FERRARI, Andrea
Nacque a Lalatta di Palanzano (Parma) il 13 ag. 1850, primogenito dei quattro figli di Giuseppe e di Maddalena Longarini. La famiglia Ferrari apparteneva al ceto dei coltivatori diretti e godeva di una certa agiatezza; ma il padre del F., risultato inabile al lavoro nei campi a causa degli esiti di una frattura ad un piede riportata in giovane età, dovette adattarsi al mestiere di calzolaio.
Dopo aver compiuto gli studi elementari, nel 1861il F. fu inviato a Parma, dove risiedevano due zii paterni sacerdoti, Abbondio e Pietro. Ospite di quest'ultimo continuò gli studi come alunno esterno del seminario diocesano. Concluse con successo gli studi secondari nel 1869 (frattanto il 18 sett. 1866 aveva ricevuto la tonsura e i primi due ordini minori), entrando poi in seminario per compiervi il corso di teologia. Fu ordinato sacerdote dal vescovo di Parma, monsignor D. M. Villa, il 13 dic. 1873 e subito gli fu affidata, dal 5 febbr. 1874, la cura della parrocchia extraurbana di Mariano di Parma (allora frazione di San Lazzaro). Vi rimase qualche mese, poi dal luglio venne nominato coadiutore dell'arciprete di Fornovo di Taro.
Nell'autunno 1875 il vescovo lo richiamò nel seminario con gli incarichi di vicerettore e insegnante di matematica e fisica nel liceo. Il 27 sett. 1877 fu nominato rettore e dáll'ottobre 1878 salì sulla cattedra di teologia dommatica; il 7 gennaio successivo divenne canonico della cattedrale. Quando in applicazione delle direttive dell'enciclica papale Aeterni Patris del 4 ag. 1879, il 7 marzo 1880 fu eretta a Parma l'Accademia di S. Tommaso, il F. ne divenne l'anima e fu il principale collaboratore dell'EcodiS. Tommaso, periodico sul quale si batté contro le dottrine rosminiane. Il 6 dic. 1882 egli conseguì il dottorato nel collegio teologico di Parma; dall'ottobre 1883 ebbe la cattedra di teologia morale nel seminario, fu nominato teologo collegiato della facoltà parmense e censore ecclesiastico della diocesi; il 13 ott. 1884 divenne teologo diocesano; il 25 nov. 1885 provicario del nuovo vescovo di Parma, L. Miotti, nel 1888 esaminatore prosinodale.
Dall'esperienza di insegnamento nel seminario era frattanto nata la Summula theologia dogmaticae generalis (Parmae 1885, 2 ediz. ibid. 1888, 3 ediz. Como 1894), un manuale senza pretese improntato alla teologia scolastica, in cui sosteneva il primato e l'infallibilità papale, e, in morale, richiamandosi allInsegnamento di F. Suarez, di G. Diaz de Lugo e soprattutto di s. Alfonso de' Liguori, utilizzava il metodo casistipo.
Il 23 giugno 1890 fu nominato da Leone XIII vescovo di Guastalla e, dopo un blando tentativo di rifiuto, fu consacrato a Roma il 29 giugno. Entrò nella diocesi assegnatagli il 30 ottobre, accolto con diffidenza da una borghesia largamente impregnata di anticlericalismo e da un proletariato urbano e rurale in cui aveva attecchito facilmente la propaganda socialista.
Mostrando subito un metodo pastorale divenuto inconsueto, iniziò la visita della diocesi; ma, dopo soli sei mesi, il 20 aprile 1891 gli venne comunicato il trasferimento alla diocesi di Como, che comprendeva territori compresi anche nella provincia di Sondrio.
Il 25 ottobre entrò in Como, trovandosi a contatto con una realtà molto diversa da quella di Guastalla (qui aveva governato una diocesi di 319 km2 , 53.000 abitanti, 26 parrocchie e 70 preti; ora dovette occuparsi di un territorio di 4692 km2 , 282.000 abitanti, 314 parrocchie, oltre 500 ecclesiastici).
