ANDREA del Sarto
Pittore, nato a Firenze il 6 luglio 1486 da Angiolo di Francesco sarto, donde il cognome assunto insieme con uno stemma di due seste incrociate. Da Andrea d'Angiolo o Angeli alla latina deriva anche la sigla di due A incrociate, che si trova su varî dipinti di A., la quale, supposta da G. Cinelli (Bellezze di Firenze, Firenze 1677) composta di A e V, ne avvalorò lungamente la credenza in un casato Vannucchi. Egli fu posto a sette anni presso un orefice, indi presso un pittore dozzinale, Giovanni o meglio Andrea Barile, che avvedutosi della meravigliosa attitudine di A. per il disegno lo acconciò con Piero di Cosimo, presso il quale rimase varî anni, recandosi le feste alla sala del papa per studiare i celebri cartoni di Leonardo da Vinci e di Michelangiolo. Ivi stretta amicizia col Franciabigio, questi due giovani artisti si accordarono per mettere su bottega insieme; difatti, pur non conoscendo nulla di operato in comune, nelle loro opere giovanili si avverte sempre una qualche analogia, dipendente tuttavia dalla maggiore individualità e potenza rappresentativa di Andrea.
La sua arte si formò mentre, soggiornando Leonardo da Vinci in Firenze, tutti gli artisti si andavano modificando dietro la sua influenza e più d'ogni altro Piero di Cosimo; onde A. con la dolcezza dello sfumato e con la trasparenza delle velature riuscì a conquistare la massima morbidezza del modellato e leggerezza atmosferica. Il colorismo oleare assecondante la moda peruginesca dei suoi primi anni si andò a poco per volta armonizzando in un'intonazione dominante grigio rosea, rilevata da pastose lumeggiature e da velati cangianti. Sul tardi, in omaggio a Michelangiolo, A. ingrandì il proprio stile, ma la delicatezza del suo gusto e la limitatezza delle sue aspirazioni gl'impedirono di trascendere verso le esagerazioni di altri, che al pari di lui non erano di forza per tali ardimenti. Assecondando quindi la propria modesta natura egli riuscì corretto nel disegno, onde fu chiamato "Andrea senza errori", mentre nell'orbita del colorismo fiorentino si può considerare il massimo pittore; ché, se non gli fosse mancata la scintilla del genio ad animarne lo spirito creativo timido e convenzionale, A. sarebbe stato da porsi tra i sommi.
La sua più antica tavola dipinta per la chiesa di S. Gallo distrutta durante l'assedio di Firenze è il Noli me tangere oggi agli Uffizî, ancora rigida di movimento e timida di colore. La prima opera monumentale cui pose mano A. fin dalla prima giovinezza fu la decorazione in terra verde a chiaroscuro del piccolo chiostro dello Scalzo, che egli iniziò con un Battesimo di Cristo di maniera ancora alquanto peruginesca, e riprese saltuariamente secondo date documentate dal 1514, rappresentandovi i fatti della vita di S. Giovanni Battista con maniera variata secondo i progressi dell'arte propria; l'ultima storia, la Nascita del santo, è del 1526. Nel 1508 A. si matricola all'Arte dei medici e speziali. Poco dopo egli comincia nel chiostrino dell'Annunziata gli affreschi con storie di S. Filippo Benizzi, ove si vede il costante evolvere e ammorbidirsi del suo stile coloristico a cominciare dalla ancor quasi quattrocentesca Resurrezione dî un fanciullo per terminare nel 1510 col Bacio della reliquia. Dall'altro lato del cortile A. dipinse nel 1511 il Corteo dei Magi e nel 1514 terminò il suo primo capolavoro, la Natività della Vergine, ove già raggiunge la massima dolcezza d'intonazione e di sfumato nell'armonia di una nobile e calma composizione. Nel 1515 per l'ingresso trionfale di Leone X in Firenze egli decorò di chiaroscuri la facciata posticcia