GHERARDINI, Andrea
Nacque a Firenze dopo il 1495 (dichiarava di avere meno di diciotto anni il 28 genn. 1513) da Lorenzo di Bardo, notaio, e da Alessandra di Francesco Benincasa.
La famiglia Gherardini, originaria di Montelupo (nei pressi di Firenze), si era trasferita in città prima del 1424, ma mantenne sempre forti legami con la zona di origine, da cui proveniva parte della clientela del padre del G. e in cui la famiglia continuò ad acquistare case e terre fino alla fine del XV secolo. La loro collocazione sociale, testimoniata dalle "portate" ai Catasti quattrocenteschi e dalla decima del 1498, era tra le famiglie del ceto medio, generalmente impegnate nella vita pubblica. I Gherardini invece non ebbero alcun ruolo nella vita politica di Firenze e l'unico a ricoprire qualche incarico minore fu il padre del G., notaio delle Prestanze nel 1500 e delle Dogane nel 1501. Nonostante Lorenzo affiancasse l'esercizio di cariche retribuite (gli uffici maggiori erano gratuiti) alla libera professione, le condizioni economiche della famiglia subirono un progressivo decadimento proprio nel periodo coincidente con la vita del Gherardini. Non furono probabilmente estranee a ciò le frequenti spartizioni ereditarie; infatti negli anni compresi tra il 1498 e la morte del G. non si ebbero praticamente acquisizioni fondiarie e vi furono invece alcune alienazioni, talvolta finalizzate a pagare i debiti.
Il G. fu emancipato dal padre con atto del 28 genn. 1513 allo scopo di entrare in possesso della sua quota di eredità della madre, morta ab intestato poco prima. Le circostanze in cui egli entrò in possesso dei beni, subito rivenduti a Matteo Botti, finanziere fiorentino con cui aveva presumibilmente dei debiti, condussero a una lunga controversia giudiziaria, finita dopo circa un decennio con la perdita definitiva di tali beni.
Morto il padre nel 1527, il G. andò a vivere con il cugino Alessandro di Neri Gherardini. Nel 1529 ereditò dalla famiglia materna una villa a Miralbello, presso Scarperia.
Le circostanze in cui maturò la decisione di dedicarsi all'esercizio delle armi non sono note. Nell'enumerare i capitani fiorentini impegnati nel periodo 1529-30 nella difesa della città, Luigi Passerini afferma che essi avevano tutti compiuto il loro apprendistato sotto la guida di Giovanni de' Medici, nelle mitiche bande nere, ma questa affermazione, certamente vera in generale, non è suffragata, nel caso del G., da alcun riscontro documentario; l'unico fatto che potrebbe autorizzare a supporre l'esistenza di rapporti con il celebre condottiero è la frequente presenza del G., almeno fin dal 1520, nella casa di campagna presso Scarperia, luogo molto vicino alla villa del Trebbio, teatro degli otia di Giovanni dalle Bande Nere.
La prima occasione in cui il G. fu impegnato come uomo d'arme e capitano di fanteria risale al maggio-settembre 1529.
Il governo repubblicano, nato dal rivolgimento istituzionale dell'aprile 1527, aveva deciso, pur tra molti dubbi e obiezioni, di ripristinare la milizia popolare che a Firenze aveva fatto il suo debutto nel 1509-12 per ispirazione di N. Machiavelli e che era stata soppressa al ritorno dei Medici a Firenze nel 1512. Quando si diffuse la notizia del trattato di Barcellona tra papa Clemente VII e l'imperatore Carlo V e si ebbe presagio di un prossimo attacco congiunto contro Firenze, che nel frattempo era stata abbandonata al suo destino dal re di Francia, suo principale alleato, ci si affrettò a estendere l'arruolamento militare anche ai territori soggetti: a tale scopo il dominio fu diviso in trenta distretti, in ognuno dei quali fu reclutato un reparto di fanteria, detto bandiera, da affidarsi per l'addestramento a un capitano fiorentino o mercenario. In un primo momento il G. non fu coinvolto nell'operazione: soltanto nel maggio 1529 fu inviato a Lari, uno dei distretti, per completare la preparazione del reparto ivi reclutato e affidato in precedenza a Niccolò Carducci. A Lari il G. rimase fino a tutto settembre, con un compenso di 110 fiorini l'anno. Alla fine di settembre, essendo ormai la città stretta dall'assedio delle truppe imperiali e constatata l'impossibilità di difendere tutto il territorio soggetto, si decise di richiamare a Firenze le truppe operanti sul territorio, lasciando munite solo alcune piazzeforti ritenute di vitale importanza per la città, come Empoli, Prato, Volterra.
