CORSINI, Andrea
Nacque a Firenze il 16 luglio dell'anno 1804 dal principe Tommaso e dalla baronessa Antonietta Hajeck von Waldstädten di Vienna. Si hanno scarse notizie sulla sua giovinezza; i contemporanei riferiscono che ebbe buona educazione umanistica e studiò giurisprudenza a Pisa. Per lo Studio pisano mostrò spesso vivo interesse, come rivela la corrispondenza con F. Bonaini (Arch. di Stato di Firenze, Cart. Bonaini, filza 2). Sono inoltre ricordate la sua appartenenza ai Georgofili e la generosità nei confronti di artisti e studiosi. Nel '49 scrisse un breve Tributo alla memoria del marchese Pietro Torrigiani (Firenze 1849). Nel '26 aveva sposato Luisa Scotto (dalla quale ebbe un figlio, Amerigo, premorto al padre e già promesso sposo a una figlia della regina di Spagna), la quale gli fu sempre vicina, anche nelle circostanze più critiche. Da un carteggio riservato (Arch. di Stato di Firenze, Buongoverno segreto, 1837, filza 12, aff. 167) risulta infatti che, tra il '33 e il '37, il C. fu sottoposto a un'inchiesta di polizia, per una grave situazione finanziaria e per voci correnti sull'irregolarità della sua vita privata. In nuovi dissesti economici, sempre segnalati dagli atti di polizia (ibid., 1852-1854, filza 4, aff. 64) fu coinvolto, più tardi, nel '52, quando era ministro.
Il suo primo incarico pubblico risale al '42, quando, come segretario, seguì il padre, inviato straordinario a Torino per le nozze del futuro Vittorio Emanuele II. Nel '48, dopo la concessione dello statuto, Leopoldo II lo nominò senatore; e ciò parve compensarlo dell'annullamento della nomina a maggiore della guardia civica causata dalle proteste degli appartenenti al corpo. Sedeva in Senato l'8 febbr. '49, quando si formò il governo provvisorio; si associò alla volontà del Consiglio generale, ma solo "per conservare l'ordine pubblico, il rispetto alle leggi e al Principe"; e, in risposta a un intervento del Guerrazzi, replicò esigendo che rimanesse "intatto il potere che dallo Statuto è devoluto alla persona del Principe". Sono noti gli eventi che portarono alla caduta della dittatura guerrazziana, alla formazione di una commissione governativa e al richiamo del granduca. Il C., insieme a G. Baldasseroni, fu invitato da Leopoldo Il a recarsi a Gaeta, ove giunse il 28 aprile. Ma già l'8 e il 17 aprile aveva inviato al granduca due memoriali nei quali, considerando le scarse forze a disposizione della commissione governativa, consigliava di chiedere un intervento piemontese, napoletano o anglo-russo, per evitare quello austriaco che avrebbe indebolito la causa del granduca. Nondimeno, ove ciò non fosse possibile, non escludeva di ricorrere agli Austriaci, e magari di sollecitare il loro intervento per evitare che sembrasse un'invasione. Il ristabilimento dell'ordine politico e sociale era, infatti, per il C. l'obiettivo prioritario; e a tal fine occorreva la piena restaurazione dell'autorità sovrana, anche se riteneva opportuno il mantenimento dello statuto desiderato dalla maggior parte dei Toscani.
Il 24 maggio 1849, a Napoli, Leopoldo II nominava il nuovo ministero, affidando al C. gli Esteri. Questi partì subito per la Toscana sbarcando a Livorno il 26, all'indomani dell'entrata degli Austriaci a Firenze. Il C., che non aveva una preparazione politica specifica, si trovò ad operare in una situazione resa assai difficile, sia dal contegno sprezzante del comandante austriaco, maresciallo K. d'Aspre, sia per il pesante condizionamento del governo di Vienna che faceva minacciosamente pesare il diritto di reversibilità della Toscana al ramo principale degli Asburgo. A ciò si aggiunga che, almeno nei primi tempi, sia il presidente del Consiglio, Baldasseroni, sia il C., sia altri ministri erano orientati per il mantenimento dello statuto, pur comprendendo le difficoltà di salvaguardarlo in un regime ormai tutelato dall'Austria.
Il problema più grave era certo costituito dai rapporti con il governo imperiale; e, proprio per ristabilirli nel miglior modo possibile, nel luglio '49, fu inviato a Vienna, in missione straordinaria, O. Lenzoni. Aveva avuto dal C. istruzioni di ribadire l'intima amicizia tra Toscana e Austria, la necessità del presidio austriaco, ma anche i suoi limiti quantitativi e temporali, e l'opportunità di qualificarlo come "truppa ausiliaria". Per quanto concerneva lo statuto, il Lenzoni doveva poi dichiarare che il governo toscano si sarebbe uniformato all'atteggiamento assunto da Vienna nei confronti delle costituzioni dei paesi dell'Impero. Era, inoltre, prevista la possibile accettazione di una lega doganale con l'Impero, mentre ogni alleanza politica era condizionata alla formazione di una lega comprendente, oltre all'Austria, tutti o gran parte degli Stati italiani; e tale condizione rispondeva alla volontà del C. di non rompere ed anzi rafforzare i rapporti con il regno sardo di cui si sperava un'evoluzione conservatrice. I risultati della missione Lenzoni confermarono però che l'Austria intendeva mantenere una stretta sorveglianza sul governo toscano, anche per evitare che la Toscana restasse un terreno propizio per il movimento liberale.
