtion, rappresentante Nike o Afrodite. Fra le rappresentazioni maschili, le più comuni sono quelle di Erade e di Eros alato. La decorazione semplice di questi a., talvolta arricchiti da ornamenti in filigrana, rivela l'influsso della pittura e della scultura contemporanee.
Se scarsa è la documentazione per tutto il periodo classico su suolo greco, di cui rimane soltanto il ricordo nelle fonti letterarie ed epigrafiche, maggiore è quella della Magna Grecia, della Campania e dell'Etruria.
Grande fu la passione degli Etruschi per gli a., tanto da riprodurne in gran copia alle dita dei defunti, sia uomini che donne, distesi sui sarcofagi. Pur essendovi molto diffuso lo scarabeo egizio, particolarmente prediletto, in Etruria ebbe molto sviluppo, per tutta l'età classica, l'a. a castone aureo, già conosciuto nel precedente periodo orientalizzante. Con l'influsso ionico, perdurante per tutto il VI e V sec., mantenendosi inalterata la forma del castone, scompare la divisione a zone, dando luogo alla rappresentazione di scene e ad immagini, che, pur valendosi dei medesimi elementi decorativi del precedente periodo, risultano finite e complete nella loro composizione, quasi sempre realizzata con scene figurate di stile ionico. Esiste in questi esemplari una omogeneità formale per cui, anche in relazione ai ritrovamenti effettuati nella zona di Vulci, si può pensare ad una produzione ivi localizzata. È interessante notare che, nonostante una gran parte di essi appaia incisa con disegno minuto, altri invece sono lavorati in rilievo.
Nell'ellenismo l'a., pur rimanendo fedele ai tipi del periodo classico, presenta innovazioni sia nel cerchio, non più liscio ma finemente decorato, sia nel castone, che s'ingrandisce assumendo una forma circolare. A differenza degli a. aurei greci ed italioti della fase precedente, qui la decorazione, limitata al centro in figurine di animali e di divinità, ha una funzione secondaria, poiché l'effetto decorativo è dato dal colore dell'oro del castone rotondo. In alcuni gruppi di a. aurei, a castone inciso o in rilievo, si denota una certa omogeneità per cui si è pensato che debbano risalire alle stesse officine artistiche già attive nel corso del IV sec. e che, tenendo presenti anche i luoghi di maggiore rinvenimento, si possono localizzare, per quanto riguarda l'Italia, a Taranto ed a Capua.
Peraltro in questo periodo furono anche diffusi l'a. con gemma incastonata e lo scarabeo.
Nella vita romana l'a., derivato dalla cultura ellenica, viene ad acquistare rilievo particolare in quanto assume, oltre alla semplice funzione di ornamento e di sigillo, un vero e proprio carattere di autorità pubblica, divenendo il simbolo della carica e della funzione militare rappresentata dal suo possessore (v. anche anularius).
L'uso dell'a., generalizzato ad ogni categoria della società romana, si impose malgrado le varie e severe leggi che cercavano di frenare gli abusi del lusso a cui si abbandonò il popolo dopo le guerre puniche. Infatti, mentre l'a. aureo (anulus aureus) era riservato, in teoria, solo alle alte cariche militari e dello Stato, una vera e propria passione per le gemme incise fece sì che, in breve tempo, si sviluppasse una produzione che risentiva della precedente tradizione etrusca ed ellenistica.
Il gusto per le pietre preziose rende particolarmente diffuso il tipo di a. a castone, con gemma incassata liscia o incisa, delle più varie forme.
Le incisioni sono per lo più riproduzioni di famosi gruppi pittorici o scultorei classici, oppure, quando l'a. assume il carattere di amuleto, personificazioni di divinità e dei loro simboli: così dai riti di Serapide e di Iside, particolarmente diffusi in Italia nel I sec. a. C., derivano gli a. serpentiformi di ispirazione egizia.
