DELLA RENA (Dell'Arena; nella traduzione latina Arena o Harena; nella traduzione greca Ammonius, italianizzato di nuovo in Ammonio), Andrea
Nacque a Lucca dalla nobile famiglia Della Rena, figlio di Francesco e di Elisabetta, nei primi giorni di ottobre 1476, e fu battezzato il 13 ottobre (Lucca, Arch. d. cattedr., Battesimi, II,f. c. 11r). Il nome della madre "Elisab. de Harena" è testimoniato dal testamento di Ammonio.
Avviato alla carriera ecclesiastica, studiò qualche anno a Bologna con Oliviero da Montegallo (Oliverius Iontus de monte Gallo o de Montegallorum), professore di logica nello Studio di Bologna negli anni accademici 1494-1495 e 1497-1498. Quando il generale dell'Ordine dei servi di Maria, Antonio Alabanti (morto 8 dic. 1495) chiese ad Oliviero di correggere la Logica del suo precettore Stefano Fiandra, questi affidò l'importante incarico al suo giovane allievo D., che accettò. Il volume uscì a Bologna il 14 ott. 1495, stampato da Benedetto Faelli, con una lettera di "Oliverius Iontus" al D. e la dedica del D. - che si chiamò "Arena" - al compatriota Guglielmo Vellutelli. Inoltre il D. diede già qui le prime prove nella poesia latina, pubblicando due piccole poesie "ad lectorem", di quattro e di sette distici.
Non si sa quando il D. lasciò Bologna e quando arrivò a Roma, ove scrisse, in metro falecio, alcuni versi encomiastici in onore dell'oratore lucchese Nicolò Tegrimi. Questa poesia di cinquantacinque versi non appare nella prima edizione della Vita di Castruccio Antelminelli (Modena, Domenico Rocociola, 1496), ma accompagna una edizione dell'orazione pronunciata dal Tegrimi davanti a papa Giulio II il 20 dic. 1503. A Roma il D. entrò nella cerchia del lucchese Silvestro Gigli, ambasciatore del re inglese presso la corte papale, che chiamerà più tardi suo "vetus patronus". Strinse amicizia con Leonardo Grosso Della Rovere, cugino di Sisto IV, e con Sisto Della Rovere, cugino di Giulio II. Anche Pietro Griffi, che nel 1506 gli chiedeva particolari sugli Inglesi prima di partire per l'Inghilterra e al quale il D. rispose con una breve poesia, si contava tra i suoi amici. Lo stesso si può presumere di Gian Galeazzo Boschetti, qualificato "veterem suum [del D.] amicum" nella lettera scritta nel 1517 da Enrico VIII d'Inghilterra al duca di Ferrara, Alfonso 1 d'Este. Il D. si trattenne solo per pochi anni a Roma, e andò presto a cercare fortuna oltremare.
La data del suo arrivo in Inghilterra è sconosciuta, ma è molto probabile che egli nel 1505 abbia seguito Silvestro Gigli; questi fu mandato a portare il dono papale della spada e, del berrettone ad Enrico VII. La cerimonia della consegna dei doni ebbe luogo presso Richmond l'8 sett. 1505. In un primo momento, in un'ecloga, il D. loda l'Inghilterra come la terra promessa, ma più tardi si lamenta di non essere rimasto a Roma. In Inghilterra egli fece conoscenza ed entrò in rapporti amichevoli con Tommaso Moro, Tommaso Linacre e soprattutto Erasmo. A partire da quest'epoca, le poche notizie che si hanno della vita del D. si desumono in gran par te dall'epistolario di Erasmo, di cui fu uno degli amici più intimi: sono state conservate quattordici lettere del D. ad Erasmo e trentadue di Erasmo al Della Rena. Erasmo fu in Inghilterra dalla fine del 1505 fino al giugno 1506, quando lasciò Londra per accompagnare i due figli di Giovanni Battista Boerio, medico del re inglese, in Italia. Che già allora egli fosse in relazione amichevole col D. si può dedurre da una sua lettera del 1513 (ed. Allen, ep. 283): questa lettera attesta che Erasmo portò in Italia amore ed ammirazione per l'ingegno del D., ispirato dalla lettura di poche sue pagine trasmessegli dall'amico comune Holt. Erasmo riconobbe lo stile del D. nella lettera indirizzatagli il 27 maggio 1509 da Williani Blount, lord Mountjoy (Ibid., ep. 215): quasi sicuramente è scritta dal D., che già si trovava al suo servizio e che lo chiamerà il suo secondo mecenate (Ibid., ep. 220). Questa lettera, raggiante di entusiasmo per l'ascesa al trono di Enrico VIII - che si riprometteva di accogliere favorevolmente la nuova generazione degli umanisti (tra i quali Tommaso Moro, il D., Linacre, Erasmo) - sembra aver spinto Erasmo a lasciare in