Lamentò subito la scarsità del clero, per cui dedicò grandi cure al seminario e alla preparazione degli insegnanti, che volle tutti laureati nella disciplina che insegnavano. Il 24 apr. 1892 iniziò la visita pastorale della diocesi: trascurando la propria preparazione e il proprio aggiornamento culturale, il suo ideale di vescovo si realizzava nel contatto con i fedeli per poter trasmettere loro un messaggio religioso semplice ma efficace: il pastore si prende cura del suo gregge, il rapporto di unità nella Chiesa si fonda sull'amore con cui la gerarchia guida i fedeli verso la salvezza. Su questa linea si mostrò intransigentemente severo con i sacerdoti indegni o indisciplinati.
Quando era arrivato a Como, una diocesi in cui molto attivo era l'associazionismo cattolico, il F. non aveva una grande sensibilità per l'azione politico-sociale: cresciuto in un ambiente dominato dall'intransigentismo religioso di monsignor Villa, egli aveva accolto dal Miotti, un vescovo aperto alle idee conciliatoriste di G. B. Scalabrini e G. Bonomelli, soltanto un'attitudine più pragmatica nei confronti della questione temporale: secondo lui il problema dell'indipendenza del papa doveva essere risolto non con il ricorso alle armi straniere, ma per volontà della stessa nazione italiana.
Una svolta avvenne in lui con la partecipazione al V congresso dei cattolici italiani di Genova (ottobre 1892), dove fu presente al I congresso di studi sociali. Qui, a contatto con Giuseppe Toniolo e S. Medolago Albani, comprese la realtà della questione sociale e delle ingiustizie di cui erano vittime i ceti più poveri. Tornato a Como, facendo suo quello che era stato lo slogan del congresso genovese ("preparazione nell'astensione") riorganizzò l'Opera dei congressi nella diocesi e diede nuovo impulso al periodico L'Ordine, che fu largamente diffuso.
Ai primi di febbraio 1894 gli giunse notizia della sua promozione all'arcivescovado di Milano, che coglieva di sorpresa lui e la diocesi ambrosiana ma non quanti lo avevano conosciuto a Como, avversari compresi: "Quest'uomo dall'apparenza dolce e così mite, sotto la quale v'è una tempra d'acciaio, è una forza, e il Vaticano lo sa" (La Provincia di Como, 12 febbr. 1894).
Chiamato a Roma a partecipare al concistoro del 18 maggio, venne elevato alla porpora, e due giorni dopo ebbe il titolo presbiteriale di S. Anastasia. Il 21 maggio fu nominato ufficialmente arcivescovo di Milano e il vicario generale del defunto monsignor L. Nazari di Calabiana, A. M. Meraviglia Mantegazza, consacrato vescovo di Samo ebbe l'incarico di ausiliario del F. a Milano.
Egli ritornò quindi a Como ove proseguì la visita pastorale in attesa del regio exequatur che tardava a venire, nonostante le ottime referenze che giungevano al governo da parte delle autorità civili della Lombardia. In particolare il procuratore generale di Milano segnalava che il F. si era toccupato sempre del suo ministero religioso" e aveva "combattuto con ardore le idee anarchiche e socialiste", fino al punto da lodare i provvedimenti repressivi decisi da F. Crispi dopo i moti in Sicilia e in Lunigiana. In realtà, il Crispi subordinava la concessione degli exequatur per le sedi di Milano, Venezia, Bologna e Segni all'istituzione da parte della S. Sede della prefettura apostolica dell'Eritrea, che sarebbe suonata come un'indiretta approvazione della politica coloniale italiana nell'Africa orientale. Soddisfatta questa richiesta, il 5 settembre il re firmava a Monza l'exequatur per il F., il quale poté entrare a Milano il 3 novembre, accolto - oltre che da una manifestazione imponente di clero e di popolo - da due rappresentanti politici, il commissario regio A. Bonasi e il deputato ministeriale E. Ponti, a dimostrazione della fiducia che il governo Crispi riponeva nel nuovo arcivescovo. A illudere maggiormente il Crispi si aggiunse il comportamento del F. alla vigilia delle elezioni amministrative milanesi del 10 febbr. 1895, che rappresentavano per il governo un test importante per valutare l'adesione dei moderati milanesi alla politica interna, ma soprattutto estera, dello statista siciliano.