Profondamente si differenzia da questi tipi l'a. curule, che era di proprietà dello Stato e veniva concesso ai cittadini esclusivamente durante l'esercizio delle proprie mansioni di legati o di autorità pubblica. Questo tipo d'a. doveva essere deposto in caso di gravi sciagure della nazione, come avvenne a seguito della disfatta delle Forche Caudine, od anche in segno di biasimo circa la persona insignita del privilegio. Non è sicuro se il privilegio dell'a. aureo fosse esteso alla classe senatoriale, ma è certo il riconoscimento di esso agli equites equo publico, che facevano parte delle centurie più vicine alla nobiltà distintasi nella battaglia di Cuma.
È questo il primo segno di quella che sarà in seguito norma comune del periodo imperiale e cioè il carattere di ricompensa militare, assunto dal diritto militare, di portare l'anello. Infatti nella seconda metà del II sec. d. C. questo privilegio fu trasmesso ai tribuni militari ed agli equites equo privato, generalizzandosi così la sua concessione al ceto militare ed a coloro che si distinguevano sul campo di battaglia.
Un carattere dell'a., secondo un'usanza greca del V sec. a. C., fu anche di a.-chiave, suscitando peraltro le medesime severe leggi che, a suo tempo, ebbe in Grecia.
Fu segno distintivo delle altissime personalità dello Stato usare l'a. a guisa di sigillo; esso fu di tipo aureo, con castone circolare o ellittico o rettangolare, al centro del quale era o un ritratto o l'immagine della divinità. Si sa per certo che l'emblema del sigillo di Cesare fu una Venere armata, quello di Pompeo il ritratto di lui, mentre Augusto adoperò in un primo tempo una sfinge, poi il busto di Alessandro, quindi un suo ritratto inciso da Dioskourides.
Durante il periodo imperiale, a seguito delle elargizioni sovrane, fu esteso l'uso dell'a. alle più svariate categorie sociali. Oltre che ai medici e alle prime gerarchie militari, sotto Claudio si concesse infatti il diritto di portarlo anche ai liberti ed al personale che fosse comunque in contatto con l'imperatore. Il suo impiego giunse a tal punto di esagerazione da creare a. multipli che potevano essere infilati simultaneamente.
Non mancano i tradizionali a. con immagini di divinità di gusto alessandrino e non fu del tutto dimenticato l'a. serpentiforme con le tradizionali figurazioni di divinità e simboli egizî. Anche nel tipo più tradizionale si nota una evoluzione nel castone il quale, allargandosi ed ingrossandosi ai lati, viene accentuato sulle spallette oblique, le quali possono essere arricchite di baccellature, volute, filigrane o piccole incastonature periferiche. Viene introdotta anche l'usanza di incastonare uno o due aurei, che non sempre erano contemporanei agli imperatori in carica, ma spesso più antichi, secondo la moda dei gioielli monetiformi particolarmente diffusa nell'Impero.
La comparsa, soprattutto nel III e nel IV sec. d. C., di massicci a. d'oro con aurei imperiali fa pensare che questi fossero destinati a vere e proprie decorazioni militari. Tutti i tipi di a. considerati durante il periodo imperiale rispecchiano la mentalità romana portata alla ostentata predilezione per una vistosa decorazione unitamente alla mancanza di una fantasia creatrice.
Bibl: A. Furtwängler, Gemmen; H. Marshall, Catalogue of the Finger Rings, Greek Etruscan and Roman in the Department of Antiquities, British Museum, Londra 1907; E. Saglio, in Dict. Ant., I, pp. 293-299, s. v.; H. Marshall e R. Ganschinietz, in Pauly-Wissowa, I, cc. 807-841, s. v. Ringe; L. Breglia, Le oreficerie del Museo di Taranto, in Iapigia, X, 1930, pp. 5-543; id., Le oreficerie del Museo Nazionale di Napoli, Roma 1941; G. Becatti, Oreficerie antiche dalle minoiche alle barbariche, Roma 1955; R. Siviero, Gli ori e le ambre del Museo Naz. di Napoli, Firenze 1954; P. Amandry, Collection H. Stathatos, Bijoux antiques, Strasburgo 1953.