fretta l'Italia per tornare in Inghilterra, dove però le sue grandi speranze non si realizzarono subito e pienamente. Erasmo si lamentò ancora nel novembre 1511 di aver preferito l'Inghilterra all'Italia e Roma (Ibid., ep. 240), e il D. fece altrettanto, riferendo la sorte molto più felice dei suoi amici rimasti a Roma, la sede della fortuna: Leonardo Grosso Della Rovere, creato cardinale nel 1505 e poi gran penitenziere di Giulio II; e Sisto Della Rovere, nominato vice cancelliere della S. Sede nel 1508 (Ibid., ep. 243). Un mese prima, nell'ottobre 1511, il D. era stato costretto a sgomberare dalla casa di Moro in Bucklersbury a causa del secondo matrimonio di questo con Alice Middleton, che non apprezzava troppo gli amici di suo marito. Non avendo il denaro per prendere in affitto una casa tutta per sé, il D. dovette trasferirsi al collegio di S. Tommaso.
In questo periodo però la sua situazione cominciò a migliorare. La prima notizia che si ha del D. quale segretario di Enrico VIII non data al 1513 (come affermò Nelson, 1939, p. 33, n. 67; e ancora Monaco, 1973, p. 109), ma già al luglio 1511 (Letters and papers..., II, p. 1451), anche se occasionalmente si trova ancora il nome di Pietro Carmelitano, che aveva esercitato questa funzione dal 1495 in poi (6 giugno 1513: Letters and papers..., I, 2, n. 1970 [11]). Qualche mese più tardi, nel febbraio 1512, furono conferiti al D. un canonicato e una prebenda nella cappella collegiata di S. Stefano in Westminster, ed egli si rese tanto utile alla Corona che nell'aprile 1514 ricevette la cittadinanza inglese (Ibid., I, 1,n. 1083-1 e I, 2, n. 2861-22). Nello stesso anno 1514 cominciò il lungo tentativo del D. per ottenere la collettoria della S. Sede in Inghilterra. In questo periodo la situazione della collettoria è poco chiara: sembrano aver ripreso l'incarico, dopo la gestione di Pietro Griffi (1508-1512) e di Girolamo Bonvisi, il cardinale Adriano Castellesi con il sottocollettore Polidoro Vergilio, grazie al favore del nuovo papa Leone X. Quando il re Enrico VIII chiese a Leone X l'incarico per il suo segretario, il papa accolse la richiesta con benevolenza e nella sua lettera del 16 ag. 154 promise di nominare il D. qualche giorno dopo (Ibid., n. 3158). Seguirono altre tre lettere del re, alle quali il papa rispose, il 31 ott. 1514, di aver ritirato l'ufficio al card. Castellesi e di averlo conferito al D. (Ibid., n. 3401); il 2 dic. 1514 Silvestro Gigli confermò ad Enrico VIII la ferma volontà del papa di non invalidare questa nomina (Ibid., n. 3511). D'altra parte, però, il card. Castellesi, istigato anche da Polidoro Vergilio, intervenne, e le sue proteste indussero il papa a riconsiderare il caso. Da una lettera di Silvestro Gigli a Tommaso Wplsey, vescovo di Lincoln e poi di York, il D. aveva desunto che il papa voleva giungere ad un compromesso, nominandolo sottocollettore e lasciando al Castellesi una pensione di 1.400 ducati (Ibid., II,n. 272). Ma il D. non era disposto ad accontentarsi e in una lettera dell'11 apr. 1515 chiese al Wolsey, che a partire del 1511 assumeva un ruolo sempre più importante nella vita politica sotto Enrico VIII, di intervenire direttamente presso il re. Il D. vi aggiunse la corrispondenza compromettente tra Polidoro Vergilio e il Castellesi, che già prima aveva fatto intercettare (Ibid., II,nn. 215, 312), Wolsey, per il quale il re aveva chiesto il cardinalato il 12 ag. 1514 (Ibid., I, 2, n. 3139), vide l'occasione per combinare i due problemi e trovò il mezzo per forzare la mano al pontefice, facendo imprigionare Polidoro Vergilio. Il papa ritirò allora l'incarico di sottocollettore al Vergilio il 2 giugno 1515; al Castellesi furono assegnati i proventi della collettoria, e al D. l'esercizio dell'ufficio (Arch. segr. Vat., Reg. Vat. 1196, ff. 85r-86v). Wolsey ottenne la dignità cardinalizia il 10 sett. 1515, ma la contesa per la collettoria, il titolo di collettore e l'indennizzo, tra D. e il Castellesi, durò finché quest'ultimo non si trovò coinvolto in una congiura contro il papa, scoperta nel maggio 1517. In giugno Silvestro Gigli comunicò al D. che poteva esser sicuro della collettoria e dei 1.000 ducati con essa connessi (Letters andpapers..., II, n. 3406).
