LILLI, Andrea (Lilio)
(Lilio). Le notiziebiografiche relative al L. non permettono di ricostruire con esattezza le date di nascita e di morte di questo pittore, figlio di Vincenzo, originario di Ancona e attivo tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del XVII. La sua origine anconetana, pur mancando documenti probanti, viene comunemente accettata vista la consuetudine del L. di accompagnare la propria firma con il nome della città adriatica.
In una recente monografia dedicata al L. è stata proposta una data di nascita tra il 1560 e il 1565 in "ragione di una stringente comparazione nell'evoluzione stilistica di artisti come il faentino Ferraù Fenzoni e Francesco Vanni, nati rispettivamente nel 1562 e nel 1563, entrambi sodali col Lilio a partire dagli anni del Pontificato di Sisto V" (Pulini, 2003, p. 248). Tale considerazione e nuove acquisizioni documentarie hanno portato a una revisione dei suoi estremi anagrafici e a posticipare l'anno della sua morte di oltre un ventennio rispetto alle indicazioni tramandate dalle fonti storiografiche (Baglione; Lanzi; Ricci).
La presenza dell'artista ad Ancona è attestata da esigui documenti dai quali si desume che ebbe tre fratelli e almeno una sorella. Del padre Vincenzo, che come gli altri componenti della famiglia abitava nel quartiere di Capodimonte, non si conosce la professione; ma alcuni indizi lasciano dedurre che appartenesse al ceto medio degli artigiani e piccoli commercianti. Possedeva comunque beni immobili, come si evince da un documento del 1587, dove compare in veste di locatore di una casa, e dal testamento redatto dieci anni più tardi nel quale vengono citati beni mobili, immobili e diritti.
Risulta difficile definire la formazione del L. avvenuta prima del suo arrivo a Roma; ma è presumibile un apprendistato giovanile presso un artista locale di cui, tuttavia, non si hanno notizie documentarie. La critica ha comunque evidenziato influssi di artisti, quali L. Lotto e P. Tibaldi, che hanno lasciato ad Ancona e nella provincia opere da cui il L. trasse spunti e suggestioni, mentre il cantiere lauretano, dove tra il 1576 e il 1578 lavorarono G. Muziano e C. Nebbia, con buona probabilità offrì al giovane pittore una preziosa occasione di studio e di confronto.
È stato inoltre ipotizzato un viaggio formativo in Toscana, prossimo al suo trasferimento a Roma, per la presenza, nei primi dipinti di cui si è a conoscenza, di espliciti riferimenti al manierismo del Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Iacopo), del Pontormo (I. Carucci), di D. Beccafumi (Scavizzi, 1960; A. L. nella pittura…). Tuttavia, l'approccio con la cultura figurativa fiorentina potrebbe essere avvenuto anche per via indiretta, magari attraverso la conoscenza di A. Boscoli, col quale venne in contatto tra il 1602 e il 1603, quando quest'ultimo lavorava nella basilica della Misericordia di Sant'Elpidio a Mare, ma che forse aveva già incontrato e apprezzato (Zeri, 1957; A. L. nella pittura…).
Giunto a Roma agli inizi del pontificato di Sisto V, il L. fu coinvolto nelle grandi imprese decorative avviate dal pontefice, a partire dagli affreschi eseguiti in S. Maria Maggiore, all'interno della cappella Sistina dedicata al Presepe, realizzati nel 1586-87 sotto la direzione di Nebbia.
In particolare, al L. vanno riferiti il riquadro con I magi alla corte di Erode, presente in una parete della cappella, e il S. Girolamo che lava i piedi ai pellegrini, collocato nella cappellina dedicata al santo, che già palesa le "inconfondibili fisionomie di grande carica espressiva, inequivocabilmente lillesche" (A. L. nella pittura…, p. 40).
