MOLINARI, Andrea
– Nacque a Bergamo il 28 agosto 1816 da Antonio, calzolaio possidente, e da Innocenza Agazzi, cucitrice. Dopo gli studi liceali – sotto la spinta del padre, che intendeva avviarlo a una carriera nella pubblica amministrazione – frequentò nel 1835-36 il primo biennio della facoltà politico legale dell’Università di Pavia, ma completò gli studi a Padova e a Vienna, da dove fu richiamato nei primi anni Quaranta per ricoprire l’incarico di «ascoltante» presso l’imperial regio tribunale di Bergamo. Insofferente all’imposizione di tagliarsi i baffi per conservare il posto e sensibile alle aspirazioni nazionali della sua generazione, il M. si trasferì a Trieste, centro intellettuale e meta privilegiata di patrioti e scrittori provenienti in particolare dal Lombardo-Veneto. Assunto dallo studio legale Bürger che patrocinava la società del Lloyd austriaco, lavorò a fianco dell’avvocato-poeta trentino A. Gazzoletti e si legò strettamente al variegato universo politico e culturale dell’emigrazione italiana e del nazionalismo istriano-triestino.
Il 18 marzo 1848, a due giorni dal diffondersi in Trieste della notizia della rivoluzione viennese e della caduta di K. von Metternich, il M. redasse un manifesto in favore della costituzione, appena concessa dall’imperatore Ferdinando I d'Asburgo-Lorena, attraversato da forti connotati nazional-patriottici italiani. Collaboratore della breve avventura del periodico Il popolo nei suoi diritti e doveri, il 23 marzo 1848 il M. partecipò al tentativo insurrezionale promosso al grido di «Viva la Repubblica di San Giusto» dal gruppo di giovani patrioti raccolti intorno al libraio mazziniano P. Orlandini che mirava a costituire un governo provvisorio presieduto da Gazzoletti, collega del Molinari.
Ferito e minacciato di morte in seguito al fallimento del moto, il M. riparò a Bergamo, dove ricoprì la carica di segretario del Comitato di difesa e di salute pubblica, costituito il 29 luglio 1848 alla vigilia dell’arrivo in città di G. Garibaldi, che, incaricato di guidare la resistenza contro l’avanzata austriaca, si proponeva di trasformare la capitale orobica nella «Pontida della generazione presente». A sostegno di queste operazioni militari, il M. fu incaricato dal governo provvisorio lombardo di portarsi al Ponte di Seriate, a Pontoglio e Urago d’Oglio al fine di prendere «le opportune disposizioni per tagliare strade, far saltare ponti e predisporre le Guardie Nazionali alla difesa del minacciato territorio» (cit. in Agazzi, 1953, p. 500). Il repentino contrordine del 3 agosto a Garibaldi di ripiegare su Milano lasciò Bergamo sguarnita, vanificando la missione del M. che, insieme con i patrioti maggiormente compromessi, dovette fuggire in Svizzera.
Rientrato a Trieste, dove si era sposato con Giuseppa Fenderi, il M. fu espulso nel marzo 1853 a seguito dell’azione di repressione condotta dalla polizia austriaca dopo i moti mazziniani del 6 febbraio a Milano e l’attentato del 18 febbraio contro l’imperatore Francesco Giuseppe organizzato a Vienna dal sarto ungherese G. Libeny. Ritornato una terza volta nella capitale giuliana grazie all’amnistia concessa nel dicembre 1856 in occasione della visita della coppia imperiale a Venezia, il M. fu definitivamente allontanato nel giugno 1859 dopo lo scoppio della seconda guerra d’indipendenza. Insieme con numerosi patrioti giuliani, si stabilì allora a Milano, dove iniziò una seconda vita professionale e politica.