Purtroppo il D. poté appena godere di questa sua vittoria, che avrebbe dovuto segnare una prima tappa sulla via del successo che la carica di segretario latino gli aveva aperto.
In questa funzione egli aveva la possibilità di scrivere lettere ufficiali, a nome del re, che servissero agli interessi personali suoi o dei suoi amici: per sé aveva fatto chiedere con tanta pertinacia la collettoria, e nel 1517 fece intervenire, ma invano, Enrico VIII presso Alfonso I d'Este a favore di Gian Galeazzo Boschetti (Ibid., II, nn. 3280, 3388); il 15 giugno 1517 il D. scrisse al marchese di Mantova, Gian Francesco Gonzaga, per raccomandarsi a lui (Kristeller, II, p. 525). Ma già il solo fatto di esser intermediario tra gli esponenti della vita politica inglese, come Riccardo Foxe o Wolsey, e quelli sul continente, di leggere per primo i dispacci confidenziali e segreti, che spesso dovette tradurre o decifrare, diede al D. un'influenza sociale e politica considerevole. Di questa sua attività ci rimangono molte testimonianze: copie di lettere, lettere decifrate, notizie di lettere spedite da e al D., e specialmente molte lettere originali di Silvestro Gigli, rappresentante degli interessiinglesi presso la S. Sede, con cui il D. mantenne rapporti cordiali e dal quale fu egregiamente informato sulla situazione politica in Italia e specialmente a Roma. In questa categoria vanno ugualmente catalogate le lettere scambiate col papa, con vari vescovi, - tra l'altro cardinali e altre persone importantil con Lodovico Canossa, che trovò alloggio presso il D. nel 154, quando fu inviato dal papa per negoziare la tregua tra Francia e Inghilterra (Ibid., II, ad Indicem). Particolarmente interessanti sono le sette lettere che il D. tra il settembre 154 e il luglio 1517 indirizzò al Wolsey (Ibid., I, 2, n. 3302; Ibid., II, nn. 312, 823, 849, 968, 3083, 3535), e delle quali solo tre furono pubblicate dal Pizzi (Carmina..., pp. 75-87).
Della sua corrispondenza col Boschetti rimangono solo due lettere, relative alla preparazione della supplica da introdurre presso Alfonso d'Este. Le lettere che il D. scambiò con Erasmo si situano in gran parte su un altro livello, e rivelano altri aspetti della ricca personalità e dell'attività letteraria del Della Rena. La prima lettera di Erasmo al D. conservataci risale al 10 apr. 1511, quando Erasmo era in partenza da Londra per la Francia e portava con sé alcune poesie dell'amico che voleva pubblicare a Parigi. A Dover mostrò il manoscritto al loro patrono comune, Mountjoy, che approvò il volumetto, ma non parve esser contento della prefazione, come Erasmo fece sapere all'amico nel chiedergli cosa farne (ed. Allen, ep. 218). Questa lettera non sembra mai esser giunta al D., ed Erasmo ripeté la domanda in un'altra lettera datata 27 aprile (Ibid., ep. 219), che arrivò a Londra il 16 maggio. Il D. si affrettò a cambiare l'introduzione e spedì il 19 maggio la nuova versione (Ibid., ep. 220) insieme con una missiva d'invio ad Erasmo (Ibid., ep. 221). Ma probabilmente questa lettera arrivò troppo tardi a Parigi, ed Erasmo si era già risolto a pubblicare i Carmina senza prefazione, come d'altronde aveva suggerito lo stesso Mountjoy (Ibid., ep. 218).
