SANTACROCE, Andrea
– Nacque a Roma nel rione Arenula intorno all’anno 1402 da Giacomo e da Giovanna (della quale è ignoto il cognome).
La madre, che conobbe s. Francesca Romana e fu da essa miracolata, una volta vedova entrò a far parte della congregazione di Tor de’ Specchi. Dell’attività del padre Giacomo finora non è emersa nessuna notizia; con tutta probabilità doveva essere un ‘mercante-bovattiere’, forse di piccolo cabotaggio, ma tale da permettere ai figli d’intraprendere carriere importanti e diversificate.
Sebbene, secondo i genealogisti del secolo XVII, la famiglia Santacroce avesse avuto origini antichissime in quanto discendente diretta della «nobilissima stirpe» romana del console Valerio Publicola, le fonti disponibili – in particolare quelle notarili – per tutto il Trecento non fanno mai menzione di membri di questa famiglia, e nei primi documenti reperiti sui Santacroce, relativi agli anni 1420-30, gli esponenti della prima generazione sono menzionati con il titolo di providi viri e non di nobiles, come avverrà nei decenni successivi; inoltre, in un atto notarile del 13 dicembre 1424, il capostipite della famiglia – Giacomo – è indicato come «Iacobus Augustini dictus alias vulgariter Iacobus Sancta cruce de regione Arenule» (Archivio di Stato di Roma, Collezione pergamene, Famiglia Santacroce, cass. 286, n. 49), da cui si può dedurre che «Santacroce» era probabilmente un soprannome, finito per essere assunto come identificativo del gruppo familiare e diventare così un cognome. Sarà proprio Andrea Santacroce a creare l’ideologia familiare collegata all’antica gens Valeria divenendo di fatto il caput familiae del gruppo parentale.
Andrea ebbe cinque fratelli: Pietro, Paolo, Valeriano, Onofrio e Alessandro, morto adolescente. Mentre Onofrio, iuris utriusque doctor, rivestì l’incarico di cubiculario di papa Eugenio IV e nel 1448 fu nominato da Nicolò V vescovo di Tricarico, carica che mantenne fino alla morte nell’ottobre 1471, Pietro, Paolo e Valeriano a partire dagli anni Trenta del Quattrocento si distinsero per le loro iniziative commerciali che spaziavano dall’affitto di terre nella Campagna romana all’attività di prestito di denaro, all’importazione e vendita delle merci più varie.
Pietro nel 1433 gestiva un «fundacum pannorum et apothecam calsectarie» (Archivio di Stato di Roma, Collezione pergamene, Famiglia Santacroce, cass. 285, n. 6) in una casa in piazza Giudea nel rione Sant’Angelo. Nel 1444 Valeriano e Paolo sono citati negli statuti dei mercanti di Roma come «facientes collegium artis merchantie pannorum Urbis» (Statuti dei mercanti..., a cura di G. Gatti, 1885, p. 147), mentre Valeriano nel 1448 risulta anche camerario della dogana di Ripa e Ripetta.
Andrea studiò diritto a Padova dal 1423 al 1427, quando passò all’Università di Bologna dove il 22 maggio 1428 fu laudabiliter approvatus nell’esame di laurea in diritto civile, cui furono presenti Angelo Capranica, Marino Orsini e Gerardo Colonna. Nel 1433 aveva già assunto la carica di avvocato concistoriale, per ricoprire la quale era necessario – secondo un decreto del 1417 di Martino V – essere doctor iuris famosus e aver letto almeno per tre anni in un’università. Nel 1460 è ricordato come advocatus fisci, nel 1464 avvocato del Sacro Palazzo, nel 1468 advocatus Camere Alme Urbis dopo la morte di Giovanni Baroncelli. In diverse riprese, a partire dal 1460, fu nominato pacerius Urbis, e ricoprì, seppure temporaneamente, altri diversi uffici municipali: nel 1433 era tra i «provisores deputati super Studio alme Urbis» (Archivio segreto Vaticano, Camera apostolica, Div. Cam. 17, c. 198r), ovvero i riformatori dell’università romana cui era affidata la direzione dello Studio e la scelta dei professori; nel 1446 fu proconsole nel collegio dei notai di Roma (e in quell’anno preparò insieme a Massimo de’ Massimi le Constitutiones et reformationes del predetto collegio) e nel 1450 fu infine uno dei tre maestri haedificiorum et stratarum Urbis. Impegnato nella difficile mediazione tra gli interessi cittadini e quelli curiali, fu utilizzato a questo scopo da Pio II per riorganizzare il proprio rientro a Roma dopo la dieta di Mantova (1459). Come conservatore di Roma, la magistratura più importante della città, nel 1469 collaborò alla revisione degli statuti municipali voluta da Paolo II, il quale l’anno precedente gli aveva affidato l’incarico di accusatore nel processo contro gli umanisti dell’Accademia romana di Pomponio Leto, che ebbero come difensore l’avvocato concistoriale Lelio Della Valle.