Nel capoluogo lombardo agiva con energia per stringere un'alleanza elettorale tra governativi e cattolici moderati C.A. Pisani Dossi, ex capo di gabinetto di Crispi al ministero degli Esteri dal 1887 al 1890. A favorire la strategia del Pisani, che aveva già tessuto un'intesa con L. Capitani d'Arzago e altri cattolici conciliatoristi, venne il 12 dic. 1894 la decisione dei socialisti di presentarsi insieme con i radicali di Cavallotti (Lega della libertà). Il F., allarmato da questa circostanza che minacciava di consegnare l'amministrazione cittadina ai "rossi", ricevette il 28 dicembre il Pisani, promettendogli il proprio autorevole intervento. Il F., nel mese successivo, si impegnò energicamente per orientare i cattolici intransigenti a votare in favore della lista moderata. L'intervento elettorale dei cattolici fu compatto e il risultato fu una netta vittoria: vennero eletti 17 candidati cattolici su 23 presentati.
Lusingati da questo risultato, nella speranza di ripetere il successo alle elezioni politiche, i crispini cercarono di ottenere un altro intervento del F., il quale però fin dall'inizio di aprile fece presente che, trattandosi di competizione politica, non avrebbe potuto far nulla senza una preventiva autorizzazione del papa. Ma il 14 maggio 1895 il vicario di Roma, cardinal L. Parocchi, ricevette da Leone XIII una lettera in cui si ricordava l'immutata validità della circolare della S. Penitenzieria sul non expedit e del decreto del S. Officio del 30 giugno 1886 e. si ribadiva che i veri cattolici dovevano conformarsi a quelle disposizioni non andando alle urne. Trasmesso il monito del papa a tutti i vescovi, fu la rottura tra i vescovi lombardi e il Crispi, che minacciò una nuova legislazione anticlericale e la revoca dell'exequatur per il F.: questi, in particolare, venne visto con sospetto per le sue iniziative dirette a rafforzare le organizzazioni cattoliche nella diocesi (la pastorale del Capodanno 1896 chiedeva che in ogni parrocchia fosse istituita una sezione dell'Opera dei congressi).
In realtà il F., molto più che porsi il problema generale della collocazione politica dei cattolici, sentiva come preminente dovere il governo pastorale della diocesi, il rapporto con i fedeli.
Egli entrando a Milano si trovò di fronte ad una diocesi molto vasta: 4850 km2 , con una popolazione di circa 1.600.000, abitanti distribuita in 731 parrocchie con 2.180 sacerdoti secolari e 160 regolari. Tra i primi contatti che ebbe con i fedeli furono la visita al seminario diocesano e l'incontro con gli operai della Società cattolica operaia: ai chierici dichiarò che si sarebbe ispirato alla pastorale di s. Carlo Borromeo (aveva assunto il nome di Andrea Carlo) e fece una professione di fedeltà al papa; ai secondi ricordò che l'unico modo per ottenere il benessere morale e materiale della classe operaia era quello insegnato dalla Rerum novarum.
Per conoscere meglio la realtà complessa della diocesi, pochi mesi dopo il suo ingresso il F. indisse la prima visita pastorale (durata dal 1895 al 1902), cui ne seguirono altre tre (1903-1910; 1910-1914; 1914-1920; le prime tre visite furono concluse con altrettanti sinodi).
Il contatto diretto che il F. cercò di instaurare con tutti gli ambienti della società cattolica della diocesi senza altre mediazioni, la fedeltà assoluta professata al papa (sulla base di valutazioni religiose e non politiche) e proprio questa subordinazione delle questioni politiche ad obiettivi puramente religiosi indispettirono i moderati cattolici e soprattutto la nobiltà milanese, che gli divenne fortemente contraria.
