CORNER, Andrea
Secondogenito di Giorgio di Andrea figlio del doge Marco e di Caterina Giustinian di Giustiniano, nacque a Venezia nel novembre dell'anno 1419. La famiglia possedeva cospicue ricchezze ed il padre si era distinto combattendo in Valtellina contro le truppe di Filippo Maria Visconti.
All'infuori di questo, e del fatto che rimase orfano assai presto, nulla sappiamo della sua giovinezza: sembra infatti da escludere l'ipotesi del Mas Latrie, che crede di identificarlo con uno dei consoli a Cipro nel 1432: vero è che allora i ragazzi imparavano per tempo a lavorare, ma pare azzardato supporre che ad un tredicenne si affidasse la cura di attività commerciali, tanto più che i Corner, in Levante, possedevano rilevanti interessi, suggellati nel '44 dal matrimonio del fratello del C., Marco, con Fiorenza Crispo, figlia del duca dell'Arcipelago.
Per trovare notizie sicure bisogna giungere al 1457, allorché il C. fu relegato prima a Candia e poi a Cipro, con l'accusa di aver comprato la sua elezione nella zonta del Pregadi grazie all'aiuto dei capi della Quarantia, che sembra avessero peccato per troppo vigore nel contare i voti in suo favore: aveva fretta di bruciare le tappe, il C., ma questo gli era impedito da una prassi politica che non tollerava un eccessivo cumulo di cariche nella stessa famiglia. Pertanto, giacché il fratello maggiore era avviato ad una luminosa carriera (savio di Terraferma nel '56, consigliere ducale nel '57), pensò di risolvere la questione con i mezzi di cui disponeva. Fu scoperto, ma la punizione non fu troppo severa: l'esilio in Levante significava certo la disgrazia politica, ma non quella economica, dal momento che proprio a Cipro la famiglia possedeva vaste proprietà e fiorenti coltivazioni di zucchero. Nell'isola il C. ottenne dunque quelle soddisfazioni che gli erano state negate in patria: si assicurò ben presto una posizione di grande prestigio non solo nell'ambito dei commerci, ma persino nell'amministrazione del regno, del quale divenne auditore, e fu in gran favore presso il re Giovanni II. Senonché nel luglio 1458 il re moriva, lasciando nel dolore i suoi numerosi creditori, primo tra tutti il C.: erede al trono era la principessa Carlotta, che nell'ottobre '59 sposava Luigi di Savoia; qualche mese più tardi, però, con l'aiuto del sultano d'Egitto, del quale Cipro era tributaria fin dal 1426, sbarcava nell'isola il ventenne bastardo Giacomo, che Giovanni Lusignano aveva avuto da una greca di Patrasso. Carlotta si rifugiò nel castello di Cerines, seguita dal C. e dalla maggior parte dei veneziani; ma, troppo debolmente sostenuta dal marito, tre anni dopo era costretta a fuggire prima a Rodi, sotto la protezione dei cavalieri, e poi in Italia. Il C. trovò conveniente accordarsi col nuovo re e fu da questo confermato nella carica di auditore: naturalmente, in cambio dovette aprirgli grossi crediti, per cui ne divenne, in pratica, il banchiere.
Negli anni che seguirono, la sua attività di commerciante e appaltatore conobbe pertanto un notevole incremento; ottenne addirittura la privativa della vendita del principale prodotto dell'isola: "L'apaut dou samsarage dou vin apauta à sire Andria Cornar", secondo un documento del 21 marzo 1468. A questa data il C. aveva già avviato con successo quello che, nelle sue intenzioni, avrebbe costituito la sanzione definitiva delle sue fortune economiche e, ad un tempo, l'occasione per riabilitarsi di fronte alla Serenissima: il fidanzamento di Giacomo II con la nipote Caterina.
L'iniziativa era stata accolta favorevolmente sia da parte del Senato, desideroso di rafforzare l'influenza della Repubblica nel Levante, sia dallo stesso Lusignano, premuto dagli incessanti intrighi della sorellastra Carlotta, e nel novembre 1467 era giunto a Venezia Filippo Mistahel, inviato dal re a predisporre i preliminari dell'accordo, che venne ufficialmente concluso il 10 luglio dell'anno seguente. Secondo una prassi già collaudata con Tommasina Morosini, che era divenuta regina di Ungheria, l'ostacolo dei natali della fanciulla fu aggirato mediante la sua adozione da parte del Senato; quanto alla dote, essa fu fissata in 100.000 ducati, in buona parte costituiti dai crediti che i Corner vantavano nei confronti della Corona. L'interesse pubblico e quello privato parevano dunque intrecciarsi felicemente, e Giacomo II non mancò di ostentare stima, considerazione e affetto per il nuovo "parente": anche certi precedenti dissapori, causati dall'improvvisa scomparsa di una figlia del re, di cui talune voci attribuivano la responsabilità proprio al C., vennero ben presto dimenticati. A questo punto però, Giacomo, ottenuta l'amicizia della Repubblica, non dimostrò alcuna fretta di concludere il matrimonio: il pretesto fu che la promessa sposa aveva solo tredici anni, ma in realtà egli prese a giocare una complessa partita di cui l'indipendenza di Cipro era la posta; insidiato all'interno dall'infida nobiltà greca e latina, premuto all'esterno dai Turchi, dai Veneziani, dai Catalani, a Giacomo non restava che cercare di opporre abilmente gli uni agli altri, in un delicato gioco di equilibri; così, dopo essersi accostato alla Repubblica, ora sembrava prestar orecchio alle proposte di aiuto ed alleanza che Ferdinando di Napoli non mancava di fargli pervenire. Alla tradizionale rivalità veneto-napoletana per il controllo dell'Adriatico, si aggiunse però, nel '69, un altro elemento di tensione, rappresentato dall'eredità di Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, che vide Venezia schierarsi col papa contro il candidato appoggiato da Ferdinando e Galeazzo Sforza: rientra in questo clima l'invio di un ambasciatore veneziano a Cipro, per affrettare le nozze.