Nonostante i molteplici incarichi e uffici, Andrea non disdegnava l’attività commerciale e gli affari in società con i fratelli, compreso il vescovo Onofrio. Numerosi documenti lo vedono infatti investire denaro in diverse società, non solo insieme ai fratelli in arte seu industria et exercitio mercantie (Archivio di Stato di Roma, Ospedale di S. Giacomo, b. 20, reg. 3, c. 288v), ma anche con altri operatori economici, come per una societas fundaci pannorum et vellutorum, che alla morte di Andrea sarà continuata dai suoi eredi fino al 1488 (Archivio di Stato di Roma, Collegio dei Notai Capitolini, 1104, c. 126r).
Anche la proprietà e la gestione dei casali – caratteristica della nobiltà cittadina romana di origine ‘bovattiera’ – entravano tra i settori d’investimento di Andrea e dei suoi fratelli, sebbene sia un investimento databile solo a partire dalla metà del secolo XV, con acquisti successivi. Si tratta del casale Tassitano (Archivio di Stato di Roma, Archivio Santacroce, b. 274, f. 53, a. 1445), del casale Canutulo fuori porta Portese (1451), del casale Torricella della Magliana, di quello di Smantabove negli anni 1455-60 (b. 274, ff. 77, 90), tutti e quattro siti nell’area grosso modo tra le vie Aurelia e Cassia nel distretto romano, e della terza parte del Casale Novo «extra portam Sancti Iohannis in partibus Latii» (b. 274, f. 7, a. 1475), posto sulla sinistra della via Tuscolana.
Faceva ugualmente parte di una tradizione da tempo consolidata nell’aristocrazia romana l’acquisto – in comproprietà con i fratelli – di un notevole numero di case, nei rioni Sant’Angelo, Ripa e Trastevere, ma soprattutto nella contrada di residenza nel rione Arenula, nei pressi della chiesa parrocchiale di S. Maria de Publico (poi chiamata in Publicolis dai Santacroce del primo Cinquecento per collegarsi al mitico avo Valerio Publicola, e giuspatronato della famiglia), che proprio con Andrea diverrà il luogo preferenziale di sepoltura dei Santacroce e dove – come si legge nel suo testamento – egli aveva istituito una cappellania sull’altare maggiore, convenientemente dotata per i servizi religiosi.
Andrea fu uomo poliedrico, dedito non solo agli affari e alla carriera in Curia e nelle magistrature municipali, ma anche interessato alla vita culturale, cui contribuì sia con la sua raccolta di antichità che diverrà con i suoi successori tra le più cospicue della città, sia con una personale produzione di carattere letterario e giuridico, sia con la consuetudine quotidiana con gli intellettuali della corte pontificia. Amico di Iacopo Ammannati Piccolomini, cardinale di Pavia, con cui era in corrispondenza e per il quale acquistava manoscritti, fu caro al cardinale Niccolò Albergati e apprezzato da Pio II. L’umanista Francesco Rinucci (Rinuccio d’Arezzo) gli dedicò la traduzione in latino dell’opera greca Hippocratis epistula ad Damagetum, mentre Ammannati, cui Santacroce aveva dedicato il suo De notis, lodò in una lettera la sua vasta cultura. Santacroce fu in relazione con Ludovico Pontano, uditore di Rota e protonotaio, delegato di Alfonso d’Aragona al concilio di Basilea, cui si rivolse nel Dialogus de Ecclesiae primatu et gestis in concilio Florentino, che scrisse per dimostrare la legittimità del trasferimento del concilio di Basilea a Ferrara e poi a Firenze (concili a cui partecipò per incarico di Eugenio IV), e risulta pure essere stato in contatto con Nicolò Saguntino – interprete di greco al concilio fiorentino –, del quale rimane una lettera scritta ad Andrea a testimonianza della loro amicizia.
