GIANNELLI, Andrea
Nacque a Firenze il 30 nov. 1831 da Giuseppe e Clorinda Mariotti, entrambi di modeste condizioni. Avviato agli studi di disegno e di pittura, entrò in contatto con alcuni esponenti del mondo artistico fiorentino (G.B. Romanelli, T. Signorini, A. Baldini) che professavano idee democratiche e patriottiche e lo avvicinarono alla militanza politica. Allo scoppio della guerra contro l'Austria (1848) si arruolò nel battaglione dei volontari toscani, ma non ebbe modo di prendere parte alcuna alle vicende belliche. Appena attestatosi all'Abetone, il suo reparto fu infatti raggiunto dalla notizia della sfortunata conclusione della prima fase delle ostilità e fu costretto a restare sulle montagne pistoiesi per tutto l'inverno fra il '48 e il '49. Rientrato a Firenze e ottenuto il congedo, il G. aderì con entusiasmo alle iniziative promosse dal governo democratico guidato da F.D. Guerrazzi, G. Mazzoni e G. Montanelli, che resse le sorti del Granducato dopo la partenza di Leopoldo II. Fu in quel periodo che egli fece seppur fugacemente la conoscenza di G. Mazzini, alle cui dottrine sociali e politiche sarebbe rimasto legato per tutta la vita. Subito dopo, tramite l'amico pittore A. Filidei, si iscrisse, infatti, a una delle organizzazioni segrete che facevano capo al Mazzini e iniziò un'intensa attività cospirativa.
Coinvolto in alcune manifestazioni patriottiche (lo scoppio di una bomba cartacea in piazza Pitti il 9 febbr. 1850, primo anniversario della Repubblica Romana; l'organizzazione di una protesta popolare, il 29 maggio 1851, in occasione della cerimonia allestita in S. Croce per ricordare i caduti di Curtatone e Montanara; l'attentato contro G. Baldasseroni, capo del governo granducale, nell'ottobre 1852), fu più volte arrestato e condannato ad alcuni mesi di prigione. Sul finire del 1853, dopo la scarcerazione, abbandonò Firenze per Genova, dove entrò in contatto con la folta colonia di emigrati politici riparati negli Stati sardi da ogni parte d'Italia. Pochi mesi dopo, nel maggio 1854, il G. fu tra i partecipanti al tentativo insurrezionale della Lunigiana guidato da F. Orsini, il cui fallimento gli costò un nuovo arresto e la traduzione nel carcere di Genova. Processato dal tribunale della città ligure, fu condannato a tre anni di detenzione che scontò nel carcere di Ivrea. Nel 1857, riacquistata la libertà, tornò a Genova, dove riallacciò i contatti con alcuni esponenti del nucleo mazziniano, in specie quelli toscani (P. Cironi, A. Mordini, G. Civinini), e riprese l'attività politica clandestina cooperando con M. Quadrio nell'organizzazione del moto rivoluzionario che si ebbe a Livorno nell'estate del 1857, in concomitanza con l'iniziativa insurrezionale di Genova e la spedizione di C. Pisacane nel Regno borbonico.
Rientrato a Firenze, il G. fu tra gli animatori della rivoluzione pacifica del 27 apr. 1859 che sancì la fine del dominio lorenese; qualche mese dopo, entrato finalmente in contatto diretto col Mazzini, con il quale iniziò un fitto scambio epistolare (da lui stesso successivamente raccolto nei due volumi delle Lettere di G. Mazzini ad A. G., I, Prato 1888; II, Pistoia 1892), divenne uno dei principali referenti, a Firenze e in Toscana, della Sinistra democratica e repubblicana che si richiamava agli ideali mazziniani. Sul finire dell'aprile 1860, nei giorni che precedettero la partenza della spedizione dei Mille, fu a Genova, dove incontrò G. Garibaldi, ricevendone l'incarico di organizzare un'azione di volontari sul confine umbro.
