LUCATELLI (Locatelli), Andrea
Figlio di Giovanni Francesco, nacque a Roma, in Trastevere, il 19 dic. 1695 (Gaburri; Michel, 1996, p. 524).
Benché attualmente più noto come Locatelli, viene menzionato come Lucatelli in tutte le fonti contemporanee. Egli stesso si dichiara Lucatelli nei documenti e nei pochi dipinti firmati per esteso (Busiri Vici, 1976). Questa dizione prevale per tutto il Settecento e per il secolo successivo; mentre la preferenza per Locatelli si afferma nella letteratura e nei repertori del Novecento, contribuendo a cancellare la memoria del cognome originario.
Pittore di paesaggio di straordinario successo all'epoca, il L. seppe interpretare i canoni della tradizione classica seicentesca con una nuova attenzione agli aspetti naturali e pittoreschi desunti da G. Dughet e da S. Rosa, traducendo l'austero ideale poussiniano in eclettiche invenzioni compositive e narrative. Le sue immagini, in concorrenza con il contemporaneo J.F. van Bloemen, fissarono il codice rappresentativo della Campagna romana quale paradigma di un'ideale vita pastorale, in sintonia con i principî di equilibrio tra natura e ragione e tra intelletto e immaginazione, elaborati nell'ambito dell'Accademia dell'Arcadia. Con lo stesso approccio fu inoltre interprete di un rinnovato genere bambocciante che adeguava il repertorio di P. van Laer, M. Cerquozzi, J. Miel alla nuova sensibilità per l'idillio campestre. Con gli artisti più affermati nel genere collaborò alla decorazione di numerose dimore dell'aristocrazia romana. Di questa produzione, ormai decontestualizzata e dispersa nelle raccolte di tutto il mondo, è attualmente difficile percepire l'originaria valenza estetica che, combinata ai dipinti di soggetto diverso, ai parati e agli arredi di materiali preziosi, doveva contribuire all'obiettivo di armonia e unità attraverso la varietà ispirata ai codici di gusto dell'epoca.
È verosimile che le immagini del L. siano state il frutto di una cultura complessa, corrispondente a precisi riferimenti letterari, filosofici e figurativi condivisi nei circoli arcadici dell'epoca, secondo l'idea di unità delle arti espressa dal verso oraziano ut pictura poësis. Di ciò potrebbero essere indizio le stesse aspirazioni letterarie del L., delle quali, benché non ne sia rimasta traccia, informa la didascalia apposta da P.L. Ghezzi alla caricatura del pittore eseguita nel 1728 (Busiri Vici, 1976, pp. 10 s.).
Apprendista presso il padre, pittore quasi ignoto, all'età di dodici anni circa, il L. passò nello studio di Monsù Alto, pittore di marine, la cui limitatissima produzione attualmente nota (Chiarini) fa supporre che introducesse il giovane a una variante del paesaggio seicentesco, influenzato dalle tematiche alla Salvator Rosa, rielaborate da artisti nordici come l'olandese J. de Heusch (Busiri Vici, 1997). Il successivo apprendistato insieme con P. Anesi presso B. Fergioni, anch'egli allievo di Monsù Alto e pittore di marine, non risulta nelle Vite manoscritte del fiorentino Nicolò Gaburri, erroneamente indicato come fonte della notizia (Id., 1976, p. 5). Da Gaburri risulta invece che il L., seguendo il percorso consueto per i paesaggisti dell'epoca, studiasse figura con Biagio Puccini, autore di dipinti sacri per varie chiese romane. A questo aspetto della sua formazione potrebbe aver contribuito Pietro Locatelli o Lucatelli, forse suo parente, pittore cortonesco e accademico di S. Luca, attivo in chiese romane e in Toscana (ibid., pp. 5, 129-131).
La precoce fama del L. anche come pittore di figura è confermata dalla partecipazione, nel 1715, alle decorazioni del palazzo al Corso di Francesco Maria Ruspoli.
Al perduto complesso di paesaggi, marine e scene di genere, realizzato da un'équipe internazionale di specialisti come A. Marchi o F. Simonot detto il Borgognone, il L. contribuì infatti realizzando soltanto le figure di una stanza per le quali ricevette un salario corrispondente a quello di artisti più anziani e affermati.