Un'altra necessità, subito avvertita dal C., fu il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli altri Stati italiani. A tale scopo, tra il luglio e l'agosto, fece i primi passi verso i ducati di Parma e di Modena; ma il governo toscano dové prima revocare la protesta contro l'invasione austro-estense della Garfagnana e della Lunigiona, già annesse alla Toscana il 12 maggio '48. Molto più difficili furono invece i rapporti con il ministro plenipotenziario austriaco Karl Alexander von Hügel che, già nell'ottobre '49, in occasione di una convenzione commerciale stipulata il 24 settembre tra la Toscana e il regno sardo, chiese formalmente che tutte le trattative con altri Stati fossero sottoposte preliminarmente al governo di Vienna ed avanzò anche la proposta di ripristinare una comune rappresentanza diplomatica e consolare. Questa iniziativa non ebbe esito; ma la pressione austriaca restò molto pesante, suscitando spesso le reazioni del Corsini. Anzi, il più grave problema che dovè affrontare fu la stipulazione della convenzione militare con l'Austria. Già al Lenzoni, durante la sua missione, era stato suggerito di ottenere che le truppe austriache restassero in Toscana solo finché il granducato non avesse avuto forze militari proprie, e di richiedere per il granduca il comando delle forze di occupazione. Inoltre, gli Austriaci non avrebbero dovuto superare il numero di seimila uomini alle cui spese doveva provvedere il governo imperiale. Tali richieste furono respinte; e il 15 settembre il Hügel presentò al C. e al Baldasseroni un progetto di convenzione discusso poi nel Consiglio dei ministri. L'Austria chiedeva per il comandante delle proprie forze la giurisdizione sui cittadini toscani per i crimini contro di esse, il diritto di proclamare lo stato d'assedio e ogni decisione sul numero e la dislocazione delle truppe. Il C., il 18 settembre e poi il 18 dicembre, ribadì il punto di vista toscano e, soprattutto, insisté sul principio che i cittadini toscani fossero sempre giudicati da tribunali civili del proprio Stato e sul diritto del granduca di valutare tempi e modi della presenza militare austriaca. Il Hügel replicò con una nota del 25 dicembre, alla quale seguì, il 12 genn. 1850, una lettera ostensibile del ministro degli Esteri austriaco Schwarzenberg allo stesso Hügel da comunicare anche ai ministri toscani. La lettera era molto dura e riaffermava il diritto dell'Austria a ingerirsi nel governo della Toscana e decidere, in modo del tutto autonomo, i tempi e le modalità dell'occupazione militare. Il C. reagì vivacemente alla nota, considerata come un ultimatum, e propose le dimissioni del gabinetto. La debolezza del governo toscano era però tale che, nel febbraio '50, il Lenzoni riprese le trattative che si conclusero il 22 aprile con un compromesso: l'Austria rifiutava ogni preambolo che manifestasse la sua intenzione di non minacciare l'indipendenza toscana, accettando però di rinunciare alla giurisdizione militare, purché le competenze per i delitti contro le sue truppe fossero affidate a tribunali militari granducali; e permetteva si dichiarasse che i suoi soldati sarebbero rimasti nel granducato sino al pieno ristabilimento dell'ordine, circostanza da accertare mediante accordi bilaterali. Inoltre, lo stesso giorno della firma, il C. e il Hügel scambiarono una nota che riconosceva al comandante austriaco il diritto di proclamare lo stato d'assedio, sotto la propria responsabilità, dopo averne dato preavviso al governo toscano. La pubblicazione della convenzione suscitò forti reazioni nella stampa toscana, la protesta ufficiale del regno sardo e le dimissioni dei ministri Mazzei e Capoquadri.
Dopo la firma della convenzione tra l'Austria e la Toscana, il C. accompagnò Leopoldo II a Vienna in visita ufficiale, insieme con la famiglia granducale, recando con sé un memorandum contenente istruzioni particolareggiate sugli argomenti da discutersi a Vienna ove, per espresso desiderio austriaco, fu chiamato anche il Baldasseroni. Le discussioni verterono, soprattutto, sul mantenimento o la abrogazione dello statuto e sulle questioni ad esso relative. Il risultato fu la sostanziale adesione del governo toscano a quanto sarebbe stato deciso a Vienna relativamente all'attuazione della costituzione dell'Impero e all'atteggiamento degli altri Stati italiani. Così, il 21 sett. '50, un decreto granducale dichiarò sciolto il Consiglio generale e stabilì che, fino alla convocazione di una nuova Assemblea legislativa, ogni potere sarebbe stato assunto dal principe. Poi, il 6 maggio 1852, lo statuto fu formalmente abrogato.