Nonostante il prodigarsi del G., il tentativo, che doveva servire da diversivo rispetto all'iniziativa meridionale, ma anche sollecitare un moto insurrezionale delle popolazioni pontificie, si rivelò fallimentare. Esso si concretizzò infatti nella creazione della brigata garibaldina "Castel Pucci", la quale però, per la sostanziale ostilità del governo provvisorio toscano di B. Ricasoli e per le indecisioni e le divergenze insorte fra i gruppi democratici, fu alla fine inviata in Sicilia e impiegata almeno inizialmente in attività di retroguardia. In segno di protesta per l'esito che aveva avuto l'intera vicenda, il G. si dimise insieme con altri commilitoni da ufficiale della brigata e, dopo una breve permanenza in Sicilia e a Napoli, fece ritorno a Firenze.
Qui egli si dedicò da allora in poi alla lotta politica quotidiana, cercando di rinsaldare le fila del movimento repubblicano e di propagandare le tesi del mazzinianesimo più intransigente. Peraltro occorre dire al riguardo che su molti temi il G. ebbe posizioni anche più ortodosse e inflessibili di quelle dello stesso Mazzini.
La sua pregiudiziale sulla questione istituzionale, per esempio, fu assoluta e non conobbe mai alcun cedimento. Così, in occasione delle prime elezioni politiche del Regno, contravvenendo alle indicazioni del Mazzini che auspicava l'ingresso in Parlamento di un certo numero di esponenti repubblicani, mise in atto e predicò un rigoroso astensionismo: posizione che non avrebbe di fatto mai più abbandonato per tutto il corso della sua esistenza. Ugualmente, sempre nel 1861, decise di restar fuori dalla Fratellanza artigiana di Firenze, l'organismo che invece il Mazzini indicò ai propri seguaci come modello ideale di associazionismo operaio e al tempo stesso come ottimo strumento di mobilitazione politica.
Organizzatore in Umbria dei Comitati di provvedimento garibaldini, fra il 1861 e il 1862 il G. si recò per due volte a Roma, soggiornandovi clandestinamente per alcuni mesi e tentando di rianimare l'attività dei locali gruppi democratici in funzione di un futuro sforzo insurrezionale. Arrestato e imprigionato nell'agosto 1862, nell'autunno seguente fu rimesso in libertà e tornò a Firenze, dove si immerse nuovamente nel lavoro cospirativo per la liberazione di Roma e Venezia condotto dalle associazioni segrete di matrice mazziniana costituite in quegli anni: dapprima la Falange sacra e poi, dal 1866, l'Alleanza repubblicana universale (ARU), un sodalizio che sarebbe rimasto in vita anche nei decenni successivi come struttura clandestina paramilitare, strettamente collegata alle associazioni repubblicane ufficiali, con lo scopo di promuovere agitazioni e sollevazioni popolari contro la monarchia. Il G. ne fu sempre uno dei membri più attivi e pagò più volte con la prigione e con persecuzioni poliziesche questo suo impegno. Nel 1869, proprio per sottrarsi all'ennesimo arresto, fuggì a Lugano, dove restò in esilio per alcuni mesi a fianco del Mazzini, fino a che un'amnistia per i reati politici non gli consentì di tornare in patria.
"Dopo la morte di Mazzini - ebbe a scrivere nei propri Cenni autobiografici e ricordi politici - la mia esistenza fu sempre armonizzante col mio passato; ma nulla di veramente straordinario, come al tempo in cui viveva il sommo Maestro, m'accadde" (p. 549). In realtà egli ebbe anche in seguito un ruolo di notevole rilievo nelle vicende del movimento repubblicano, sia nelle sue espressioni politiche, sia in quelle economico-sindacali. Dirigente della Consociazione repubblicana toscana fin dal congresso regionale di Lucca del 1873, fu fin dalle origini esponente di primo piano del Patto di fratellanza fra le società operaie, fondato dal Mazzini nel 1871 e rimasto fino al momento della sua dissoluzione, nel 1894, l'organo supremo di coordinamento delle forze democratiche di ispirazione mazziniana.
