Munk, Andrzej
Regista cinematografico polacco, di origine ebraica, nato a Cracovia il 16 ottobre 1921 e morto a Lowicz il 20 settembre 1961. Tra gli iniziatori della cosiddetta scuola polacca degli anni Cinquanta (v. Polonia), dopo il disgelo chruščëviano superò il realismo d'imposizione (a partire da Człowiek na torze, 1956, Un uomo sui binari), mostrando maestria di linguaggio nel rileggere la storia sia in chiave drammatica sia in versione umoristico-grottesca. Per Pasażerka (La passeggera), uscito postumo nel 1963, gli venne attribuito nel 1964 a Cannes il Premio Fipresci della critica, che contribuì a far conoscere la sua opera a livello internazionale.
Studiò giurisprudenza e architettura e partecipò, all'età di ventitré anni, all'insurrezione di Varsavia. Dopo la guerra si occupò di fotografia e quindi si iscrisse, nel 1948, alla Scuola di cinematografia di Łódź, diplomandosi (come cameraman e regista) nel 1952. Esordì nel documentario realizzando diversi cortometraggi tra i quali Pamiętniki chłopów (1952, Memorie di contadini) e Niedzielny poranek (1955, Una domenica mattina), che già evidenziano un'accurata ricerca nel montaggio. Approdò alla fiction con Gwiazdy musza płonąć (1954, Le stelle devono brillare, coregia di Witold Lesiewicz), una storia di minatori ancora permeata dello stile social-realista. Ma fu soprattutto grazie a Człowiek na torze che M. si emancipò dal realismo a tesi per piegare il racconto verso un 'verismo' autentico, dove l'impegno politico è sostituito dall'agire etico. Sul piano estetico la diegesi di Człowiek na torze è innovativa: la vita del protagonista, il macchinista suicida Orzechowski, è ricostruita in flashback, introdotti dalla voce off, attraverso i tre punti di vista dei suoi colleghi; la regia, che ricorre a lunghi carrelli e a meditate panoramiche, mostra come il giovane M. avesse studiato attentamente il cinema di Josef von Sternberg ed Ernst Lubitsch. Ma sono rintracciabili anche influenze da Jean Renoir, Roberto Rossellini e dal ceco Otakar Vávra.Con Eroica (1957) M. rilegge la Seconda guerra mondiale in modo dissacrante (in antitesi polemica con Kanał, 1957, I dannati di Varsavia, di Andrzej Wajda), introducendo l'antieroe e demitizzando le certezze ideologiche (in questo caso lo stalinismo). Così, nel primo episodio, il protagonista, un piccolo borghese di Varsavia, pur rifiutando inizialmente di unirsi ai partigiani che ritiene dei dilettanti, decide alla fine di andare a combattere, aiutando i sovietici. Celebri la sua comica fuga da ubriaco, durante un'improvvisa battaglia, e il suo arrendersi davanti a un carro armato tedesco, piagnucolando e alzando la bottiglia, irrisioni impietose dell'eroe positivo staliniano. Nel secondo episodio due ufficiali polacchi in campo di prigionia nascondono un collega malato in soffitta, facendo credere che sia felicemente evaso e alimentando così un mito 'necessario'. Ancora in chiave umoristica è risolto Zezowate szczęście (1960, La fortuna strabica), da un romanzo di S. Sawinski, storia della vita di un uomo che attraversa parte del Novecento (dagli anni Venti allo stalinismo) annullando i suoi sogni e i suoi amori perché vigliacco e opportunista, legato da giovane alla destra, ma poi esecutore passivo del potere durante lo stalinismo; ricco di rimandi cinematografici, caratterizzato da un montaggio frammentato e rapido e da un sonoro 'accelerato', il film distrugge definitivamente il culto dell'eroe positivo nel cinema polacco, inaugurando il nuovo cinema europeo degli anni Sessanta.
Con Pasażerka, tratto dall'omonimo romanzo di Z. Posmysz-Piasecka, M. tornò al genere drammatico. L'interruzione delle riprese, causata dalla sua morte improvvisa, costrinse Lesiewicz a montare un film che risultò composto da scene girate alternate a foto di scena; ma proprio questa soluzione forzata, guidata da un commento fuori campo (scritto da Wiktor Woroszylski), dà all'opera un'inaspettata forma d'avanguardia, conferendole una perfetta unità stilistica (Raffaelli 1967). Il tema della colpa, dell'aiuto e della simpatia che si stabilisce tra una kapò tedesca e un'internata ebrea polacca è il motivo intorno a cui ruota uno dei film concentrazionari più compatti e riusciti del cinema mondiale. Ancora una volta nell'opera di M. la forza del racconto si fonda su tematiche costanti: il fluire del tempo, l'oscillazione tra certezza e fallibilità, il sottile discrimine tra aguzzino e vittima e la relativizzazione del punto di vista, autentica innovazione novecentesca: per la prima volta, infatti, compariva una kapò 'buona' nel cinema moralmente manicheo dell'Europa dell'Est. D'altra parte una regia razionale (probabile l'influenza di Toute la mémoire du monde, 1956, oltre che di Nuit et brouillard, 1955, di Alain Resnais) sottolinea, dal punto di vista estetico, per contrasto, la certezza logica che la Storia è un inevitabile 'montaggio di Bene e Male'.
Andrei Munk, in "Études cinématographiques", 1965, 65; S. Raffaelli, La passeggera, in "Cineforum", 1967, 62, pp. 133-47; J. Fuksiewicz, Le cinéma polonais, Paris 1989, passim.