MOROSINI, Andrea
– Nacque il 14 febbraio 1558, nella parrocchia veneziana di S. Ubaldo, da Giacomo di Andrea, del ramo dei Morosini della Tressa, che nella carriera pubblica raggiunse la carica di consigliere ducale, e da Cecilia, figlia del procuratore di S. Marco Paolo Corner. Ebbe due fratelli: Nicolò (1560-1602) e Paolo (1566-1637).
Manifestata precocemente la vocazione per gli studi, frequentò la scuola tenuta a Venezia dal sacerdote Ambrogio Morelli, dove conobbe il nipote del precettore, il futuro frate servita e consultore della Repubblica Paolo Sarpi, e il patrizio Nicolò Contarini, che fu doge nel 1630. Coltivò poi le lettere latine e quelle greche nella scuola di Bernardino Partenio e seguì le lezioni di filosofia tenute da Agostino Valier nella scuola di Rialto e da Francesco Piccolomini e Giacomo Zabarella nello Studio di Padova. Qui incontrò nel 1574 il dotto patrizio Alvise Lollino, che fu poi vescovo di Belluno.
Dopo un triennio di studi, rientrò a Venezia nel 1576 a causa della peste. Nel luglio 1578 avviò una precoce carriera politica come giudice all’Esaminador. Fu savio agli Ordini nel marzo 1583 e giudice della Quarantia nel novembre dello stesso anno (col conseguente diritto all’accesso in Senato); fu poi eletto fra gli Auditori novi delle sentenze nel 1584. Candidato all’insegnamento pubblico di filosofia nella scuola di Rialto, fu però battuto in Senato nel maggio 1586 da Angelo Gabriel. Nel frattempo, insieme con il fratello Nicolò, aveva creato nella sua dimora veneziana «a san Luca, in capo a calle sporca, sopra canal grande» (nell’attuale fondamenta Cavalli), un ridotto di carattere letterario e filosofico. Lo frequentarono fra gli altri i patrizi Leonardo e Nicolò Donà, Nicolò Contarini, Giovan Francesco Sagredo, Antonio Querini, Domenico Molino, Ottaviano Bon e Leonardo Mocenigo, i segretari della cancelleria ducale Agostino Dolce e Giovanni Battista Padavino e il futuro consultore fra Paolo Sarpi.
Si è molto discusso sul contenuto di quegli incontri. Morosini stesso ricorda a Lollino (lettera del 13 dicembre 1616 edita in Opusculorum cum eiusdem epistulis pars prima, 1625, p. 212) che vi si disputava sulla natura, sui costumi, sulle cose divine. Si è ipotizzato che proprio in quelle riunioni avesse preso forma il gruppo dei patrizi giovani anticuriali. In realtà, questa sorta di accademia informale va considerata all’interno del complesso sistema veneziano degli scambi politici e culturali, che comprendeva anche altri ritrovi più segreti e compromettenti. Certamente il ridotto servì a cementare i rapporti fra il servita Sarpi (che lo frequentò dopo il ritorno da Roma nel 1590) e gli ambienti del patriziato. Inoltre, nel 1591-92 il circolo di Morosini accolse con benevolenza Giordano Bruno (quando il filosofo fu arrestato dall’Inquisizione, Morosini lo difese vigorosamente, ma senza successo, nella testimonianza resa al S. Ufficio il 23 giugno 1592). Il ridotto fu altresì frequentato, negli anni del suo insegnamento padovano, da Galileo: Morosini si mostrò sempre favorevole, anche nella veste di riformatore dello Studio di Padova, allo scienziato e manifestò sincero rincrescimento quando questi lasciò Venezia per tornare a Firenze nel 1610; fu inoltre molto legato al medico capodistriano Santorio Santorio, amico di Galilei.
La conclusione dell’attività del ridotto si colloca fra il 1596 (partenza di Lollino per Belluno) e il marzo 1602, quando dopo la morte del fratello Nicolò, subentrarono crescenti impegni pubblici per Morosini. Nel 1594 fu eletto avogadore; dal marzo 1595 fu ripetutamente savio di Terraferma e nuovamente avogadore nell’ottobre 1597. Dal 1600 fu costantemente rieletto in Senato. Savio di Consiglio dall’ottobre 1605, fu rieletto – per la durata di un semestre – quasi ogni anno. Negli intervalli, fu membro del Consiglio dei dieci (nel 1606, 1615, 1617) riformatore dello Studio di Padova (1609, 1612, 1616) e consigliere ducale nel 1610.
