FRANCHI, Andrea
Figlio di Francesco, mercante a ritaglio, nacque a Pistoia nel 1335.
Nel 1351 entrò nell'Ordine domenicano; intorno al 1357-58, o al più tardi nel 1360, venne ordinato sacerdote; in seguito compì studi in filosofia e teologia presso lo Studium Sacrae Curiae di Roma.
Nel 1370 venne eletto priore del convento di S. Domenico di Pistoia; successivamente fu superiore di quello di S. Romano a Lucca e, nel 1373, di quello di S. Domenico a Orvieto. Inviato nuovamente l'anno seguente al convento di Lucca, dove secondo il Taurisano (p. 52) celebrò anche il capitolo provinciale, si trovava ancora lì quando papa Gregorio XI vi inviò Caterina da Siena per far sì che la Repubblica di Lucca non aderisse alla lega militare che, organizzata da Firenze per resistere alla pressione del pontefice, portò poi alla guerra detta degli Otto santi (1375-78). Rientrato a Pistoia, il F. tornò a occuparsi, come correttore e padre spirituale, della Compagnia dei magi che egli stesso aveva ricostituito, riedificandone anche l'oratorio, e che in precedenza aveva lasciato per dedicarsi alla predicazione.
Il culto dei magi, di cui sono testimonianza le raffigurazioni esistenti nel convento di Pistoia, si colloca nell'ambito di quella devozione per il Gesù Bambino che rappresentò un tema di rilievo dell'azione degli Ordini mendicanti. La Compagnia dei magi, fondata nel 1310, deriverebbe secondo alcuni dalla "milizia di Gesù Cristo", che tradizionalmente si ritiene istituita dallo stesso s. Domenico nel Tolosano. Secondo Meersseman, invece, quest'Ordine sarebbe sorto nel corso della lotta contro gli Albigesi, e approvato da papa Onorio III nel 1221, e non avrebbe alcun rapporto con Domenico di Guzmán.
Il F. successe nella diocesi della sua città natale a Giovanni Vivenzi, forse anche per le pressioni in suo favore esercitate dal clero e dal Comune di Pistoia e per l'interessamento del fratello Bartolomeo, che era protonotario apostolico e segretario di Urbano VI. Non è sicura la data della sua nomina che, a parte l'Ughelli che la fa risalire al 1377, viene dai più collocata fra il 1381 e il 1383, nel pieno quindi della crisi dello scisma d'Occidente (1378-1418). Come vescovo della diocesi di Prato e Pistoia conservò sempre lo stile di vita monacale, vestendo l'abito domenicano, e divise le sue rendite in tre parti, rispettivamente destinate alla riparazione delle chiese, ai poveri e al proprio sostentamento. Nel corso della sua attività pastorale compì numerose visite a chiese, monasteri e luoghi pii della diocesi, fece inoltre erigere una cappella in onore di s. Niccolò nel palazzo vescovile, e nel 1386, con la diffusione nella città di Prato del culto della sacra cintola della Vergine, fece collocare la reliquia nel duomo cittadino in una nuova cappella da lui stesso fatta edificare e poi affrescare da Agnolo Gaddi. Il Guidi (p. 39) riferisce che nello stesso anno partecipò, su richiesta dell'abate del monastero di S. Michele in Forcole di Pistoia, a un'accesa controversia in merito alla chiesa in cui si sarebbe dovuta tenere la funzione battesimale, controversia sorta fra i canonici del duomo e gli operai dell'Opera di S. Jacopo, l'importante istituzione che, oltre a curare il culto del santo titolare, custodiva parte del tesoro e dell'archivio del Comune. Proprio per la cappella di quest'Opera lo stesso F. ottenne, nel 1395, un'indulgenza permanente detta della Porziuncola o di Pistoia, che accelerò la crescita del patrimonio dell'istituzione e il 22 giugno 1399 consacrò in duomo l'altare argenteo di S. Jacopo.
La fama del F. tuttavia è legata soprattutto al sostegno e all'incoraggiamento da lui dati al movimento penitenziale dei bianchi che nell'agosto del 1399 raggiunse Pistoia.
Diffusasi fra maggio e giugno nell'area ligure-piemontese, la "grande devozione" dei bianchi si era via via propagata a varie città italiane. Sorretta dalla gerarchia, preoccupata per il grave persistere dello scisma - che aveva determinato grande smarrimento nella Cristianità e grave disordine nelle stesse strutture della Chiesa -, nonché dalle autorità locali, la devozione consisteva in una sorta di pellegrinaggio della durata di nove giorni, nel corso dei quali i fedeli, scalzi e vestiti di bianco, con una croce vermiglia sulle spalle gli uomini, sulla testa le donne, seguivano in processione il crocifisso, gridando frequentemente "misericordia e pace", cantando lodi e orazioni, senza dormire "in terra murata" né spogliarsi della veste bianca, non mangiando carne e digiunando il sabato, e sentendo ogni giorno la messa con predica.
