EUDEMONOIANNIS, Andrea
Nacque nel marzo 1566 alla Canea (Chanià, Kydon) nell'isola di Creta. Appartenne ad una casata illustre, ancorché decaduta, imparentata con la famiglia imperiale dei Paleologhi ed emigrata nei domini veneti dopo la caduta di Costantinopoli. Pur avendo lasciato la città natale per Padova in giovane età, orfano di entrambi i genitori, si sentì sempre greco, tanto da ìndìcare regolarmente la propria origine in tutte le opere pubblicate e da scrivere volentieri nella lingua materna i suoi appunti personali, di cui tre volumi miscellanei si conservavano nell'Archivio del Collegio Romano ancora ai tempi di N. Conineno Papadopoli.
I dati cronologici salienti della vita e dell'attività dell'E., finora spesso oscillanti o erronei presso i biografi, sono assicurati dai riferimenti contenuti in una lunga lettera greca diretta al corregionale Gerasimo Paleocapa, vescovo di Cisamo in Creta, e soprattutto sono arricchiti e precisati in una scheda ricavata nel 1970 dal padre E. Lamalle dai documenti che lo concernono nell'Archivio romano della Compagnia di Gesù ed ivi conservata.
Venduti i beni familiari ereditati, l'adolescente si recò a Padova con il compatriota Costantino Paleocapa, per studiarvi retorica sotto la guida di Antonio Riccoboni ed iniziarvi la filosofia con Francesco Carlo Piccolomini, frequentando poi le scuole dei gesuiti. Dopo la morte precoce del condiscepolo Costantino, nel 1574, si trasferì a Roma con il fratello di quest'ultimo, Gerasimo, del cui zio Giorgio l'E. scriverà più tardi, in una lettera ai Cretesi, come si facesse monaco col nome di Gerasimo e diventasse il primo vescovo greco cattolico promosso nel vescovado cretese di Cisamo, da poco ristabilito a sue spese, dopo avere ottenuto l'approvazione del patriarca greco di Costantinopoli: tentativo "ecumenico" tanto innovatore da essere presto bloccato dalle proteste dell'episcopato latino dell'isola - invano ammonito da Gregorio XIII - e dall'ostilità delle autorità di Venezia.
Nella Compagnia l'E. fece il suo ingresso come novizio l'8 sett. 1582, nella casa professa di S. Andrea al Quirinale. Studiò per un anno retorica e per un biennio filosofia, completando gli studi di teologia nel Collegio Romano, dove ebbe rettore e confessore Roberto Bellarmino, che egli più tardi indurrà, come dice la dedica, a scrivere l'autobiografia e che assisterà sul letto di morte, descrivendo in una lettera ai confratelli, poi pubblicata, i suoi ultimi istanti e le sue ultime parole.
Nella primavera del 1584 fu inviato nel collegio di Napoli come prefetto degli studi, insegnandovi materie umanìstiche e, per un anno, la lingua greca. Trasferito nel 1590 nel Collegio Romano, vi completò la preparazione teologica. Stando a Roma, si vide affidate responsabilità di governo in diverse istituzioni formative ecclesiastiche: nel 1591 nel collegio greco, nel 1593 nel collegio inglese e nel 1595 nella casa professa di S. Andrea.
Nel Collegio Romano insegnò umanità greche e latine per un triennio, quindi fu docente di logica nell'anno 1596-97, di filosofia naturale e fisica nel 1597-98 e di metafisica nel 1598-99. I manoscritti dei suoi corsi, a tratti interessanti anche per la discussione allora viva sulle ipotesi scientifiche galileiane, sono conservati nell'Archivio della Pontificia Università Gregoriana, Fondo Curia, mss. 555, 713, 911 e 1006.
Dal 1600 fu professore di teologia scolastica nel collegio di Padova e il 2 febbr. 1601, nella stessa città. fece la professione solenne con i quattro voti, divenendo consultore. Dal 1606 al 1609, ormai noto per i suoi scritti di controversia con glt eretici occidentali, specie anglicani e calvinisti, e per la competenza nelle questioni aperte con la Chiesa bizantina, fu di nuovo inviato nel collegio di Napoli, per seguire ed assistere più da vicino nelle polemiche pubbliche il confratello Roberto Bellarmino, divenuto nel 1602 arcivescovo di Capua. Ritornato all'insegnamento e allo studio teologico di questioni ecclesiali di attualità nel Collegio Romano, il 31 ott. 1622 venne nominato rettore ad tempus del collegio greco, ritornato alladirezione dei gesuiti (Arch. del Collegio Greco, 10, f. 34v).
Con Urbano VIII, che ne aveva personale conoscenza e stima, confortato dalla diffusa opinione ch'egli fosse subentrato al Bellarmino come primo teologo della Compagnia e di Roma, fu nominato qualificatore del S. Offizio. Per espressa volqntà del papa Barberini, intraprese un viaggio in Francia, faticoso e diplomaticamente difficile, come teologo ufficiale della legazione pontificia al re di Francia, guidata dal giovane cardinal nepote Francesco Barberini. Costantemente indicato come cagionevole di salute nelle note personali della Compagnia, l'E. rientrò esausto a Roma, per morirvi nella casa professa, il 24 dic. 1625 (Arch rom. della Compagnia di Gesù, Rom. 185, f. 153r; Hist. Soc. 43, f. 9r e 44, f. 1r).