Il 23 dicembre 1598 fu nominato dal Consiglio dei dieci alla carica di pubblico storiografo in sostituzione di Paolo Paruta appena deceduto; fu anche autorizzato a consultare le carte della Cancelleria ducale. Ben conosciuto per la vasta cultura e la sincera religiosità, che si poneva nel solco della tradizione del cattolicesimo veneziano di Gasparo Contarini, nel 1605 Morosini raccolse 107 voti in Senato nelle votazioni per la nomina del nuovo patriarca di Venezia; prevalse però Francesco Vendramin.
Durante l’interdetto Morosini sostenne il doge Leonardo Donà anche quando questi, alla fine del 1606, propose di accettare la mediazione spagnola, entrando così in urto coi propugnatori della linea della fermezza, come Antonio Querini e Nicolò Contarini. Con questi stessi ambienti Morosini entrò nuovamente in contrasto dopo la morte di Donà, che aveva rappresentato un sicuro punto di riferimento per i patrizi preoccupati di non spingere la lotta antiasburgica e anticuriale fino a un’aperta rottura con Roma. Morosini fu perciò criticato nel 1613 in una lettera di Fulgenzio Micanzio a sir Dudley Carleton per la sua preconcetta ostilità ad alleanze coi paesi protestanti (Inghilterra, Provincie Unite, principi tedeschi) in vista di una coalizione antiasburgica. Furono perciò i patrizi più moderati a volere l’ininterrotta presenza di Morosini in Collegio durante la guerra di Gradisca, nel 1615-17. Nel 1618, alla morte del doge Giovanni Bembo, Morosini ottenne dodici voti nella elezione del nuovo doge, in cui prevalse Nicolò Donà. Ma ormai la sua vita volgeva al tramonto.
Da tempo malato, morì il 13 luglio 1618 e fu sepolto nella chiesa di S. Luca.
Si pose allora il problema dell’edizione della sua Historia Veneta, uno degli ultimi grandi lavori della pubblica storiografia veneziana, che abbracciava la storia della Repubblica dal 1521 al 1615. L’opera fu pubblicata postuma dal fratello Paolo nel 1623, accogliendo le correzioni al testo proposte da Lorenzo Pignoria. La revisione della parte relativa all’interdetto attenuò il ruolo di Sarpi nella guerra delle scritture, senza però riuscire a evitare la condanna romana. Il Senato, comunque, aggirò il rifiuto dell’Inquisitore di Venezia di rilasciare una fede per la stampa, decretando il 19 maggio 1623 che l’opera venisse egualmente pubblicata (Historia Veneta ab anno MDXXI usque ad annum MDCXV. In quinque partes tributa, Venezia, A. Pinelli, 1623). Fu subito posta all’Indice, con decreto del 12 dicembre 1624, ma la Repubblica (incoraggiata dal parere espresso da Micanzio in un consulto del 20 gennaio 1625) non si piegò al decreto della congregazione, sicché l’opera circolò liberamente a Venezia. Negli anni seguenti apparvero, a cura del fratello Paolo e tutti per l’editore veneziano Pinelli, altri lavori di erudizione di Morosini (Opusculorum cum eiusdem epistolis pars prima, 1625; L’imprese et espeditioni di Terra Santa, et l’acquisto fatto nell’Imperio di Costantinopoli dalla Serenissima Republica di Venetia,1627; Leonardi Donati Venetiarum principis vita, 1628), che però nulla aggiunsero alla fama conquistata con la Historia Veneta. Manoscritti delle opere di Morosini sono conservati a: Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Fondo ex Foscarini, ms. 6442: De forma Venetae Reipublicae; Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Mss. Cicogna, 2560-2561: Memorie politiche veneziane dal 1552 al 1617 raccolte da Andrea Morosini storico veneziano; Malvezzi, 88: Istoria delli anni 1575 sino al 1591; Venezia, Biblioteca del Seminario patriarcale, Mss., 140: Historia Venetiarum latine scripta a senatore Andrea Mauroceno.
