DELITIO (De Lecio, De Lectio, De Litio), Andrea (Andrea di Licio, anche erroneamente Andrea da Lecce)
Appartenente a una famiglia trasferitasi a Guardiagrele (Chieti) da Venezia già nel sec. XII, nell'ambito dei fiorenti commerci della Repubblica marinara lungo la costa adriatica, fu operoso, come pittore, nella seconda metà del sec. XV.
La antica grafia del nome ha generato qualche incertezza riguardo sia all'identificazione sia alla città di provenienza dell'artista; ma lo Iezzi (1905), con le sue ricerche epigrafiche e documentarie, attraverso i Registri di stati d'anime delle due parrocchie di Guardiagrele, riesce a ricostruire una piccola ma significativa storia della famiglia dei Litii, che svolsero in quella città, a partire dal XII secolo, l'attività di marmorari, decoratori, pittori.
Proprio a Guardiagrele esiste l'unica opera firmata e datata ("Andrea Delitio 1473 fecit hoc opus"), un grande affresco raffigurante S. Cristoforo, eseguito in una fase già avanzata della sua attività (Bertaux, 1898). A quell'epoca infatti, secondo un catasto (1455-1480) dell'Archivio capitolare di Atri, il D. già possedeva in Atri una casa nel quarto di S. Maria, un orto vicino porta S. Angelo e infine una vigna con alberi nel borgo di Mutignano: una situazione di benessere, certo derivantegli dal suo ben remunerato mestiere di pittore (Trubiani, 1973-74). All'inizio della sua attività, intorno al '40, egli appare inequivocabilmente legato alle forme del gotico internazionale, interpretato in un'accezione di timbro marchigiano, memore di Arcangelo di Cola e particolarmente vicina a Bartolomeo di Tommaso da Foligno. Appartengono a tale momento la Madonna col Bambino e due angeli della chiesa di S. Amico all'Aquila, per cui è stata proposta una datazione tra il '40 e il '45 (Bologna, 1950), la Madonna in trono con Bambino e santi, in collezione Kisters a Kreuzlingen di incerta attribuzione (Volpe, 1971), gli ormai distrutti affreschi di S. Francesco della Scarpa a Sulmona con Storie di s. Francesco e della Maddalena sulle pareti, Evangelisti e Dottori nella volta, a lui affidati per l'esecuzione nel 1450 secondo un documento dell'Archivio Sorricchio (Sorricchio, 1897; Piccirilli, 1898), gli affreschi della cappella di S. Sebastiano a Isola del Gran Sasso, raffiguranti l'Annunciazione e la Madonna col Bambino e i ss. Sebastiano e Rocco (Bertaux, 1898), il dittico della chiesa di S. Maria la Nova a Cellino Attanasio raffigurante Madonna col Bambino e una santa e la Crocifissione con la Vergine e s. Giovanni (Carli, 1942), il trittico del Museo Walters di Baltimora, con al centro Madonna col Bambino, nei laterali S. Paolo e s. Lucia e S. Francesco e s. Chiara e nella cuspide Crocifissione (Longhi, 1926). Per quest'ultima opera è stata proposta una datazione verso la seconda parte del quinto decennio (Bologna, 1950), ma essa già costituisce un elemento di congiunzione con la successiva fase stilistica, caratterizzata da un costante aggiornamento sui paralleli sviluppi della pittura marchigiana. A tale periodo appartiene la Crocifissione di S. Amico, in cui l'uso di una luce alla Domenico Veneziano è congiunto a esperienze paesistiche alla Boccati; per essa è stata proposta una datazione intorno al '60 (Cannatà, 1980). Tra il '60 e il '65 sono datati tre dipinti conservati all'Aquila nel Museo nazionale d'Abruzzo, il frammento di affresco raffigurante Madonna proveniente dal santuario di Appari a Paganica, il S. Antonio e la Madonna col Bambino (datata 1465), provenienti dal convento della Beata Antonia all'Aquila, la cui attribuzione (Moretti, 1968) non è però concordemente accettata.
Qualche anno più tardi dovette avvenire l'incontro a Camerino con l'opera di Gerolamo di Giovanni, determinante per il D. di un nuovo orientamento, che deve ai laboriosi filtri del maestro marchigiano la delicata coniugazione del verbo pierfrancescano con elementi dello squarcionismo padovano. Una prima prova in tal senso è il monumentale S. Cristoforo (1473), che puntualmente il Carli (1942) aveva paragonato all'opera di Gerolamo di Giovanni a Padova. A questa fase più matura, per cui il D. è stato definito rappresentante indimenticabile di un "rinascimento umbratile" (Longhi, 1926), appartengono la Madonna col Bambino in collezione Corsi a Firenze (Mason Perkins, 1912), la Madonna in Casa Sanità a Sulmona (Piccirilli, 1898), il S. Silvestro papa con quattro scene della sua leggenda nella parrocchiale di Mutignano (Bertaux, 1898), il S. Benedetto che ferisce Totila del Museo di Providence (Zeri, 1961) e infine gli affreschi del coro della cattedrale di Atri.
Eseguiti per Andrea Matteo III d'Acquaviva, signore di Atri a partire dal 1481, essi costituiscono la sua impresa più impegnativa. Le pitture si svolgono sulla volta e sulle pareti del coro con un gusto narrativo ricco di estro, attento alle realtà della vita quotidiana e alla resa dei più immediati sentimenti umani. La ricca decorazione e la cura nella definizione delle suppellettili e dei più minuti particolari hanno consentito di postulare in questo caso influssi spagnoli provenienti da Napoli e fiamminghi da Urbino (Bologna, 1956). Il problema della prospettiva è presente, ma non predominante, così che non tutti gli elementi compositivi sono sottomessi alle sue rigide regole. Sulla volta quadripartita da grossi costoloni decorati sono raffigurati gli Evangelisti e i Dottori dellaChiesa; sulle pareti, in tre registri, le Storiedi Anna e di Gioacchino, le Storie di Maria, le Storie di Cristo, illustrate da iscrizioni in dialetto abruzzese (Sorricchio, 1897; Piccirilli, 1898; Bertaux, 1898). In un particolare è stato riconosciuto il ritratto del committente (Bertaux).
Altre opere attribuite al D. ma poi concordemente espunte dal catalogo del pittore sono gli affreschi del palazzo ducale di Tagliacozzo (Jackson, 1912), i dipinti di S. Biagio a Campodonico e di S. Maria Maddalena a Fabriano, la lunetta della chiesa dell'ospedale dell'Aquila (Berenson, 1936).
Francesco, figlio del D., fu pittore operoso a Guardiagrele, L'Aquila e Roma; morì a Guardiagrele nel 1560.
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