GUSSONI, Andrea
, Secondogenito di Marco del procuratore Andrea, e di Chiara Donà di Nicolò di Giacomo, nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Fosca, il 21 maggio 1546. Appena ebbe raggiunto l'età per la carriera politica, il G. fu eletto savio agli Ordini per il periodo aprile-settembre del 1571 e poi per il secondo semestre del 1572. L'ascesa ai gradi superiori del Collegio era tuttavia ostacolata da un lontano, ma più anziano parente, Giacomo (le leggi prevedevano incompatibilità di esponenti con uguale cognome nella stessa magistratura), per cui il G. dovette percorrere un diverso cursus honorum e il 12 maggio 1574 accettò la nomina di ambasciatore straordinario a Firenze, presso il granduca di Toscana Francesco I de' Medici, successo a Cosimo I il 21 aprile.
La legazione ebbe luogo solo nella seconda metà di marzo del 1576, anche per la riluttanza del Senato a riconoscere il titolo di Altezza al nuovo granduca. L'infierire della peste costrinse il G. ad assumere particolari precauzioni (nel corso del viaggio alloggiò presso monasteri), ma l'accoglienza a Firenze fu splendida, come testimonia la lunga relazione conclusiva, che ben presto circolò manoscritta e stampata in varie copie. Il G. infatti fu uomo di cultura, dedicatario di diversi componimenti e poeta egli stesso, autore di sonetti dialettali e in lingua: l'inclinazione per le lettere si evince anche da questa relazione, notevole non solo per l'acume psicologico - tradizionale negli ambasciatori veneti -, ma per felicità espressiva e raffinatezza stilistica. Quanto al contenuto, essa non si discosta dal collaudato modello di questi scritti; dapprima il G. propone la descrizione geografico-amministrativa dello Stato mediceo, che "riunisce in uno […] tre republiche, di Fiorenza, di Pisa e di Siena"; segue l'esame delle risorse economiche, il cui punto di forza è dato dall'industria serica e laniera di Firenze, "essendo quella città piena d'artefici d'ogni sorte e delli più nobili e principali essercizi", il che forma la potenza del granduca, posto che è in grado di servirsi "del danaro de' particolari ne' suoi bisogni con grandissima facilità". Qui il contesto in cui si inserisce l'osservazione, apparentemente positivo, può essere invece letto come una censura dell'uomo repubblicano verso il sistema monarchico. L'Erario, le fortificazioni, l'esercito, l'artiglieria, la flotta, la corte, la struttura costituzionale precedono la descrizione del trentacinquenne sovrano. Di aspetto poco gradevole, noncurante della caccia e di altri esercizi fisici, l'interesse prevalente di Francesco sembra riposto "in alcune arti, nelle quali fa professione di ritrovarvi e aggiungervi molte cose nuove", cioè in esperimenti chimici e strumenti tecnologici; sicché "non è questo principe di così vivo, alto e macchinato ingegno come il padre; […] non è di molte parole, [tuttavia] parla assai bene […] di cosmografia, di matematica e di questi suoi secreti naturali". Il quadro delle relazioni intrattenute dal nuovo granduca con gli altri principi è ricco di osservazioni improntate a realismo; a proposito della piccola Repubblica di Lucca, il G. scrive che i suoi abitanti "stanno appresso il granduca, come la quaglia appresso il sparviero", ma con Venezia Francesco sembra voler intrattenere i migliori rapporti ("ha pensiero di mandare un ambasciatore residente in questa città").
Il 18 nov. 1576 il G. fu eletto podestà e capitano a Belluno, ma prese possesso della carica solo nell'estate dell'anno seguente, portando con sé Elisabetta Barbarigo di Agostino di Giovanni, sposata il 16 apr. 1577.
È possibile che tra i motivi che indussero il G. al matrimonio possano esserci stati dei contrasti con il fratello Nicolò, accasato da diversi anni e con discendenza maschile: di fatto, i due procedettero alla separazione dei beni; dopo di che anche il G. ebbe figli, e numerosi: dieci maschi e almeno tre femmine; i due nuclei della famiglia si sarebbero tuttavia estinti nell'arco di due generazioni.
