MUSCHIO, Andrea
– Nacque probabilmente a Venezia, figlio di Nicola. Poiché la sua attività è documentata dal 1565, se in quell’anno era maggiorenne ed emancipato, se ne dovrebbe fissare la nascita intorno al 1540.
Iniziò l’attività nel mondo dei libri come mercante e finanziatore occasionale di stampe per la sua bottega, sita in contrada S. Leone, al segno della Concordia (Marciani, 1968, p. 515; Ascarelli - Menato, 1989, p. 414). In principio operò in veste di libraio, negli anni immediatamente posteriori al concilio Tridentino, che impressero un’importante svolta all’editoria veneziana, inserendosi anch’egli nelle nuove tendenze editoriali: pubblicò i canoni e decreti conciliari con l’Indice dei libri proibiti (1565, 1581, 1585, 1587, 1589); il Catechismo (1588); la Bibbia in volgare (1566); testi per i seminari (Fernando Vellosillo, 1601, 1606; il Manuale di Martin de Azpilcueta, 1584); letture edificanti (le Vite dei santi padri, 1565, 1568, 1569; Iacopo da Varazze, 1570, 1575); manuali di predicazione (Francesco Visdomini, 1566; Cornelio Musso, 1570, 1610; Francesco Panigarola, 1570, 1586, 1588).
Entrato a far parte dell’Università dei librai e degli stampatori, nel 1571 ne era scrivano e, come tale, firmò il verbale della seduta del 2 settembre (Brown, 1891, p. 252), mentre il 27 aprile 1572, con Girolamo Torresano si astenne dal suffragare la parte messa ai voti, che comportava un aggravio di spesa per la corporazione (ibid., p. 253). Nel 1578 funse da teste in un atto assieme a Melchiorre Scoto, Giorgio Valgrisi e Francesco Ziletti (Marciani, 1968, p. 500).
Non si sa quando all’attività mercantile cominciasse ad associare quella di stampatore in proprio, perché tipografo era definito sin dal 1578-79 (Marciani, 1968, pp. 500, 515). A tutto il 1581 sottoscrisse le stampe con le formule «appresso Andrea Muschio» o «apud Andream Muschium»: da quell’anno le edizioni latine recano di frequente la dicitura «Andreas Muschius excudebat» e con il 1597 compare l’indicazione «ex typographia Andreae Muschii», prova che, almeno a quest’ultima data, disponeva di un’officina propria. Si potrebbe ipotizzare che, maestro dell’arte, si avvalesse, per le sue esigenze, di torchi affittati per l’occasione. Si spiegherebbero meglio così le società temporanee con gli eredi Rampazetto, Salicato e Nicolini per i Consilia del giurista riminese Matteo Bruni (1582) e con Barezzo Barezzi per l’Historia della guerra fra Turchi, et Persiani di Giovanni Tommaso Minadoi (1588, 1594): edizioni impegnative per le sole forze di Muschio. Nel 1592 poi egli «excudebat» sì le Decisiones Regni Neapolitani, ma l’imponente volume in folio di oltre 600 pagine, curato da Francesco Vivio, uscì «ex officina Damiani Zenari».
Il ruolo di rilievo occupato nell’esercizio del mestiere e nei circoli cittadini fece sì che, quando nel 1593 il nobile Giambattista Leoni, con altri otto letterati, fondò la seconda Accademia veneziana, richiamandosi a quella della Fama creata decenni prima da Federico Badoer, Muschio «fu eletto a direttore» delle scelte editoriali dell’associazione, così come della prima era stato Paolo Manuzio (Tiraboschi, 1833, p. 374). L’Accademia si valse di vari operatori: Giovan Battista Ciotti si dichiarò «libraro e stampatore dell’Academia venetiana», Muschio «academicus Venetus». Della reputazione che godeva fa fede l’affinità elettiva con lo schivo e ombroso Vincenzo Scamozzi.
Puppi (2003) pone la morte di Muschio antecedentemente al 1615, ritenendo che, per non avere Scamozzi affidato all’amico Muschio la stampa dell’Idea dell’architettura universale (uscita a Venezia nel 1615 per i tipi di Giorgio Valentino «expensis auctoris»), alla data lo stampatore fosse scomparso. Nel 1618, tuttavia, quasi ottantenne, Muschio scrisse l’introduzione a un componimento (la Theti) per il nuovo doge Antonio Priuli, rivendicandone la paternità a Cristoforo Ferrari, il giurista con cui aveva condiviso l’amicizia di Scamozzi. Pare che fino al 1623 si interessasse della stamperia, vista la formula sottoscrittoria («presso Andrea Muschio»): da quell’anno le diciture «nella stamperia del Muschio» o «typis Andreae Muschij» o «ex typographia Andreae Muschij», da un lato confermerebbero l’attività della bottega, dall’altro proverebbero che, mancato il fondatore, se ne spendesse il nome a garanzia di qualità.