Oltre al Dialogus predetto, compose altre opere, non tutte tramandate; di alcune di queste si ha notizia dal suo testamento: il De vita pontificum nostri temporis ovvero l’Effemerium curiale, il libello De pace et bello aut de iustitia Romani imperii, il libro De mea conscientia, un’opera antiquaria sulle iscrizioni intitolata De notis publica anctoritate approbatis, dedicata al cardinale Iacopo Ammannati, e un’altra definita Baculum senectutis antiqui advocati. Nel testamento non sono ricordati il Liber decisionum causarum per gli uditori di Rota e un Tractatus de precedentis, entrambi menzionati nell’Effemerium curiale. Di questa produzione rimangono l’Effemerium curiale, a tutt’oggi inedito e di cui resta un solo esemplare in parte autografo nella Biblioteca Laurenziana (Gaddiano 48), due esemplari del De notis (Berlino, Staatsbibliothek, Hamilton 26/I; Londra, British Museum, cod. 10100), varie consultationes et iudicii derivati dalla sua attività forense (segnalati in Esposito, 1981, pp. 203 s.) e il Dialogus de Ecclesie primatu (Roma, Biblioteca Corsiniana, Corsiniano 779), parzialmente edito da Georg Hofmann e precedentemente da Ubaldo Mannucci.
Sposato con Palozia, figlia di Angelo Sosanna, Andrea ebbe tre figli maschi (Agapito, Luca, Ieronimo, che morirono tutti in giovane età) e almeno due figlie femmine, Bernarda e Giovanna, che furono accasate con doti cospicue, rispettivamente con Giacomo Del Bufalo e Vincenzo di Battista Leni.
Il 12 gennaio 1471 nel palazzo dei Conservatori fece redigere il proprio testamento (l’unico reperito) dal notaio Antonio Musciani, dove nominò eredi universali i nipoti Bartolomeo, figlio del fratello Pietro, Prospero, figlio del fratello Valeriano, e Giacomo, figlio del fratello Paolo. A questo atto fece seguito il 15 gennaio 1472 un codicillo di suo pugno, dove precisò alcune sue disposizioni testamentarie (Archivio di Stato di Roma, Collezione pergamene, Famiglia Santacroce, cass. 287, n. 47). La sua morte avvenne probabilmente negli ultimi mesi del 1473, poiché il 13 dicembre di quell’anno Coronato Planca venne nominato da Sisto IV advocatus fisci al posto del defunto Andrea; e infatti il suo nome è registrato nel libro degli anniversari della confraternita del Ss. Salvatore per l’arco temporale 1473-74.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Collezione pergamene, Famiglia Santacroce, cass. 281, n. 2 (a. 1449), n. 3 (a. 1439); cass. 282, n. 50 (a. 1429); cass. 284, n. 21 (a. 1457); cass. 285, n. 6 (a. 1433), cass. 284, n. 34 (a. 1436); cass. 286, n. 27 (a. 1468), n. 49 (a. 1424); Ospedale SS. Salvatore, cass. 451, int. 20; Ospedale della Consolazione, reg. 1300, c. 9r; Collegio dei Notai Capitolini, n. 1174, a. 1460, c. 79; n. 1763, a. 1464, cc. 117r, 139r-140r, 144r; a. 1468, c. 49r; Archivio segreto Vaticano, Reg. Vat. 477, c. 217r; Reg. Vat. 542, cc. 213v-214r; Arm. XXIX, XVII, cc. 198r, 209v, 248r; Arm. XXXIV, XI, c. 205r; Camera apostolica, Introitus et exitus, 485, cc.194r, 227r; Statuti dei mercanti di Roma, a cura di G. Gatti, Roma 1885, pp. 135, 147; E.S. Piccolomini papa Pio II, I commentari, a cura di L. Totaro, I, Milano 1984, l. IV, cap. 38, pp. 802 s.; Li Nuptiali di Marco Antonio Altieri pubblicati da Enrico Narducci, Introduzione di M. Miglio, Appendice documentaria e indice ragionato dei nomi di A. Modigliani, ed. anast., Roma 1995, p. 125.
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