MENEGHINI, Andrea. –
Nacque a Padova il 18 ag. 1806 da Agostino ed Elisabetta Gaggini.
Educato dall’abate G. Bernardi, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Padova, coltivando nel contempo gli studi di botanica: laureatosi il 6 ag. 1829, due anni dopo sposò Caterina Fabbris (morta nel 1871), dalla quale ebbe i figli Augusto e Giuseppe.
Dopo le prime esperienze sociali nella commissione di pubblica beneficenza e in altre consulte cittadine, nel 1841 il M. entrò nella Congregazione provinciale di Padova, come rappresentante del Comune. Nello stesso tempo (febbraio 1842) iniziò a praticare la professione notarile, a Padova e nella vicina Piazzola sul Brenta, segnalandosi per l’azione filantropica a favore delle popolazioni rurali. Nel 1846 entrò a fare parte della Società d’incoraggiamento agricola per la provincia di Padova, per la quale curò un progetto di estensione della Società alle arti e all’industria. Fu probabilmente l’interesse giovanile verso la botanica, unito a quello politico per il miglioramento delle condizioni delle campagne e insieme per il risveglio delle coscienze verso il progetto nazionale, che lo spinse nell’impresa del Tornaconto, un giornale di agricoltura, industria e commercio che durò, con una frequenza settimanale falcidiata dalla censura, dal 15 ott. 1846 al 13 apr. 1848. Il Tornaconto, che aveva sede in borgo Vignali, nella casa dello stesso M., era stato fondato insieme con il veronese G. Clementi, chimico e botanico (poi costretto anch’egli a un lungo esilio dopo il 1848 sino al successivo reintegro nelle Università di Genova e Torino), mentre il direttore era il fratello del M., Giuseppe, geologo: tra i collaboratori il giornale annoverava letterati e scienziati.
Nel manifesto programmatico inserito nel primo numero si rilevava come, a fronte degli importanti «avanzamenti» che l’agricoltura veneta stava registrando in quegli anni, i risultati fossero tutt’altro che generalizzati, ma restassero «piuttosto raro privilegio delle più colte ed animose persone. Trovansi dei poderi condotti a meraviglia da appassionati agricoltori; dei poderi che potrebbero dar lumi su tutti gli altri, ma che il più delle volte non valgono a fruttare l’esempio nemmeno dei confinanti». Il programma del giornale fu rivolto «a risolvere adunque le sospese volontà, ad ammaestrare gl’incoscienti, ad accalorare i men fervidi, a condurre infine lo speculatore possidente ed industriale alla sicura meta di una utilità sempre crescente», in sintesi «a spargere dappertutto, colla discussione, col voto e coll’esempio, la più utile interpretazione». Nei suoi articoli, Il Tornaconto trattò quasi sempre temi di argomento economico, agricolo e industriale, ma negli ultimi numeri divennero sempre più frequenti le notizie sull’opposizione legale, sull’azione della censura, sui fatti che accadevano a Venezia e a Milano, con inviti continui ai lettori a prendere coscienza della situazione politica e a intervenire in difesa della patria oppressa, soprattutto dopo che il M. era stato arrestato il 9 febbraio. Secondo le sue indicazioni il giornale continuò a uscire ancora nelle settimane successive, finché il 13 apr. 1848 ne venne imposta la chiusura definitiva.
Il M. fu controllato dalla polizia austriaca sin dalla sua partecipazione al IX congresso degli scienziati che si svolse a Venezia nel settembre 1847. Prese parte ai lavori della sezione che si occupava di agronomia e tecnologia, cui si era iscritto come redattore del Tornaconto, lavori che furono tutt’altro che neutrali per le frequenti dispute su temi dal valore fortemente allusivo, come quello sulla pessima qualità delle patate tedesche. Non a caso in questa sezione si riscontrò la presenza di alcuni tra i più importanti esponenti del movimento liberale, a cominciare da D. Manin, insieme con il quale il M. venne nominato membro della commissione della Società di patronato dei liberati dal carcere. Particolarmente applaudita e carica anch’essa di valore simbolico fu la sua proposta di unificare le associazioni agrarie italiane per ampliare le rispettive esperienze: in chiusura del proprio intervento il M. ricordò infatti come i confini dei diversi Stati, in cui era divisa la penisola, non dovessero costituire barriere sufficienti a cancellare la nazionalità comune.