Forse tramite lo stesso Domenico Paradisi, che aveva diretto la ristrutturazione di palazzo Ruspoli ed era architetto di fiducia del cardinale Pietro Ottoboni, il L. eseguì negli stessi anni, le perdute pitture "con paesi di somma vaghezza e figure di somma grazia" (Pio, p. 186) in un appartamento al secondo piano del palazzo della Cancelleria, occupato dal padre del cardinale, il principe Antonio. Per lo stesso cardinale il L. dipinse "diversi quadri" ricordati, nel 1739, da Charles de Brosses che, tra le "bonnes peintures" della collezione Ottoboni, cita soltanto i dipinti di Francesco Trevisani e "des paysages de Lucatelli". L'affinità di tematiche con l'artista più anziano protetto da Pietro Ottoboni e la sua possibile influenza sul L. si rintracciano nelle ambientazioni arcadiche e teatrali di alcuni dipinti di Trevisani come Fuga in Egitto, del 1715, per lo stesso cardinale Ottoboni o Paesaggio con Giuseppe venduto dai fratelli, del 1710, per Nicolò Maria Pallavicini (Bowron, pp. 300 s., 446).
Nella cerchia Ottoboni il L. conobbe probabilmente l'architetto F. Juvarra, attivo nel palazzo della Cancelleria fin dal 1710. Nel 1724 questi gli procurò l'incarico, da parte di Vittorio Amedeo II di Savoia, di eseguire due vedute del castello di Rivoli, sulla base del suo stesso progetto non ancora realizzato. Le due vedute, commissionate insieme con altre tre di G.P. Panini, M. Ricci e M. Michela (tutte attualmente conservate a Racconigi), facevano parte integrante della decorazione del salone del castello, ideata da Juvarra secondo il gusto internazionale delle corti settecentesche (Griseri, pp. 304 s.; Busiri Vici, 1976, pp. 8, 51 s., nn. 213 s.). Circa dieci anni dopo, il L. veniva ancora una volta coinvolto da Juvarra nella realizzazione di due sovrapporte nel "dormitorio di Sua Maestà", nel palazzo reale della Granja a Segovia, voluto da Filippo V di Spagna. Nel luglio del 1736 il pittore aveva concluso i quadri, raffiguranti Gesù nel deserto e Gesù e la samaritana (Urrea Fernández, pp. 275 s.; Filippo Juvarra).
Negli anni Venti che corrispondono al consolidamento del suo successo, il L. doveva essere già sposato alla romana Francesca Humani. Infatti nel 1723 abitava nell'isola della chiesa e convento dei padri di S. Giovannino, nei pressi di via della Vite, con la moglie e le figlie Maria Anna di quattro anni e Maria di un anno. Nel 1724, allo stesso indirizzo, è censita anche la figlia Cecilia, di due mesi, morta probabilmente poco dopo in quanto non compare più nel 1725 (Roma, Archivio stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Andrea delle Fratte, Stato delle anime, 1723-26). Nel 1727 il L. si spostò nella parrocchia dei Ss. Nicola e Biagio ai Cesarini e nello stesso anno nacque il figlio Alessandro, cui si aggiunse Maria Teresa Santa Gertrude, battezzata in S. Lorenzo in Damaso nel 1728 (ibid., Parrocchia dei Ss. Nicola e Biagio ai Cesarini, Stato delle anime, 1727-31). Dal 1732 il L. si trasferì a piazza S. Claudio, nella parrocchia di S. Maria in Via (ibid., Parrocchia di S. Maria in Via, Stato delle anime, 1732-41). A S. Marcello al Corso furono battezzati i figli Silvia nel 1732, Innocenzo nel 1734 ed Emilio nel 1736. Il prestigio dell'artista è confermato dal fatto che il duca Giuseppe Mattei Orsini di Paganica fu il padrino, benché per procura, al battesimo della figlia Silvia nel 1732 (Lucatelli, 2003, pp. 338 s.).
Nel 1738, su commissione del cardinale Neri Corsini, nipote di papa Clemente XII, il L. partecipò alla ristrutturazione del palazzo Riario, appena acquistato dalla famiglia Corsini, dipingendo paesaggi sulle bussole di una porta, in origine collocata nella "camera dello Specchio e del cammino" (Borsellino, 1987). Tra le nuove opere che il cardinale Neri acquisì negli anni Trenta per arricchire la collezione che aveva trasferito a Roma dalla Toscana sono compresi otto dipinti del L., menzionati nell'inventario redatto alla sua morte nel 1770 e negli inventari successivi (Papini, 1998).
