Andromaca
Figlia di Eezione, re di Tebe Ipoplacia, e sposa di Ettore, al quale diede un figlio, Astianatte. Morto Ettore e distrutta Troia, uccisole il figlioletto dai vincitori (i quali lo gettarono giù da un'alta torre), A. seguì la sorte delle troiane rese schiave,
e fu assegnata a Pirro, figlio di Achille, che la portò con sé in Epiro avendone tre figli. Fu poi da Pirro, invaghitosi di Ermione, fatta sposare a Eleno, figlio di Priamo, che alla morte di Pirro ottenne parte del regno.
D. ebbe modo di conoscere questa, che è una delle più patetiche figure femminili dell'Iliade, soprattutto attraverso l'Eneide: nel racconto a Didone, Enea, dopo aver ricordato come nei giorni felici di Troia A. solesse portare Astianatte ai nonni (Aen. II 456-457), dice di averla incontrata in Epiro durante la sua peregrinazione mediterranea (III 294-491): accanto a Eleno A. aveva ritrovato la pace, ma non l'oblio della tragedia sofferta, ricordando ancora dolorosamente il marito e il figlioletto perduti. E singolare come questa commovente figura di donna, più volte riproposta dai poeti latini (anche nell'Ars amatoria, passim), non abbia suscitato particolare interesse nella fantasia di D., che la nomina una sola volta (Mn II III 14), e strumentalmente, per attestare che Creusa fu moglie di Enea. D. cita alcune delle parole attribuitele in Aen. III 339-340;si noti che la lezione da lui citata riporta il verso e mezzo di Virgilio con un complemento spurio di ampia diffusione nei manoscritti medievali: quem tibi iam Troya peperit fumante Creusa (cfr. ed. Ricci della Monarchia).