GHETTI, Andrea (Andrea da Volterra)
Nacque a Montecatini Val di Cecina, presso Volterra, intorno al 1510. Del padre si conosce soltanto il nome, Jacopo. Nel 1524 o 1525 entrò nel convento agostiniano di Volterra dove, intorno al 1532, divenne sacerdote. Durante il capitolo generale di Padova, nel 1533, fu promosso cursore; la promozione al grado di lettore avvenne probabilmente due o tre anni più tardi. Nel 1534 predicava a Vicenza e il 21 luglio 1538 ottenne a Padova il baccalaureato in teologia. Nel maggio dell'anno successivo, durante il capitolo generale di Napoli, fu assegnato come baccelliere al convento agostiniano di Verona. Nella città veneta il G. si legò al vescovo riformatore Gian Matteo Giberti, su incarico del quale tenne alcune prediche.
Fin dai tempi del soggiorno veronese cominciarono a manifestarsi nei confronti del G. quei sospetti e quelle perplessità in materia di ortodossia che lo accompagnarono per quasi tutta la vita; il G. fu infatti sospettato di eresia dal Giberti, riuscendo però subito a discolparsi.
Proprio il Giberti raccomandò il G. al cardinale Ercole Gonzaga, che nell'estate del 1542 chiese con successo al generale agostiniano Girolamo Seripando di avere il G. come predicatore quaresimale a Mantova per l'anno successivo. Poco dopo, il 28 ottobre, il Seripando concesse al G. di poter dimorare e predicare a Trento presso il principe-vescovo Cristoforo Madruzzo. Il G., dunque, fu a Trento durante la prima (fallita) convocazione del concilio, tra la fine del 1542 e i primi mesi dell'anno seguente. Ebbe così occasione di farsi apprezzare non soltanto dal Madruzzo, ma anche da "spirituali" e valdesiani come il cardinale Giovanni Morone e Pietro Antonio Di Capua. Fu in questi mesi, con ogni probabilità, che il G. ebbe una violenta discussione teologica con l'intransigente vescovo di Milopotamos Dionigi Zanettini, soprannominato il Grechetto, acerrimo nemico del cardinale inglese Reginald Pole e della sua cerchia, della quale Morone e il G. facevano parte. Nel suo processo inquisitoriale del 1551 il sacerdote calabrese Apollonio Merenda, già cappellano del Pole, avrebbe ricordato la predicazione trentina del G. accostandola alle posizioni sulla giustificazione sostenute da Marcantonio Flaminio e Pietro Carnesecchi.
Il soggiorno trentino del G. fu interrotto dalla predicazione quaresimale tenuta a Mantova nel febbraio-marzo del 1543. Su questo ciclo di prediche possediamo la testimonianza del mantovano Endimio Calandra, che nei suoi costituti del 1568 dichiarò di averlo udito sostenere dal pulpito non soltanto la dottrina della giustificazione per sola fede, ma anche posizioni ambigue sull'esistenza del purgatorio. Il Calandra disse inoltre che a Mantova il G. gli aveva consegnato la traduzione latina di un catechismo del luterano Justus Jonas.
L'adesione del G. alla dottrina della giustificazione per fede era cosa nota negli ambienti ecclesiastici. Il 2 genn. 1543 il segretario del cardinale Giovanni Salviati, amministratore della diocesi di Ferrara, chiese a un collaboratore di Ercole Gonzaga informazioni sul G., che era stato chiamato a predicare nella capitale estense per l'anno successivo. Lo scrivente aveva udito voci inquietanti sul conto del G.: "Pare che si sia levato romore fra alcuni di questa città, che il detto padre senti di luterano, ma con la molta gratia et anche dottrina sua vadi et sappi sì bene paleare le cose che dice che appena l'huomo se ne accorgie, sin che non è bene impaniato, et finalmente vogliono che la dottrina sua non sia sana, se ben grande". Le preoccupazioni del segretario erano legate soprattutto alla pratica pastorale; la sua lettera infatti si concludeva con queste parole: "Si sa bene che detto frate tiene la opinione che tiene il cardinale Polo et quelli altri circa la giustificatione, ma quando la colorasse in modo che non derrogasse alle opere nostre, forse che ci daria poca noia" (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1913).