Il problema che presenta questa edizione, di cui sono rimasti solo pochissimi esemplari (due alla Bibliothèque nationale di Parigi, uno alla Bodleian Library di Oxford), è molto intricato. Non si conosce esattamente la data né lo stampatore. Per le segnature (b. i., ecc.) a piè dei fogli, è evidente che i Carmina furono preceduti da un primo quaderno, contenente il De ratione studii di Erasmo. Da scartare subito è l'opinione del Pizzi (in Carmina..., p. VI),che l'edizione fu "curata dall'autore e pubblicata a Londra nel 1511, e, con molta probabilità, dal tipografo inglese Iodocus Badius". Il volume sicuramente non uscì dai torchi del tipografo fiammingo Badio stabilitosi a Parigi, anche se Erasmo aveva chiesto al D. di spedire a questo le sue istruzioni per la stampa (ed. Allen, ep. 218). Erasmo aveva affidato la stampa del volume ad Egidio di Gourmont, dal quale fece stampare allo stesso tempo il suo Encomium Morias, o fustampato da Roberto de Keysere a Parigi, o addirittura a Gent nel 1512 o all'inizio del 1513 (come suggeriscono Nijhoff e Kronenberg, n. 2975). Quest'ultima ipotesi sembra poco probabile, anche se il volumetto non è elencato nell'Inventairechronologique des éditions parisiennes du XVIe siècle, II,a cura di B. Moreau (Paris 1977). Si potrebbe piuttosto pensare ad una qualsiasi forma di collaborazione tra Egidio di Gourmont e Roberto de Keysere. In ogni caso il volumetto è sul mercato prima della fine del 1511, ed Erasmo chiede in una lettera - spedita da Cambridge nell'ottobre 1511 un esemplare, se è già in vendita a Londra (ed. Allen, ep. 234).
Anche più tardi Erasmo dimostrò sempre il più vivo interesse per l'attività letteraria del suo amico. La descrizione tanto vivace e colorita della vita càstrense che aveva dipinto il D. quando aveva accompagnato Enrico VIII nella campagna contro, i Francesi durante l'estate e l'autunno del 1513, l'aveva fatto sorridere (Ibid., ep. 273). Il panegirico (non conservatoci) che il D. scrisse nello stesso anno per esaltare le imprese del suo re, e specialmente la guerra contro i Francesi, fu lodato e commentato ampiamente da Erasmo, che ne citò anche alcuni versi; nella stessa lettera Erasmo espresse anche il desiderio di leggere la composizione del D. sul conflitto con gli Scozzesi (Ibid., ep. 283). Stabilitosi a Basilea e preso dal fervore editoriale - stava lavorando alle edizioni del Nuovo Testamento e di s. Gerolamo -, Erasmo chiese al D., in una lettera del 2 ott. 1515, di volergli spedire i suoi epigrammi (Ibid., ep. 360). Non è improbabile che Erasmo avesse in mente di pubblicare un volume a due, come fece più tardi con gli epigrammi di T. Moro, che fece stampare insieme coi suoi e con l'Utopia da Froben, nel novembre 1518. Ma il progetto non fu mai realizzato. Le altre lettere scambiate tra Erasmo e il D., che sono di una apertura e spontaneità singolari, tradiscono un'intimità e una amicizia senza riserve. Ambedue si lamentano della loro patria adottiva, o ridono insieme dell'incompetenza poetica della quale il rivale del D., Pietro Carmeliano, aveva dato prova in un epitaffio violento composto per il re scozzese Giacomo IV (Ibid., epp. 280, 282). Il D. non si trattiene dal dare la sua opinione sulla seconda moglie del Moro mostratasi poco ospitale, o sulla mensa del collegio S. Tommaso (Ibid., epp. 236, 243). Per Erasmo il D. fu l'amico fidato sempre pronto ad aiutarlo nei piccoli e grandi problemi della vita di ogni giorno. Dietro sua richiesta il D. gli fornisce ad intervalli regolari vino greco, perché né la birra né il vino locale sono graditi ad Erasmo; Erasmo gli chiede di trascrivere il suo Icaromenippus (Ibid., ep. 246); quando Erasmo si decide a venire a Londra, il D. cerca dappertutto un alloggio per lui; non appena Erasmo accenna che un cavallo gli sarebbe utile, il D. gliene procura uno bellissimo (Ibid., ep. 455).
