FOSCOLO, Andrea
Nacque a Venezia nei primi mesi del 1450, secondogenito di Girolamo di Andrea, del ramo a S. Vio, e di Chiara Garzoni di Andrea, titolare di un banco ricco e prestigioso.
Non v'è traccia, tuttavia, di ricchezze nella giovinezza e nei primi anni della maturità del F., forse anche a motivo della prematura scomparsa del padre; nessun indizio di eventuali suoi interessi nel settore della mercatura, nessun ricordo di viaggi lungo le rotte del Mediterraneo.
Preferì (o dovette) invece trovare un impiego sicuro nell'amministrazione statale, per cui, non appena entrò in possesso del requisito dell'età, il 10 aprile 1476 assumeva la carica di camerlengo a Pago, a sud del Quarnaro. Rimase nell'isola circa tre anni e mezzo. Rimpatriato nel settembre 1479, proseguiva questa carriera di basso profilo entrando, qualche anno più tardi, camerlengo a Bergamo, dove visse dal 1° marzo 1484 al 4 novembre 1487.
Dopo questo periodo venne eletto alla Quarantia e, tra il luglio e il settembre 1489, risulta tra i capi della stessa: si attuava in tal modo per lui il passaggio dal settore finanziario a quello giuridico, preludio all'ingresso in Senato. In seguito il F. divenne giudice di Petizion (6 apr. 1490-3 luglio 1491); si recò nuovamente nella Lombardia veneta come provveditore a Orzinuovi (16 ag. 1496-26 genn. 1498).
Era un settore delicato e importante dove, di lì a poco, la Repubblica avrebbe realizzato la conquista di Cremona e della Ghiara d'Adda. È probabile che il F. abbia dato buona prova di sé nell'organizzazione delle truppe e nel rafforzamento dell'apparato difensivo della fortezza, dal momento che, una volta tornato fra le lagune, gli incarichi che il governo marciano gli avrebbe affidato sarebbero stati, per diversi anni, ancora di natura militare e di notevole importanza.
Il 1499 (anno in cui fallì il banco dei Garzoni) segna un balzo di qualità nella vita e nella carriera politica del F.: il 26 marzo veniva eletto capitano della "muda" di Aigues-Mortes, senonché lo scoppio delle ostilità con i Turchi - poi protrattesi sino al 1503 - impedì la partenza dei convogli, le cui navi furono destinate a rafforzare la flotta militare. Il 17 settembre il F. era così nominato fra i governatori delle galere grosse: dopo l'infelice condotta del comandante in capo, Antonio Grimani, la sorte delle armi venete parve riprendersi sotto la più energica guida di Melchiorre Trevisan, ai cui ordini militò il F., spostandosi tra lo Ionio e l'Egeo, da Corfù a Egina.
Nel dicembre dello stesso anno egli figura tra i capi di squadra che mossero all'attacco di Cefalonia, la cui fortezza però si rivelò inespugnabile; quindi svernò a Corfù e, nel maggio 1500, manovrava lungo le coste della Morea, al comando di una galera sottile. Un mese dopo il Trevisan lo inviava a portare rinforzi a Modone, minacciata dai Turchi; poi, il 5 agosto, il nuovo comandante provvisorio dell'armata, Girolamo Contarini, lo nominava vicecapitano delle galere grosse, e con queste il F. partecipò all'attacco di Tenedo (settembre 1500) e ancora di Cefalonia, assieme alla flotta spagnola guidata da Gonzalo de Cordoba (novembre-dicembre). Caduta l'isola in mano veneziana, il F. prese parte anche alla conquista di Zonchio, nel Peloponneso, dove passò l'inverno 1500-1501.
Le operazioni militari della primavera successiva conclusero di fatto la guerra e di lì a poco il F. venne proposto per il bailaggio a Costantinopoli. La carica era difficile, ma ambita perché lucrosa: il nome del F. fu ballottato più volte (21 gennaio 1504, 28 luglio e 3 settembre 1506), ma fallì ogni volta l'elezione e dovette accontentarsi della nomina al più tranquillo incarico di savio alle Decime (27 aprile 1505).
Non era ancora giunto al termine del mandato, quando riuscì finalmente a ottenere il bailaggio, il 27 marzo 1507.
S'imbarcò a fine anno, essendo del tutto tranquilli i rapporti veneto-turchi, poiché il sultano era impegnato a Oriente contro i Persiani; l'unico strascico della passata guerra era costituito dal rilascio dei prigionieri: pertanto i turchi avevano fatto sapere che se il nuovo bailo non avesse portato con sé 15.000 ducati, i malcapitati sarebbero stati segati vivi, come prevedeva il costume islamico.