Il suo studio legale, che offriva impiego a esuli come l’istriano G. Baseggio, diventò in breve tempo uno fra i più affermati della città, segnalandosi in processi penali e civili che ebbero grande eco politica e mediatica. Nel 1860, il M. patrocinò i negozianti triestini che chiedevano di essere risarciti nell’ambito della causa intentata contro il generale austriaco Eynatten, arrestato insieme ad altri ottanta pubblici ufficiali per malversazioni in appalti e forniture militari e morto suicida durante il processo. L’anno seguente, in cui entrò a far parte del comitato milanese della Gazzetta dei Tribunali, assunse la difesa e cercò, invano, di dimostrare l’infermità mentale del capomastro pluriomicida A. Boggia, condannato a morte il 28 nov. 1861 e giustiziato il 9 apr. 1862 per gli assassinii, avvenuti fra il 1849 e il 1859, di quattro persone, i cui cadaveri erano stati ritrovati tagliati a pezzi nel sottoscala del suo ufficio-magazzino in Stretta della Bagnera a Milano.
Nella sua nuova città di adozione il M. aderì attivamente all’Associazione unitaria italiana. Fondata fra settembre e ottobre del 1859, questa società patriottica si rivelò una delle più dinamiche dell’universo democratico e svolse un ruolo fondamentale per l’arruolamento e il sostegno finanziario della spedizione dei Mille, cui partecipò agli ordini del colonnello E. Cosenz anche un fratello del M., Giovanni, già ferito durante la battaglia di Varese del 26 maggio 1859. In particolare, il M. fu il principale firmatario degli appelli della Commissione pel soccorso alla Sicilia, fra cui spicca la circolare dell’11 sett. 1860 che chiedeva ai municipi lombardi di aderire a un indirizzo politicamente impegnativo a favore di Garibaldi, riconosciuto come l’uomo «cui l’Italia dovrà l’esistenza di Nazione». Al contempo, il M. si rivolse direttamente al generale per manifestargli l’appoggio degli italiani e delle italiane di Trieste e dell’Istria, delle cui offerte, materiali o simboliche, alla causa nazionale si fece fin da allora mediatore. Nell’ottobre 1860 ricevette insieme a un’ingente somma di denaro anche un acquerello destinato da una pittrice triestina a L. Solera Mantegazza in segno di ringraziamento per avere lanciato la moda delle «coccarde patriottiche» di forma circolare a spicchi tricolori con il ritratto di Garibaldi nel mezzo. Nell’ambito di questa sua attività di «rappresentante virtuale» della Venezia Giulia, il 20 sett. 1860, il M. costituì – insieme con i patrioti A. Coiz, E. Solferini, R. e P. Abro – il Comitato per l’emigrazione e l’arruolamento marinai delle coste orientali dell’Adriatico, che ebbe sede nel suo studio di Milano. L’intento di agevolare con ogni mezzo l’impiego di triestini, istriani e dalmati nella Marina militare del nascente Regno d’Italia fu apprezzato e finanziato da C. Cavour, che ebbe con il M. vari incontri, ma non dai suoi successori che, vedendo con sospetto la collaborazione con elementi radicali, decretarono, di fatto, la fine dell’iniziativa.
Il nuovo capitale professionale e patriottico acquisito nel biennio 1859-60 fu immediatamente investito dal M. nell’esperienza amministrativa e parlamentare. Eletto al consiglio provinciale di Milano, vi sedette fino al 1865 ricoprendo la carica di vicepresidente e firmando importanti relazioni come quella della Commissione per la costruzione di una ferrovia attraverso le Alpi svizzere. Dopo essere stato nominato nel marzo 1862 da Garibaldi vicepresidente della Società milanese di tiro a segno, nel maggio 1863 il M. entrò per la prima volta alla Camera in occasione di un’elezione suppletiva svoltasi nel collegio di Zogno (Bergamo) in seguito alle dimissioni del deputato uscente, il conte G. Asperti, che aveva battuto il M. in una precedente suppletiva del novembre 1862. Nuovamente sconfitto alle consultazioni politiche generali dell’ottobre 1865, il M. riuscì tuttavia a rientrare in Parlamento grazie alla suppletiva del collegio di Brivio (Como), dove il 31 dic. 1865 superò di quattro voti al ballottaggio il suo competitore – il moderato mantovano G. Finzi – in uno scontro fra «forestieri illustri» che mobilitò una considerevole fascia di elettorato (48%) nonostante il periodo invernale e natalizio.
