GRITTI, Andrea
Nacque a Venezia nel 1394, figlio unico di Antonio di Francesco; ignoto è il nome della madre.
Questo ramo della famiglia patrizia risiedeva nella parrocchia di S. Marcuola, a Cannaregio, ed è meno noto dei Gritti di Castello, ma risulta bene inserito nella società veneziana del tempo, sia per le condizioni economiche, sia per le cariche politiche ricoperte. Il padre del G. era stato console a Tunisi nel 1407, compito che per solito si affidava a chi fosse già bene addentro nel mondo della mercatura; è anche probabile che abbia dato al G. un'istruzione più qualificata rispetto a quella che allora si soleva impartire ai giovani nobili, la cui vera palestra era costituita dall'imbarco sulle rotte dei traffici.
Il G. infatti dimostrò per tempo una buona preparazione giuridica e, nel testamento, avrebbe disposto con attenzione dei suoi molti libri; inoltre - altra anomalia - si sposò presto: nel 1412 con una figlia di Michele Malipiero di Pietro e, nel 1429, con Lucrezia Bragadin di Nicolò di Giacomo, anch'essa vedova e madre di un figlio, avuto dal precedente matrimonio con Nicolò Manolesso di Maffeo. Queste duplici nozze si spiegano con il fatto che il G., non avendo fratelli, voleva assicurarsi una cospicua discendenza, e così fu: ebbe infatti quattro femmine e tre maschi.
Non appena raggiunto il requisito dell'età, iniziò la carriera politica, contravvenendo una volta di più alla regola che voleva i Veneziani dedicare i loro primi anni alla mercatura, e solo in un secondo tempo pensare alla famiglia e frequentare le assemblee di palazzo ducale; sappiamo però che il G. disponeva di una galea che percorreva le rotte del Levante e del Mar Nero (nel 1436 risulta adibita al trasporto dei pellegrini in Terrasanta), per cui è probabile che egli seguisse gli affari stando a Venezia e delegando ad altri, parenti o agenti, i viaggi per mare e i contatti con i tradizionali partner orientali.
Giudice del Procurator nel 1418, il 4 maggio 1419 fu eletto castellano a Treviso; dapprima accettò, ma pochi giorni dopo oppose rifiuto, seguendo l'esempio di molti altri; evidentemente la carica non era ambita, forse perché in quel torno di anni Venezia stava procedendo all'annessione del Friuli, e Treviso, posta nelle immediate retrovie della zona delle operazioni, doveva predisporre rifornimenti e alloggi per le truppe in transito.
Le fonti accennano a un Andrea Gritti che fu visdomino al fondaco dei Tedeschi fra l'estate 1418 e il luglio 1419, ma potrebbe trattarsi di un cugino omonimo, figlio di un fratello del padre, Marino, di appena due anni più giovane del G., che infatti talvolta è definito "maior"; l'assenza del patronimico, frequente nei documenti ufficiali, comporta problemi per stabilire le rispettive cariche, specie nei primi anni della carriera dei due cugini, quando ancora le loro competenze non appaiono ben definite.
Si deve pertanto ritenere che fosse ancora il cugino a capo della Quarantia nel novembre 1422, mentre fu il G. a deporre la carica di auditore nuovo delle Sentenze il 28 febbr. 1423; il 31 ottobre fu eletto podestà a Cittanova, in Istria, ma rifiutò nuovamente. Seguirono vari anni di latitanza dalla politica, forse dedicati agli affari e alla famiglia; il G. vi ricompare il 30 marzo 1430, quando fu eletto sopraccomito di una galea del Golfo (la varietà, talvolta stridente, degli incarichi era normale per un patrizio): il giorno prima Salonicco era caduta in mano turca; ovviamente la notizia non era ancor giunta a Venezia, ma la squadra "grossa" era già salpata per l'Egeo al comando di Silvestro Morosini, mentre all'Adriatico (il "Golfo") erano destinate solo alcune galee con compiti di pattugliamento.
Alcuni genealogisti riportano che il G. nel 1431 fu podestà a Rovereto, da poco entrata nei domini della Serenissima; purtroppo né la letteratura né i registri del Segretario alle Voci (questi ultimi mancanti nel periodo 1424-47) confermano la notizia; di certo sappiamo che già nel 1432 il rettore di Rovereto era Paolo Foscolo, per cui, se il G. fu davvero nel Trentino, la sua permanenza durò solo pochi mesi.
Dopo un altro reggimento (a Spalato, nel 1434), il 1° ott. 1438 il G. entrò a far parte della zonta del Senato; il 23 ottobre venne eletto, con Francesco Garzoni e Orio Pasqualigo, provveditore "super facto lignorum", magistratura straordinaria, costituita proprio allora per ovviare alla difficoltà di approvvigionamento di legna da ardere, causata non già dalla mancanza di materia prima, ma dall'interramento dei canali interni lagunari, che costringeva i burchi da trasporto a tenere la via del mare; bassi com'erano e per solito così carichi da procedere con il bordo quasi a pelo d'acqua, nella cattiva stagione (quando maggiore era lo smercio della legna) molti finivano per affondare.