Una mossa di riavvicinamento a questi settori venne dal F. tentata invano il 12 nov. 1896 con una visita al re Umberto I nella villa reale di Monza, che gli procurò soltanto critiche da parte degli intransigenti.
Frattanto si impegnava sempre di più nel movimento cattolico. Partecipò, portando con sé tutti i chierici del seminario, alla VI adunanza regionale dell'Opera dei congressi (15-19 apr. 1896), in cui si scontrarono le due anime dell'intransigentismo lombardo: quella facente capo a F. Meda, favorevole ad un intervento politico su base religiosa, e quella di G. B. Paganuzzi, fedele al carattere religioso del movimento. Il trionfo della formula "Preparazione nell'astensione" venne favorito dall'intervento del F., che sconfessando la linea tenuta nelle amministrative del 1895, rifiutava decisamente le contaminazioni provocate da inopportune alleanze.
Nel perseguire un suo progranuna di formazione di un giovane clero, il F., a partire dal 1896, istituì i collegi arcivescovili di Saronno, di Porlezza, di Monza, di Seregno, di Cantù, di Lecco e di Desio, che si aggiunsero a quelli già esistenti di Gorla Minore e di S. Carlo di Milano. Per preparare i chierici ad affrontare le questioni sociali, nel 1897 il F., ormai conquistato da alcune tesi del Toniolo, lo invitò a Milano perché tenesse nel seminario un corso giuridico-sociale: questo insegnamento rimase anche dopo la rinuncia del Toniolo seguita ai fatti del 1898, quando venne sostituito da don Carlo Dalmazio Minoretti, che lo tenne dal 1899 al 1904.
Nel 1897, pressato dal gruppo dei giovani seguaci del Meda, il F. cercò di ottenere dalla S. Sede un'autorizzazione straordinaria per la partecipazione alle elezioni politiche, con l'obiettivo di impedire la vittoria della lista radicalsocialista, ma si trovò ancora una volta di fronte ad un secco rifiuto.
Il 6 maggio 1898 si ebbero a Milano le prime avvisaglie della sommossa popolare che sarebbe durata fino al 9 maggio, ma il giorno dopo il F., dopo essersi consultato con il capitolo della cattedrale, lasciò la città per compiere la visita della pieve di Asso. Qui ebbe notizia degli avvenimenti milanesi la sera stessa, ma, sottovalutandone l'importanza, rientrò in sede soltanto l'11 maggio, quando ormai il generale F. Bava Beccaris aveva compiuto la sua azione repressiva; l'indomani ripartì per la Valsassina.
Il 14 maggio la stampa (in particolare il Corriere della sera) dette il via ad una campagna di accuse contro il suo comportamento. La sua assenza fu definita una "fuga", il suo mancato intervento per pacificare gli animi fu giudicato una tacita connivenza con gli ambienti clericali più intransigenti, a loro volta accusati di aver attizzato e fiancheggiato la rivolta popolare. Fu, perfino, chiesto al governo (tra i fautori vi era il Rudini) il ritiro dell'exequatur.
Lo stesso Leone XIII, pur difendendo il F. dalle accuse più gravi, in una lettera a lui indirizzata il 22 maggio non nascose la sua riprovazione per l'inopportuna assenza dell'arcivescovo della città. Rientrato quindi il F. a Milano il 23 maggio, il giorno successivo si ebbe l'arresto di don Albertario al quale si imputava di aver sostenuto l'azione dei sovversivi con articoli apparsi sull'Osservatorecattolico. Il F., in questa circostanza, mantenne secondo gli intransigenti un atteggiamento troppo morbido nel difenderlo, preferendo dare al giornale cattolico un nuovo direttore nella persona del Meda, tanto che il 7 settembre l'Osservatore cattolico, dopo quattro mesi di sospensione, poté riprendere le pubblicazioni.