Nella sua Cronaca il pistoiese Luca Dominici racconta che il F., dopo aver partecipato alla cerimonia che si tenne il 15 agosto nel duomo di Pistoia - nel corso della quale furono liberati dodici carcerati -, celebrò la solenne messa in occasione della grande processione che si svolse il 17 agosto e che attraversò la città intera. Durante la funzione il F. raccomandò, a chi non avesse ancora provveduto, di riappacificarsi con il nemico, mentre i condannati a morte e tutti i carcerati vennero liberati e condotti dinanzi al vescovo. Il giorno dopo riunì nella sacrestia del duomo le autorità cittadine per porre fine agli odi fra le diverse famiglie pistoiesi e del contado. Il 26 agosto i bianchi, accolti dal vescovo, deposero nel duomo il crocifisso di Ripalta, che avevano portato in processione e che il 3 settembre seguente ricondussero alla chiesa di Ripalta. Nel corso della stessa cerimonia il vescovo, dinanzi al popolo riunito nella piazza, si congratulò e raccomandò a tutti perseveranza e pace.
In occasione di una seconda processione di bianchi, tenutasi il 10 settembre dello stesso anno, il F. fondò una nuova compagnia religiosa, detta degli scalzati che infondeva maggiore drammaticità alla devozione con il timore della morte imminente, legato all'avvicinarsi e al diffondersi di una nuova epidemia di peste che di lì a poco avrebbe duramente colpito anche Pistoia. Durante l'imperversare della pestilenza il F. si prodigò, nonostante l'età e le precarie condizioni di salute, in un'intensa attività pastorale.
Ormai vecchio e ammalato, rinunciò, nel 1400, al vescovado, che venne assegnato al nipote Matteo Diamanti, ma a lui fu assicurata una pensione annua di 300 fiorini sulle rendite dell'episcopio. Ritiratosi quindi nel convento di S. Domenico di Pistoia, vi morì il 26 maggio 1401.
Con il testamento del 6 giugno 1400 aveva disposto l'acquisto dall'Opera di S. Jacopo e da Michele del Ceppo di due pezzi di terra in Piuvica per conto delle monache del monastero di S. Lucia, che con questa rendita dovevano celebrare la festa annuale di S. Domenico.
Della sua attività pastorale rimangono alcune costituzioni sinodali, emanate nel 1386, un ciclo di Lectiones in festo Coronae Spineae (edite queste ultime dal Guidi, pp. 105-108, e dal Taurisano, pp. 201-204).
La locale devozione per la figura del F. era ancora diffusa in età moderna quando furono intrapresi, ma senza esito, due tentativi per condurre a termine il processo di beatificazione prima nel 1613 e poi nel 1748, dopo che nel 1725 il papa domenicano Benedetto XIII aveva fatto collocare nella cappella di S. Domenico nella chiesa della Minerva a Roma la statua del F. (atti prodotti a tal fine si trovano nella Raccolta Rossi Cassigoli, presso la Biblioteca nazionale di Firenze). Soltanto il 21 nov. 1921 fu emesso il decreto che riconosceva in ambito locale legittimo il culto del vescovo pistoiese.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pistoia, Documenti vari, 16, II: Vacchettone Fioravanti; Ibid., Priorista, Familiario Franchi, vol. 9; Ibid., Opera di S. Iacopo, vol. 5; L. Dominici, Cronaca della venuta dei bianchi e della moria, a cura di G.C. Gigliotti, in Rer. Pistor. Script., I, Pistoia 1933, pp. 77 s., 89, 92, 100, 289; II, ibid. 1937, p. 291; M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d'Italia, II, Pistoia 1657, pp. 159 s., 198; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, p. 306; I.M. Fioravanti, Mem. stor. della città di Pistoia, Lucca 1758, pp. 331, 337 s., 341-343; A.M. Rosati, Memorie per servire alla storia dei vescovi di Pistoia, Pistoia 1766, pp. 121-126; G.M. Guidi, Vita del beato fra' A. F. dell'Ordine di s. Domenico, vescovo di Pistoia, Pistoia 1839; A. Chiti, Il vescovo A. F., in Bull. stor. pistoiese, XXIV (1922), pp. 148-158; I. Taurisano, Il beato A. F. vescovo di Pistoia, Roma 1922; A. Chiti, "Franchi", non "Franchi-Boccagni", in Bull. stor. pistoiese, XLII (1940), pp. 130 s.; I. Ducceschi, Indice delle visite pastorali dei vescovi Giovanni Vivenzi e A. F. (1372-1386), ibid., LXXIV (1972), pp. 129-136; D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento, Firenze 1972, pp. 277-279; G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia d'Italia (Einaudi), II, 1, Torino 1974, pp. 858-864; G. Meersseman, Le Confraternite di S. Domenico, in Ordo fraternitatis, II, Roma 1977, pp. 578-627; J. Quétif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum…, I, pp. 717 s.; T. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevii, I, Romae 1970, pp. 68 s.; L. Gai, L'altare argenteo di S. Iacopo nel duomo di Pistoia, Torino 1984, pp. 144, 173; Bibl. sanctorum, V, coll. 1245-1248; Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XVIII, coll. 581 s.