A Belluno il G. si occupò prevalentemente della tutela e dello sfruttamento dei boschi, indispensabile riserva di legname per le esigenze dell'Arsenale, come aveva dimostrato la recente esperienza della battaglia di Lepanto (1571).
Rimpatriato, dopo alcuni anni di inattività politica (forse impiegati nell'abbellimento del palazzo a S. Fosca, singolare nel suo genere, ma anche nella mercatura, in cui la famiglia mantenne a lungo cospicui interessi) il G. poté finalmente inserirsi nell'ambito del Collegio, e fu savio di Terraferma da gennaio a marzo del 1584, poi nella seconda metà dello stesso anno e ancora dal 1° ott. 1585 al 31 marzo 1586 con compiti di cassiere. In seguito dovette accettare un nuovo rettorato, la podestaria di Bergamo, che resse dal 19 luglio 1587 al 18 nov. 1588, nel corso di una grave carestia.
Dopo la decisiva ristrutturazione urbanistica in funzione militare operata attorno alla metà del secolo, era sembrato che le opere difensive di Bergamo perdessero importanza agli occhi del Senato, ma il 10 genn. 1586 era stata affidata a Giulio Savorgnan l'esecuzione dei necessari completamenti del forte di S. Marco e della piazza di S. Domenico. Nel luglio 1588, pertanto, il G. fu chiamato a far parte di una commissione, costituita appunto dai due rettori della città e da quattro procuratori di S. Marco, per verificare la buona riuscita dell'esecuzione e suggerire eventuali miglioramenti. Nuovamente a Venezia, proseguì la carriera politica alternandosi tra magistrature di natura economica e giudiziaria: fu infatti savio alla Mercanzia dal 7 ott. 1589 al 6 sett. 1590, dall'11 apr. 1592 al 10 marzo 1593, dal 4 ott. 1594 al 30 sett. 1595, dal 22 apr. 1600 al 21 marzo 1601, dal 3 ott. 1601 al 2 marzo 1602; vi fu ancora eletto l'11 apr. 1607, ma tenne la carica solo per poche settimane; fu anche sopraprovveditore alla Giustizia nuova dal 26 genn. al 30 sett. 1591, dal 12 ott. 1596 al 30 sett. 1597, dal 20 ott. 1598 al 30 sett. 1599. Naturalmente, accanto a queste ricorrenti incombenze, il G. rivestì numerose altre cariche: il 18 febbr. 1591 fu eletto dei Dieci tansatori della città, il 2 settembre dello stesso anno provveditore alle Biave, il 28 ott. 1593 sopraprovveditore del banco Pisani - Tiepolo, il 15 genn. 1594 esecutore delle deliberazioni del Senato per la fortificazione del Friuli, cioè uno dei responsabili della realizzazione di Palmanova; fu poi provveditore sopra gli Ogli dall'ottobre 1597 all'agosto 1598, procuratore sopra gli atti del Sopragastaldo dall'ottobre 1599 all'aprile 1600, censore dal novembre 1600 al settembre 1601, allorché entrò a far parte del Consiglio dei dieci; provveditore alle Beccarie dall'aprile 1602 al marzo 1603, ancora provveditore sopra gli Ogli dall'aprile 1603 al marzo 1604.
Una carriera prestigiosa, ma non brillante; la svolta avvenne nel maggio 1603, quando fu chiamato a far parte dei savi del Consiglio, sia pure per un solo mese; da quel momento si susseguirono compiti di più alto profilo: membro del Consiglio dei dieci dall'ottobre 1603 al settembre 1604, provveditore in Zecca nella primavera del 1604, inquisitore di Stato dal 14 giugno dello stesso anno, il mese seguente era eletto provveditore sopra Feudi e, il 19 genn. 1605, provveditore generale della fortezza di Palmanova che qualche anno prima aveva contribuito a realizzare.