L'isolamento del F. era totale, ma egli continuò sulla sua linea, che, al di là delle apparenze, aveva un'essenziale coerenza interna: rigida difesa dell'ortodossia dottrinale (questo lo aveva anche indotto a chiudere nel 1901 il seminario del collegio "Villoresi" di Monza, perché ritenuto inquinato da idee rosminiane), ma apertura a tutte le azioni pratiche del variegato mondo cattolico lombardo, nell'obiettivo di mantenere uniti con la gerarchia, su basi religiose, gruppi e individui socialmente e idealmente diversi.
Nel 1899 benedì la costituzione del Fascio democratico cristiano. Dall'interno di questa formazione nacque, nell'autunno 1901, su proposta del Minoretti, l'Istituto dei cappellani dei lavoro, orientati all'azione cattolico-sociale tra i lavoratori (tra i principali membri furono Carlo Grugni e Luigi Parodi a Milano e Pietro Bosisio in Brianza, Giulio Rusconi a Rho). Per la formazione di questi sacerdoti venne riformato il già esistente corso giuridico-sociale che divenne un corso biennale di perfezionamento.
Nell'atmosfera di rinnovamento che percorse il mondo cattolico all'inizio del secolo e che si concretò nella designazione di G. Grosoli alla presidenza dell'Opera dei congressi in sostituzione del Paganuzzi (22 sett. 1902), il F. appoggiò la svolta e con la sua autorità ottenne che la sezione milanese del Fascio democratico cristiano agisse complessivamente su posizioni moderate, prendendo sempre più le distanze da R. Murri.
Morto Leone XIII (20 luglio 1903), nel breve conclave successivo il F. patrocinò in modo determinante la vittoriosa candidatura del card. G. M. Sarto, non solo perché era legato a lui da antichi vincoli di amicizia, ma soprattutto perché riteneva che per la sua esperienza pastorale potesse essere più utile al governo universale della Chiesa che non un candidato di estrazione curiale.
Ritornato a Milano il 10 agosto, nello stesso mese fece un viaggio in Germania, ospite del cardinale A. H. Fischer, arcivescovo di Colonia.
Scopo ufficiale del viaggio era il recupero delle reliquie dei magi, trafugate dalla chiesa milanese di S. Eustorgio nel 1164 su ordine di Federico Barbarossa, ma il F. ne approfittò per partecipare al 50º congresso dei cattolici tedeschi, rimanendo ammirato della loro struttura organizzativa, ricca di 2000 associazioni, di un sindacato operaio che contava 210.000 aderenti e di una formazione politica (Volkverein) forte di 300.000 iscritti.
Tornato in Italia si trovò di fronte a direttive papali che andavano in opposta direzione: Pio X, che in realtà aveva amministrato la diocesi di Venezia senza contatti reali con la società e con una visione assolutisfica del proprio ruolo, con un motu proprio il 18 dic. 1903 limitò l'autonomia dell'Opera dei congressi, che nel luglio successivo si sciolse per gravi contrasti interni e venne sostituita da tre organizzazioni (enciclica pontificia Il fermo proposito, 1905): Unione popolare, Unione economico-sociale, Unione elettorale. Nello stesso 1905 la diocesi milanese fu soggetta ad una visita apostolica condotta da monsignor Luigi Canali, vescovo titolare di Tolemaide, il quale non accertò nulla da riprovare, particolarmente nel seminario che alcuni tradizionalisti accusavano di tendenze moderniste.
Il F., che aveva promosso in tutte le parrocchie gli oratori maschili e femminili, dopo la chiusura dell'Opera dei congressi, diede impulso ai circoli giovanili maschili di Azione cattolica (federati nel 1906 nell'Unione giovani cattolici milanesi). Nel 1907 il F. promosse la fusione dell'Osservatore cattolico con la moderata Lega lombarda: nacquecosì L'Unione, ilcui primo numero vide la luce il 14 dic. 1907 sotto la direzione di F. Meda. Il nuovo giornale assunse posizioni moderate in campo politico, ma relativamente aperte in campo culturale, incorrendo in accuse di filomodernismo.