Dopo la predica mantovana il G. tornò a Trento, dove si trattenne presso Madruzzo ancora per qualche mese; poi, verso l'estate, trascorse qualche tempo a Verona e a Venezia. Il 14 ott. 1543 il generale gli assegnò come residenza il convento di Firenze. Nella città toscana, il 20 genn. 1544, il G. tenne una predica sul tema della grazia e delle opere, subito dopo data alle stampe a Firenze (Trattato utile del rev. frate Andrea da Volterra sopra la disputa della grazia e delle opere, Bernardo Giunta, 1544). Le dottrine sostenute dal G. in quest'opera gli costarono una denuncia del domenicano senese Ambrogio Catarino Politi all'Inquisizione romana. Perciò, dopo aver predicato la quaresima a Ferrara, il G. dovette difendersi dalle accuse; soltanto nella tarda primavera del 1545 il processo si chiuse con una assoluzione. In una lettera del 3 giugno di quell'anno il generale agostiniano gli scrisse che desiderava averlo come predicatore a Trento, dove stava per aprirsi il concilio. Il G. si trovò quindi per la seconda volta a predicare in quella città, dove, il 20 genn. 1546, gli fu anche conferito il titolo di maestro in teologia. Nel frattempo il Grechetto spargeva veleno sul G., scrivendo contro di lui ai cardinali Alessandro Farnese e Guido Ascanio Sforza. Anche Seripando si rendeva conto del pericolo che il G. correva in ogni momento: all'inizio del 1547 lo ammonì ripetutamente esortandolo a essere più cauto nelle sue prediche e il G. tenne conto di questi avvertimenti: né la predicazione quaresimale del 1547, che tenne a Napoli, né i sermoni pronunciati al capitolo generale agostiniano di Recanati (maggio 1547) suscitarono obiezioni o incidenti. Le traversie del G. ricominciarono però subito dopo. Chiamato dal cardinale G. Salviati a predicare l'avvento del 1547 a Ferrara, il G. non poté farlo a causa dell'opposizione dei domenicani ferraresi, che convinsero il duca dell'inopportunità della sua predicazione. Pochi mesi dopo il G. predicò la quaresima a Venezia, ottenendo un enorme successo di pubblico. Nel settembre 1548 si trovava a Volterra. Poco dopo, nel dicembre, Seripando lo designò come predicatore a Genova per la quaresima seguente.
Dal 1549 al 1551 il G. fu provinciale della provincia agostiniana di Pisa; nonostante i sospetti del S. Uffizio, dunque, il generale agostiniano nutriva una grande fiducia nel Ghetti. Fu proprio Seripando che, l'8 giugno 1549, trasmise al G. l'ordine degli inquisitori generali di presentarsi a Roma; questa convocazione non dovette avere conseguenze rilevanti, se nel 1550 il G. poteva liberamente predicare a Napoli presso l'ospedale dell'Annunziata. Il 20 nov. 1550 Seripando assegnò al G. il pulpito della chiesa bolognese di S. Petronio per la quaresima seguente.
L'incarico era particolarmente prestigioso, dato che a Bologna si sarebbe celebrato in quel periodo il capitolo generale agostiniano. Questa volta, però, Seripando dovette lottare contro l'opposizione del cardinale Marcello Cervini, che proibì al G. di predicare a Bologna (oltre a essere uno degli inquisitori generali, Cervini era anche protettore dell'Ordine agostiniano). Superato l'ostacolo con una certa difficoltà, il G. predicò a Bologna e ottenne un successo enorme. Nell'estate del 1551 fu ospite della duchessa di Ferrara Renata di Francia nella sua residenza di Consandolo e in autunno tornò a Volterra. Nel frattempo il nuovo generale agostiniano, Cristoforo da Padova, aveva cercato di sfruttare il successo bolognese chiedendo per il G. l'incarico di predicatore ufficiale del convento romano di S. Agostino; dovette però cedere il passo a fra' Costantino da Monte San Savino, favorito da Baldovino Del Monte, fratello germano del pontefice Giulio III.
Il 1° dic. 1551 Cristoforo da Padova assegnò al G. la predicazione quaresimale nella chiesa fiorentina di S. Reparata per l'anno seguente. Recatosi a Firenze all'inizio del 1552, il G. tuttavia non poté predicare a causa dell'opposizione di domenicani e gesuiti; proprio come quattro anni prima era accaduto a Ferrara, gli avversari del G. dissero al duca che le sue tendenze filoluterane avrebbero causato disordini. Il duca Cosimo rispose alle proteste del G. dichiarando che l'avrebbe lasciato predicare solo se egli avesse ottenuto una commendatizia firmata dai cardinali inquisitori. Il G. si recò quindi a Roma, dove lesse di fronte agli inquisitori generali un memoriale difensivo che fu accolto con favore, ma il cardinale Cervini intrattenne a lungo il G. e gli espose dettagliatamente le imputazioni che gravavano su di lui. Cervini - scriveva il G. a un amico - gli rimproverava l'amicizia "con un gran personaggio d'Italia, et dico grande […] il quale appresso di Sua Signoria Reverendissima è tenuto con tutti i suoi mal cristiano, per non dire heretico" (Battistini, p. 150; il "gran personaggio" era forse Morone). Probabilmente il G. dovette abiurare come sospetto di eresia, ma alla fine riuscì ugualmente a guadagnarsi la fiducia dei cardinali, che accolsero anche la sua richiesta di predicare in una chiesa romana per dimostrare la propria buona fede. Anche questa volta, però, l'opposizione di fra' Costantino e di Balduino Del Monte impedì la realizzazione dei desideri del Ghetti.