Quando lesse la relazione di questo rettorato in Senato (30 genn. 1607), stava per intraprendere un nuovo mandato fuori di Venezia, essendo stato eletto podestà a Brescia il 21 dic. 1606. La relazione di Palmanova è probabilmente la più bella di tutta quella serie; assai lunga, dettagliata, convivono in essa eleganza formale e perizia nell'architettura militare: lo stile risente talvolta di qualche artificio barocco ("et se con la caduta d'Aquilegia sorse et nacque Venetia, ben si conveniva che dalla stessa Venetia, quasi altra fenice, rinascesse una nova Aquilegia, che rinovasse la memoria et la forma dell'incenerita madre, che si può dir esser Palma"), ma l'esposizione delle ragioni, dei progetti, degli studi che sottesero la realizzazione della città-fortezza, ufficialmente sorta in funzione antiottomana, in realtà baluardo contro gli Asburgo, appare fondata sull'esperienza diretta, sulla cognizione personale di chi contribuì a ideare prima, a compiere poi, la grande impresa. L'orgoglio per quanto effettuato e l'amore per quella che, non senza ragione, il G. poteva ritenere una sua creatura, traspaiono nella perentoria conclusione: "Può adunque Vostra Serenità […] esser sicura che Palma la conserverà sempre patrona della Patria et sicurerà non solo lo Stato suo da quella parte, ma gli aprirà anco la via ad ampliarlo".
A Brescia il G. si fermò dalla primavera del 1607 all'estate del 1608: stranamente (ma del tutto in sintonia con la tradizione veneziana) vi fu inviato come podestà e non come capitano, nonostante la recente esperienza fra le truppe vissuta a Palmanova; e così dovette occuparsi soprattutto di sopire gli ultimi echi delle tensioni religiose che si erano manifestate, durante la crisi dell'interdetto, in una città la cui diocesi era sottoposta spiritualmente all'arcivescovado milanese.
Rimpatriato, il G. fu per qualche mese provveditore sopra Ori e Monete, quindi savio del Consiglio per il primo semestre del 1609, poi consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio, dopo di che (28 maggio 1610) fu eletto ambasciatore in Francia, insieme con Agostino Nani.
Si trattava nuovamente di una legazione straordinaria, motivata dall'improvvisa scomparsa del re Enrico IV (fondamentale alleato della Repubblica allora guidata dal doge Leonardo Donà, esponente di quel partito dei "giovani" in cui si riconosceva il G.) e dall'ascesa al trono di Luigi XIII, giovane di appena nove anni, guidato dalla madre Maria de' Medici, cui era stata affidata la reggenza.
Considerata l'importanza dell'evento, la missione fu allestita con larghezza di mezzi e agli ambasciatori si aggiunsero in forma privata molti patrizi, desiderosi di assistere all'incoronazione del re e di visitare la corte francese. Il G. si fece accompagnare dai figli Vincenzo e Francesco.
Partiti alla fine di agosto del 1610, i veneziani mancarono la cerimonia dell'incoronazione, avvenuta a Reims il 30 settembre; per di più Nani si ammalò durante il viaggio, sicché il G. proseguì da solo e fu raggiunto dal collega a Parigi. Furono ricevuti dal re il 17 novembre e una settimana più tardi ebbero l'ultima udienza dal sovrano, che in quell'occasione creò il G. cavaliere (Nani lo era già); una nuova malattia di quest'ultimo costrinse i diplomatici a ritardare la partenza, che avvenne solo un mese dopo, per la via di Marsiglia. Qui si imbarcarono su due galere francesi e l'8 genn. 1611 giunsero a Genova, donde proseguirono via terra per Venezia.
Il G., che come più giovane ne era stato l'estensore, lesse la relazione in Senato l'11 marzo. Ancora una volta si tratta di un documento lungo, dettagliato, di grande importanza e bellezza: "i minuti dati statistici intorno agli abitanti, alle forze marittime e terrestri, al governo delle provincie, alle entrate ed alle spese del regno, e la particolareggiata notizia dei disegni di Enrico IV, in uno alla descrizione dei suoi amori e del suo assassinio, delle qualità di Margherita di Valois e di Maria de' Medici reggente allora della Francia, formano un quadro dei più belli che ci abbia lasciato la diplomazia veneziana" (Barozzi - Berchet, p. 445).