Pochi giorni dopo, ai primi di ottobre del 1529, "il capitan Gherardino", come il G. veniva chiamato, tornò quindi a Firenze con le sue truppe e da allora fino alla capitolazione del 12 ag. 1530 fu impegnato nella difesa delle mura della città. Con provvedimento tardivo, il 6 ag. 1530, quando ormai si profilava imminente la resa, il governo fiorentino, "considerato con quanta fede i capitani di fanteria che si trovano in Fiorenza al servitio della Eccelsa Repubblica Fiorentina habbino sopportato e sopportino el presente assedio […]", provvedeva a stabilizzare capitani e soldati impegnati nella difesa della città e a fissarne la paga sulla base del numero dei fanti ai loro ordini: al G., che comandava una squadra di 180 fanti avrebbe dovuto spettare un compenso di 18 fiorini. Di lì a pochi giorni la resa della città privò di qualsiasi effetto il provvedimento.
Dopo la capitolazione la Balia che aveva assunto provvisoriamente la guida della città decretò la non punibilità dei capitani e dei soldati che avevano militato a favore della Repubblica. Non così avvenne agli avversari politici dei Medici, che in gran numero presero la via dell'esilio.
I fuorusciti, che dai vari luoghi aspettavano l'occasione per tentare un colpo di mano su Firenze, trovarono ben presto il principale punto di riferimento in Filippo Strozzi. Il momento tanto atteso sembrò giungere quando ai primi del 1537 il duca Alessandro morì per mano del cugino Lorenzo de' Medici e il gruppo di ottimati più vicini ai Medici chiamò a succedergli il giovanissimo Cosimo de' Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere. Nel luglio 1537 i principali esponenti del fuoruscitismo fiorentino si riunirono a Montemurlo, presso Prato, ove si disposero ad attendere l'arrivo di Piero Strozzi, figlio di Filippo, alla testa di un esercito arruolato con l'aiuto del re di Francia.
Essendosi diffusa anche a Firenze l'aspettativa di un prossimo colpo di mano, alcuni fiorentini, tra cui il G., lasciarono clandestinamente la città per unirsi agli esuli. Ma tali movimenti non erano sfuggiti a Cosimo, che li fece assalire di sorpresa la notte del 31 luglio 1537 da un forte esercito, comandato da Alessandro Vitelli, prima che essi potessero riunirsi alle truppe di Piero Strozzi. Tra i primi a essere catturato e condotto prigioniero a Firenze fu il Gherardini. Interrogato, al pari degli altri prigionieri, dal bargello, fu costretto a confessare di essersi unito ai nemici del nuovo regime; fu pertanto condannato a morte e decapitato il 4 ag. 1537. Insieme al G. lasciarono la testa sul patibolo Giovan Battista Giacomini e Leonardo Ringhiadori. I suoi pochi beni furono sequestrati e venduti a beneficio del Fisco.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Decima repubblicana, 8, c. 108v; 166, c. 10; Decima granducale, 3576, c. 73; 2239, c. 213; Consiglio di Giustizia, 316, cc. 37 ss.; Notarile antecosimiano, 20721, c. 32v; 21125, c. 132; 2093, c. 59; 597, c. 240v; 8885 (lettera di M. Botti al G.); Carte Peruzzi, 175; Tratte, 174, c. 277; Dieci di balia, Deliberazioni, condotte e stanziamenti, 65, cc. 341, 445v, 515; 66, cc. 32, 121, 145, 175v; 67, c. 122; Ibid., Giornali, 42, c. 38; Ibid., Debitori e creditori, 69, c. 106; Ibid., Notificazioni di querele, 1, c. 19; Nove di ordinanza e milizia, Giornali, 9, c. 32v; 10, c. 51v; Capitani di Parte, Numeri rossi, 110, passim; Carte Strozziane, s. 1, 98, c. 229; Otto di guardia e Balia del principato, 16, c. 108; Manoscritti, 126 (Settimanni, Diario, II, c. 110v); G. Busini, Lettere a Benedetto Varchi sopra l'assedio di Firenze, Firenze 1861, p. 118; Francesco Ferruccio e la guerra di Firenze, Firenze 1889, p. 484; A. Lapini, Diario fiorentino, Firenze 1900, p. 345; A. Ademollo, Marietta de' Ricci ovvero Firenze al tempo dell'assedio, IV, a cura di L. Passerini, Firenze 1845, p. 1297.