del duomo eretta da Iacopo del Sansovino. Con costui s'era legato di stretta amicizia e si scambiavano disegni e modelli, come avvenne per la stupenda Madonna delle Arpie dipinta nel 1517 per le monache di S. Francesco, oggi agli Uffizî. In questo anno sposò Lucrezia del Fede, bella vedova di carattere estroso che sembra gli rendesse la vita alquanto tribolata; gli servì da modella per molti dipinti e ne fece ritratti tra i quali il più bello trovasi al Prado a Madrid. Nel 1518 fu invitato in Francia alla corte di Francesco I ove fece il ritratto del Delfino ed altri dipinti dei quali rimane, al Louvre, una Carità; ma né i successi né i rapidi guadagni lo trattennero l'anno seguente dal recarsi a Firenze col pretesto di provvedere quel re d'opere d'arte antiche e moderne e di prendere seco la consorte; invece non trovò più il verso di tornare in Francia mancando di fede a Francesco I e consumando in altro modo il denaro. Nel 1520 A. mise mano a costruire per sé una casa che ancora oggi si distingue all'angolo di via Gino Capponi (già San Sebastiano) con via Giuseppe Giusti (già del Mandorlo). Nel 1521 incominciò per il salone della villa Medicea di Poggio a Caiano l'affresco del Tributo di Cesare, ricco di figure, di animali, di architetture, completato più tardi da Alessandro Allori. Nel 1524 dipinse per le monache di S. Pietro a Luco in Mugello la Deposizione oggi a Pitti; nel 1525 un altro capolavoro, la Madonna del Sacco, in fresco nel chiostro dell'Annunziata; nel 1528 una Madonna con Santi per il duomo di Sarzana oggi a Berlino e i quattro Santi per la Vallombrosa oggi agli Uffizî. Nel 1530, durante l'assedio, A. dovette dipingere all'esterno del palazzo del Podestà i capitani traditori e i ribelli impiccati in effigie per i quali esistono stupendi disegni. Durante questo assedio, mentre per la difesa della città si andavano demolendo tutti gli edifizî del piano fuori delle porte sulla destra dell'Arno, il popolo stupefatto dalla bellezza del Cenacolo di A. dipinto nel 1527 in S. Salvi non ebbe il coraggio di atterrarlo, e ancora oggi vi si può ammirare in eccellente stato di conservazione. Così rispettò anche un altro suo ammiratissimo affresco presso la Porta a Pinti, una Madonna, che il tempo ha distrutto, ma che si conosce per molteplici copie. A. morì il 22 gennaio 1531 e fu sepolto nel chiostrino dell'Annunziata.
Numerosissime inoltre sono le opere di A., che si conservano in Firenze e fuori. Ricorderemo qui nella Galleria Pitti, l'Annunziazione del 1512 (con l'iscrizione: Andrea del Sarto ecc.) la Disputa della Trinità del 1517, l'opera sua più perfetta per l'espressione e per la calda fusione del colorito, due grandi Assunzioni, l'una commessa da B. Panciatichi per una chiesa di Lione, l'altra nel 1526 dalla madre del cardinale Passerini per Cortona, due Madonne in gloria con santi per chiese di Gambassi e di Poppi, due Sante famiglie, due Storie di Giuseppe per la camera nuziale dei Borgherini, il S. Giovannino; agli Uffizî, il ritratto d'una poetessa, il S. Giacomo, l'autoritratto su tavola; alla SS. Annunziata, la testa del Redentore. A Pisa nel duomo, cinque Santi tra i quali la celebre S. Agnese; a Roma, due Madonne nelle gallerie Borghese e Barberini. A Vienna, la Pietà e i tre Arcangioli; a Dresda, lo Sposalizio di S. Caterina e il Sacrifizio d'Isacco; a Londra, un meraviglioso ritratto di scultore. Altre Madonne all'Hermitage, al Louvre, al Prado, ecc. (V. tavv. XLIII a XLVI).
Bibl.: F. Knapp, A. del Sarto, Lipsia 1907; F. di Pietro, Disegni di A. del Sarto agli Uffizî, Siena 1910; A. Venturi, Storia dell'arte it., IX, i, Milano 1927.