Gli affreschi rappresentano la prima testimonianza della sua attività romana, anche se di recente è stato proposto di rintracciare le prime prove del L. in alcuni brani figurativi, individuati nel portico e nella cappellina pontificia del palazzo Lateranense, attraverso i quali si può riconoscere la rapida maturazione dell'artista (Pulini, 2003). Il pittore continuò a intervenire nella decorazione del palazzo ad alterne riprese fino alla fine degli anni Ottanta, lavorando all'interno di quel cantiere artistico approntato per realizzare il grandioso progetto celebrativo e didascalico di Sisto V, efficacemente diretto da Nebbia e da G. Guerra. Tra le decorazioni di questo periodo che sono concordemente riferite al L. vanno ricordate le figure allegoriche della Fortezza, della Fortuna e della Fede nella volta della sala degli Obelischi. Inoltre, degli affreschi che decorano la sala dei Patti, viene ricondotto al L. l'episodio del Tu es Petrus, forse eseguito in collaborazione con A. Viviani. A queste attribuzioni ne sono state aggiunte di nuove, tra cui una figura di Profeta dipinta in una delle vele del portico laterale della basilica di S. Giovanni in Laterano, dove lavorarono gli stessi artisti impegnati nel palazzo (Pulini, 2001 e 2003).
Tra il 1587 e l'anno successivo, il L. lavorò agli affreschi della Scala Santa, realizzando diversi episodi tra cui la Cattura di Cristo e il Pagamento di Giuda nella rampa centrale, Mosè trasforma in serpente il bastone, collocato nella rampa di sinistra e ricordato da Baglione insieme con Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia, posto in quella di destra.
In queste opere il L. mostra con tutta evidenza l'avvenuto incontro con F. Barocci che ne influenzò le scelte cromatiche iridescenti e cangianti e il modo tormentato di modellare i panneggi assecondando le torsioni dei personaggi, cui non è estraneo il legame con la prima stagione del manierismo toscano.
Va riferito a quegli anni anche il dipinto raffigurante la Morte di Anania e punizione di Saffira per la chiesa romana di S. Spirito in Sassia, significativamente già attribuito al Pontormo, per un'adesione enfatizzata a questi modelli, interpretati alla luce di una diversa intensità emotiva di matrice baroccesca.
Seguono in ordine di tempo gli affreschi eseguiti per la Biblioteca Vaticana, avviati sin dagli inizi del 1588 e terminati negli ultimi mesi dell'anno successivo, diretti anch'essi da Guerra e da Nebbia che affidarono al L. parti di notevole impegno. In questa, come nelle precedenti imprese sistine, lavorò anche il faentino Fenzoni che con il senese V. Salimbeni condivide le scelte stilistiche del L., interpretando il colto programma iconografico in chiave di accentuata espressività e di tormentato misticismo visionario. In particolare, al L. spettano gli episodi riguardanti il Rogo dei libri di Ario, dove l'artista raggiunge toni di altissima tensione emotiva, il Concilio costantinopolitano III e l'Allegoria della Poesia, dipinta nella volta dei vicini corridoi.
A circa due anni di distanza dal suo primo intervento in S. Maria Maggiore il L. vi tornò a dipingere realizzando due degli evangelisti che si trovano nella volta della navata di destra, in corrispondenza della cappella del Presepe, riconoscibili nelle figure di S. Matteo e di S. Giovanni (A. L. nella pittura…; Pulini, 2003). Partecipò inoltre all'ultima impresa decorativa commissionata da Sisto V per la chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni, sempre diretta da Guerra, iniziata alla fine del 1589 e conclusa un anno dopo la morte del pontefice.
Il L. vi eseguì gli affreschi del presbiterio raffiguranti S. Girolamo ordinato sacerdote e la Disputa di s. Girolamo con s. Gregorio e s. Basilio sulle Scritture, in collaborazione con altri artisti tra cui Viviani. La presenza di quest'ultimo, fedele seguace di Barocci e suo conterraneo, già attivo nei cantieri delle altre imprese sistine, non va sottovalutata ai fini di una piena comprensione delle affinità stilistiche riscontrabili in quegli anni tra il L. e Barocci. Spetta invece interamente al L. la realizzazione degli affreschi della cappella della Pietà, dove dipinse le due lunette laterali con gli Episodi della vita del beato Agostino Cazovic, e sulla volta, entro un ovale, la Trinità in gloria. In quest'ultima raffigurazione il linguaggio del L. raggiunge "una delle massime deformazioni in senso gotico fiammeggiante" tanto da sollecitare un paragone con le audaci visioni di El Greco (A. L. nella pittura…, p. 43).
