PROCACCINI, Andrea
PROCACCINI, Andrea. – Nacque a Roma nel 1671 da Carlo e da Angelica Vela. Pittore e architetto, fu tra i principali scolari e seguaci di Carlo Maratti prima di trasferirsi nel 1720 in Spagna, Paese in cui avrebbe concluso la sua carriera al servizio di Filippo V.
Principali fonti per la conoscenza dell’artista sono le biografie di Nicola Pio (1724, 1977, pp. 16 s.) e di Lione Pascoli (1730-1736, 1992, pp. 836-845, dove la voce Procaccini è curata da Laura Possanzini). Jesús Urrea Fernández (1977, pp. 175-186) e Teresa Lavalle-Cobo (1991) hanno delineato l’opera di Procaccini in Spagna.
Lacunosa appare la ricostruzione del periodo romano. Pascoli (1730-1736, 1992, p. 836) descrisse un suo approdo vocazionale alla pittura, poiché proveniva da una famiglia agiata. Le carte d’archivio delineano però una realtà meno rosea (Zolle Betegón, 2012). Carlo Procaccini prese in sposa Angelica Vela con un’ottima dote, ma i documenti raccontano di un progressivo indebitamento che sarebbe ricaduto sul figlio Andrea. Soltanto gli incarichi ricevuti in Spagna avrebbero permesso a quest’ultimo di risollevare la propria condizione.
Andrea entrò dunque nella bottega di Maratti spinto da necessità. Dopo l’addestramento nel disegno, le prime opere pittoriche furono copie di modelli maratteschi: il primo dipinto (1690 circa) fu una Cleopatra (Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 836), identificabile con la tela del Krannert Art Museum (Urbana-Champaign, Illinois, Stati Uniti), copia della tela del Museo nazionale del palazzo di Venezia a Roma (Rudolph, 1995, pp. 102-105).
Dipinse ancora un ritratto di Francesca Gommi, moglie di Maratti (collezione privata; S. Rudolph, in Mola e il suo tempo, 2005, pp. 228 s.), da identificare con il ritratto della donna che, assegnato a Procaccini, si ritrova nell’inventario dei beni della Gommi (Bershad, 1985, p. 72).
Divenne prezioso collaboratore di Maratti durante gli ultimi anni di vita del maestro, funestati dalle malattie, e venne ricambiato con gesti di stima. Uno dei più importanti fu il suo coinvolgimento nel restauro degli affreschi delle Stanze Vaticane, diretto da Maratti nel 1702 (Cicerchia - De Strobel, 1986, pp. 114-121). Questo lavoro gli permise un confronto con un repertorio figurativo che avrebbe sempre accompagnato l’artista; un patrimonio che sarebbe stato ampliato con riferimenti di matrice bolognese.
Nell’affresco con i Quattro evangelisti sulla volta della cappella di S. Brunone in S. Maria degli Angeli (1700-02) il pittore si riferì a modelli domenichiani. In S. Maria dell’Orto affrescò tra il 1702 e il 1703 due ovali raffiguranti la Discesa dello Spirito Santo e S. Anna e s. Gioacchino, riletture di modelli reniani e maratteschi aggiornati al nuovo secolo. L’esempio reniano ispirò anche il S. Francesco Caracciolo da poco ritrovato (Saint Michael Seminary Ramsey, New Jersey, Stati Uniti), dipinto tra il 1701 e il 1703 e finora conosciuto solo grazie a una stampa (Roma, Istituto nazionale per la grafica, inv. n. FC122168) e a documenti (Garms, 1976, pp. 153-164). Tutte opere che rivelano un percorso già avviato, ma ancora dipendente dagli interessi dell’‘azienda’ marattesca.
Le fonti indicano che i lavori di S. Maria degli Angeli e di S. Maria dell’Orto furono condotti sotto la sorveglianza di Maratti (Posterla, 1707, pp. 106, 683), che fornì anche il disegno per il S. Francesco Caracciolo (Zolle Betegón, 2014, p. 236).
La Madonna con il Bambino, i ss. Giovanni Battista ed Eusebio e i beati Amedeo e Margherita di Savoia della chiesa di S. Filippo Neri a Torino fu invece opera collettiva di Procaccini e dei discepoli di Maratti, chiamati a fare le veci di un maestro non più capace di fare fronte al lavoro (Westin, 1973, pp. 739 s.). Esemplare è la complessa vicenda del Battesimo del centurione Cornelio, dipinto per la cappella del Battistero della basilica di S. Pietro a Roma (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 837; L. Possanzini, ibid., pp. 841 s.; DiFederico, 1968, pp. 194-198; Cucco, 2001, p. 266). Il capitolo della basilica non ne rimase soddisfatto e ne chiese la rimozione. Maratti volle l’intervento di Clemente XI, imputando a sé meriti e demeriti visto che, come spiegava in una missiva al pontefice, sarebbe stato lui a concepire e a dipingere in parte l’opera, avvalendosi di Procaccini come di uno strumento; così il dipinto fu lasciato al suo posto.
