CONCUBLET (Conclubet, Concubletto), Andrea
Nacque probabilmente nel feudo paterno di Arena, in Calabria, agli inizi del sec. XVII, da Francesco marchese di Arena e da Felicia Caracciolo. Il padre, discendente da una nobile famiglia di provenienza tedesca (il suo avo Gian Francesco era stato fatto marchese da Carlo V) era scrivano di Ragione; del Regno, carica che nel 1648, alla sua morte, fu ereditata da Andrea. Suo nonno, il marchese Scipione, nel 1599 aveva protetto il Campanella e fu accusato di complicità nel processo al filosofo (cfr. E. Bacco, Il Regno di Napoli, I, Napoli 1609, p. 132; II, ibid. 1620, pp. 24, 230).
Della giovinezza del C., della sua formazione, della sua vita prima del 1662 si sa assai poco. Quando morì nel 1661 il fratello primogenito Domenico, egli ereditò le ricchezze e i feudi paterni, ma fu costantemente in lite col Fisco; nel 1674 fu anche accusato di contrabbando di viveri a Palmi, ma venne benevolmente prosciolto dal viceré l'anno seguente. Sposò Ippolita Carafa, figlia del duca di Bruzzano e cognata di Ippolita Cantelmo Stuart, nota dominatrice dei salotti napoletani e ne ebbe un figlio, Riccardo, che morì nell'anno 1678 in ancor giovane età; con lui si estinse la casata. Egli era uomo dotato di "altissimo ingegno" ed aveva "fine notizia d'ogni lettere più squisite", al dire del Di Capua; la sua curiosità scientifica, di dilettante raffinato, il suo mecenatismo, le sue vaste amicizie in campi ed in classi sociali diverse formano un singolare contrasto col suo carattere autoritario e collerico (in effetti, le poche notizie sicure che si hanno sulla sua vita si riferiscono per lo più ad avvenimenti violenti e sanguinosi). La sua posizione di rilievo fra i nobili del Regno di Napoli è testimoniata sia dalla sua partecipazione al viaggio con cui la più influente nobiltà accompagnò, a Roma nel 1671 il viceré Pietro Antonio d'Aragona, sia dal suo appoggio all'opposizione di questi ai deliberati delle "piazze" di Napoli contrari all'Inquisizione. Il suo maggior merito, tuttavia, fu l'aver legato indissolubilmente il suo nome a quello della più importante accademia napoletana del Seicento.
Nel 1662 Leonardo Di Capua, dopo il ritorno a Napoli del Cornelio con una gran quantità di opere filosofiche francesi e inglesi, discusse con lui e col C. l'opportunità di dare nuovamente vita a quella gloriosa Accademia degli Investiganti che, nata nel 1630, era stata chiusa nel 1656 a causa della peste. Il modello, a cui il C. pensava per la rinascita dell'accademia, era la Royal Society di Londra - il cui segretario, Richard Waller, era amico del Valletta, anch'egli "investigante" - oltre all'Accademia del Cimento, a diverse esperienze della quale il C. aveva partecipato di persona. Sede dell'accademia fu la casa stessa del marchese, fornita anche di un museo di scienze naturali, dove almeno ogni venti giorni i nuovi Investiganti presero a riunirsi per ascoltare e discutere la relazione di uno di essi ed assistere agli esperimenti relativi.
Le prime lezioni furono tenute dal Di Capua sul fluido e sul solido, sul caldo e sul freddo; le successive ebbero come argomenti l'anima, il moto, i sensi del corpo, la vita dei bruti, i movimenti del mare, i gravi. Il documento più esauriente di tale attività è costituito dai Progymnasinata physica, Vinegia 1663, del Cornelio, che incontrò molte ostilità e dimostrò l'utilità della protezione di un personaggio influente come il Concublet. Di tali soggetti egli conservava i manoscritti nella sua biblioteca; essi passarono poi al duca d'Atri e in parte andarono dispersi. Il C. godeva di grande prestigio, oltre che per la sua cultura di filosofia naturale, anche per la capacità di spingere i giovani all'esposizione delle loro idee, o di troncare le dispute che minacciavano di diventar troppo violente. Gli accademici organizzavano anche esperienze in situ, come alla Grotta del Cane e al lago di Agnano (ottobre 1664), per sfatare i racconti mitici su tali località o andare alle radici dell'esperienza. Tali ed altre osservazioni ebbero enorme importanza per diversi studiosi: G. A. Borelli affermò che il suo libro De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus, Regio Iulio 1670, dedicato al C. come a un padre, doveva moltissimo ad esse. Anche il Di Capua vi fondò le sue Lezioni intorno alla natura delle mofete, Napoli 1683, in cui fa un affettuoso ritratto del C., tutto impegnato nell'attività, di ricerca dell'accademia. Tanta era la sua autorità ed il peso della sua presenza che, quando nel 1673 egli lasciò Napoli per un viaggio di studio attraverso l'Italia, si ebbe l'impressione, riportata anche da qualche storico, che l'accademia potesse sciogliersi, dato che non si sarebbe trovato facilmente un mecenate come lui, indipendente e dotato di molto credito Invece il C. tornò poco dopo recando con sé una grande quantità di strumenti fisici per compiere esperimenti (sui liquidi, sui vasi capillari, sulle bolle di cristallo), dando nuovamente impulso alle attività accademiche.