Probabilmente a questo stesso periodo risale l'incarico di eseguire gli affreschi, oggi pesantemente compromessi dal restauro di metà Ottocento a opera di P. Gagliardi, nella cappella di S. Nicola da Tolentino della chiesa di S. Agostino, dove la mano del L. è stata riconosciuta in tre dei quattro dottori della Chiesa raffigurati, e cioè S. Agostino, S. Ambrogio e S. Girolamo. Benché riferiti da Baglione al pontificato di Clemente VIII Aldobrandini, la presenza di simboli araldici di Sisto V lascia presumere che siano stati iniziati al tempo di papa Peretti (A. L. nella pittura…). Alla committenza sistina va riferita ancora la tavola centinata con la Pesca miracolosa che si trova nella sagrestia di S. Giovanni in Laterano, ma che forse proviene dalla cappella papale di Sisto V nel palazzo Lateranense (Carloni, in Roma di Sisto V).
Tornato a Roma, dopo un probabile rientro nelle Marche (Pulini, 2003), durante il breve pontificato di Gregorio XIV Sfondrati (1590-91) il L. partecipò alla decorazione dell'appartamento di Pio V in Vaticano, dove, in collaborazione con altri artisti quali Fenzoni, eseguì le figure di S. Agostino e S. Girolamo. Tra il 1590 e il 1591, fu impegnato nell'esecuzione delle scene bibliche che alludono al tema dell'Immacolata Concezione per la cappella Ruspoli in S. Maria in Vallicella, di cui restano le storie dipinte nel sottarco d'entrata, mentre il S. Michele che scaccia Lucifero, ricordato da Baglione nella calotta absidale, è andato distrutto nei rifacimenti seicenteschi della cappella.
Ancora a fianco di Fenzoni, ma per l'ultima volta, nel 1593 il L. lavorò al completamento della decorazione della navata centrale in S. Maria Maggiore, commissionata dal cardinale D. Pinelli. Nei due affreschi superstiti, raffiguranti l'Adorazione dei pastori e l'Apparizione di Cristo risorto alla Madre (un terzo, con la Nascita della Vergine, è andato distrutto), l'artista libera la sua vena più autentica ed elabora audaci invenzioni, accese da effetti di inquietante tensione spirituale.
Al 1596 risalgono due dipinti eseguiti per committenze marchigiane che attestano l'infittirsi dei rapporti del L. con la sua città di provenienza negli ultimi anni del secolo. Si tratta della Pietà e santi (Bagnacavallo, Pinacoteca comunale) destinata in origine alla chiesa dei cappuccini di Imola per volontà della committente, la nobile anconetana M. Ferretti, moglie di G. Malatesta, e del S. Rocco (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), acquistato nel 1973 sul mercato romano.
Come ricorda la cronaca redatta nel 1598 da G. Ferretti, il maestro, famosissimo anche in patria, in quell'anno decorò con due grandi pannelli l'arco trionfale di un apparato effimero allestito ad Ancona, in occasione del passaggio in città di Clemente VIII, diretto a Ferrara. Un anno dopo il L. fu nuovamente presente ad Ancona, dove, in seguito alla morte del padre, sottoscrisse un atto di rinuncia alla sua parte di eredità. Tra le opere eseguite per la città negli ultimi anni del secolo, vanno ricordati il ciclo con le Storie di s. Nicola da Tolentino, proveniente dalla chiesa di S. Agostino, di cui oggi sopravvivono undici tavolette (Ancona, Pinacoteca comunale); la pala raffigurante la Vergine che incorona s. Nicola da Tolentino (Ibid.), anch'essa destinata alla chiesa agostiniana e in probabile relazione con le Storie citate, oggi ridotta a quattro soli frammenti tra i quali la superba Veduta di Ancona; la tela con i Quattro santi in estasi (Ibid.), realizzata per la chiesa dei frati minori osservanti di S. Francesco ad Alto, posta sull'altare di una cappella per la quale il L. aveva dipinto gli episodi, andati dispersi, della Caduta di s. Paolo e del Battesimo di Cristo.
