DE MARI, Andreolo
Figlio di Ansaldo, ghibellino genovese che fu nominato grande ammiraglio della flotta imperiale in Sicilia all'inizio del 1241; al comando di alcune navi di questa stessa flotta ebbe una parte essenziale e, a giudizio dello stesso Federico II, determinante nella sconfitta navale inflitta ai Genovesi al largo dell'isola del Giglio, il 3 maggio 1241.
Ammiraglio effettivo della flotta di ventisette galere siculo-pisane affidata all'alto comando di suo padre, il D. navigava di conserva con la flotta pisana comandata da Ugo Buzzacarini, e con un numero abbastanza cospicuo di "saettie" di Savona. La flotta imperiale, così composta, avrebbe dovuto controllare il canale di Piombino e impedire il passaggio alla flotta genovese, comandata da Iacopo Malocello. Conduceva a Roma numerosi prelati della Chiesa, che vi si recavano per assistere al concilio convocato dal papa per la Pasqua del 1241, con lo scopo di confermare la sentenza di scomunica contro l'imperatore e, probabilmente, di pronunciare la sua deposizione.
Nello scontro che ebbe luogo al largo del Giglio, solo quattro galee genovesi ebbero la possibilità di fuggire dietro la nave ammiraglia. Le altre ventidue, che componevano la flotta di Iacopo Malocello, furono abbordate e costrette ad arrendersi, sedici al D. stesso e solo sei all'ammiraglio pisano. Più che dal punto di vista navale e militare, la vittoria del D. fu clamorosa dal punto di vista politico e simbolico a favore della causa ghibellina. Infatti i Genovesi subirono una perdita di circa duemila morti e feriti e di quattromila prigionieri. Tra questi ultimi erano numerosi dignitari della Chiesa - come il legato pontificio Gregorio di Romania, i cardinali di S. Nicola e di Preneste, gli arcivescovi di Rouen e di Bordeaux, i vescovi di Tortona, Asti, Pavia, Carcassonne, Agde e Nimes, gli abati dei monasteri di Cluny, Citeaux, Clairvaux - nonché gli ambasciatori delle città lombarde. Tra i genovesi figuravano i nomi di Pietro Vento, Guglielmo Nero Embriaco, Andrea di Bulgaro, Ottobono Mallone, Andreolo, figlio di Enrico di Domoculta, tutti noti esponenti del partito guelfò, e molti altri importanti personaggi della città e della Liguria.L'anno seguente, dopo alcune dimostrazioni di forza senza effetto e semplici scorrerie lungo la costa della Liguria, Ansaldo De Mari e l'ammiraglio pisano sferrarono, senza successo, un'offensiva in grande stile contro Portovenere e Levanto. Gettarono poi l'ancora a Lerici dove il D. li raggiunse con due galee che battevano bandiera imperiale. Ma di fronte all'avanzare compatto della flotta genovese, i tre ammiragli ghibellini evitarono lo scontro, presero il largo e si recarono a Savona. Di lì fecero alcune sortite solo a fini provocatori e di disturbo; nel mese di agosto entrarono addirittura nel porto di Genova, suscitando l'apprensione generale e l'affrettata mobilitazione della flotta della grande città ligure.
Alla fine di novembre il D. abbandonò Savona, dove rimaneva suo padre, e si diresse con venticinque galee verso l'Italia meridionale, dove trascorse parecchi mesi. Nel maggio del 1244, di ritorno nell'alto Tirreno, rientrò a Savona con sette taride cariche di grano e dieci galee armate, senza poter sferrare l'attacco che progettava contro un convoglio genovese di cereali proveniente dalla Provenza, sotto la protezione navale di Amico Streiaporco. Non riuscì a impedire nemmeno che l'armata genovese, per terra e per mare, mettesse a sacco il territorio di Savona. Nei mesi successivi la sua flotta continuò a stazionare nel mar Ligure e a disturbare i Genovesi. Genova e la S. Sede erano soprattutto preoccupate del pericolo che le navi del D. si unissero a quelle del padre: quest'ultimo, infatti, dopo aver condotto azioni di pirateria contro il commercio genovese al largo del Maghreb, si preparava a ritornare nell'alto Tirreno con una ventina di galee.
L'anno seguente (1245), dopo aver trasportato un'ambasceria in Spagna a nome dell'imperatore, il D. intraprese al ritorno una campagna corsara contro i Genovesi. Giunto a Savona ai primi di settembre, compì un'azione meramente dimostrativa contro Genova, priva in quel momento di difesa navale: penetrò nel porto ma non accettò il combattimento e si ritirò subito a Pisa con le sue dieci galee. Lì padre e figlio si ritrovarono di nuovo, pronti a ricominciare, alla prima occasione favorevole, le scorrerie antigenovesi in Liguria. Difatti alla fine di settembre si separarono, riprendendo isolatamente la loro tattica di disturbo verso la flotta e gli interessi genovesi, rifiutando lo scontro aperto. Ansaldo si diresse verso la Corsica e la Sardegna. Il D. invece, giunse a Savona con venti galee per recarsi poi in missione diplomatica alla corte di Provenza per chiedere a nome di Federico II, per il figlio Corrado, la mano di Beatrice, figlia del conte Raimondo Berengario, morto da poco. Ma questa missione diplomatica, il cui scopo era quello di conquistare l'appoggio della Provenza contro Genova e il Papato, fallì. Al ritorno, nel mese di ottobre, il D. riprese da Savona i colpi di mano corsari. Uno di questi lo condusse di nuovo nel porto di Genova, da dove bombardò, senza gravi conseguenze, il sobborgo di San Tommaso. Fu il primo bombardamento navale della storia genovese.