Fonti eBibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscellanea codici I: M.A. Barbaro, Arbori de’ patrizi veneti, VI, p. 312; A. Palazzolo, In funere Andreae Mauroceni senatoris amplissimi panegyricus, Venezia 1620; N. Crasso, Andreae Mauroceni Veneti senatoris praestantissimi vita… ad Donatum Maurocenum senatorem amplissimum, Venezia 1621 (riedita con note di P.C. Zeno, in Degl’istorici delle cose veneziane, i quali hanno scritto per pubblico decreto, V, Venezia 1719, pp. V-XL); A. Lollino, Andreae Mauroceni senatoris praestantissimi vita, in A. Morosini, Historia Veneta ...,Venezia 1623, pp. n.n.; Id., Epistolae miscellaneae, Belluno 1642, pp. 2-24, 65-68, 112-117, 148-154, 203-206, 211 s., 324 s.; F. Micanzio, Vita del padre Paolo dell’Ordine de servi e teologo della Serenissima Republica di Venezia (Leida 1646), in P. Sarpi, Istoria del concilio Tridentino. Seguita dalla «Vita del padre Paolo» di Fulgenzio Micanzio, a cura di C. Vivanti, II, Torino 1974, pp. 1276, 1305 s., 1324; F. Griselini, Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studi del sommo filosofo e giureconsulto f. Paolo servita, Losanna 1760, p. 43; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 465-482; M. Battaglia, Delle Accademie veneziane, Venezia 1836, p. 36; M. Foscarini, Della letteratura veneziana ed altri scritti intorno ad essa, Venezia 1854, pp. 116 s., 276, 302, 320, 332, 348, 384, 478; E. Cornet, Paolo Sarpi e la Repubblica veneta. Giornale dal 22 ottobre 1605-9 giugno 1607, Vienna 1859, pp. 286-288; F. Stefani, A. M., in Archivio veneto, II (1871), pp. 220-222; V. Marchesi, Il ridotto mauroceno. Studio biografico, I, A. M. istoriografo veneziano, Venezia 1879; A. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, Firenze 1883 (nuova ed. Padova 1966, ad ind.); Id., Un ridotto scientifico a Venezia al tempo di Galileo Galilei, in Nuovo Archivio veneto, V (1893), pp. 199-209; Id., Giovan Francesco Sagredo e la vita scientifica in Venezia al principio del secolo XVII, ibid., n.s., IV (1902), pp. 316-321, 371; Id., Fra Fulgenzio Micanzio e Galileo Galilei, ibid., XIII (1907), 1, pp. 44-46; V. Spampanato, Documenti sulla vita di Giordano Bruno, Firenze 1933, pp. 61, 128-130; L. Firpo, Appunti campanelliani. Storia di un furto, in Giornale critico della filosofia italiana, XXXV (1956), p. 545; Le opere di Galileo Galilei, ed. naz., X-XI, Firenze 1964-66, ad ind.; M.J.C. Lowry, The reform of the Council of Ten, 1582-3: an Unsettled Problem?, in Studi veneziani, n.s., XIII (1971), p. 283 n. 35; G. Benzoni, La fortuna, la vita, l’ opera di Enrico Caterino Davila, in Studi veneziani, XVI (1974), pp. 318, 342 s., 365 s., 397, 403 s.;W.J. Bouwsma, Venezia e la difesa della libertà repubblicana. I valori del Rinascimento nell’età della Controriforma, Bologna 1977, pp. 434-438; G. Cozzi, Books and society, in Journal of Modern History, LI (1979), pp. 95 s.; Id., Galileo Galilei, Paolo Sarpi e la società veneziana, in Id., Paolo Sarpi tra Venezia e l’Europa, Torino 1979, pp. 135-234; G.Benzoni, Introduzione, in Storici e politici veneti del Cinquecento e del Seicento, a cura di Id. - T. Zanato, Milano-Napoli 1982, pp. XXXVI-XXXIX (e pp. 656, 663); I consulti di Fulgenzio Micanzio. Inventario e regesti, a cura di A. Barzazi, Pisa 1986, pp. 118 n. 1732, 121 nn. 1769 s.; G. Trebbi, Venezia tra ’500 e ’600 nell’ opera storica di A. M., in Studi veneziani, n.s., XXV (1993), pp. 73-129; L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Roma 1993, pp. 14, 17-19, 33, 42, 64, 145, 193 s., 198; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, in Id., Venezia barocca. Conflitti di uomini e idee nella crisi del Seicento veneziano, Venezia 1995, pp. 34, 41-46, 84, 87 s., 182; Id., Cultura, politica e religione nella «pubblica storiografia» veneziana del ‘500, in Id., Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nella Repubblica di Venezia in età moderna, Venezia 1997, pp. 17, 71-85; D. Raines, Dopo Sarpi: il patriziato veneziano e l’eredità del servita, in Ripensando Paolo Sarpi, a cura di C. Pin, Venezia 2006, pp. 552-57.