Nel quadro delle difficoltà relative a questo problema (ben presto assurto dal piano della viabilità a quello, ben più delicato e complesso, della salvaguardia lagunare) si inserisce il repentino trasferimento del G. a Vicenza, dove era stato eletto capitano sin dal 21 giugno 1439; da qui, fra settembre e ottobre 1439, ottenne dal Senato la concessione che la sua galea esercitasse il commercio, limitatamente ad alcuni generi, benché la nave fosse a disposizione dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo, che tornava a Bisanzio dopo il concilio di Firenze che aveva virtualmente sancito l'unione tra le due Chiese, latina e ortodossa.
Eletto provveditore alle Biave il 27 marzo 1442, l'anno seguente sostenne un altro rettorato, essendo risultato eletto podestà a Bergamo, il 2 giugno.
La pace di Cavriana, da poco stipulata fra Milano e la Repubblica, era da tutti avvertita come precaria, perciò non sorprende che le principali attenzioni del G. fossero rivolte alle opere di difesa: già il 13 ag. 1443, egli ordinava la distruzione del castello di Almenno (alla confluenza della valle Imagna con la Brembilla), borgo che si era in precedenza schierato con Filippo Maria Visconti. Sembra però che la drastica decisione fosse presa senza previo accordo con il collega capitano, Marco Zen, per cui fra i due rettori sorsero contrasti che finirono dinanzi al Senato. È probabile che a coinvolgere il governo centrale siano state le lamentele di quegli abitanti, così come è difficile supporre che il G. abbia preso una decisione di tal peso, per di più avendo assunto da poco la podestaria senza una precisa indicazione del suo influente predecessore, Gherardo Dandolo, che aveva avuto il compito di organizzare l'intero sistema difensivo della Lombardia veneta.
Rimpatriato, il 27 ott. 1445 il G. entrò a far parte del Senato, e nel 1446 della zonta dei Pregadi, alla quale venne riconfermato anche successivamente; il 2 apr. 1447 fu cooptato nella zonta del Consiglio dei dieci, in occasione del processo contro il cancelliere di Francesco Sforza, Angelo Simonetta, accusato di cospirare ai danni della Repubblica con la collusione di alcuni esponenti del patriziato, per di più legati all'entourage del doge Francesco Foscari, da sempre in ottimi rapporti personali con lo Sforza, che allora stava giocando una pericolosa, quanto infida, partita fra Venezia e Milano. Il processo si concluse in poche settimane con la condanna del genero del doge, il cavaliere Andrea Donà.
Consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio dall'11 febbraio al 30 sett. 1448, in tale veste, il 18 aprile, il G. fece condannare all'esilio a Creta l'ebreo Abbà Del Medigo: provvedimento da collocarsi nell'ambito del movimento religioso antiusurario allora diffuso in tutta la Terraferma veneta, e che aveva nei predicatori francescani i più ferventi sostenitori. Il 24 luglio 1448 il G. risulta far parte del Consiglio dei dieci; quindi fu savio di Terraferma per il primo semestre del 1449, contribuendo alla definizione dei confini disputati tra Bergamo e Brescia, e ancora savio di Terraferma dal 10 nov. 1449 al 31 marzo 1450, dopo di che entrò nella zonta del Senato.
Il 15 marzo 1450, infine, venne eletto provveditore sopra le Camere, un organismo finanziario con competenza sulle città della Terraferma, ma non portò a termine l'incarico: morì infatti a Venezia fra il 5 luglio (data del testamento) e l'11 luglio 1450 (l'indomani fu eletto un successore del G. al provveditorato alle Camere).
Nel testamento, redatto nell'abitazione di S. Marcuola, si dice ammalato e appare assai ricco, dal momento che dispone numerosi legati verso parenti e pie istituzioni; lascia commissari la moglie Lucrezia e i figli, ordinando di essere sepolto nell'arca di famiglia a S. Michele di Murano. Tra le varie clausole, stabilisce la liberazione della schiava Caterina e la vendita di tutti i suoi beni immobili, il cui ricavato dev'essere investito nella camera degli Imprestidi sotto vincolo di fidecommesso; al primogenito Francesco affida inoltre la custodia dei suoi libri di filosofia e letteratura ("omnes meos libros quos habeo in phylosophia morali et naturali, in poesia rhetorica meum codicem, et omnes alios meos libros cuiuscumque facultatis").
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 171; Segretario alle Voci, Misti, regg. 4, cc. 30r, 60v, 89v, 93r, 97r, 115r, 118r, 120v, 125v, 145r, 155r; 13, cc. 12v, 15v, 21r, 166v, 197r; 14, cc. 4r, 9v, 72r; Senato, Misti, regg. 57, c. 204r; 59, c. 176rv; 60, cc. 107r, 170v, 172v; Senato, Terra, reg. 2, cc. 64r, 98v, 122v; Senato, Mar, reg. 3, cc. 56v, 102r, 169r; Senato, Deliberazioni, Secreta, reg. 18, cc. 5r, 24r, 33r, 69r, 132v; Consiglio dei dieci, Misti, reg. 13, cc. 62v, 68r, 102v; Notai di Venezia, Testamenti, b. 923/13; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Lipretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, c. 118v; Mss. P.D., C 751/27; M. Corner, Scritture sulla laguna, a cura di G. Pavanello, in Antichi scrittori d'idraulica veneta, I, Venezia 1919, pp. 29, 31; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 27, 137; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, III, Bergamo 1959, p. 61; Diz. biogr. degli Italiani, LII, p. 431.