La missione del Gradenigo - era questo il nome dell'inviato - ebbe pieno successo, grazie soprattutto all'abile opera di mediazione attuata dal C.: secondo un documento studiato dal Battistella, costui sarebbe addirittura riuscito, con l'aiuto del cancelliere Donato de Aprile, a convincere il Lusignano a sottoscrivere un trattato di donazione inter vivos, in base al quale la Repubblica avrebbe ereditato il regno nel caso di una sua morte senza eredi legittimi. Quel che è certo, è che nell'estate del '69 le relazioni veneto-cipriote si rafforzarono notevolmente, anche se Giacomo continuò a procrastinare l'arrivo nell'isola della promessa sposa: il matrimonio, infatti, fu celebrato soltanto tre anni dopo, quando, dopo la caduta di Negroponte, la minaccia turca si fece più pressante. Per contrastare, però, l'eccessiva ingerenza veneziana, il Lusignano si rivolse nuovamente a Napoli, da dove Ferdinando non cessava di avanzare proposte di alleanza; per questo la sua morte improvvisa, avvenuta il 7 luglio 1473, fece sorgere molti sospetti sui Veneziani, ed in particolare sul C., che da questa scomparsa traeva certamente i maggiori benefici. Nominato procuratore del regno, egli ne divenne la maggiore autorità, forte dell'appoggio incondizionato della potente colonia veneta, e della flotta, come testimonia il Malipiero: "tutti fa capo con Andrea Corner..., e fin qua, tutti se contenta per la so humanità e prudentia".
Non per questo, tuttavia, cessarono gli intrighi dei Napoletani e dei Catalani, che avevano dalla loro parte gli umori della nobiltà locale; la temporanea assenza della squadra veneta, impiegata in Morea, sembrò rappresentare l'occasione tanto attesa da Ferdinando d'Aragona: accordatosi con l'arcivescovo di Nicosia, lo rifornì di uomini e di mezzi e lo fece sbarcare nell'isola, nel novembre del '73. Invano l'ambasciatore veneziano, Giosafat Barbaro, cercò di esortare il C. alla difesa, di scuoterlo dalla "pigritia et pusalanimità" nelle quali sembrava esser caduto: egli sì rifiutò di prendere provvedimenti, timoroso di fornire in tal modo un pretesto ai Ciprioti, di spingerli davvero all'esasperazione ed alla rivolta, e alle rimostranze del Barbaro rispose seccamente "chel intendeva ben che questo regno stava apicato a uno cavello".
Probabilmente il C. non ebbe chiara la percezione della pericolosità della cospirazione o forse, più semplicemente, diffidava dei compatrioti più che dei nemici dichiarati: in entrambi i casi, questa condotta fu causa della sua rovina. Nella notte tra il 13 ed il 14 nov. 1473, gli odi tanto a lungo repressi esplosero infatti contro di lui: abbandonato dai suoi stessi soldati, il C., secondo la testimonianza del Malipiero, "cerchete de salvarse tra do muri dela roca: ma i congiurati el descoverse..., e esso se dete liberamente in le so man, e contra la fede che i ghe avea dato, l'amazorno crudelmente con molte ferite, insieme con Marco Bembo so nevodo; e i corpi che da i congiuradi era stà butadi nudi nelle fosse, fo levadi dal Corner [il fratello Marco, secondo il Malipiero] a tempo che i cani haveva comenzà a mangiuarli, e fu sepulti in giesia de San Domeneglio". Qualche giorno più tardi, tuttavia, l'arrivo della squadra veneta nelle acque di Famagosta segnava il fallimento della congiura.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii...,III, p. 33; Ibid., Avog. di Comun. Balla d'oro, reg. 163, c. 141v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl.VII, 115 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. Veneto, I, c. 324r; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 2534/100: Ristretto delle Rivolutioni del Reame di Cipro e ragioni della Serenissima Repubblica di Venetia e casa di Savoia sopra di esso, passim;D.Malipiero, Annali veneti dell'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Archivio storico italiano, VII (1844), pp. 11, pp. 597, 599 s.; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, IV, Venezia 1852, p. 358; M. L. de Mas Latrie, Histoire de l'ile de Chypre sous le règne des princes de la maison de Lusignan, III, Paris 1855, pp. 77, 153, 165, 177, 182, 221, 231, 277 s., 315, 351, 353-355, 357-359, 361, 363, 402, 808, 810, 820 (ove non diversamente precisato, le citazioni presenti nel testo sono tratte da quest'opera); F. Forcellini, Strane peripezie di un bastardo di casa d'Aragona, in Archivio storico per le prov. napol., XXXVIII (1913), pp. 91, 100, 105, 109;H.Kretschmayr, Gesch. von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 367, 389-390; A. Battistella, Un nuovo docum. sull'acquisto di Cipro per parte della Repubblica di Venezia, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, LXXX (1920-21), pp. 304-308, 318; G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da parte della Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, s. 5, V (1929), pp. 96-99, 105, 107, 117, 126, 129; A. Berruti, Patriziato veneto. I Cornaro, Torino 1953, pp. 47, 52, 72.