(R. Pulinas)
Il grande lusso degli a. è ricordato anche da scrittori cristiani: Imprimebatur autem scuiptura in ipsa materia anuli, sive ex ferreo sive ex aureo foret. Postea usus luxuriantis aetatis signaturas preciosis gemmis coepit insculpere et certatim haec omnis imitatio lacessivit, ut de augmento precii, quae sculpendos lapides parassent, gloriarentur (Mac rob., Saturn., lviii, c. xiii). Questa moda provoca le ammonizioni di Clemente di Alessandria e di Tertulliano: quest'ultimo nel De cultu foeminarum, scritto fra il 200 ed il 206, critica le donne che portano "sacchi d'oro" a ogni dito.
Con il sopravvento del Cristianesimo, mutano simboli impressi nel castone; sulla sostituzione dei nuovi simboli alle antiche raffigurazioni profane esercitò una grande influenza Clemente d'Alessandria che nel Paedagogium (iii, 9) dice: "le immagini che facciamo imprimere e che ci servono da sigillo devono essere di preferenza una colomba, un pesce, un vascello dalle vele spiegate e rapide; possiamo anche rappresentare una lyra come Policrate o un ancora come Seleuco; infine un pescatore sulla riva del mare la cui vista ci potrà ricordare S. Pietro. Ma guardiamoci bene dall'infilare al dito un a. con l'immagine degli idoli, il cui solo pensiero è un crimine. Niente spade, niente archi, niente frecce per coloro che amano la pace, niente vasi che rammentano festini, per gli adepti della temperanza". Tuttavia i cristiani non trascurarono di adornarsi con a. con raffigurazioni mitologiche: in un loculo delle catacombe di S. Agnese è stata trovata una pietra di cristallo opalino rappresentante una baccante seduta su un leone. Nelle catacombe di Domitilla sono state trovate figurine in oro rappresentanti Mercurio ed altri dei. Continua infatti Clemente: "Se i fedeli adottano il segno della Croce o la rappresenta zione di uno dei misteri del Cristianesimo rischiano di tradirsi. Se al contrario i loro a. portano le immagini idolatre o soggetti profani e voluttuosi, essi sono in pericolo di offendere Dio". Il trionfo del Cristianesimo accelera però l'adozione di nuovi tipi: tra i nuovi soggetti impressi nel metallo abbiamo la figurazione di S. Pietro ed il gallo che canta, l'ancora come simbolo di salvezza, il pesce; su un a. raccolto in Sicilia, la palma e l'ancora; su un a. da Tusculum, il Buon Pastore; Vittorie e monogramma di Cristo, la croce tra le lettere Α ed Ω; a volte accanto a figurazioni pagane sono state trovate figurazioni cristiane: può trattarsi forse di a. rilavorati o anche di manifestazioni di sincretismo pagano-cristiano altrove riscontrate: su uno di questi a., accanto ad una testa di Apollo è la Vergine con il Bambino; in un altro a. abbiamo un Cupido affiancato da due colombe e sormontato dalla croce. Oltre a questi schemi, abbiamo pure figurazioni che si riferiscono agli avvenimenti dei primi secoli del Cristianesimo: in a. trovati nell'Africa settentrionale sono raffigurati simboli riferentisi alla lotta tra cattolici e donatisti.
Tra gli a. più importanti è quello episcopale, che si rimetteva al vescovo al momento della consacrazione, secondo un uso passato forse al Cristianesimo dall'usanza romana del Flamen Dialis, che come sacerdote di Giove, aveva il diritto di portare l'a. d'oro.
Tra i più celebri a. di fidanzamento dell'alto Medioevo è quello che Clodoveo inviò a Clotilde nel 493, descrittoci da Fridegario (Hist. Francorum epitomata, c. xviii).
Bibl: G. B. De Rossi, Bull. Archeologia Cristiana, 1867, p. 84; 1870, p. 62, tav. IV, nn. 1-5; 1872, tav. VII, n. 2; 1875, p. 174; 1880, p. 76; 1881, p. 113; Cabrol-Leclercq, Dict. Arch. Chrét., II, i, p. 2174 ss., s. v. Anneaux.
(L. Rocchetti)