Dopo la pubblicazione dell'enciclica Pascendi contro il modernismo, la diocesi di Milano fu al centro di continui sospetti, nonostante gli sforzi del F., il quale nel discorso di inaugurazione dell'anno accademico 1907-08 della facoltà teologica del seminario (il testo in La Scuola cattolica, XXXV [1907], pp. 505-517) aderì senza riserve alla condanna papale.
Ai primi di novembre proibì la diffusione nella diocesi del Programma dei modernisti e del Rinnovamento, intimando ai sacerdoti che avessero trasgredito la sospensione a divints ipso facto. Il5 novembre stabilì a Milano il consiglio di vigilanza voluto da Pio X e il 29 dicembre, dopo lunghe e inutili trattative con A. Fogazzaro e T. Gallarati Scotti, perché sospendessero la pubblicazione del periodico da essi diretto, proibì sotto pena di scomunica la sua prosecuzione.
Ma la diffidenza di Pio X nei suoi confronti aveva radici profonde ed era nata dopo la celebrazione per iniziativa del F. dell'VIII concilio provinciale lombardo (settembre 1906; il VII era stato celebrato nel 1609 da Federico Borromeo) e la stesura di un Programma per gli studi nei seminari di Lombardia (Milano 1907), "che conservando tutta la sostanza dell'afitico insegnamento e rifuggendo da ogni pericolosa innovazione, mette però l'insegnamento stesso in corrispondenza coi progressi delle scienze e coi bisogni attuali della Chiesa e della società" e sembrava perciò un contraltare del contemporaneo Programma degli studi per tutti i seminari d'Italia preparato dalla romana congregazione dei Vescovi. Cosi nel 1908 la diocesi milanese subì una seconda visita apostolica condotta da monsignor G. B. Cardinale, vescovo di Corneto e Tarquinia, che nulla trovò da riprovare. Ricevuto in udienza da Pio X il 17 nov. 1908, si sentì ancora chiedere di indurre L'Unione a togliersi la patina di modernismo che si era attirata guardando con indulgenza - prima della pubblicazione della Pascendi - alleidee di A. Loisy e dei modernisti lombardi e di dar più spazio alle notizie religiose.
Nel 1919-1910 il periodico La Riscossa di Breganze, diretto dai fratelli Scotton, lanciò gravi accuse contro il F., contro l'insegnamento impartito nel seminario di Milano e contro La Scuola cattolica, organo ufficiale della facoltà teologica, accusata di simpatizzare con le tesi moderniste. Da Roma fu disposta una terza visita apostolica (25-28 maggio 1911), affidata a monsignor T. P. Boggiani, vescovo di Adria, il quale, pur non rilevando nella sua relazione deviazioni dottrinali, mosse appunti taglienti sull'uso della lingua italiana nell'insegnamento e sulla dispersione dei seminaristi, utilizzati come prefetti in vari collegi della città. In seguito alla visita, il direttore della Scuola cattolica, G. Nogara, presentò le dimissioni e venne sostituito da C. Pellegrini.
Ma tutta la stampa cattolica milanese subì un contraccolpo. Nel 1912 L'Unione fu assorbita dalla Società editrice romana, il trust facente capo al Grosoli, e cambiò la testata in L'Italia. Nel dicembre gli Acta Apostolicae Sedis comunicarono che la S. Sede non riconosceva conformi alle direttive pontificie L'Avvenire d'Italia, Il Momento, il Corriere di Sicilia e L'Italia. IlF. dovette far accettare al Grosoli una commissione di vigilanza, nominata con l'assenso della S. Sede, perché L'Italia potesse essere dichiarato organo ufficiale dei cattolici milanesi.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, il F. pubblicò due lettere pastorali (31 ott. 1914 e 28 genn. 1915) in cui condannava la guerra; poi, entrata nel conflitto anche l'Italia, invitò i fedeli a pregare per la pace ma anche ad "attendere al dovere che tutti abbiamo verso la patria nostra". Ordinati in anticipo i chierici che dovevano divenire preti durante l'anno (partirono per il fronte cinquecento preti e trecento seminaristi della diocesi), creò un comitato di assistenza religiosa e il giornale La Fiaccola per il clero milanese sotto le armi e trasformò due seminari (a Milano e a Monza) in ospedali militari. Dopo Caporetto costituì un comitato per gli orfani e assistette i profughi giunti a Milano.
