ANDRIA (A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Bari, il più grosso comune rurale dell'Italia Meridionale. La sua popolazione infatti, era nel 1921 di 58.895 ab., nella quasi totalità (95%) raccolta nel centro abitato; e l'estensione del territorio comunale è di 39.329 ettari (per area, al 22° posto nel Regno, al 3° nella Terra di Bari). L'aumento della sua popolazione, abbastanza considerevole nel ventennio 1881-1901 (da 37.182 a 49.569), si affievolì nel ventennio successivo per effetto della forte emigrazione. La città sorge, a 151 m. d'altezza, sulle più basse falde delle colline delle Murge, in una delle tante oasi di terreni più teneri, che coprono la massa compatta dei calcari pugliesi e che individuano molte delle località abitate della regione. E, fino a qualche decennio fa, il centro poteva considerarsi collocato lungo una linea di confine, tra una fascia a lieve pendio verso la costa adriatica, fittamente coltivata a vigneti e a uliveti, e la zona propriamente murgiana data prevalentemente a seminativi e a pascoli. Oggi, invece, vastissime aree della zona murgiana sono state conquistate all'agricoltura intensiva, e la vite e l'ulivo e il mandorlo si sono diffusi largamente anche sui pendii delle Murge, fino ad altitudini superiori ai 450 metri. E in queste produzioni - che sono proprie della maggior parte della Puglia - Andria figura ormai ai primi posti nella Terra di Bari. Ma nel territorio continuano ad essere pure molto largamente rappresentati il seminativo e il pascolo (quest'ultimo, da solo, per circa un terzo dell'area totale), e vi è pure, nei fianchi del gradino più alto delle Murge, notevolmente rappresentato ancora il bosco. Né mancano oggi in Andria le industrie, specialmente quelle che sono legate all'agricoltura: l'industria armentizia, gli stabilimenti vinicoli, gli oleifici e i mulini. La città è attraversata dalla tranvia Bari-Barletta. Nei dintorni del centro, in mezzo ai calcari, s'incontrano fenomeni carsici di notevole importanza: il maggiore è costituito da una grande dolina, che si sprofonda a 2 km. di distanza, verso O., e che è conosciuta col nome di "gurgo di Andria"; ha un diametro di oltre 200 m. e una profondità massima di 28 metri.
Arte. - Andria non è fra le città artisticamente più importanti della Puglia. Le opere d'arte sue più antiche sono: la laura di S. Croce, generalmente ritenuta del sec. IX, con pitture però più tarde (fine del sec. XIV); il Duomo, la cui cripta è del sec. X, e probabilmente del XII i pochi elementi romanici che ancora conserva; e il campanile del Duomo, del 1118 nella parte inferiore, del secolo XIV nella superiore. Del periodo gotico, in cui dobbiam credere sia stata notev0lmente maggiore l'attività edilizia, ci rimangono un tratto di navata a vòlte a costoloni in S. Maria Vetere e parte di chiostro in S. Domenico, il portale a decorazione ricca, trita e bassa in S. Agostino, e gli altri due portali simili in S. Francesco. Nell'area del Castello fu costruito il Palazzo Ducale, in forme del tardo Rinascimento. Del sec. XVI sono: il portale di S. Domenico (1510), il chiostro di S. Maria Vetere (1561) ed i primi inizi di S. Maria dei Miracoli, pel cui proseguimento fu poi chiamato, come è notizia, Cosimo Fanzaga (1617). Come altre città del Barese, ha numerose case in istile rinascimento, a facciata rustica, per lo più, con portali e balconi decorati, assai spesso però con particolari che tradiscono già l'età barocca: ricordiamo casa Ruggiero Federico in via Cipriani, casa Lisi, casa Margiotta in via Calderisi, palazzo di Bari in via Tupputi (1587), casa Toma in via Corrado di Svevia. Modesta fu l'edilizia nel sec. XIX, quando se ne escluda il palazzo Ceci in piazza Vittorio Emanuele, su disegno di L. Oberti. In questi ultimi anni il paese si è ampliato con costruzioni modeste e razionali; poveramente abitata e mal tenuta è ancora la parte antica. D'oggetti d'arte notevoli, solo alcuni resti di tombe, forse delle mogli di Federico II, in Duomo; tre tavolette di scuola di Antonio Vivarini (1467), nel convento di S. Maria Vetere; un busto di Francesco II del Balzo, attribuito a Francesco Laurana, in S. Domenico.