Dopo queste tumultuose vicende il G. si trattenne probabilmente a Roma e forse tornò a Volterra nell'autunno del 1553. Sempre al 1552-53 risalgono probabilmente un soggiorno e una predicazione del G. a Perugia, attestati unicamente dal processo inquisitoriale romano di Lorenzo Davidico. Durante l'avvento del 1553 il G. tornò a predicare a S. Petronio in Bologna. Nella quaresima seguente predicò a Udine, dove ottenne un tale successo che le autorità cittadine chiesero e ottennero dal generale agostiniano che il G. potesse predicare e leggere s. Paolo per un altro anno. Nella primavera del 1554 il G. predicò anche nel territorio di Vicenza, quindi si recò per qualche tempo a Padova e infine tornò a Udine per riprendere il suo incarico. Il 7 luglio però Cristoforo da Padova gli ingiunse di recarsi a Roma presso il S. Uffizio su richiesta degli inquisitori generali. Questa volta il G. dovette subire un lungo processo e una dura prigionia. Le accuse riguardavano specificamente la predicazione udinese, ma è verosimile che tutti gli episodi controversi della vita del G. venissero minutamente riesaminati dai giudici. Ad aggravare la situazione, inoltre, contribuì anche una sua lettera al priore agostiniano di Bologna, sequestratagli al momento dell'arresto (12 sett. 1554), che rivelava una fitta rete di complicità tra confratelli inquisiti dal S. Uffizio. Come risulta dal parere di un consultore dell'Inquisizione romana, il G. fu probabilmente sottoposto a tortura. Il 22 genn. 1557 Cristoforo da Padova ordinò di bruciare i libri sospetti appartenenti al G.; tra essi si trovavano opere di Erasmo, Konrad Pellikan, Sebastian Münster e Antonio Brucioli. Non è nota la data del rilascio del G.; il 28 dic. 1559 era a Volterra, da dove inviava le congratulazioni al neoeletto vescovo di Pistoia, G.B. Ricasoli. Il 1° luglio 1560 fu pronunciata contro il G. una sentenza che gli proibiva di leggere, predicare e confessare, lo privava di voce attiva e passiva e della facoltà di ricoprire incarichi nell'ordine; il G. era obbligato a trasferirsi in un luogo dove potesse essere controllato da vicino, eccetto Ferrara e Bologna, e a ripresentarsi davanti al S. Uffizio dopo due anni.
Dopo la sentenza il G. trascorse ancora qualche tempo a Volterra, dove però, come previsto dalla sentenza, non poté restare. Per i due anni successivi non abbiamo più sue notizie; nell'estate del 1562, scaduto il termine, il G. presentò all'inquisitore generale Michele Ghislieri un memoriale in cui chiedeva una completa riabilitazione. L'anno seguente si trovava a Bologna; non è noto se vi predicò, ma pare che il G. mettesse in giro voci malevole sul conto del gesuita Benedetto Palmio durante la predicazione quaresimale di questo. Nell'ultima fase del concilio di Trento, al quale partecipava al seguito di Seripando, il 19 ag. 1563 il G. prese la parola e pronunciò un'orazione. Nella quaresima del 1564 fu a Milano, dove predicò e partecipò al capitolo generale agostiniano col titolo di definitore della provincia pisana. Anche questa volta sorsero conflitti coi gesuiti, ma furono presto risolti, tanto che il G. poté riconciliarsi con B. Palmio. Tornò quindi a Volterra, dove si occupò dell'amministrazione dei beni del convento.