Le committenze marchigiane in questo momento si alternavano con la documentata presenza a Roma del L. che firmò, nel 1596, il nuovo statuto redatto da G. De Vecchi per l'Accademia di S. Luca (di questa l'artista fu segretario tra il 1601 e il 1603). Nel settembre del 1601 ottenne un pagamento per l'esecuzione di due quadretti con S. Cecilia e un terzo con S. Francesco commissionati dalle religiose di S. Cecilia in Trastevere a Roma; l'anno dopo ricevette il saldo per il quadro eseguito per la cappella di S. Abbondio e S. Abbondanzio nella chiesa del Gesù; mentre sempre a inizio secolo risale la partecipazione agli affreschi patrocinati dal cardinale C. Baronio, sotto la direzione del Cavalier d'Arpino (G. Cesari), con le Scene della vita dei ss. Cesareo e Ippolito di cui vengono attribuiti al L. la figura di S. Ippolito e l'episodio del Santo condotto al martirio (Scavizzi, 1960).
A questo periodo, caratterizzato da un'intensa operosità tanto a Roma quanto in patria, dovrebbe risalire anche la sua attività di ritrattista ricordata dalle fonti e al momento testimoniata da un'unica tela che ritrae il nobile Matteo Ferretti (Castelfidardo, collezione Ferretti), firmata e datata 1602 (Zampetti, 1997). Dello stesso anno sono l'Incredulità di s. Tommaso (Ancona, Pinacoteca civica) e l'Imbarco di s. Marta (Sant'Elpidio a Mare, S. Maria della Misericordia), realizzato per la basilica dove Boscoli stava ultimando gli affreschi del presbiterio; due anni dopo portò a termine la pala raffigurante l'Assunzione della Vergine, oggi nella chiesa di S. Giovanni Battista di Numana, ma proveniente dalla chiesa del Crocifisso. In questo primo decennio del secolo, segnato da un percorso artistico di non facile lettura, si colloca una serie di opere accostabili per analogie stilistiche, tra cui i due dipinti di Senigallia raffiguranti rispettivamente il Battesimo di Cristo e la Vergine in preghiera, s. Gioacchino, s. Anna e s. Giovannino (entrambi nella locale Pinacoteca diocesana d'arte sacra), la tela con Tre santi francescani (Ascoli Piceno, convento di S. Serafino) proveniente dalla chiesa di S. Maria in Solestà di Ascoli Piceno, la piccola tela con l'Abbraccio tra s. Francesco e s. Domenico (Fano, Episcopio), l'ovale con la Maddalena in estasi (Verona, proprietà privata), firmato e datato 1606. Sempre a questi anni si fa risalire la prestigiosa committenza della pala per la cappella Nolfi nel duomo di Fano, raffigurante l'Assunzione della Vergine e santi in gloria, sulla base di un documento del 1606 che già a quella data ne attesta la presenza in chiesa (Carloni, in A. L. nella pittura…). Ultimamente è stato tuttavia proposto di anticipare l'esecuzione dell'opera alla fine del secolo precedente, anche per gli espliciti richiami a Barocci (Pulini, 2003).
Nel terreno incerto della produzione del L. di questo periodo, come dimostra la difficile collocazione cronologica del Salvator mundi con la Madonna e santi di Monte San Vito (collegiata di S. Pietro), non è di poco conto l'acquisizione di una nuova testimonianza, resa nota da Pulini (2003), che permetterebbe di spostare l'esecuzione della pala con l'Andata al Calvario della chiesa parrocchiale di Oggiona, segnalata per la prima volta nel 1971 (Olivari), dal 1589 al 1609, risultando, quest'ultima data, compatibile con un più coerente iter stilistico, ormai privo, alla fine del decennio, di riferimenti barocceschi. Al 1612 risale il dipinto raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Costanzo Vescovo e Carlo Borromeo (Apiro, Museo-Pinacoteca della Collegiata di S. Urbano), caratterizzato da una struttura compositiva più armoniosa tanto da suggerire raffronti con la cultura artistica bolognese (A. L. nella pittura…); mentre nelle piccole tele con i Quattro miracoli di s. Antonio da Padova di Barcellona (Museo de arte de Cataluña), che hanno affinità con altri dipinti quali l'Estasi di s. Francesco (Brera, depositi), Longhi (1961) e parte della critica hanno sottolineato l'influenza caravaggesca presente in alcuni brani di gusto naturalistico, benché, nell'artista anconetano, sembri comunque prevalere l'intenzione di ribadire "il primato della finzione pittorica sull'imitazione del naturale" (Pulini, 2003, p. 43).