I collezionisti forse più appassionati del L. furono i Colonna, la cui preferenza per la pittura di paesaggio risaliva al secolo precedente. I sessantasei paesaggi, in particolare di C. Lorrain e di G. Dughet, esposti nella grande galleria al piano terreno del palazzo di Ss. Apostoli, forse il più ampio repertorio paesaggistico presente all'epoca nelle collezioni romane, dovettero segnare i successivi sviluppi dell'arte del L. (Bowron, p. 390).
Per Girolamo (II) Colonna il L. dipinse ben 57 vedute menzionate nell'inventario del 1763 e in quello a stampa del 1783; nel palazzo della famiglia decorò "a sughi d'erba" la "Seconda stanza o Galleriola" dell'appartamento del terzo piano detto Romitorio, ispirandosi probabilmente al romitorio seicentesco, dipinto nello stesso edificio da C. Onofri e G.P. Schor (Safarik, 1996, pp. 612, 676; 1999, pp. 80, 172). Dopo la dispersione della collezione, iniziata a fine Settecento, parte dei dipinti fu acquisita dai Rospigliosi nel 1803, in seguito al matrimonio, tra Giulio Cesare Rospigliosi e Margherita Colonna Gioeni. Ma già nel Settecento i Rospigliosi avevano accumulato una gran varietà di paesaggi e bambocciate tra cui numerose opere del L., registrate negli inventari del 1752 e del 1769 (Negro, 1999, pp. 144, 160, 334 s.). Ben trenta quadri del pittore erano esposti nella galleria del palazzo Sciarra Colonna e sono menzionati nell'inventario redatto nel 1765, alla morte del cardinale Prospero (Pietrangeli, 1986, pp. 381-384). Quattro "Paesi" del L. sono registrati nell'inventario compilato nel 1794, alla morte di Filippo Bernualdo Orsini, figlio di Domenico (Rubsamen, pp. 121, 124), mentre nell'inventario della famosa collezione di Silvio Valenti Gonzaga, segretario di Stato di Benedetto XIV, redatto nel 1756, sono descritti undici quadri del L. (Pietrangeli, 1961, pp. 44, 47, 53, 68).
Il fatto che i soggetti e il linguaggio del L. corrispondessero a un gusto internazionale emergente è testimoniato dai biografi contemporanei. Gaburri sottolinea: "le sue opere vengono ricercate con grande ansietà da tutte le parti, né mai capita signore o dilettante o Forestiero in Roma che non procuri di avere delle sue opere [(]. Sono sue opere in Firenze nei Gabinetti dei Ss. Marchesi Parisi, dei Si Martelli e un numero ancora più grande trovasene in Inghilterra e in Germania come pure in Francia e in molti altri paesi dell'Europa".
L'intensa attività del pittore fu interrotta, al culmine della maturità artistica, da una morte precoce. Ammalato di tubercolosi, il L. morì a Roma il 19 febbr. 1741 (Roma, Archivio stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Maria in Via, Morti, V, 1714-60, n. 563).
P.L. Ghezzi, nella stessa caricatura del 1728, annota che il pittore era morto lasciando in miseria la moglie e i molti figli (Busiri Vici, 1976, pp. 10 s.). Ghezzi precisa inoltre che il L. aveva da poco terminato una sovrapporta per il principe Giacomo Borghese che già possedeva altri due suoi dipinti. Tra i quadri dell'appartamento del principe, nel palazzo a Fontanella Borghese, nella guida del 1763, M. Vasi ricorda paesaggi e bambocciate del L. (Fumagalli, pp. 112, 140, 183 n. 130).
La vastità della produzione del L. testimoniata dalle fonti e la sua presenza più o meno consistente nella quasi totalità delle collezioni settecentesche, di cui siano noti gli inventari, rendono verosimile il ricco catalogo delle opere che gli sono state attribuite (Busiri Vici, 1976).