Durante le sue prime legislature, l’attività politica del M. si sviluppò lungo due direttrici: l’appoggio a tutte le imprese garibaldine e in particolare all’ipotesi (abbandonata per l’opposizione dello stato maggiore dell’esercito) di uno sbarco in Dalmazia del Corpo volontari italiani nel corso della terza guerra d’indipendenza; la collaborazione con i comitati d’emigrazione del Triveneto attraverso un rapporto privilegiato con esponenti moderati quali il deputato padovano A. Cavalletto e il pubblicista istriano T. Luciani. Dopo che il 30 nov. 1864 il presidente del consiglio A. Lamarmora aveva dichiarato in Senato che l’Italia non poteva aspirare al possesso di Trieste, il M. gli consegnò un documento collettivo di protesta ricalcato sulla tesi classica dell’emigrazione che univa al problema giuliano quello trentino e veneto, auspicando l’unione di tutta l’Istria con Trieste al Regno d’Italia. La freddezza delle nuove classi dirigenti nazionali per quelle che sarebbero state chiamate in seguito le «terre irredente» fu sperimentata dal M. anche nel 1866, quando, nell’imminenza della terza guerra d’indipendenza, si presentò insieme con Luciani al presidente del consiglio B. Ricasoli per chiedere l’annessione di quelle province, ottenendo una risposta negativa basata sull’assunto secondo cui in Istria non vi erano né Italia né italiani e che Trieste, come Trento, apparteneva alla Confederazione germanica. Non essendo riuscito neppure a portare la questione in Parlamento, nel settembre 1866 il M. diramò una circolare indirizzata agli istriani e ai triestini in cui li invitava a non disperare e anzi a «custodire il tesoro» della nazionalità e a «restare italiani».
Battuto alle elezioni generali del marzo 1867 e giovatosi ancora una volta, dopo pochi mesi, di una suppletiva nel collegio di Brivio che, grazie all’aiuto del garibaldino G. Guerzoni gli rinnovò il mandato anche nel novembre 1870, il M. continuò a partecipare attivamente alla vita politica milanese, figurando nel maggio 1867 fra i promotori dell’Associazione politica insieme con A. Billia, il fisico-patriota P. Lazzati e F. Trivulzi. Schierato con la sinistra democratica costituzionale e in particolare legato da amicizia politica a B. Cairoli, il M. ne condivise le principali battaglie parlamentari, come quella contro la legge delle guarentigie suggellata dall’ordine del giorno, presentato dal leader pavese il 31 genn. 1871, che chiedeva il rinvio in commissione del progetto affinché ne fosse corretto il concetto informatore, sostituendo alle «garanzie del privilegio» quelle della libertà e assicurando l’uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge.
Dopo una legislatura di assenza, il M. ritornò alla Camera nel novembre 1876 sull’onda della rivoluzione parlamentare che portò al potere la Sinistra storica, strappando di misura, al ballottaggio e in un contesto di forte mobilitazione elettorale (78%), il collegio di Trescore (Bergamo) al deputato moderato uscente conte A. Suardo, cattolico e garibaldino. Quella del 1876 fu l’ultima elezione del M., che, mai troppo assiduo ai lavori parlamentari, non si ripresentò alle votazioni generali del 1880, anche a causa della delusione per la divisione fra Cairoli e G. Zanardelli, al cui nascente gruppo aderì nella votazione nominale sull’ordine pubblico del 4 apr. 1879 che segnava la spaccatura – momentanea sul piano parlamentare, ma duratura su quello politico-organizzativo – della parte più avanzata della Sinistra costituzionale.
Colpito, nel marzo 1879, dalla tragica e prematura scomparsa del figlio ventiseienne Antonio e ritiratosi progressivamente anche dalla vita pubblica della sua città d’adozione per dedicarsi all’attività del suo studio legale, il M. morì a Milano il 6 ott. 1899.