Durante tutto questo periodo egli fu sempre irriducibilmente ostile a ogni tentativo di aggregare in un'unica organizzazione tutte le correnti della democrazia, da quella repubblicana a quella radicale e socialista, in nome della purezza dei principî mazziniani e del non abbandono della prospettiva di una rivoluzione che fosse destinata a sovvertire l'ordinamento istituzionale. In questa logica già nel settembre 1888 sostenne, insieme col fiorentino L. Minuti, la necessità di una maggiore distinzione fra i compiti sociali ed economici, propri delle associazioni aderenti al Patto, e quelli delle associazioni più precipuamente politiche, che avrebbero dovuto riunirsi in un organismo autonomo capace di dare degna rappresentanza al "partito repubblicano" in Italia. Tale obiettivo venne fatto proprio dal congresso nazionale repubblicano che si tenne a Roma nel marzo 1892 e che fu da lui presieduto.
L'incontro però, se si rivelò un successo dal punto di vista organizzativo, ebbe scarso rilievo pratico. Il permanere di pregiudiziali astensioniste e antiparlamentari rendeva infatti ben difficile il processo di gestazione di una moderna struttura organizzativa di tipo partitico, quale era quella che in quegli stessi giorni stava maturando in seno al movimento socialista italiano. Il G., eletto presidente del comitato centrale provvisorio del costituendo partito repubblicano, incarnava, poi, in pieno le antinomie e le contraddittorie aspirazioni di questa parte della Sinistra democratica, la quale, come testimonia la sua perdurante affiliazione all'ARU, non aveva dismesso neppure le prospettive insurrezionali e la propria vocazione cospirativa.
Nel 1893-94 il G. fu assai critico nei confronti di F. Albani e della sua "eresia" collettivista, che pose fine di fatto all'esperienza del Patto di fratellanza. Qualche anno dopo, nel febbraio 1897, tuttavia, la frattura allora prodottasi fra l'ala repubblicano-socialista e quella mazziniana intransigente si ricompose e il G., in polemica con le posizioni del Partito repubblicano italiano, dette vita con F. Albani, L. Minuti, F. Mormina Penna e altri al Partito mazziniano italiano, rigorosamente astensionista e dichiaratamente collegato all'ARU. Dopo esserne stato eletto presidente e cassiere in occasione del terzo congresso nazionale, tenutosi a Genova nel marzo 1903, il G. si fece però promotore di un'ennesima scissione, che si consumò nell'ottobre 1908. Un congresso svoltosi a Rimini e da lui presieduto decretò infatti la nascita del Partito mazziniano italiano intransigente, che dal febbraio 1909 ebbe come organo ufficiale L'Apostolato mazziniano. Presidente onorario del partito e membro del suo comitato centrale, il G., come direttore del periodico sostenne un'orgogliosa e sempre più puntigliosa difesa dell'ortodossia repubblicana.
Morì a Firenze il 6 giugno 1914.
Tra gli scritti del G. si ricordano: Rivoluzionari ed evoluzionisti, Prato 1887; Prefazione riguardante il lavoro della democrazia toscana specialmentedal 1848 al 1859, premessa alla già ricordata ed., a cura della stesso G., delle Lettere di Giuseppe Mazzini ad A. G., I, ibid. 1888; Propaganda repubblicana. Il Partito repubblicano. Osservazioni, Ancona 1889; Due gite clandestine a Roma negli anni 1861 e 1862, Pistoia 1894; Il dovere presente, Firenze 1895; Aneddoti ignorati ed importanti. Brevi ricordi mazziniani dal 1848 al 1872, ibid. 1905; Cenni autobiografici e ricordi politici, Milano 1925.
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