Agli anni della tarda maturità del L., cui va riferita anche la pala di S. Francesco alle Scale di Ancona con la Traslazione della Santa Casa e santi, risalgono alcune opere eseguite su supporti diversi da quelli usuali, quali le Storie di s. Francesco di Paola (Paola, santuario di S. Francesco), dipinte su ardesia. A queste vanno aggiunte le due miniature su pergamena della Galleria nazionale delle Marche, a Urbino, raffiguranti rispettivamente S. Francesco, S. Bonaventura, S. Antonio e il beato Leone e S. Francesco e s. Giacomo della Marca.
Esiste, riguardo alla prima, un documento trovato nell'archivio del cardinale F. Barberini che attesta il pagamento in favore del L., avvenuto nel luglio del 1627, e l'ambito di provenienza. Una terza pergamena con S. Francesco e l'angelo (Firenze, collezione privata) potrebbe condividere con le due precedenti la stessa committenza Barberini.
Continuano, a queste date, le commissioni romane, tra cui una S. Caterina d'Alessandria eseguita per la chiesa di S. Salvatore in Lauro, oggi dispersa, i cui esiti non furono tra i più felici stando a quanto riferisce Baglione che, in proposito, scrive: "benché si veda che vi ha durato fatica no arriva però alle opere, che furno nell'età giovanile; e per esser travagliato o da liti, o da altre fatiche no riteneva più in sé la sua prima buona maniera" (1642, p. 140).
Possibili difficoltà di stare al passo con i nuovi protagonisti della scena romana e probabili inquietudini del non più giovane artista potrebbero motivare le affermazioni dello storiografo che negli ultimi anni romani lo dice "molto adoperato in far disegni per tener pubbliche Conclusioni ai Collegii di Roma" (ibid.). La notizia, che attesta l'esistenza di una vasta produzione grafica del L. parallela a quella pittorica, è stata interpretata quale testimonianza di una sua attività svolta "in qualità di disegnatore allegorista (e forse di vero e proprio scenografo) nel compito di corredare con immagini numerose tesi filosofiche o teologiche, che studiosi o religiosi sostenevano presso i "collegii romani", come li chiama il Baglione" (Pulini, 2003, p. 250). Ne danno conferma le numerose incisioni di soggetto celebrativo e allegorico tratte da suoi disegni, appositamente elaborati su richiesta delle più altolocate famiglie romane.
Nel 1621 il L. venne pagato per un intervento eseguito nella decorazione di villa Mattei al Celio e nel corso degli anni Venti il suo nome compare più volte nei documenti dell'Accademia di S. Luca: nel 1620 fu tra i membri dell'organo direttivo della colletta, per cui svolse un ruolo di responsabilità e prestigio fino al gennaio del 1624, quando figura tra i cinque candidati eleggibili alla carica di principe, che tuttavia toccò ad A. Grammatica. In qualità di "stimatore" continuò a partecipare alle iniziative dell'Accademia e sempre in quegli anni prese parte alle aspre diatribe interne all'associazione. Dal giugno del 1626 la sua presenza alle riunioni accademiche non è più documentata; ma dallo spoglio degli Stati d'anime di quell'anno, del 1627 e del 1629, risulta abitare a Roma, nella parrocchia dei Ss. Celso e Giuliano del rione Ponte.
Il determinante ritrovamento, avvenuto nel 1979, della data 1631 apposta accanto alla sua firma, nel dipinto della chiesa di S. Giovanni Battista ad Ancona, raffigurante il Crocifisso con s. Carlo Borromeo e s. Ubaldo, ha reso necessario il riesame dell'intera biografia del L. che, prima di allora, si credeva morto da circa due decenni. Vanno pertanto posticipati agli anni Trenta gli Episodi della vita di s. Benedetto dipinti in tre lunette del chiostro del convento olivetano di S. Angelo Magno di Ascoli Piceno, considerati l'ultima testimonianza della sua produzione pittorica.
Mancando notizie documentarie in proposito, si è infatti propensi a prestar fede alla testimonianza di Baglione, secondo il quale la morte colse il L. ad Ascoli, mentre stava eseguendo dei lavori che dovette lasciare interrotti e che potrebbero corrispondere alle lunette rimaste visibilmente incompiute.