Egli mirava a fare dell'accademia un luogo di ricerca in cui tutti si sentissero liberi ed eguali, ed ecco perché in essa si raccolsero studiosi di varia provenienza, religiosi e laici, dal Caramuel al Bartoli, dal vescovo di Castellammare Scaglioni al carmelitano Tobia Conti, oltre ai più noti D'Andrea. Cornelio, Porzio, Di Capua. L'accademia divenne un cenacolo di antigalenici (o "spagirici") e di antiaristotelici, suscitando ovviamente polemiche e reazioni. Una di queste fu la causa della sua chiusura. Un medico allora abbastanza celebre, ma probabilmente uomo più politico che dotto (a giudizio del Porzio), Carlo Pignataro, prese a sparlare pubblicamente degli Investiganti in modo così violento (del resto le accese polemiche che degeneravano in risse erano abituali in Napoli) che il C. fu costretto altrettanto pubblicamente a percuoterlo. Tale reazione del C. si spiega soprattutto con la fondazione, da parte del Pignataro, di una accademia avversaria, detta dei Discordanti, affidata nel 1666 alla direzione del medico Luca Tozzi, col compito di una difesa della scuola galenica affidata anche all'ingiuria e all'animosità verso gli Investiganti. Così il viceré fu costretto nel 1668 a far chiudere entrambe le accademie.
Impropriamente in molti testi si afferma che l'accademia cessò per la morte del Concublet. Questa avvenne a Napoli nel 1675 in modo violento; assalito l'8 aprile da quattro sicari di Giacomo Milano, marchese di San Giorgio, mentre si recava in carrozza alla località Pietra Bianca, sulla strada di Portici, presso l'attuale Croce del Laguo, morì il 24 aprile per le ferite riportate e per le cure errate del principe di Cursi G. B. Cicinelli.
Ignote le cause del delitto, che divenne tuttavia un complicato caso giudiziario. Poiché alcuni nobili, parenti e amici del C., preparavano una vendetta, il San Giorgio cercò l'immunità in un convento, sostenendo la tesi della rissa casuale con duello. Non fu creduto e, processato tra il 1678 e il '79, dovette scontare parecchi anni di carcere. Ancora nel 1681 il duca d'Atri, Giovan Girolamo Acquaviva d'Aragona, erede del marchesato del C., fu arrestato per non aver voluto, con altri nobili, dare la sua parola d'onore che non si sarebbe vendicato sul San Giorgio. La vedova Ippolita Carafa sposò poi nel 1679 Giulio Spinelli, marchese di Buonalbergo, ma rimase nuovamente vedova. Il marchesato di Arena fu venduto nel 1694 a Girolamo Caracciolo duca di Sorito.
Non risulta che il C. abbia lasciato opere. Il suo nome resta legato alla più felice stagione dell'Accademia degli Investiganti; essa riprese la sua attività col Di Capua dal 1683 al 1695 ed infine col giureconsulto Stefano di Stefano dal 1735 al 1773; ma gli originali intenti scientifici, a cui aveva tanto contribuito il C., vennero trascurati per trasformare gli Investiganti in una delle tante accademie letterarie del Settecento.
Fonti e Bibl.: L. A. Porzio, Del sorgimento de' licori nelle fistole aperte d'ambidue gli estremi, Vinezia 1667, "Al lettore"; L. Di Capua, Lezioni intorno alla natura delle mofete, Napoli 1683, "Ai lettori"; L. A. Porzio, De motu corporum nonnulla et de nonnullis fontibus naturalibus, Neapoli 1704, p. 128; G. Gimma, Elogi accad. della Società degli Spensierati di Rossano, I, Napoli 1703, p. 146; N. Amenta, De' rapporti diParnaso, Napoli 1710, p. 85; Id., Vita di L. DiCapua, in Vite degli Arcadi illustri, II, Roma 1710, pp. 8, 10; B. Maioli d'Avitabile, Vita di F. d'Andrea, ibid., p. 8; F. S. Quadrio, Della storia edella ragione d'ogni poesia, I, Milano 1739, p. 83; S. Spiriti, Memorie degli scrittori cosentini, Napoli 1750, p. 162 n. 2; L. Giustiniani, Brevecontezza delle accad. istituite nel Regno di Napoli, Napoli 1801, p. 43; P. Giannone, Istoria civiledel Regno di Napoli, Milano 1823, IX, pp. 421-23; XI, pp. 263-65; C. Minieri Riccio, Cenno stor. delle Accademie fiorite nella città di Napoli, in Arch. stor. per le prov. nap., IV (1879), pp. 391, 532; C. Bertani, Il maggior poeta sardo, CarloBuragna, Milano 1905, pp. 75 ss., 80 s., 95; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle del'Italie de 1657 à 1750 environ, Paris 1909, pp. 30 s.; R. Zagaria, Vita di N. Amenta, Bari 1913, p. 47; R. Cotugno, La sorte di G. B. Vico, Bari 1914, pp. 38-40, 46; N. Cortese, L'età spagnuola, in Storia dell'Univ. di Napoli, Napoli 1924, p. 426; M. Maylender, Storia delle Accademied'Italia, III, Bologna 1929, p. 368; F. Nicolini, La giovinezza di G. B. Vico, Bari 1932, pp. 89, 92; Id., Uomini di spada di chiesa di toga di studio ai tempi di G. B. Vico, Milano 1942, pp. 31, 33, 425; E. Garin, La filosofia, II, Milano 1947, p. 303; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo aNapoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 18, 40; N. Badaloni, Introduz. a Vico, Milano 1961, pp. 39, 42 s., 45, 47; S. Mastellone, Pensiero polit. e vita culturale a Napoli nella seconda metà delSeicento, Messina 1965, pp. 90, 111, 122; N. Nicolini, Romanzesco barocco: l'assassinio del marchese di Arena (1675), in Atti d. Accad. Pontaniana, n. s., XVI (1967), pp. 96-122; Storia diNapoli, VI, 1, Napoli 1970, pp. 65, 110, 115, 158, 220, 270, 410; VII, ibid. 1972, pp. 5, 20 (erroneam. è chiamato Domenico).