Dopo la difesa di Maratti, Andrea appare sminuito e declassato al ruolo di aiuto di bottega. Ma le condizioni fisiche del maestro nel 1710 consentono di assegnare l’autografia del dipinto (oggi a Urbino, in S. Francesco) e del bozzetto (Ariccia, Museo del barocco romano) a Procaccini, concedendone a Maratti l’invenzione. La vicenda spiega comunque i limiti di una carriera pittorica, quella di Andrea, maturata all’ombra del marchigiano.
Fu ancora Maratti a introdurre Procaccini presso il marchese Niccolò Maria Pallavicini, notissimo mecenate. Le fonti (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli 1730-1736, 1992, p. 837) raccontano questo rapporto, ma poche opere attribuite a Procaccini nell’inventario dei beni di Pallavicini lo certificano (Rudolph, 1995, pp. 210-238).
Documenti coevi chiariscono la sostanza di questo vincolo. Si tratta delle testimonianze degli artisti che rivendicavano pagamenti dagli eredi del marchese. Tra queste, una dichiarazione di Procaccini che rivela l’intenzione di Pallavicini di fondare un’accademia, destinata a essere decorata con dipinti di Andrea descritti dal pittore: al momento della morte del marchese essi si trovavano nel suo studio e finirono dispersi.
Diversi disegni riconducibili all’artista permettono la ricostruzione del progetto (Zolle Betegón, 2015, pp. 289-313).
La morte di Maratti e di Pallavicini privarono Procaccini del principale sostegno alla sua attività. A questo periodo (1713-14) datano i quadroni raffiguranti l’Incontro di Abramo con Melchisedec e l’Idolatria di Salomone (Roma, Istituto Calasanctianum), da poco assegnati definitivamente ad Andrea (Zolle Betegón, 2014, pp. 225-235). Carichi di citazioni marattesche, raccontano la volontà di rivendicare l’eredità del maestro.
Privato del suo sostegno, Procaccini dovette cercare un modo per introdursi nel sistema istituzionale delle committenze. Nel 1714 fu nominato da Clemente XI direttore dell’appena creata Fabbrica di arazzi di S. Michele (De Strobel, 1989, pp. 51-74). Suo il cartone per la Purificazione, uno degli arazzi prodotti per la cappella Paolina del Quirinale (oggi nel Palazzo apostolico in Vaticano). Frutto delle frequentazioni di Curia fu probabilmente l’Allegoria del pontificato di Clemente XI (1714; Roma, palazzo Braschi, Museo di Roma). La tela, già attribuita a Giuseppe Chiari, è una celebrazione del pontefice in concomitanza con la pace di Utrecht (Mena Marqués, 1975, I, pp. 482 s.).
Dovrebbe collegarsi a una committenza pontificia anche il progetto di una serie completa di stampe tratte dagli arazzi di Raffaello conservati in Vaticano. Lo fa pensare una supplica al pontefice in cui l’artista chiede aiuto per finire il lavoro, rimasto poi incompiuto: solo una parte fu realizzata (Roma, Istituto nazionale per la grafica), pervenuta a noi insieme a una grande quantità di disegni pertinenti (Zolle Betegón, 2012, pp. 79-93).
Accademico di S. Luca nel 1716, Procaccini consegnò come opera di presentazione un Mercurio e Argo tuttora nei depositi dell’Accademia (L. Possanzini, in Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 841, n. 2). Questo ruolo gli consentì di introdursi nei cantieri promossi dal pontificato Albani: dipinse una S. Ninfa (perduta) per la chiesa di S. Maria in Monticelli (Piselli Ciuccioli, 1719, p. 76) e partecipò insieme ai rappresentanti dell’ufficialità pittorica (Sebastiano Conca, Francesco Trevisani, Benedetto Luti, Giuseppe Chiari ecc.) alla decorazione della basilica di S. Giovanni in Laterano, dove furono collocati ovali raffiguranti i profeti (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 837). A Procaccini spettò l’esecuzione del Profeta Daniele (1718; il bozzetto si conserva in collezione privata a Roma; Negro, 1993, pp. 125-139).
Non numerose le presenze sugli altari: un S. Pio V a S. Maria sopra Minerva, uniformato ai canoni accademici (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 837; Turčic, 1985, p. 795); per la chiesa di S. Maria della Concezione un non più conservato S. Felice da Cantalice (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 837; Mena Marqués, 1975, I, pp. 475 s.; Desmas, 2001, p. 121).
Pascoli (1730-1736, 1992, p. 837) segnalò le frequenti committenze di viaggiatori forestieri. A Holkham Hall (Norfolk, Inghilterra) si conserva un Tarquinio e Lucrezia acquistato da sir Thomas Coke, ma sicuramente dipinto da Procaccini per Pallavicini (Clark, 1981, p. 93; Zolle Betegón, 2015, p. 304).