Ma Erasmo si valse del D. soprattutto come fonte di informazioni inesauribile, veloce e accurata, per Roma e l'Italia; a diverse riprese Erasmo chiese di esser tenuto al corrente di quanto avveniva in Italia, e il D., grazie ai suoi amici potenti alla corte pontificia, come Gigli e Iacopo Sadoleto, poteva soddisfare il suo desiderio. Queste relazioni gli furono utili anche in altre occasioni, ed è già stata espressa l'ipotesi che Erasmo, per la prima dispensa conferitagli dal papa Giulio II nel gennaio 1506, abbia potuto contare sull'aiuto del D. e di Silvestro Gigli, che qualche mese prima poteva aver incontrato in Inghilterra (Ibid., ep. 187, intr.): ma questa rimane un'ipotesi. Sicuro è che il D. fu il personaggio chiave quando Erasmo nel 1516 cercò di liberarsi dagli inconvenienti che potevano derivare dalla sua nascita illegittima o dalla sua appartenenza all'Ordine dei canonici di S. Agostino.
Nell'agosto di questo anno Erasmo venne appositamente a Londra per discutere col D. la strategia da seguire. In questa occasione Erasmo scrisse una lettera al papa Leone X, indicando che la sua causa sarebbe stata difesa oralmente da Silvestro Gigli, mentre il D. l'avrebbe esposta per iscritto (Ibid., ep. 446); un'altra lettera, indirizzata ad un personaggio fittizio, Lamberto Grunnio (Ibid., ep. 447), doveva probabilmente istruire Gigli sui dettagli del caso. Il D. si rivolse personalmente al papa nel settembre 1516, raccomandando caldamente Erasmo, e spedì una copia autografa della lettera allo stesso (Ibid., ep. 446). Scrisse anche un'altra raccomandazione per Erasmo al papa in nome del re Enrico VIII (Ibid., ep. 518, ll. 5 s.). Il 4 dicembre il D. poté comunicare ad Erasmo che il papa era disposto ad acconsentire alla sua domanda, e che Gigli aveva spedito una brutta copia della dispensa, da far correggere ad Erasmo e poi da rispedire a Roma (Ibid., epp. 498). La notizia liberatrice giunse finalmente ad Erasmo - che si era mostrato tanto impaziente a questo proposito (Ibid., epp. 505, 539, 551) - tra l'11 e il 15 marzo 1517, insieme con una lettera del Gigli, che lo invitava a presentarsi presso il D. per la cerimonia ufficiale (Ibid., ep. 552).
Tre settimane più tardi, Erasmo fu presente a Londra per ricevere la dispensa tanto ardentemente desiderata dalle mani del suo amico, che sottoscrisse il documento speditogli dal papa insieme con Giovanni Sistino (Ibid., ep. 517). La cerimonia si svolse il 9 apr. 1517, nella casa che il D. abitava a Westminster probabilmente dal 1512, anno nel quale gli furono conferiti il canonicato e la prebenda nella cappella collegiata di S. Stefano. Indubbiamente nella stessa occasione ad Erasmo era stato chiesto un contributo agli Hymni Christiani del poeta regio alla corte inglese, Bernard André. Questo testo fu pubblicato il 7 luglio 1517 da J. Badius a Parigi, preceduto e seguito da poesie laudative scritte da persone di valore, come Fausto Andrelini, Tommaso Moro, William Lily, William Walter, e naturalmente il D., che contribuì, con quattro distici, al volume. Questa breve visita di Erasmo a Londra fu l'ultima occasione nella quale i due amici si videro.