I suoi problemi col S. Uffizio sembravano ormai risolti e la sua attività di predicatore tornò a essere intensa: nel 1565 predicò la quaresima a Messina, dove rimase fino a settembre su richiesta delle autorità locali. L'anno seguente predicò a Pisa e nel 1567 a Udine (dove le autorità cittadine gli elargirono un premio di 20 talleri) e poi a Firenze, dove il capitolo di S. Lorenzo lo richiese come predicatore per l'avvento e la quaresima del 1569. Il G. predicò l'avvento del 1568 nella chiesa di S. Petronio a Bologna e decise di stabilirsi in quella città, dove conservava molti amici fin dalla sua brillante predicazione del 1551. Non si hanno notizie per il periodo immediatamente successivo, ma è verosimile che il suo progetto si realizzasse, dato che nel 1572 predicò nuovamente in S. Petronio e pubblicò a Bologna il suo Discorso sopra la cura e diligenza che debbono avere i padri e le madri verso i loro figliuoli, sì nella civiltà come nella pietà cristiana (presso l'editore Alessandro Benacci). Durante il soggiorno bolognese il G. svolse la sua attività di predicatore anche presso le suore del monastero domenicano di S. Giovanni Battista. Da documenti più tardi (1574-75) risulta che il G. aveva diffuso tra le suore dottrine eterodosse sull'intercessione dei santi, sull'orazione delle Quarant'ore, sulle indulgenze, sulla Madonna. Il vicario vescovile e l'inquisitore raccolsero testimonianze contro di lui e le inviarono a Roma, ma quasi certamente questa nuova disavventura giudiziaria non ebbe conseguenze. Il G. infatti, lasciata Bologna, si era recato a Volterra, dove poté restare indisturbato nel 1573-74. Durante la quaresima del 1575 predicò a Genova e nel luglio il capitolo del convento fiorentino di S. Spirito lo elesse predicatore quaresimale per il 1576. Nel maggio l'arcivescovo di Pisa chiese al generale agostiniano Taddeo da Perugia di poter avere il G. come predicatore per l'anno successivo. Il 25 ott. 1577 il generale acconsentì alla richiesta del G. di poter rimanere nel convento di Volterra, in considerazione dell'età avanzata e della meritevole attività svolta al servizio dell'Ordine agostiniano. Ormai avanti negli anni, il G. sopravvisse ancora per poco; non è nota la data della sua morte, che dovette comunque avvenire prima del novembre 1578.
Non è facile valutare con esattezza la posizione religiosa del G.; se da un lato è necessario accogliere con molta cautela le inferocite arringhe del Grechetto, dall'altro non è neppure accettabile l'aprioristico assunto della piena ortodossia del G. sostenuto da D. Gutierrez (1951). In realtà il G. aveva fatto sua l'istanza principale della Riforma (la giustificazione per sola fede) e al tempo stesso rifiutava le pratiche di culto del cattolicesimo che riteneva superflue o addirittura dannose, senza tuttavia arrivare mai a un'intenzionale rottura con la Chiesa romana.
Il Trattato del 1544 dava un'esposizione della dottrina della giustificazione per fede con toni e accenti pressoché identici a quelli del Beneficio di Cristo; molto diverso era invece il Discorso del 1572. A parte l'influenza del pensiero pedagogico di Erasmo, che peraltro si accompagnava a forti elogi dell'opera riformatrice intrapresa a Bologna da Gabriele Paleotti, possiamo dire che in quest'opera la posizione del G. emergeva più per ciò che veniva taciuto che non per quanto veniva esplicitamente affermato. Così, tra le orazioni che il G. raccomandava ai fanciulli, non si trovava alcun accenno all'Ave Maria (preghiera immancabile nel catechismo della Controriforma) o ad altre forme di devozione mariana, né venivano menzionati i santi. Un altro particolare degno di nota è il fatto che il dedicatario dell'opera, il patrizio bolognese Gaspare Bocchi, aveva subito una condanna per eresia nel 1549.
Oltre al Trattato e al Discorso il G. compose anche una Interpretatione del Pater Noster, dedicata alla duchessa di Urbino Vittoria Farnese (un esemplare è presso la Bibl. comunale Ariostea di Ferrara, M.601.2).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Trento, Corrispondenza Madruzziana, b. 1, f. 3, c. 73r; Arch. di Stato di Modena, Arch. segreto Estense, Particolari, b. 125; Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, f. 43, c. 8r; f. 46, nn. 141, 163, 164; Roma, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Decreta, I, pp. 18, 22, 25, 28 s., 114, 118, 129, 264; Stanza storica, S.5.c, c. 33v (Processo contro Bartolomeo della Pergola); R.4.c (Processo contro P. Carnesecchi); Bologna, Arch. arcivescovile, Ricuperi attuariali, f. 165; Parma, Bibl. Palatina, Mss. Pal. 1017, c. 2; Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 5468, cc. 67r-68r; Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, ms. B.1860, nn. 76, 201, 202.
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