Un'estrema testimonianza dell'esistenza in vita del L. è desumibile da un documento dell'Accademia di S. Luca del 1635, dove viene citato tra coloro che devono pagare un'elemosina alla chiesa dei Ss. Luca e Martina, in conformità alle disposizioni sancite da Urbano VIII Barberini.
Fonti e Bibl.: Descrittione del triomphale apparato col quale Nostro Signore Clemente VIII nel passaggio per Ferrara è stato ricevuto in Ancona, Ancona 1598, p. 17; G. Baglione, Le vite de' pittori scultori et architetti…, Roma 1642, pp. 139 s.; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia (1808), a cura di M. Cappucci, I, Firenze 1970, p. 354; A. Maggiori, Le pitture, sculture e architetture della città di Ancona, Ancona 1821, pp. 3 s., 13, 15, 17 s.; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Acc. di S. Luca, Roma 1823, p. 70; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II, Ancona 1834, pp. 171-175; C. Ferretti, Memorie storico-critiche dei pittori anconetani dal XV al XIX secolo, Ancona 1883, pp. 15-21; B. Molajoli, Appunti su A. L., in Rassegna marchigiana, X (1932), pp. 219-238; F. Zeri, Pittura e Controriforma (1957), Vicenza 1997, pp. 70, 73 s., 76; A. Emiliani, A. L., in Arte antica e moderna, I (1958), 1, pp. 65-80; G. Scavizzi, Note sull'attività romana del Lilio e del Salimbeni, in Bollettino d'arte, XLIV (1959), 1, pp. 33-40; Id., Gli affreschi della Scala Santa…, ibid., XLV (1960), 1-2, pp. 111-122, 325-335; R. Longhi, Quattro "modelli" del Lilio a Barcellona, in Paragone, XII (1961), 137, pp. 48-50; G. Scavizzi, Sugli inizi del Lilio e su alcuni affreschi del palazzo Lateranense, ibid., pp. 44-48; Soprintendenza alle Gallerie delle Marche, Mostra di opere d'arte restaurate (catal.), Urbino 1966, pp. 38-40; idem (catal.), ibid. 1967, pp. 37-39; idem (catal.), ibid. 1968, pp. 88 s.; T.B. Olivari, Per A. L., in Commentari, XXII (1971), 4, pp. 337-342; Restauri nelle Marche. Testimonianze, acquisti e recuperi (catal.), Urbino 1973, pp. 456-461; L. Arcangeli, in Pittori nelle Marche tra '500 e '600. Aspetti dell'ultimo manierismo (catal.), Urbino 1979, pp. 39-49; Id., in Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo influsso (catal., Ancona), a cura di P. Dal Poggetto - P. Zampetti, Firenze 1981, pp. 520-526; F. Rangoni, Precisazione cronologica sull'estrema attività del L., in Ricerche di storia dell'arte, 1982, n. 18, p. 86; Id., Aggiornamenti su A. L., in Paragone, XXXV (1984), 415, pp. 71-81; A. L. nella pittura delle Marche tra Cinquecento e Seicento (catal., Ancona), a cura di L. Arcangeli - P. Zampetti, Roma 1985, pp. 35-97; P. Rosenberg, Un A. L. inédit et une apostille sur Pandolfo da Pesaro, in Notizie da Palazzo Albani, XV (1986), 2, pp. 44-46; L. Arcangeli, in Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V (catal., Ascoli Piceno), a cura di P. Dal Poggetto, Milano 1992, pp. 331-335; Roma di Sisto V (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 120-122, 534 s.; M. Giannatiempo Lopez, in Restauri e acquisti a Urbino e per le Marche (catal.), Pesaro 1994, pp. 10-13; P. Zampetti, La tradizione pittorica in Ancona, in M. Polverari, Francesco Podesti, Milano-Ancona 1997, pp. 33-46; M. Giannatiempo Lopez, in Acquisti donazioni restauri, a cura di P. Dal Poggetto (catal)., Pesaro 1997, pp. 12-15; M. Pulini, L'antinaturalismo di A. Lilio, in Studi di storia dell'arte, 2001, 12, pp. 49-74; Id., A. Lilio, Milano 2003 (con bibl. precedente); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 224 (s.v.Lilio, Andrea).