Nel febbraio 1918 fondò la Gioventù femminile di azione cattolica, affidandone la responsabilità ad Armida Barelli, alla quale poi Benedetto XV diede l'incarico di diffonderla su tutto il territorio nazionale.
Finita la guerra, il F. lavorò alla realizzazione di due istituzioni: la Casa del popolo (chiamata in seguito: "Opera card. Ferrari": G. Paolucci, La Casa del popolo. Origini e vicende dell'Opera card. Ferrari, Milano 1980), e l'università Cattolica del S. Cuore. La prima, in concorrenza con le analoghe iniziative socialiste, doveva divenire secondo il F. un luogo di promozione di iniziative di assistenza e di formazione, in cui il popolo, "con l'indirizzo alle feconde lotte per il suo benessere, trovi anche l'indirizzo alla pratica di una fede, aperta e sincera". Il F. affidò l'istituzione alla Compagnia di S. Paolo (paolini), un'associazione di preti e di laici d'ambo i sessi, di cui egli stesso approvo gli statuti. L'erezione avvenne dopo la morte del F., il 4 ag. 1921.
Per quanto riguarda l'università Cattolica dei S. Cuore, il F. appoggiò il progetto elaborato da A. Gemelli, da F. Olgiati e da altri esponenti del mondo cattofico milanese, ne corresse gli statuti e li presentò al papa alla fine dell'estate del 1920. Poco prima di morire, il 25 dicembre, ebbe la soddisfazione di sapere l'università canonicamente eretta da Benedetto XV.
Colpito fin dal 1918 da un tumore alla gola, per la cuì totale asportazione fu invano sottoposto più volte a interventi chirurgici, il F. rimase negli ultimi mesi di vita completamente afono. Ciononostante riuscì ancora fino all'ultimo ad influire sulle scelte dei cattolici milanesi.
Ossessionato dal pericolo "bolscevico" (ancora nell'ultima lettera pastorale del Natale 1920, condannando la lotta di classe, assicurava ai fedeli che "le distinzioni sociali, come le distinzioni di classe, sono un fatto voluto dalla Provvidenza divina"; Penco-Galbiati, 1926, p.241), in vista delle nuove elezioni comunali chiamò al suo capezzale G.B. Migliori, segretario della sezione milanese del Partito popolare italiano, per indurlo - contro le direttive impartite dalla segreteria nazionale, che invitavano a presentarsi con posizioni autonome - a schierare il partito insieme con il Blocco di azione e difesa sociale (comprendente anche i fascisti) contro i socialisti guidati dal sindaco E. Caldara. Nel ricordare quel penoso colloquio, che il F. aveva condotto "scrivendo di volta in volta le domande e le obiezioni su foglietti di carta", il Migliori affermò di essere stato vinto non "da un cenno di cornando". ma "da un incalzare di richieste, di argomenti, di inviti", combattuto fra la disciplina di partito e l'affetto all'arcivescovo morente (G. B. Migliori, Le amministrative del 1920e il caos di Milano, in Civitas, aprile-maggio 1960, pp. 96-101). La direzione del partito popolare milanese chiese al consiglio sezionale l'autorizzazione ad aderire al Blocco, ma la proposta venne bocciata e fu decisa l'astensione (2 novembre), cosicché le elezioni del 7 novembre si conclusero con la vittoria dei socialisti.
Il F. morì a Milano il 2 febbr. 1921.
Alla sua morte la popolazione della diocesi era salita a 2.100.000 abitanti distribuiti in 795 parrocchie ed assistita da 2.550 sacerdoti diocesani; durante il suo episcopato aveva consacrato oltre duecento chiese.