La mattina del 17 agosto, il D. fu colpito dal "sudore freddo" e soccombette dopo sole diciassette ore di malattia, la sera dello stesso giorno. Una relazione di prima mano di questo drammatico evento fu spedita dal cugino del D., Pietro Vanni, a Nicolò Tegrimi (conservata nel ms. 858 della Bibl. governativa di Lucca e pubblicata dal Pizzi, Un amico..., pp. 82-86).
Rimane però qualche incertezza quanto alla data della sua morte. Pietro Vanni, che assistette dalla mattina alla sera il D., scrisse che morì "die 16 Augusti post Assumptionis", e che fu sepolto due giorni più tardi, e in un'altra lettera non datata al Wolsey rivelò che il D. morì intorno alle ore 9 della sera (Letters and papers..., II, n. 3602). Il testamento del D. però fu redatto solo il 17 agosto (l'originale si conserva tuttora presso la Prerogative Court of Canterbury [Wills], e copie parziali alla British Library [Lansdowne Ms., 949/5, f. 17v], e all'University Library di Cambridge [Add. Mss.,21 (G.), f. 62v]; è stato pubblicato ultimamente dal Pizzi, I, pp. 13 s.). Combinando l'indicazione del Vanni che il D. fu sepolto due giorni dopo la sua morte con la notizia contenuta nella lettera che Giovanni Sistino spedì il 19 agosto ad Erasmo: "Hodie amicus noster Andreas Ammonius sepultus est" (ed. Allen, ep. 624), si può concludere che il D. morì effettivamente il 17 ag. 1517.
Quando Erasmo ricevette la notizia della morte dell'amico, alla fine del mese, si sforzò subito di ricuperare le sue lettere rimaste in possesso del D., e soprattutto i documenti riferentisi alla dispensa conferitagli. A questo scopo insistette direttamente presso Pietro Vanni, e anche indirettamente, tramite Giovanni Sistino (Ibid., epp. 655, 656). Qualche mese più tardi, il 22 febbr. 1518, ripeté la sua richiesta presso i due (Ibid., epp. 774, 775); ma nell'aprile 1518 si mostrò molto insoddisfatto della condotta di Pietro Vanni, che gli aveva trasmesso solo poche lettere, e che, per di più, aveva consegnato, aperta al latore, una copia della dispensa (Ibid., ep. 822). Se ne lamentò anche in una lettera a Giovanni Sistino, della stessa data, e pateticamente chiese oQuae bestia potest esse sceleratior Petro Ammonio?" Lo descrive come "ingeniuni vere Italicum ...; portento ... dissimillimo veteris Ammonii" (Ibid., ep. 828).
Anche a Roma la notizia della morte del D. giunse prima della fine del mese. Il 29 ag. 1517 Leone X nominò Silvestro Gigli collettore pontificio in Inghilterra. Gli altri benefici del D. in Inghilterra furono ripartiti ancora prima. Già il 18 agosto, Riccardo Foxe, vescovo di Winchester e fondatore del Corpus Christi College a Oxford, conferì un beneficio, concesso al D. solo due settimane prima, a John Claymond presidente dello stesso Collegio (Ibid., ep. 623). Il canonicato e la prebenda nella cappella collegiata di S. Stefano a Westminster non rimasero vacanti per più di due giorni: furono conferiti da Enrico VIII a Tommaso Linacre il 19 agosto (Letters and papers..., II,n. 3624).
Pietro Vanni stesso, che già il giorno dopo la morte del suo parente aveva chiesto al Wolsey qualche beneficio vacante per la morte del D. (Ibid., II, n. 3602), occupò il posto di segretario presso di lui, per passare poi al servizio di Enrico VIII come segretario per le lettere latine, e più tardi ancora come ambasciatore. Il D. gli aveva riservato per disposizione testamentaria solo 100 nobili d'argento. lasciando tutti gli altri averi a sua madre.
Le poesie sono state riedite in epoca recente a cura di C. Pizzi (Andreae Ammonii Carmina omnia. Accedunt tres epistolae nondum editae)a Firenze nel 1958; otto poesie sono state pubblicate da Ledos nel 1897; infine una lettera e quattro distici da Tournoy nel 1988.
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