Accanto all'intensa attività di insegnamento e di consulenza teologica, svolta per la S. Sede ed i suoi uffici in delicate questioni concernenti l'atteggiamento ecclesiale e politico da assumere nei confronti del mondo protestante e di quello ortodosso greco, l'E. scrisse diverse opere, in parte stampate e in parte rimaste inedite e sconosciute.
Tra il 1605 e il 1621 pubblicò in Germania (ad Ingolstadt, a Magonza, a Dillingen e soprattutto a Colonia) tredici libri in latino. Ad eccezione della testimonianza edificante sulla morte del Bellarmino, apparsa nel 1622 anche in traduzione tedesca, si tratta di scritti polemici contro autori anglicani e calvinisti o di refutazioni apologetiche contro interpretazioni critiche ed accuse mosse pubblicamente alle opere del cardinal Bellarmino, agli Annali di Baronio, alla Lettre déclaratoire de la doctrine des pères jésuites, conforme aux décrets du concile de Constance..., par le p. Cotton ... prédicateur ordinaire de Sa Majesté, Paris 1610.
Appaiono presi di mira gli scritti di Lancelot Andrews, Thomas Brightmann, Robert Abott, John Barclay, Edward Cooke, che nel 1606 aveva pubblicato la requisitoria sostenuta come "procuratore generale" nel processo per tradimento al padre Garnet e soci, e descritto l'esecuzione. Sull'altro versante, i destinatari delle polemiche dell'E. sono i libri di Antonio De Dominis, Lambert Daneu, Isaac Casaubon, Didier Héraut coperto dallo pseudonimo di David Leidhresserus. Del resto, nel diffidente clima della controversia, si sospettò ed insinuò che l'E. non fosse greco e che il suo nome fosse uno psexadonimo, tanto che egli, nella Responsio ad epistolam Isaaci Casauboni, Coloniae Agrippinae 1612, p. 96, offrì una serie di precisazioni autobiografiche. La morte gli impedì di realizzare un'opera antiprotestante di più vasto respiro, come aveva progettato e per cui aveva cominciato a lavorare, come attesta il Papadopoli (Hist. Gymnasii Patavini, II, pp. 281 s.), che ne consultò le note preparatorie in una collettanea in tre volumi.
L'elenco delle opere stampate dell'E., con il rispettivo titolo bibliografico dettagliato e l'illustrazione delle circostanze che ne motivarono in ciascun caso la redazione, fu compilato con cura da E. Legrand (Bibliographie... des ouvrages publiès par des Grecs au dix-septième siècle, I, pp. 42, 61 s., 72-75, 80 s., 96 s., 103, 118-122, 143, 148 s. 172). In modo più sommario si ritrovano nella biobibliografia di C. Sommervogel (Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, pp. 482-486, IX, Suppl., pp. 303 s.).
Molto più importanti si rivelano le opere inedite e finora mai segnalate dell'E., conservate nelle Biblioteca apostolica Vaticana e in altri archivi ecclesiastici romani, da quello romano della Compagnia a quella della Gregoriana e del collegio greco. Oltre a lettere ai generali della Compagnia (Arch. rom. della Compagnia di Gesù, Veneta 5), ad un opuscolo anticalvinista (Arch. della Pont. Univ. Gregoriana, Fondo Curia 1270), a un libello in forma di dialogo nel quale col nome di Philopater Alithosius si rivolge ai Greci per discutere sul concilio di Firenze (ibid. 1594), a lettere al cardinale F. Barberini (Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 6463. ff. 98r-102v), si tratta di memorie concementi la sussistenza della comunione tra la Chiesa occidentale e la Chiesa orientale anche dopo lo scisma e le conseguenti possibilità e condizioni di una communicatio in sacris ad ogni livello sacramentale. La cruciale questione teologica, lasciata tuttora aperta dal concilio Vaticano II, era ridiventata di bruciante attualità in seguito alle profonde innovazioni canoniche decretate dai papi postridentini per i cristiani della Chiesa greca viventi in Occidente e dopo l'istituzione del collegio greco.
Al momento di rinviare in patria, secondo i fini della bolla di Gregorio XIII, gli alunni greci formati a Roma per un incarico pastorale tra i connazionali, era indispensabile precisare il rapporto che avrebbero dovuto instaurarvi con la gerarchia episcopale ortodossa, per poterlo svolgere in nome dell'unione. Il regime di fatto in vigore tra le due Chiese, sia dopo il radicarsi dello scisma sia dopo il concilio di Firenze, restava piuttosto ambiguo e fluido nella definizione concreta del rapporto interecclesiale e della conseguente comunione sacramentale praticabile per i fedeli delle due comunità.