Il F. giunse nel Bosforo agli inizi di aprile del 1508, in tempo per assistere alla conclusione della pace tra il sofì di Persia e il sultano Bayazid II, ma qualche tempo dopo sopraggiunse la notizia della disfatta patita dalla Repubblica ad Agnadello.
Per un attimo sembrò prender corpo l'ipotesi di un'alleanza turco-veneziana: all'inizio di settembre il Sanuto ammetteva che le notizie inviate dal F. erano "molto bone, immo perfettissime", sicché "il Signor turco vol esser nostro e far quello si vol". Non se ne fece nulla, invece, e ben presto il sultano cominciò a tergiversare, adducendo sopravvenute complicazioni politiche con i Valacchi, quindi un terremoto nella stessa capitale, infine (6 marzo 1510) un incendio nel palazzo reale. È ancora il Sanuto a informarci che "se impiò focho nel Seragio vechio dil Signor e si brusò dentro tutto, perché per esser di note li eunuchi non volseno aprir le porte a esser ajutati"; seguirono altri mali: carestie, rivolte, lotte fratricide per l'ormai imminente successione al trono tra i quattro figli del sultano.
Ne derivò la paralisi politica e, dunque, l'inazione del bailo ("qui non se fa fazende", commentava nel gennaio 1511), al quale non rimase che osservare e registrare gli avvenimenti che si succedevano davanti a lui, affidandoli alle numerose lettere indirizzate al fratello Pietro e sovente riportate, o parzialmente riprese, dal Sanuto.
Ottenuto infine il rimpatrio nel gennaio 1512, giunse a Venezia il 29 ottobre, dopo quasi cinque anni di assenza. Il Senato ora guardava all'Italia, alla Padania; per questo, forse, l'accoglienza che gli venne riservata non fu delle più calorose: presentatosi in Collegio a riferire, il 16 nov. 1512, "li fo dito tornasse un'altra matina" (Sanuto).
Rientrò dunque senza applausi, ma ricco. Lo provano l'offerta di denaro alla patria per la difesa di Padova e Treviso (25 ott. 1513), l'elezione tra i savi all'Estimo cittadino (29 dic. 1513), quella ancor più prestigiosa alla doviziosa magistratura dei provveditori al Sale (1° nov. 1524).
Tra l'aprile 1513 e il 20 genn. 1517 il F. aveva sposato Caterina, figlia di Giovanni Frangipane, conte di Veglia e Segna. Venezia s'era annessa l'isola del Quarnaro nel 1480, costringendo il conte a risiedere tra le lagune e a maritare la figlia con un patrizio della Dominante, nella circostanza scelto nella persona di Francesco Dandolo. Morto costui di peste, nel 1510, il F. aveva dunque pensato bene di sposarne la vedova, onde far sua la cospicua dote.
Il matrimonio rimase però sterile e Caterina gli premorì, condannando all'estinzione questo ramo dei Foscolo; un senso di sfiducia, quasi di risentimento serpeggia nell'ultimo testamento del F., redatto nel maggio 1527 a S. Marziale. Qui egli morì, il 22 apr. 1528, e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco della Vigna.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, p. 573; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 164: Balla d'oro, c. 173r; ibid., b. 159/1: Necrologi di nobili, sub 22 apr. 1528; Ibid., Notai di Venezia. Testamenti, b. 50/19; b. 201/14; Ibid., Segretario alle Voci. Misti, regg. 5, c. 22v; 6, cc. 19v, 85r, 106v, 117v, 130r; 9, cc. 18v, 20r, 26v; 16, sub 3 luglio 1491; Ibid., Maggior Consiglio. Deliberazioni, reg. 23: Regina, c. 172v; reg. 24: Stella, cc. 103v, 165v; Ibid., Senato. Deliberazioni. Secreta, reg. 34, c. 42r; Ibid., Senato. Terra, reg. 10, cc. 153r, 160r, 161r, 169r; Ibid., Segretario alle Voci. Elez. Pregadi, reg. "A", cc. 48r, 52r, 90r; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di ambasciatori, b. 1, nn. 15-16; Ibid., Provveditori al Sal, b. 64/10, cc. 78r-113v passim.
Cfr. inoltre: M. Sanuto, I diarii, II-XXVI, XXVIII-XXIX, XXXII-XXXIII, XXXVII-XL, XLII, XLVI, XLIX, Venezia 1879-97, ad Indices; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, p. 446; G. Cogo, La guerra di Venezia contro i Turchi (1499-1501), in Nuovo Archivio veneto, XVIII (1899), pp. 352, 372.