Nel complesso il F. non aveva brillato durante la sua vita di sacerdote e di vescovo per doti intellettuali, né - ancorato ad una interpretazione angustamente religiosa degli avvenimenti (fino a sconfinare nell'integrismo) - seppe comprendere fino in fondo i nuovi problemi politici e sociali, retaggio di fine Ottocento, che urgevano nel nuovo secolo. Non si comprenderebbero, quindi, l'affettuoso ricordo e la grande stima che la sua figura lasciò negli ambienti ambrosiani, se non si considerasse il suo metodo pastorale che si concretizzava nel ruolo di un maestro di vita religiosa: sempre a contatto con i fedeli, ne organizzava e favoriva l'associazione, dava consigli, ammonizioni e approvazioni. Era un instancabile creatore di iniziative: fondò il Foglioufficiale ecclesiastico (1897), poi dal 1910 Rivista diocesana milanese;promosse il III congresso eucaristico nazionale (1895), il XV centenario della morte di s. Ambrogio (1897), il cinquantenario del dogma dell'Immacolata Concezione (1904) e delle apparizioni di Lourdes (1908); il III centenario della canonizzazione di s. Carlo (1910); le settimane costantiniane nel XVI centenario dell'editto di Costantino (1913); i pellegrinaggi in Terrasanta, a Roma e a Lourdes. Durante la sua vita, secondo il calcolo di uno dei suoi biografi, aveva pronunciato circa 20.000 discorsi e scritto 6.000 lettere. Frutto di questa vera e propria attività d'insegnamento furono i numerosi giovani che si formarono alla sua "scuola": tra gli altri, Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate christiana, che fu segretario personale del F., Giuseppe Bicchierai, Enrico Falck, Luigi Gedda, Giuseppe Lazzati, Piero Malvestiti, Rainiondo Manzini, Claudio C. Secchi, Ugo Zanchetta.
Il processo informativo per la causa di beatificazione fu aperto nel 1951 dal cardinale I. Schuster; il 1º febbr. 1976 la congregazione per le Cause dei santi riconobbe l'eroicità delle sue virtù e il 10 maggio 1987 venne proclamato beato.
Fonti e Bibl.: Gli scritti e i documenti del F. sono conservati presso la curia arcivescovile di Milano. Si veda anche, a questo proposito: Posizione ed articoli per la causa di beatificazione del servo di Dio card. A. C. F. arcivescovo di Milano, a cura di E. Cattanco, Milano 1952; Beatificationis et canonizationis servi Dei Andreae Caroli Ferrari S.R.E. cardinalis archiepiscopi Mediolanensis. Votum Pro rei veritatis ex officio exaratum super virtutibus ac praecipuis quaestionibus cum episcopatu connexis, Città del Vaticano 1974.
Manca un lavoro completo di livello scientifico sulla figura del Ferrari. Buone, e ricche di indicazioni bibliografiche, le voci di P. Zerbi, in Dictionn. d'hist. et de géogr. ecclés., XVI, Paris 1967, coll. 1204-1210; A. Rimoldi, in Diz. storico del movimento cattolico in Italia, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 196-201; A. Majo, in Diz. della Chiesa ambrosiana, II, Milano 1988, pp. 1198-1208. Non è giunta a termine la documentatissima biografia, preparata per incarico della postulazione della causa di beatificazione, di C. Snider, L'episcopato del card. A. C. F., I, Gli ultimi anni dell'Ottocento 1891-1893, Vicenza 1981; II, I tempi di Pio X, ibid. 1982.
Le citazioni nel corso della voce sono tratte anche da: G. B. Penco-B. Galbiati, Vita del card. A. C. F. arciv. di Milano, Milano-Roma 1926e F. Fonzi, Crispi e lo Stato di Milano, Milano 1965, ad Indicem.
Tra le ultime opere concernenti il F., si vedano: La società la cultura milanese e il card. F.: 1911-1921, Milano 1979 (da segnalare: oltre alla introduzione di A. Agno, i contributi di A. Canavero, S. Pizzetti, N. Raponi, G. Rumi, S. Zaninelli); G. Ponzini, Il cardinale A. C. F. a Milano, 1894-1921, Fondamenti e linee del suo ministero episcopale, Milano 1981;G. Rossi, Ilcard. F., Assisi 1987.