Frattanto, nella primavera del '50, il C. aveva comunicato al ministro toscano a Roma, Scipione Bargagli, l'intenzione sovrana di stringere un concordato con la S. Sede e di far quindi aperture in questo senso; le trattative furono condotte però dal Baldasseroni, sino alla stipulazione del concordato, avvenuta il 25 apr. 1851. In questo periodo, preoccupato dalla sua grave situazione economica, il C. cominciò ad aver minor parte nella condotta della politica estera toscana, gestita sempre più direttamente dal Baldasseroni.
Perciò anche il tentativo, fallito per l'opposizione napoletana, di realizzare una lega tra gli Stati conservatori italiani fu perseguito dal Baldasseroni, quasi all'insaputa del C., il quale però fu impegnato nella soluzione di minori questioni diplomatiche. Tra le quali, nel '52, le proteste di personalità protestanti, del re di Prussia e del principe consorte di Inghilterra per la condanna dei coniugi Madiai, accusati di proselitismo protestante; e nel '55, la breve crisi con il regno sardo, causata dalla presenza nella legazione di Firenze di Antonio Casati, figlio di Gabrio, l'ex podestà, di Milano, esule in Piemonte (per l'affare Madiai e altri problemi inerenti alla attività del C., si veda Arch. di Stato di Firenze, Carte Bianchi-Ricasoli, ad Indicem).
Nel '55 le truppe austriache lasciarono la Toscana. Ma, poco dopo, nel gennaio del '56, essendogli morto il padre ed avendo ereditato il titolo di principe di Sismano (fino a quella data il suo titolo era duca di Casigliano), il C. si dimise dal governo. Ciononostante, ancora nell'ottobre dello stesso anno, egli era inviato a Dresda per conchiudere il matrimonio tra la principessa Anna di Sassonia e l'arciduca Ferdinando; poi, nel novembre, fu nominato gran ciambellano e, nel maggio '57, presidente della Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza del granducato.
Durante gli eventi del '59, il C. fu apertamente avverso al movimento nazionale e strettamente fedele ai Lorena, mantenendo costanti rapporti con il nuovo granduca in esilio, Ferdinando IV. Il suo nome fu ripetutamente connesso con i vari tentativi granducali per giungere a una restaurazione. Il progetto parve realizzabile soprattutto dopo l'armistizio di Villafranca, quando i legittimisti toscani riposero le loro speranze in Napoleone III, e specialmente nel suo ministro degli Esteri, il Walewski, deciso a rispettare le clausole che prevedevano il ritorno dei sovrani legittimi.
Il C. fu molto attivo: nel luglio era a Londra per perorare la causa legittimista, nello stesso ambiente ove, poco dopo, il fratello Neri, inviato del governo provvisorio toscano, avrebbe svolto una missione diametralmente opposta. Dopo un breve soggiorno a Vienna, sul finire dell'estate, era di nuovo a Firenze, ove si stava organizzando un complotto granducale abbastanza vasto. Anzi, i legittimisti già pensavano alla costituzione di un nuovo ministero che sarebbe entrato in carica dopo il rovesciamento del governo provvisorio. Il C., sicuro dei sentimenti del Bargagli, ministro granducale a Roma, lo invitava, appunto, a far parte di questo futuro governo; ma la risposta del Bargagli, del 17 settembre, e una altra lettera di questo al C. dell'11 ottobre furono sequestrate dalla polizia del Ricasoli, che poté scoprire le fila del complotto e operare numerosi arresti. Il C. protestò e le lettere gli furono restituite, ma solo dopo che erano servite ad infliggere un duro colpo ai legittimisti.
Quando sembrò imminente un congresso europeo per risolvere la questione italiana, il nome del C. fu avanzato come quello del probabile rappresentante lorenese. Lo sviluppo della situazione internazionale, che portò rapidamente all'annessione della Toscana al regno sardo, non impedì al C. di continuare a nutrire serie speranze di restaurazione; ed è significativo che, ancora nel marzo 1861, esprimesse a Ferdinando IV la convinzione che una prossima rivoluzione avrebbe fatto crollare l'edificio posticcio e artificiale del Regno d'Italìa. L'ultima manifestazione pubblica dei granduchisti fu, comunque, tentata a Firenze, nel pomeriggio del 6 giugno '61, il giorno stesso della morte del Cavour. La nobiltà fiorentina legittimista partecipò in massa a una solenne celebrazione del Corpus Domini; e il suo ostentato giubilo fu considerato una aperta sfida al sentimento nazionale. Il C., ritenuto uno dei capi della manifestazione, fu particolarmente preso di mira dalla reazione della folla, e poi, della stampa. Poco dopo il C., che continuava a mantenere stretti rapporti epistolari con Ferdinando IV e a fidare nella restaurazione operata da un intervento austriaco o dalla spontanea sollevazione toscana, lasciò Firenze per Roma ove morì il 5 marzo 1868.
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