L'influenza della tradizione del rovinismo romano, in particolare delle prospettive con ruderi di G. Ghisolfi, si rintraccia in Frammenti architettonici, piccola veduta firmata "Lucatelli f(ecit)", forse dipinta entro il 1710 (Roma, collezione privata) o in opere come Frammenti marmorei con due figure e Veduta con arco di Tito (Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Fondo Corsini), databili attorno al 1720 (Busiri Vici, 1976, nn. 1, 6, 11). Prevale invece l'ispirazione rosiana, derivata da Monsù Alto e Jacob de Heusch, in una serie di scene costiere con figure fantastiche, collocabili tra il 1715 e il 1718 come Paesaggio con marina e arco e il suo pendant Paesaggio con figure presso un corso d'acqua ed un castello (Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen). A queste visioni si possono ricollegare due pendants, riferibili al 1720 e raffiguranti Paesaggio con rovine e figure e Paesaggio con piramide Cestia e figure, in cui compaiono personaggi fantastici tra cui una ricorrente figura di armigero a cavallo (Bologna, collezione privata: Busiri Vici, 1976, nn. 15 s.). Ancora lo stesso spirito si rintraccia nei più tardi Paesaggio fantastico con armigeri (Caen, Musée des beaux-arts), Paesaggio con bandito ferito e Paesaggio con bandito e cane (Oxford, Ashmolean Museum), databili attorno al 1725 (Busiri Vici, 1976, nn. 18, 150 s.).
L'affinità di questa produzione con le contemporanee immagini di G.P. Panini, fonte di numerose confusioni attributive (ibid., ad ind.), si può ricondurre a un convergente interesse degli artisti, negli anni di formazione, verso la tradizione rovinista romana e alla penetrazione dei moduli di Salvator Rosa, divulgati dalle incisioni e dall'intensa produzione dei suoi copisti italiani e nordici (Mosco, pp. 28 s.). In questi anni è stato riscontrato anche un probabile scambio di influenze tra il L. e Marco Ricci che, a Roma intorno al 1720, prese spunto per un'incisione dal dipinto del L., Scena arcadica presso una fontana con un tempietto (Roma, collezione privata: Busiri Vici, 1976, pp. 40-44, n. 24).
Attorno agli anni Venti, il L. aggiornò la sua visione amplificando, sull'esempio di Gaspard Dughet e di Jan Franz van Bloemen, lo spazio del paesaggio naturale. Pervaso da un forte senso naturalistico e luministico e caratterizzato da un'armonica composizione dei gruppi di figure è il grande Paesaggio con lavandaie, siglato e firmato 1725 (Viterbo, collezione Savini: ibid., n. 17). Databile tra il 1725 e il 1730 è il Paesaggio laziale con pastori ed un castello diroccato (Vercelli, Civico Museo Borgogna), di grandi dimensioni, identificabile con uno dei quattro dipinti di 6 palmi per 8, citati dall'inventario del principe Orsini del 1794 e messo in vendita nell'asta della collezione del 1896 (Rubsamen, pp. 121, 124; Roma, Galerie Sangiorgi, p. 19; Busiri Vici, 1976, n. 54). Nel Paesaggio laziale con veduta del Soratte e temporale (Saint-Moritz, collezione privata) giungono al culmine la ricchezza cromatica e le trasparenze luminose che definiscono la profondità dell'orizzonte. Nel dipinto e nel suo pendant, raffigurante Un paesaggio laziale in vista del mare con arcobaleno (Roma, collezione dell'Istituto italiano del credito fondiario: Busiri Vici, 1976, nn. 126 s.), è evidente lo studio dal vero, al quale il L. si dedicò intensamente, come ricordano le fonti (Gaburri). Nel secondo dipinto si intravede sullo sfondo il promontorio del Circeo, probabile reminiscenza degli studi dal vero realizzati nel 1726 per il cardinale Carlo Collicola, amministratore del feudo di San Felice (Lucatelli, 2003, p. 340). Completa questo elenco di opere emblematiche della visione maturata negli anni Venti e Trenta il Paesaggio laziale con torrente tra le rocce, pastori e armenti al guado (Milwaukee Art Museum), opera di grande formato che afferma il nuovo linguaggio di intimo clima pastorale, entro una maestosa cornice paesaggistica resa con suggestivi effetti di luci e ombre (Busiri Vici, 1976, n. 173).
Intorno all'inizio del quarto decennio, il L. concepiva vedute dall'ampia inquadratura panoramica, superando, con un'evidente sperimentazione ottica, i tagli convenzionali del paesaggio classico. Un quadro isolato e due pendants, conservati nella collezione Castelsavelli ad Albano Laziale e nella raccolta Denis Mahon a Londra, presentano particolari dimensioni in cui lo spazio si dilata orizzontalmente in un calibrato studio di proporzioni (ibid., nn. 137-139).