Dei soci dell’Accademia veneziana Muschio pubblicò alcuni scritti d’occasione: l’orazione funebre per Giuliano Savorgnan (1595) e la Meditatione sopra la Ss. Croce di Giesu Christo del presidente Leoni (1597); l’Eridanus dell’udinese Fabio Paolini, uno dei fondatori (1597). Più fecondo il rapporto con Enea Piccolomini, del quale diede alla luce alcuni componimenti di circostanza (1597, 1603, 1605). Per restare alle stampe d’occasione, nel 1571 uscirono «appresso Andrea Muschio» diversi componimenti, dotti e popolari, per la vittoria di Lepanto (Rhodes, 1995-96). Ai collegi gesuitici, invece, si indirizzavano le stampe della Grammatica di Manuel Alvares (1587, 1588, 1590), così come la prima edizione dei Quinque martyres di Francesco Benci (1591) e i trattati di filosofia scolastica di Benito Perera (1586, 1591).
Varie marche ornano i libri venduti da Muschio, oltre quella distintiva della bottega. Bertolo (1997) ritiene che una dozzina di stampe, uscite «all’insegna della Concordia», prive del nome di Muschio, siano da assegnare a una libreria-editrice di tale nome, poiché in alcune appare il nome del tipografo. L’incongruenza si spiegherebbe con il fatto che Muschio, anche dopo essersi dotato di tipografia, commissionava alcuni libri impegnativi sotto il profilo tecnico a botteghe meglio attrezzate. Egli, a sua volta, stampava per conto d’altri: il napoletano Aniello Sanvito (Cosmografia di Giovanni Lorenzo d’Anania, 1582); Roberto Meietti (Pharmacopaea di Curzio Marinelli, 1617); Marco Ginami, «alla libraria della Speranza» (1621, 1625, 1628); Girolamo Piuti (Trattato di Viviano Viviani, 1626); Hupert Faber di Colonia, «lector publicus apud Venetos et corrector approbatus» (1606); un Giovanni Botero in coedizione con Nicolò Misserini (1619).
Il catalogo di Muschio è simile ad altri di librai veneziani attivi nel lungo arco di anni del suo operare. In esso spiccano alcune stampe significative: tre edizioni (1586, 1588, 1590) della Historia della China di Juan González de Mendoza, che, pubblicata in castigliano a Roma nel 1585 e tradotta da Francesco Avanzi, conta una dozzina di edizioni nel Cinquecento; la duplice edizione, «ad instantia dell’auttore», della Nobiltà delle dame (1600, 1603) di Fabrizio Caroso, il primo trattato di ballo uscito a stampa.
Fonti e Bibl.: G. Fontanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana, II, Parma 1804, pp. 97 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, III, Milano 1833, pp. 373 s.; H.F. Brown, The Venetian printing press, New York-London 1891, pp. 252 s.; W. Timofiewitsch, Das Testament Vincenzo Scamozzi vom 2. September 1602, inBollettino del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio, VII (1965), pp. 325 s.; C. Marciani, Editori, tipografi, librai veneti nel Regno di Napoli nel Cinquecento, in Studi veneziani, X (1968), pp. 500, 515; F. Dalla Pasqua, L’attività tipografica di A. M. e Lorenzo Pasquati stampatori veneti, tesi di laurea, Univ. di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1969-70, rel. L. Rossetti; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 402, 414, 438, 461; D.E. Rhodes, La battaglia di Lepanto e la stampa popolare a Venezia. Studio bibliografico, in Miscellanea marciana, X-XI (1995-96), pp. 20 s., 25, 31 s., 37; F.M. Bertolo, Concordia, al segno della, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento, I, Milano 1997, p. 321; L. Puppi, La solitudine di Vincenzo Scamozzi, nostro contemporaneo, in Annali di architettura, XV (2003), p. 191; A.P. Pozzo, Lepanto nella stampa popolare veneziana. Odi, prose e poemetti illustrati per celebrare la storica vittoria, in La Biblioteca di via Senato, II (2010), 6, pp. 15-20.