Nella residenza si conservava anche una tela raffigurante la consegna della legge a Numa Pompilio (Connor Bulman, 2003, pp. 27-34). Una stampa (Roma, Istituto nazionale per la grafica) consente di avere un’idea della composizione (Zolle Betegón, 2014, pp. 251-255).
Per il marchese di Annandale realizzò invece un ritratto (1718; Hopetoun House, Edimburgo, Scozia; Mena Marqués, 1975, I, p. 485; Rudolph, 1983, n. 595).
Nelle committenze private collocabili alla fine del secondo decennio e a cavallo del trasferimento in Spagna, Procaccini raggiunse i migliori esiti qualitativi. Tra le ultime opere romane, Pio (1724, 1977, p. 16) e Pascoli (1730-1736, 1992, p. 837) citano il soffitto con l’Aurora a palazzo de Carolis (1720), impostato su accenti neoreniani (Bacchi, 1989, pp. 91, 107 s.), e una S. Cecilia dipinta per il cardinale Acquaviva, ambasciatore di Spagna a Roma, che nel 1720 gestì le trattative che portarono l’artista a Madrid (Riús Serra, 1935, pp. 218-222). Il dipinto si potrebbe identificare con la tela oggi nel Real Sitio de El Pardo, a Madrid (Zolle Betegón, 2012).
Durante il viaggio l’artista si fermò a Genova (affreschi a palazzo Durazzo Pallavicini; Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 838).
Appena arrivato in Spagna realizzò il Ritratto del cardinale Borgia (1720; Madrid, Museo nacional del Prado), il suo miglior dipinto (Mena Marqués, 1975, I, p. 486; Urrea Fernández, 1977, p. 184; Bottineau, 1986, p. 466, n. 208).
Evidente un’impostazione marattesca, tuttavia l’artista impresse all’opera un’energia nuova dal punto di vista compositivo e delle scelte pittoriche, più vicine al nerbo secentesco che ai modelli accademizzanti fino ad allora privilegiati.
Fu una prova isolata. Chiamato in Spagna come ritrattista, la regina Isabella gli preferì il francese Jean Ranc. Procaccini fu impiegato nella produzione di pitture devote (si ricordano, tra le altre, una S. Marta, una S. Barbara e due tele non finite raffiguranti l’Adorazione dei pastori e la Purificazione) e dipinti di genere (una Veduta di Orano e una Natura morta con figure), conservati tra il Real Sitio de El Pardo (Madrid) e il Palazzo Reale di Riofrío (Segovia), che raccontano un declino delle capacità artistiche (Urrea Fernández, 1977, pp. 185; Zolle Betegón, 2012). Lontano dagli stimoli romani, Procaccini adeguò la sua arte al gusto della corte. Contribuì a questa involuzione la mole di lavori richiesti dai sovrani, che lo premiarono con fiducia ed emolumenti: sovrintese alle manifatture reali; divenne agente per l’acquisto di collezioni d’arte; e fu assorbito dalla costruzione del palazzo della Granja de San Ildefonso (Lavalle-Cobo, 1991, pp. 379-398; Rodríguez Ruiz, 2000), architettura che esprime un artista cosmopolita, padrone di un verbo estetico romano aperto a istanze internazionali.
Per la cappella del palazzo realizzò due pitture (Pio, 1724, 1977, p. 16; Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 838): l’Imposizione della pianeta a s. Ildefonso (1723; La Granja de San Ildefonso, Segovia, Collegiata della Ss. Trinità) e la Madonna del Rosario e santi protettori della famiglia reale, oggi nella chiesa del Rosario. Questa pala però sarebbe stata completata dalla sua bottega (Pascoli, 1730-1736, 1992, p. 839), perché l’artista morì alla Granja de San Ildefonso nel 1734.
Nel 1727 aveva sposato Rosalia O’Moore, che successivamente avrebbe venduto la collezione di disegni appartenuta al marito all’Academia de bellas artes de S. Fernando (Mena Marqués, 1975, I, pp. 29-31): essa rappresenta un fondamentale strumento per la conoscenza dell’artista.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura nelle chiese di Roma (1674), a cura di B. Contardi - S. Romano, Firenze 1987; F. Posterla, Roma sacra e moderna, abellita di nuove figure di rame…, Roma 1707; O. Piselli Ciuccioli, Notizie istoriche della chiesa parrocchiale di S. Maria in Monticelli…, Montefiascone 1719; N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti: cod. ms. Capponi 257 (1724), a cura di C. Enggass - R. Enggass, Città del Vaticano 1977, pp. 16 s.; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni (1730-1736), a cura di A. Marabottini, Perugia 1992, pp. 836-845.
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