ANDREA d'Angiò (o di Ungheria), re di Sicilia
Nato il 30 nov. 1327, secondogenito del re di Ungheria Caroberto d'Angiò, aveva soltanto tre anni quando si incominciò a negoziare il suo matrimonio con una delle nipoti del re di Sicilia Roberto, mentre il suo fratello maggiore avrebbe dovuto sposare l'altra. Essendo poi stato abbandonato questo secondo progetto di matrimonio, egli fu destinato alla primogenita delle sue cugine, erede del regno di Sicilia, Giovanna. Suo padre lo condusse a Napoli, dove il matrimonio dei due bambini ebbe luogo il 26 sett. 1333: essi ricevettero in quell'occasione il ducato di Calabria, ed in seguito, il 26 giugno 1334, il principato di Salerno. La loro unione non doveva naturalmente essere consumata prima che essi avessero raggiunto l'età legale.
Una corte veramente regale, cui erano addetti almeno una cinquantina di servitori e di impiegati, fu immediatamente costituita per il giovane principe, che manteneva anche presso di sé alcuni suoi connazionali, tra cui la sua nutrice Isabella. I registri dei conti del re Roberto ci permettono di rappresentarcelo "nella sua stanza decorata delle sue insegne, nella cappella, o a passeggio coi suoi cani o al comando della sua piccola galera o più semplicemente intento a giocare a palla con Ferdinando di Maiorca. Bisogna pensare che avesse i bronchi delicati? Gli si faceva bere camomilla, della borrana e della tisana di rose secche fino ad estate avanzata" (E. G. Léonard, Jeanne Iere, I, p. 168). Non sappiamo niente dell'istruzione che gli fu data. Certamente non ebbe tra le mani il Cathechismus scolarium novellorum, che compose per lui e gli dedicò un Guiral Ot, eletto ministro generale dei frati minori nel 1329, dopo la destituzione di Michele da Cesena: la famiglia reale di Napoli, protettrice degli spirituali, riteneva questo personaggio un usurpatore.
Quando A. compi quindici anni, nel 1342, si parlò di fargli dirigere una spedizione in Sicilia, che non ebbe poi luogo. La sua vestizione a cavaliere era prevista per la Pasqua 1343 ed il suo matrimonio doveva essere celebrato quattro giorni dopo. La morte di re Roberto fece anticipare leggermente entrambe le cerimonie. Il monarca morente volle armare il marito di sua nipote, ma non gli impose la corona, contrariamente a quanto affermano la maggior parte dei cronisti ed un compianto provenzale (Parigi, Bibl. Nat., ms. fr. 1049, f01- 14 v., con una miniatura rappresentante questa scena). Il testamento non gli affida nessuna parte del potere e si limita a lasciargli il principato di Salemo, nel caso che Giovanna morisse prima di lui, senza prole. Il matrimonio effettivo fu celebrato il 22 o 23 gennaio, appena :il corpo del vecchio re fu trasportato a Santa Chiara e addirittura prima che esso avesse ricevuto sepoltura provvisoria.
Ridotto a non essere che un principe consorte, anche se per cortesia gli veniva dato il titolo di re, A. era ancor più spinto a cercare di ottenere una reale partecipazione al potere dal fatto che la corte di Ungheria aveva visto nel suo matrimonio il mezzo per far valere i diritti di cui era stata privata dalla designazione di Roberto come erede di Carlo II, a detrimento di Caroberto. I suoi sforzi per uscire da una situazione umiliante, il viaggio che sua madre, la regina Elisabetta, fece a Napoli per aiutarlo (luglio 1343-febbraio 1344), gli intrighi degli intimi di sua moglie e la gelosia del potere di quest'ultima allontanarono i due giovani sposi, più che la brutalità che il Boccaccio attribuisce al giovane principe (Petrarca lo definisce, senza addurne le ragioni, "puer alti animi"). Gli interventi ben intenzionati del papa Clemente VI non fecero che peggiorare la situazione. Verso la fine del febbraio 1344, egli accordava ad A. il titolo regale, ma senza alcun potere; lettere del 20 o 21 sett. 1345 ordinarono che egli fosse incoronato insieme a sua moglie senza però che nulla fosse mutato quantoalle prerogative ed alla successione della regina: ma l'infelice principe era stato assassinato nella notte dal 18 al 19 ad Aversa.
Le circostanze dell'assassinio si possono ricostruire facilmente, sulla scorta dei racconti dei contemporanei. A. dormiva al fianco di iua moglie quando fu chiamato fuori. "Appena uscito di camera, gli fu chiusa la porta dietro le spalle. I congiurati afferrandolo per i capelli, tappandogli la bocca per impedirgli di gridare, cercano di trascinarlo via. Senz'armi - era appena vestito - si dibatte come può, morde una mano, si libera, corre alla porta della sua stanza, non riesce ad aprirla e gli assassini gli sono di nuovo addosso. Si difende, ma lo si colpisce al basso ventre; vien meno. Gli passano una corda al collo e lo strangolano; altri di questi forsennati si inginocchiano su di lui per soffocarlo. Era certamente già cadavere quando lo fanno penzolare dalla balaustra della galleria e lo tirano in giù per maggior precauzione. Pensano di gettarlo in un pozzo, a seppellirlo in un giardino od in una scuderia, quand'ecco che si vede un lume: gli assassini si danno alla fuga. È la nutrice dell'infelice che, unica destata dal rumore, al lume d'una candela si èmessa a cercare il suo ragazzo e lo trova morto, i capelli strappati a ciocche, il volto graffiato, le narici insanguinate, le labbra coi segni dei guanti di ferro e il collo con quelli della corda, nella bocca un brandello di carne della mano che lo soffocava, il dorso coi segni delle violente pressioni che ha subito e il ventre orribilmente mutilato" (E. G. Léonard, Jeanne Iere, I, pp.471-473).
Quanto ai colpevoli, ci sembra che si fossero uniti diversi complotti. Numerosi personaggi della corte perirono tra i tormenti, senza che la loro morte provi niente contro di loro. Se si cerca di individuare chi avesse interesse a far sparire A., si è portati a pensare a Luigi di Taranto, che gli successe e che fu sospettato da Clemente VI, e a Nicola Acciaiuoli, suo consigliere; con minor probabilità, alla regina.
La tradizione che incolpa quest'ultima, e che ha origine dalla narrazione della maggior parte dei cronisti, è ancora ricordata nella cattedrale di Napoli da un'iscrizione molto posteriore, che attribuisce la morte di A. "Ioannae uxoris dolo et laqueo". Questo laccio, accessorio inevitabile delle opere letterarie consacrate a questo episodio, è rappresentato come se strangolasse A. e sua moglie dalla miniatura del manoscritto 30.025 della Bibl. Nat. di Parigi, circa il quale si può consultare il nostro articolo Un abrégé illustré de l'histoire de la Reine Jeanne dans un tableau: des droits de Louis XII sur le royaume de Naples, in Comptes-rendus et mémoires du Congrès de l'Institut historique de Provence, 1928 (Marseille 1931), pp. 72-79.
Bibl.: M. Camera, Elucubrazioni storico-diplomatiche su Giovanna I, Salerno 1889; G. De Blasiis, Le case dei principi angioini, in Racconti di storia napoletana, Napoli 1908; E. G. Léonard, Histoire de Jeanne Ière, I, Paris 1932 (con tutta la bibliografia precedente). Sulle opere letterarie, espressione della leggenda di Giovanna e di Andrea d'Angiò, ibid., pp. VIII-Xl,e Id., Les Angevins de Naples, Paris 1954, pp. 509-513.