Tra le rare vedute esatte di edifici e di città, vanno considerate la Veduta del Tevere a ponte Rotto, la Veduta del Tevere a Castel Sant'Angelo (Roma, collezione Barbieri: ibid., nn. 215 s.) e le due immagini del castello di Rivoli del 1725 in cui il L. aveva interpretato forme e proporzioni del progetto di Juvarra (ibid., nn. 213 s.). Provenienti probabilmente entrambi dalla collezione del principe Johann von Liechtenstein, due dipinti su rame delle stesse dimensioni costituiscono una rara commistione di vedutismo con il genere bambocciante a cui, a partire dagli anni Trenta, il L. rivolse il suo interesse. La Veduta di piazza Navona, firmata e datata 1733 (Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste) e il suo pendant, raffigurante una Veduta di campo Vaccino (Londra, collezione privata), riuniscono infatti topografia esatta e pittura di genere (Bowron, pp. 391 s.). Repliche di questi soggetti comparvero in una mostra organizzata dalla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, nel 1750, nel portico di S. Maria ad Martyres, nel cui catalogo sono ricordate "due vedute di Piazza Navona con il Mercato" di proprietà del cardinale Orsini e due scene di "Vendita del Bestiame a Campo Vaccino" di proprietà del cardinale C.M. Sacripanti (Lucatelli, 2003, p. 338). A partire da questi anni, il L. sviluppò un genere bambocciante autonomo, rinnovando il repertorio seicentesco. Nella Scena di zingari davanti a una osteria con la buona ventura (Roma, collezione privata) la qualità della figure, il vivace cromatismo e la luminosità sembrano essere influenzati da C. Giaquinto che, nel 1731, aveva realizzato gli affreschi in S. Nicola dei Lorenesi. Dipinta su tavola, l'opera è delle stesse dimensioni di Scena di stregoneria (Londra, collezione privata), raro soggetto allegorico, di ascendenza fiamminga e rosiana, in cui è stato ipotizzato che l'artista si sia ritratto nella figura in secondo piano sulla destra (Busiri Vici, 1976, nn. 211 s.). Quattro scene di genere, conservate nella Galleria dell'Accademia di S. Luca, provenienti dalla collezione settecentesca di Fabio Rosa, risentono dei soggetti di G.M. Crespi, assai apprezzato dai collezionisti romani (ibid., nn. 228-231). Da questa elaborazione italiana del gusto bambocciante derivano ancora: Scena di mercato con maniscalco (Roma, collezione Almagià) e Scena popolare con sosta alla fontana (Roma, collezione Pallavicini), entrambi segnati dai modelli di M. Cerquozzi (ibid., nn. 218 s.). Nella Scena popolare davanti a un'osteria, proveniente dalla collezione Corsini (Roma, Galleria nazionale d'arte antica: ibid., n. 222) e nei due pendants ovali La rissa dei contadini al gioco e Osteria di campagna (Roma, collezione privata: ibid., nn. 241 s.) emergono nuovi spunti narrativi e un'acuta caratterizzazione dei personaggi. Provengono da casa Colonna quattro dipinti considerati tra le più alte reinterpretazioni del genere seicentesco: Scena popolare nella Campagna romana con lotta di contadini e Danza di contadini: il saltarello (Roma, collezione privata: ibid., nn. 239 s.), Festa in campagna con danza sull'aia e Festa della vendemmia (collezione Pallavicini: ibid., nn. 244 s.).
Poco prima della morte, il L. firmava per esteso e datava 1741 un ovale raffigurante Danza di contadini davanti a un'osteria e siglava con il monogramma "A.L." il suo pendant, raffigurante Contadini in sosta presso l'arco di Tito (entrambi a Praga, Galleria nazionale).
Grande spazio nella sua produzione ebbero le scene mitologiche sullo sfondo di paesaggi. Anche questi soggetti corrispondono alla diffusione delle tematiche arcadiche in cui si rinnovava il sentimento del classico in un'accezione di favola intima e patetica. In questo ambito, benché il L. fin dagli interventi in palazzo Ruspoli dimostrasse una sua autonoma abilità nel disegno delle figure, spesso, seguendo la consuetudine degli altri pittori di genere come J.F. van Bloemen o H. van Lint, si servì della collaborazione di pittori di figura più o meno affermati. Un Paesaggio con la ninfa della vita (Praga, Galleria nazionale), siglato "A.L.", proviene dalla collezione del cardinale Silvio Valenti Gonzaga e compare nel catalogo del 1756 con l'indicazione della collaborazione di Pierre Subleyras per le figure (Pietrangeli, 1961, p. 47; Busiri Vici, 1976, n. 254). Nell'inventario del cardinale Neri Corsini del 1756 sono menzionati "Due paesi grandi per traverso del Lucatelli con figure di Monsieur Sterne" (Papini, p. 166 nn. 111 s.). Si tratta probabilmente di una collaborazione negli anni immediatamente precedenti alla morte, quando il L., lavorando per i Borghese, era entrato in rapporti con Ludovico Stern che, negli anni Quaranta, eseguì poi la maggior parte delle decorazioni dell'appartamento del principe Paolo nel palazzo a Fontanella Borghese (Fumagalli).