A questo giudizio è da aggiungere l'attenta descrizione del porto e dei traffici marsigliesi; fu probabilmente il G. - di cui è accertato l'interesse per la mercatura - a caldeggiare la visita della città; tutta la parte finale della relazione consiste infatti nella descrizione dell'emporio mediterraneo e in una dettagliata analisi del suo sviluppo commerciale, della rete dei traffici, dell'organizzazione daziaria, delle tipologie navali, considerate singolarmente e nei loro effetti complessivi e poste a confronto con la realtà veneziana.
A conferma dell'attenzione del G. per il commercio marittimo sta la sua ripetuta elezione, negli anni che seguirono, a provveditore all'Arsenale (6 ott. 1612 - 31 marzo 1613; 17 ott. 1613 - 31 marzo 1614); il 14 giugno 1614, inoltre, ebbe l'incarico di sovraintendere alla costruzione di una squadra di nuove galee, voluta dal Senato per far fronte alla pirateria degli Uscocchi. Divise questi incarichi con il saviato del Consiglio, ricoperto nell'arco di tempo aprile-settembre degli anni 1611-14 e per il primo semestre del 1615; fu anche savio alle Acque nel 1612, 1614 e 1615, ma non portò a termine quest'ultimo mandato, poiché morì nell'agosto 1615, non nel suo palazzo, ma forse in villa fuori Venezia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti…, IV, c. 205; Avogaria di Comun: G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, I, s.v.Donà Chiara; Segretario alle Voci, Elezioni del Maggior Consiglio, regg. 5, c. 135; 7, c. 193; 8, cc. 7, 10; ibid., Elezioni in Pregadi, regg. 4, cc. 15, 73; 5, cc. 12, 58; 6, cc. 34, 36-37, 51, 85, 95, 104, 119, 127, 134, 145; 7, cc. 3, 44, 48, 59, 88, 95, 103; 8, cc. 2, 4-5, 28, 49, 70, 84, 113; 9, cc. 2, 28, 83; Senato Dispacci, Firenze, f. 1, nn. 1-5; ibid., Francia, f. 42, nn. 6, 23-25, 31-35, 37-42, 56, 64; Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori, bb. 3, n. 21 (Bergamo 1588); 27, nn. 45, 48-54, 63 (Brescia 1607-08); Consiglio dei dieci, Misc. codd., reg. 60, 1° ott. 1603; Dieci savi alle Decime, Redecima del 1582, b. 163/501; Notarile, Atti, reg. 11897, cc. 270r-272r (vendita di una casa al vescovo Francesco Corner, 1588); Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, c. 127r; Mss. Venier, 69: Consegli, 21 dic. 1606; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 833 (=8912): Consegli, cc. 21r, 161r, 162r, 217v, 243v; 834 (=8913), cc. 56r, 58r, 66v, 81r, 130v-131r, 151r, 179r, 238v; 835 (=8914), c. 58v; Relazione dello Stato di Firenze…, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, s. 2, II, Firenze 1841, pp. 354-397 (ed. più fedele con cenni biografici del G. in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, III, Bari 1916, 1, pp. 207-241; 2, pp. 232 ss.); la relazione di Francia, stesa con A. Nani, in Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 2, II, Venezia 1859, pp. 453-501 (notizie biografiche e commissioni, pp. 441-449; rist. in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, VI, Torino 1975, pp. 439-501, con cenni sulla cronologia della missione, a p. XXI); I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1907, p. 12; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XIV, Provveditorato generale di Palmanova, Milano 1979, pp. 139-159; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, pp. 148, 359; III, ibid. 1830, p. 406; V, ibid. 1842, pp. 248, 252, 393; VI, ibid. 1853, pp. 548, 550; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, III, Bergamo 1959, p. 319; D. Montanari, Il credito e la carità, I, Monti di Pietà delle città lombarde in Età moderna, Milano 2001, p. 174.