Nella primavera del 1247 la flotta del D., composta da una ventina di galee, giungendo da Pisa, fece una nuova dimostrazione di forza nel porto di Genova prima di raggiungere Savona. Nello stesso tempo il D. riprese la lotta contro il commercio genovese, con azioni di pirateria contro alcuni mercanti di Marsiglia, di Piacenza e di Tortosa, legati agli interessi di Genova. Nel mese di luglio, rinfrancato dai successi, bombardò di nuovo il porto di Genova, ritirandosi subito dopo a Savona prima che la mobilitazione generale dei marinai genovesi avesse avuto successo. Tutte queste bravate erano però soltanto azioni brillanti senza conseguenze sostanziali per la mancanza di una vera vittoria militare e soprattutto di una fazione ghibellina abbastanza potente all'interno del Comune genovese da poter rovesciare i rapporti di forza tra partiti cittadini. Questa volta però una flotta di venticinque galee genovesi sferrò una controffensiva e venne ad assediare il D. a Savona, dove, come era ormai sua abitudine, si era ritirato.
L'azione allora si spezzettò in episodi isolati di tipo corsaro, con qualche successo, per nulla decisivo, dall'una e l'altra parte, specialmente in favore del De Mari. Il quale, in questo contesto, per dividere il suo bottino si recò in Corsica, dove in quegli anni suo padre Ansaldo era impegnato nel tentativo di costituire una grande signoria familiare nel Capo Corso settentrionale. Il D. allora si impadronì di un castello difeso da Antonio, figlio di Lanfranco Avogari. Ma nel frattempo i Genovesi avevano armato una potente flotta di ventiquattro galee, in previsione del ritorno del D. a Savona e allo scopo di limitare le sue ambizioni e le sue attività. Così il D., alla fine dell'anno, si mosse con tutta la flotta in direzione della Sicilia.
Ne ritornò nel 1248 con venticinque galee, a cui si aggiungevano parecchie navi pisane, per riprendere la lotta navale contro Genova partendo dalla sua base abituale di Savona. Il piano dell'imperatore era quello di effettuare il blocco navale di Genova, compito affidato al D., mentre gli alleati ghibellini, condotti da Oberto Pallavicini e Iacopo Del Carretto, dovevano assediare la città per terra. L'obiettivo principale della manovra di accerchiamento era l'attacco della spiaggia di Sampierdarena, dove i Genovesi costruivano navi di grandi dimensioni per il trasporto delle truppe della crociata organizzata dal re di Francia ma che, secondo Federico 11, potevano servire anche a uno sbarco in Sicilia. Di fronte ad una minaccia che, se si fosse realizzata, avrebbe inflitto un grave colpo alla credibilità di Genova come potenza navale, e malgrado le ristrettezze dovute all'assedio, i Genovesi si apprestarono alla difesa della città in un clima di resistenza unanime. Mentre si accelerava la costruzione delle navi destinate'ai crociati, vennero opposte alle venticinque galee del D. le trentadue allora già disponibili della flotta di Rosso Della Turca, l'ammiraglio genovese designato per condurre le navi dei crociati. Ma, nel momento stesso in cui sembrava imminente la resa di Parma assediata dal partito imperiale, questo subì, il 18 febbr. 1248, una grave sconfitta, in conseguenza della quale si ritirarono le truppe ghibelline che assediavano Genova per terra. Solo, per mare, il D. continuava la lotta a nome dell'imperatore nella solita forma corsara.
In una lettera del 1250 Federico II menziona la cattura di sedici galee genovesi da parte di dodici navigli imperiali avvenuta presso Savona nel settembre del 1249. Si ignora però se fossero comandati direttamente dal D. o se egli invece in quel momento si trovasse in un altro teatro di operazioni.
Dopo la morte dell'imperatore Federico II, avvenuta nel dicembre del 1250, il D., approfittando del generale clima di tregua tra guelfi e ghibellini, rientrò a Genova, insieme con il padre Ansaldo. Nella città natale trascorse i pochi anni di vita che ancora gli restavano, partecipando attivamente, a fianco degli altri membri delle famiglie patrizie, alla vita commerciale del grande porto ligure che si avvicinava al suo apogeo medioevale.
Non è nota la data della sua morte.
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