A P. Batoni sono state attribuite le figure di tre dipinti mitologici del L., attualmente dispersi: Scena mitologica con le ninfe che legano Cupido a un albero con il suo pendant, Scena mitologica con Mercurio che reca Dioniso tra le ninfe del monte Nisa e Paesaggio laziale con figure e armenti (Busiri Vici, 1976, nn. 255-257). Nell'inventario redatto da T. Minardi nel 1856, per la divisione dell'eredità Rospigliosi Pallavicini tra i fratelli Clemente e Francesco, sono citati due paesaggi "del Lucatelli con figure del Battoni", suggerendo una provenienza Colonna anche per questi due dipinti (Negro, 1999, p. 348).
La collaborazione con Giuseppe Tommasi, autore pesarese quasi ignoto, allievo di Cignani, è documentata nel catalogo della collezione Colonna del 1783 dove sono menzionati quattro dipinti del L. con figure dell'artista. Due di questi, raffiguranti Mercurio che riceve il neonato Bacco e Giove nutrito dalla capra Amaltea, sono ancora conservati in palazzo Colonna (Busiri Vici, 1976, nn. 258 s.; Safarik, 1996, p. 745, e 1999, p. 247). Figure giudicate affini a quelle di Tommasi compaiono in un nucleo di pitture mitologiche tra cui Adone scopre Venere dormiente e Venere e Vulcano (Sotheby's 2003, pp. 138-141), Paesaggio con Alfeo e Aretusa e il suo pendant Paesaggio con Mercurio e Argo (San Pietroburgo, Ermitage: Busiri Vici, 1976, nn. 260 s., 263 s.). A una serie di ventidue dipinti con Storie di Diana, citati in una fonte francese dell'Ottocento come le opere migliori dell'artista (Déperthes, p. 500), sono stati ricollegati Un paesaggio con Diana e Callisto e un Paesaggio con Diana e Atteone recanti il simbolo della collezione Colonna, successivamente acquisiti dai Barberini e attualmente in collezione privata (Il Settecento a Roma(, pp. 145 s.; Busiri Vici, 1976, nn. 267 s.). Alla stessa serie e alla stessa committenza sono stati riferiti quattro dipinti con soggetti analoghi, attualmente nel castello di Worlitz presso Dessau (ibid., nn. 269-272), e tre conservati all'Ermitage (Bushmina, pp. 14 s.).
Nel catalogo del L. compaiono inoltre opere di soggetto sacro in cui anche le figure di grande qualità sono probabilmente di sua mano. Tra queste, Il Paesaggio con Rebecca ed Eliazar, siglato "A.L." e datato 1731 (Ginevra, Musée d'art et d'histoire), costituisce una delle sue più complesse ed equilibrate composizioni, resa con un cromatismo chiaro e brillante (Busiri Vici, 1976, n. 279). Una grande tela, raffigurante La predica di s. Giovanni Battista, attualmente dispersa (ibid., n. 70), potrebbe identificarsi con il dipinto dello stesso soggetto menzionato nell'inventario dei quadri in palazzo Sciarra Colonna del 1763, dove compare anche una Predica di s. Paolo (Pietrangeli, 1987, pp. 382, 384). Infine una tela con l'episodio biblico Giuseppe venduto dai fratelli (con personaggi e animali di raffinato gusto esotico sullo sfondo di un ampio paesaggio), attribuita al L. e attualmente dispersa, potrebbe riferirsi al dipinto menzionato nell'inventario della raccolta Colonna del 1763 come un quadro "in tela d'Imperatore per traverso rapp. te Gius. Ebreo venduto dai Fratelli opera di scuola fiamminga e parte della Boscareccia dipinta da Andrea Lucatelli" (Busiri Vici, 1976, n. 69; Safarik, 1996, p. 622), suggerendo ulteriori possibili collaborazioni del paesaggista romano.
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