Fonti e Bibl.: Necr., in Corriere della sera, 7-8 ott. 1899; Bergamo, Archivio diocesano, Parrocchia di San Alessandro della Croce, Estratto dei registri di battesimo; Milano, Archivio storico civico, Ruolo generale della popolazione e Registro generale dei morti; L’Illustrazione Italiana, 22 ott. 1899, p. 272. Documenti e lettere a e del M. sono conservati nei seguenti fondi: Bergamo, Civica Biblioteca e Archivi storici, Collezione autografi, Archivio Spaventa, Archivio Locatelli, Archivio Gamba; Ibid., Archivio del Museo storico, F9/1138, F9/1139; Arch. di Stato di Brescia, Carte Zanardelli; Pavia, Arch. stor. comunale, Arch. Cairoli; Milano, Museo del Risorgimento, Arch. Bertani; Arch. di Stato di Sondrio, Arch. Visconti Venosta. Sul M. si vedano: C. Arrighi, I 450 deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una Società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti, Milano 1865, V, pp. 36-39; VI, pp. 51-54; Indice generale degli Atti parlamentari. Storia dei collegi elettorali 1848-1897, Roma 1898, pp. 109, 676, 727; Camera dei Deputati, Atti del Parlamento Italiano, Discussioni, legislature VIII-XI e XIII (1861-74 e 1876-80), ad indices; A. Comandini, L’Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata, Milano 1918-29, IV, pp. 184, 955; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia, V, Appendici, Bologna 1954, pp. 508-510; Carteggio Cavalletto - Luciani (1861-1866), raccolto e annotato da G. Quarantotti, Padova 1962, ad ind.; Carteggio Cavalletto - Meneghini (1865-1866), raccolto e annotato da F. Seneca, Padova 1967, ad ind.; G. Garibaldi, Epistolario, VII-VIII, a cura di S. La Salvia, Roma 1986-91, ad ind.; XI, a cura di G. Monsagrati, ibid. 2002, ad ind.; A. Tamaro, Storia di Trieste, II, Roma 1924 (2ª rist. anast., Bologna 1992), ad ind.; A. Agazzi, Il 1848 a Bergamo, in Rass. stor. del Risorgimento, XL (1953), pp. 475-512; G. Stefani, Cavour e la Venezia Giulia. Contributo alla storia del problema Adriatico durante il Risorgimento, Firenze 1955, ad ind.; A. Agazzi, Bergamo 1848: le Cinque giornate, in Storia del volontarismo bergamasco, a cura di A. Agazzi, Bergamo 1960, pp. 100, 112s.; A. Berselli, La destra storica dopo l’Unità, I, L’Italia liberale e la Chiesa cattolica, Bologna 1963, p. 255; G. Negrelli, Comune e Impero negli storici della Trieste asburgica, Milano 1968, ad ind.; A. Galante Garrone, Felice Cavallotti, Torino 1976, p. 130; A.M. Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento, Roma 1990, p. 592; G. Pécout, La nascita delle società di tiro nell’Italia del Risorgimento, 1861-1865: fra volontariato e apprendistato civico, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, I (1992), pp. 89-115; A. Andreoni - P. Demuru, La facoltà politico legale dell’Università di Pavia nella Restaurazione (1815-1848). Docenti e studenti, Milano 1999, pp. 340 s.; G.L. Fruci, Alla ricerca della «monarchia amabile». La costellazione politica di Zanardelli nell’ex-Lombardo-Veneto e negli ex-Ducati padani (1876-1887), in Società e storia, XXV (2002), pp. 289-349; M. Soresina, La periferia al centro. Figure e momenti di storia lombarda tra ’800 e ’900, Milano 2009, p. 71; G. Luzzi, Il giallo della Stretta di Bagnera. La vera storia di Antonio Boggia serial killer milanese, Milano 2010, ad ind.; T. Sarti, Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, p. 673; Diz. del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, p. 612; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, in Enc. biografica e bibliografica «Italiana», II, pp. 212 s.