Rientrato a Padova, il M. iniziò la lotta legale inviando suppliche e ricorsi alla Congregazione centrale provinciale, parallelamente a quanto andavano facendo Manin a Venezia e C. Cattaneo a Milano. Nelle istanze, in forma moderata quanto esplicita, si chiedevano il rispetto degli accordi conclusi dall’Austria al momento della creazione del Regno Lombardo-Veneto e l’accoglimento dei desideri espressi per alleviare i bisogni delle popolazioni: richieste legittimate dal diritto amministrativo imperiale che indicava nelle Congregazioni le istituzioni predisposte ad accogliere tale genere di istanze. L’esempio del M. venne seguito in tutte le altre città e deputazioni del Veneto e del Friuli, grazie alla fitta rete di corrispondenti messa in piedi attraverso Il Tornaconto.
All’inizio di febbraio 1848 si verificarono anche a Padova manifestazioni di piazza, conseguenza spesso dell’iniziale agitazione degli studenti, che culminarono negli scontri dell’8 febbraio tra la popolazione e i soldati, quando due studenti morirono e un altro centinaio rimase ferito. L’Austria rispose il giorno seguente con numerosi arresti, compresi quelli del M. e di G. Stefani, direttore dell’altro periodico liberale, Caffè Pedrocchi; entrambi furono tradotti a Venezia ed entrambi liberati dal popolo veneziano, insieme con Manin e N. Tommaseo, il 17 marzo. Rientrato il giorno stesso a Padova, e accolto in modo trionfale, il 25 marzo, un giorno dopo il ritiro dalla città delle truppe austriache, il M. fu nominato presidente del Comitato provvisorio dipartimentale. Nelle settimane che precedettero la riconquista austriaca di Padova a opera del generale C. d’Aspre (15 giugno 1848) il M. perseguì l’obiettivo della fusione con il Regno di Sardegna, anche contro la linea repubblicana di Manin; poi, visto il progressivo aggravarsi della situazione, lasciò la città con la famiglia nella notte del 13 giugno, non senza qualche polemica successiva per l’abbandono del governo nelle mani della folla inferocita.
Dopo alcune peregrinazioni tra Ferrara, Bologna e Firenze, il M. raggiunse Torino nel luglio 1848. Di nuovo a Firenze, ne partì dopo la restaurazione granducale, spostandosi ad Ancona e quindi a Corfù e ad Atene, da dove rientrò a Torino alla fine dell’estate del 1849, lasciando la famiglia a Padova.
Durante l’esilio si dedicò allo studio, pubblicando gli Elementi di economia sociale ad uso del popolo (Torino 1851), in cui sottolineava la necessità della scienza di occuparsi della solidarietà delle classi (tema ripreso anche nell’opuscolo Sulla cassa di risparmio, Padova 1851) e il Manuale del cittadino degli Stati sardi…(in collab. con B. Benvenuti - D. Berti, Torino 1852). L’obiettivo di aiutare a risollevare il popolo dalla miseria fu costante in tutti gli anni successivi: in I bilanci e la riforma delle imposte (ibid. 1855) insistette sulla necessità della semplificazione fiscale, soprattutto nei riguardi dei piccoli contribuenti. Tornò a Padova nel 1858, quando gli venne concesso «l’immune rimpatrio», ma, costretto a un secondo esilio dopo Villafranca, riprese la strada del Regno di Sardegna. A Torino, nel 1860, entrò a far parte del Comitato politico centrale veneto insieme con altri esuli veneti – fra cui S. Tecchio, A. Cavalletto, G.B. Giustiniani –, che scelsero una linea moderata a sostegno della monarchia sabauda, equidistante sia dal Partito d’azione sia dai gruppi clericali e reazionari.