La discussione polemica, che scoppiò apertamente nel 1593 e trovò schierati su due opposti fronti i teologi romani, concerneva il dubbio sul riconoscimento, da dare o meno a vescovi dichiarati scismatici ed eretici, della capacità di ordinare e di amministrare validamente gli altri sacramenti. La decisione pastorale di consentire o meno a che dei candidati greci cattolici al sacerdozio ricevessero gli ordini dai vescovi orientali - fino a quel momento non esistevano vescovi di rito bizantino inclusi nella giurisdizione canonica propria della Chiesa latina - dipendeva dalla soluzione teologica data al dubbio.
Nel 1593, a due riprese, gli alunni del collegio greco inoltrarono a Clemente VIII, tramite la congregazione dei Greci diretta dal cardinale G. A. Santoro, due motivati memoriali per ottenere dal papa l'indulto per questo tipo di ordinazioni in Levante. Anche in questa ipotesi si sarebbe trattato di un'innovazione rispetto al passato. I padri gesuiti, e primo tra loro l'E., ispirarono e sostennero la richiesta, cui si oppose con intransigenza il cardinal Santoro, inducendo il pontefice a respingerla in pieno e ad emanare in senso contrario la Perbrevis instructio per i fedeli cattolici di rito greco.
Allo stesso 1593 risale l'opuscolo (Arch. rom. della Compagnia di Gesù, Op. NN. 316, ff.74r-87r), in cui l'E. sostenne la plausibilità teologica di fare ordinare sacerdoti cattolici greci dai vescovi della Chiesa bizantina. Sul fondamento della tradizione ecclesiale, analizzata secondo la più rigorosa ecclesiologia scolastica occidentale moderna, vi si negava che uno scomunicato o un eretico notori fossero privi per diritto divino della giurisdizione ecclesiastica "ut est superior ad eam, quae consistit in foro externo contentioso", o incapaci di possederla. Vi si sosteneva quindi che il papa, in vista del bene pastorale dei cristiani e della loro unità, poteva concedere la dispensa o l'indulto per ordinazioni del genere, senza che la consacrazione liturgica conseguita nella Chiesa greca comportasse un'implicita o tacita professione di errori di fede da parte dell'ordinato o suscitasse inevitabilmente scandalo tra il popolo.
Con il ritorno dei gesuiti nel collegio greco nel 1622, l'E., nuovo rettore, riaprì nella Curia di Urbano VIII la controversia, troncata trent'anni prima dalla decisione della congregazione dei Greci del 3 giugno 1594. Lo attestano alcune memorie sue sulla possibile richiesta e concessione di un indulto papale per queste ordinazioni (Arch. del collegio greco, IV, ff. 63r-71v; Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 2607, ff. 27r-32v), sugli ordini minori da non conferire ai greci (ibid., ff. 53r-64v), sull'ortodossia della professio fidei richiesta dal rito costantinopolitano per la consacrazione dei metropoliti, introdotta nella liturgia dal patriarca Nicola I il Mistico e pertanto esente da ogni obiettivo sospetto di confessare gli errori dei Greci (ibid., ff. 25r-26r; 39r-41r).
La tesi dell'E., che corrisponde a quella sostenuta nei decenni precedenti da rinomati teologi gesuiti (da 0. Giustiniani a F. Azzor, da S. Tucci a M. de Angelis da B. Giustiniani a M. Vasquez al card. F. Toledo, ma non da R. Bellarmino), non prevalse. Nei secoli successivi l'attitudine ufficiale della Chiesa cattolica nei confronti di quella ortodossa circa la comunione in sacris fu infatti ispirata alla opinione teologica opposta. Non è ovviamente possibile dire quanto abbia influito nello svolgimento di un capitolo vitale per la storia della Chiesa la morte dell'E., sopraggiunta, quando a Roma si vociferava ormai di una prossima promozione cardinalizia del principale teologo gesuita della Curia romana.
Bibl.: P. Alegambe, Bibliotheca scriptorum Societatis Iesu..., Romae 1676, pp. 49 s.; N. Comneno Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini... II, Venetiis 1726, pp. 281 s.; E. Legrand, Bibliographie hellénique..., I, Paris 1894, pp. 42, 61 s., 72-75, 80 s., 96 s., 103, 118-122, 143, 148 s., 172; III, ibid. 1985, pp. 193-195; J. Krajcar, The Greek College under the Jesuits for the first time (1591-1604), in Orientalia christiana periodica, XXXI (1965), pp. 88-92; V. Peri, Chiesa romana e "rito" greco. G. A. Santoro e la Congregazione dei Greci (1566-1596), Brescia 1975, pp. 39-48, 177-205; W. A. Wallace, Galileo and his sources. The heritage of the Collegio Romano in Galileo's science, Princeton 1984, pp. 27 s., 269-272e passim; V. Peri, Due pareri inediti del cretese A. E., in Studi in on. di M. I. Manoussakas, Atene (in corso di stampa); J. F. Michaud, Biogr. univ. anc. et mod., XIII, ff. 163 s.; H. Hurter, Nomenclator literarius..., III, ff. 705 s.; Dict. de théol. cath., V, pp. 1465 s.; Jesuiten-Lexikon, I, Löwen-Heverlee 1934, p. 515; Catholicisme, IV, Paris 1956, pp. 664 s.