Storia. - Alcuni scrittori vollero vedervi la Νήτιον di Strabone, altri ancora assai fantasticarono sopra le sue origini. Greca di nome, fu certo nucleo importante, fra le antiche diocesi di Molfetta, Acerenza, Venosa, per l'espansione politico-religiosa dei Bizantini, come attestano le numerose laure basiliane nella contrada "Lagnoni". L'Ughelli parla di vescovi andriesi già nel sec. V. Ma una diocesi di Andria non è nominata, né nella bolla del 1075, con cui Giovanni IX sottometteva a Canosa tutti i vescovi della regione, né in quella del 1089, di Urbano II, per la quale Elia, arcivescovo di Bari, ebbe autorità su tutta la terra omonima. Solo al principio del secolo XII papa Gelasio II ne investe il primo vescovo. Quanto alla città, noi sappiamo d'una prima immigrazione di comunità religiose orientali in quelle contrade; poi, sul declinare della dominazione longobarda, anche di comunità benedettine, dipendenti in gran parte da S. Sofia di Benevento, da Montecassino e da Cava, le quali si sostituirono alle antiche "gravine". La vera storia del paese comincia, dunque, coí Normanni, con quel Pietro I, conte di Trani, il quale, tra le vecchie mura - probabilmente erano più a nord - ampliò e fortificò il modesto locum Andre, che fin dal sec. IX era compreso nel territorio di Trani. Venuto a conflitto col Guiscardo, vi sostenne un primo assedio nel 1057, e ancora un altro nel 1073, con cui terminò la rivolta pugliese. Ma i successivi conti andriesi non ristettero dalle turbolenze contro il sovrano, nel tempo stesso che furono avversi ai Bizantini. Andria appare poi devota ad Enrico di Svevia; e Federico II non cessa di considerarla come un'altra roccaforte della sua politica. Anche lì, Schiavoni ed Ebrei egli raccolse attorno al nuovo castello ottagonale; lì nacque Corrado; lì trovarono sepoltura le sue mogli, Iolanda ed Isabella. A Federico il paese rimase più di tutti fedele, anche quando l'anatema papale lo minacciava a morte, onde il noto saluto, rimasto tradizionale in Andria:
Rex felix, Federice, veni, dux noster amatus,
Est tuus adventus nobis super omnia gratus etc.
Eccezionalmente favorita nelle esenzioni fiscali, centro di vita agricola, Adria fu per molto tempo centro del commercio interno della regione, attraverso i mercati e le fiere ordinate dagli abati e dal vescovo. Caduta nel dominio angioino, divenuta sede dei cavalieri teutonici che richiamavan colà i peregrini del Nord, la città fu successivamente infeudata a Raimondo Berengario, a Carlo Martello, ad Azzo d'Este, a Bertrando del Balzo. In seguito aprì le porte agli Ungheresi, finché, tra il 1376-1377, appartenne ad Ottone di Brunswick, e, dopo di lui, agli Orsini, agli Acquaviva, a Consalvo di Cordova, il quale la vendette a Fabrizio Carafa, da cui discese quell'Ettore Carafa (1763-99), che durante la repubblica napoletana fu a capo di una legione, inviata col gen. Broussier, per sottomettere le città ancora devote ai Borboni. Andria soffrì gravi danni, per non essersì arresa subito; e, tornati i Borboni, il Carafa fu condannato al patibolo. Patria dell'anatomico Troya, di Domenico Gentile, del Liso, dell'Attumonelli, possiede qualche monumento medievale.
Bibl.: G. A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli, I. III (edizione Gravier) e Atti relativi alla erezione delle sei parrocchie in Andria (1858); R. d'Urso, Storia della città di Andria, Napoli 1842; Merra, La Ch. di S. Francesco in Andria, in Rass. pugl., XI, p. 359, e Il convento di S. M. Vetere in Andria, ibidem, XIII, p. i, e La Ch. e il convento di S. Domenico in Andria, ibidem, XIV, p. 300; Merra, Monografie andriesi, Bologna 1900, voll. 2; A. Haseloff, Die Kaiserinnengräber in Andria, Roma 1906; id., Le tombe dell'imperatrici sveve in Andria, in Rass. pugl., 1905; Bernich, Andria e le sue reminiscenze sveve, Andria 1904; id., La cripta del Duomo di A., in Napoli nobilissima, XII, p. 183; F. Gregorovius, Andria, in Beilage z. Allgemeinen Zeitung, Augusta 1875; M. Agresti, Il capitolo catt. di A. etc. dalle origini, Andria 1911-13.