Anche durante questo secondo esilio intensa fu la sua attività pubblicistica, grazie alla collaborazione con Stefani, anch’egli esule a Torino dove fu, fra l’altro, direttore della Rivista contemporanea (1860-61).
In particolare la sua attenzione di studioso e polemista fu rivolta a mettere in chiaro le vessazioni fiscali che subivano soprattutto le popolazioni venete: Imposte ed estorsioni austriache nella Venezia, in Riv. contemporanea, 1859, vol. 18, pp. 318-356; Le imposte nella Venezia e nella Lombardia (Torino 1863); è da intendersi come premessa a sguardi più ampi e documentati Sulla condizione finanziaria delle province italiane tuttora soggette all’Austria (ibid. 1865).
Dopo la morte di V. Pasini (1864), il M. gli subentrò come deputato per il collegio lombardo di Bozzolo. Nel maggio del 1865 lasciò Torino per Firenze, nuova capitale del Regno, dove partecipò senza particolari entusiasmi ai lavori del Parlamento, che considerava viziati spesso da inutili perdite di tempo di fronte ai reali problemi del paese. Fu relatore tuttavia di alcuni progetti di legge per la revisione dell’imposta fondiaria, la ricchezza mobile e il dazio consumo, e per la definizione dei risarcimenti da destinare alle popolazioni che avevano subito danni dalle truppe borboniche in Sicilia, schierandosi anche a favore dell’abolizione della pena di morte. È sempre di questo periodo la sua polemica con M. d’Azeglio, che nella Lettera agli elettori (Firenze 1865) aveva escluso, per motivi politici ed economici, il ricorso a un’altra guerra nazionale per la liberazione del Veneto e di Roma; il M. rispose con una vibrante lettera aperta (A M. d’Azeglio, Firenze 1865), intensificando, insieme con Cavalletto, i contatti con i comitati nazionali del Veneto, nella prospettiva dell’unificazione. Rientrato in Padova liberata nell’estate del 1866, fu subito membro della Deputazione provinciale e, per elezione, del Consiglio comunale. Il 3 dicembre, per regio decreto, venne nominato sindaco di Padova, carica alla quale nel 1867 aggiunse quella di presidente del Consiglio comunale.
Durante la sua amministrazione iniziarono i restauri della cappella degli Scrovegni e dell’Arena, si attuarono numerosi lavori pubblici, dal riassetto delle scuole al cimitero, si costruirono case popolari, e si cercò nel contempo di risanare le finanze del Municipio. La sua fedeltà ai Savoia venne premiata dalla nomina a commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia.
Rimase in carica fino alla scadenza del mandato, nonostante la sua salute, minata dal lungo esilio, lo costringesse, nel corso del 1869, a disertare qualche seduta del Consiglio comunale.
Il M. morì a Padova il 21 nov. 1870.
Altri scritti: L’Austria nella Venezia dopo la pace di Villafranca (Torino 1860); Le finanze austriache, in Riv. contemporanea, 1860, vol. 23, pp. 362-394; ibid., 1861, vol. 24, pp. 30-63; I sequestri austriaci nella Venezia, ibid., 1863, vol. 33, pp. 385-401.
Fonti e Bibl.: G. Gennari, Per la laurea in ambe le leggi dell’ottimo giovane A. M., Padova 1829; Carteggio Cavalletto - Meneghini 1865-1866, a cura di F. Seneca, Padova 1967; S. Scaramuzza, Dell’opera di A. M. padovano sulla condizione finanziaria delle provincie italiane tuttora soggette all’Austria, Milano 1865; G. Tomasoni, A. M. sindaco di Padova, Padova 1870; R. Barbiera, Voci e volti del passato: 1800-1900, da archivi segreti di Stato e da altre fonti, Milano 1920, ad nomen; O. Miotto, A. M. patriota inedito del nostro Risorgimento (1806-1870), Milano 1942; M. Berengo, L’agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all’Unità, Milano 1963, pp. 41, 77; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (E. Michel).
M. Gottardi