CHECCHI, Andrea
Nacque a Firenze il 21 ott. 1916 da Amedeo e da Davidica Carolina Beduschi. Dopo aver studiato pittura all'Accademia di belle arti della città natale, frequentò gli ambienti artistici della capitale per esporvi in mostre personali: presentato ad A. Blasetti, fu da questo utilizzato come generico in 1860 (1934) e in Vecchia guardia (1935), poi studiò recitazione frequentando il corso di perfezioriamento del Centro sperimentale di cinematografia per l'anno scolastico 1937-38; la breve parte del tenente Binelli in Luciano Serra pilota di G. Alessandrini (1938) non valse per allora a farlo conoscere. Dopo una serie di parti marginali (per esempio, Giorgio Albini nella Notte delle beffe e Alberto in Montevergine, ambedue di C. Campogalliani e del 1939), ebbe un primo rilevante ruolo in I grandi magazzini di M. Carnerini del 1939 e spiccò tra gli interpreti dell'Assedio dell'Alcázar di A. Genina (1940) nella parte di Pedro, per la quale ricevette una menzione di lode dalla critica militante nel quadro della premiazione a Venezia con la coppa Mussolini del miglior film italiano dell'anno.
Attore dalla maschera incisiva, dal profilo asciutto, riuscì espressivo grazie alla sua voce profonda (venata di accento toscano) e al fisico snello, che si armonizzavano in una recitazione e in una gestualità sobrie, a volte disadorne, sempre essenziali e misurate. Il cinema italiano di quegli anni, quando non affrontava temi propagandistici cari al regime, preferiva ritirarsi nel limbo rassicurante del realismo dimesso del quotidiano o delle versioni patinate di opere letterarie ormai acquisite dal gusto collettivo, e il C. ebbe modo di mostrare la sua professionalità da una parte come Checco in Via delle Cinque Lune, il primo film di L. Chiarini (1942) che vi richiamò costumi e movimento delle stampe del Pinelli, e come Bruno Bellini, il conducente di autobus di Avanti c'è posto di M. Bonnard (stesso anno), omaggio affettuoso ai giovani del tempo di guerra divisi tra l'amore e il dovere militare, dall'altra come Corrado Silla nel fascinatorio Malombra di M. Soldati (stesso anno) e come Fabrizio Arcieri, personaggio al quale conferì pudore e soffocata mestizia, in Tristi amori di C. Gallone (1943). Con l'interpretazione di Giacinto in Giacomo l'idealista di A. Lattuada (stesso anno), film delicato e sfumato, e del protagonista nell'episodio Non bestemmiare dei Dieci comandamenti di G. W. Chili (1944), film di rifugio del periodo più oscuro del conflitto, ebbe termine il primo periodo dell'attività del C. che, dopo la Liberazione, ebbe affidata una delle parti più riuscite, quella del mancato suicida in Roma città libera o La notte porta consiglio di M. Pagliero (1946), un personaggio favolistico e surreale inventato da E. Flaiano e incarnato con viva adesione sulle battute dei primo Zavattini, e prestò il suo volto a taluni personaggi di importanti film del neorealismo italiano come quelli di Alberto in Caccia tragica di G. De Sanctis (stesso anno) e dell'ingegnere in Achtung! Banditi! di C. Lizzani (1951) con un impegno che a taluni parve politico e che non era altro che la manifestazione del suo spirito di costante aggiornamento.
Con gli anni Cinquanta la sua attività diventò routinaria all'insegna delle rivisitazioni storiche e dei bozzetti d'epoca, pur comparendo in film di tutto rispetto, quali ad esempio Altri tempi (Zibaldone n. 1) di A. Blasetti (1952, parte di Camillo, adultero platonico, nell'episodio Meno di un giorno da C. Boito, che gli valse la grolla d'oro l'anno successivo), La signora senza camelie di M. Antonioni (1953, parte di Gianni) e Parola di ladro di G. Puccini e N. Loy (1951), in cui dette prova, col personaggio del gioielliere Gabriele Sertinori, di una vena di commediante ricca di sfumature sapide, meritando, l'anno successivo, il nastro d'argento per il migliore attore non protagonista.
Scontento dei film di argomento plateale, peraltro interpretati con quel vigile senso del limite che gli consentiva di rendere accettabili anche i personaggi più convenzionali (indicativi quelli di Antonio in Appassionatamente di G. Gentilomo, e di Andrea Mari in Pietà per chi cade di M. Costa, ambedue del 1954), il Coperò allora una scelta nuova, quella del teatro. Dopo la presentazione nel quadro delle manifestazioni del XII convegno giovanile della Pro Civitate christiana (teatro della Cittadella di ASSiSi, 29 dic. 1957) da parte del teatro Stabile regionale pugliese e il battesimo barese, Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot, approdò al teatro Valle di Roma il 4 apr. 1958: il regista O. Costa aveva affidato al C. la parte del primo cavaliere, un personaggio corrusco di armi e di livori, per il quale C. V. Lodovici parlò di un felice esordio sulle scene di prosa". Al teatro Piccinni di Bari era stato, senza particolare entusiasmo, protagonista della novità di G. Calendoli Zona grigia per la regia di A. Camilleri (gennaio 1958) e comprimario in Ispezione di U. Betti per la regia di G. Salvini (18 marzo successivo); maggiori soddisfazioni riscosse come Field in Léquipage au complet di R. Mallet (teatro Margherita di Genova, 17 maggio successivo), piacendo a E. Bassano che vi scopri un'eccellente intuizione nel rendere l'atmóSfera sospesa in cui si svolge un'eroica impresa della marina italiana durante la seconda guerra mondiale; comunque il successo più caloroso lo colse nella parte del Marito in Girotondo di A. Schnitzler che, rappresentato dalla compagnia Gioi-Calindri-Checchi costituì lo spettacolo inaugurale dei teatro Parioli di Roma il 3 genn. 1959.
Al cinema dette allora incisive, brevi, prestazioni di caratterista, perdendo un po' alla volta l'aria del divo, forse neppure gradita quando era attor giovane: fu Francesco nell'Impiegato di G. Puccini (1959), un fascista nella Ciociara di V. De Sica, un detective nel Diabolico dottor Mabuse di F. Lang, un farmacista nella Lunga notte del '43 di F. Vancini, tutti del 1960, e Morello, marito ignaro, nel thriller d'esordio di E. Petri L'assassino (1961); poi tornò a lavorare col Lizzani apparendo in due film notevoli, L'oro di Roma (1962) in cui rappresentò la paura del professore Ortona, un personaggio sul quale rilasciò un'intervista esplicativa polemizzando sul modo di sceneggiàre e poi di proporre le parti di carattere (rivelatrice delle insoddisfazioni e della insofferente caparbietà dell'uomo), e Il processo di Verona (1963) in cui fu un Dino Grandi di convincente rassomiglianza. Continuava a coltivare assiduamente, ad Anzio o a Capri, la sua arte preferita, la pittura, mai trascurata dagli anni della giovinezza. Sullo schermo andava affinando un tipo di personaggio frustrato, dolente, talvolta malato, conferendogli un volto scavato dagli anni e uno sguardo soffuso d'intensa malinconia.
Ansioso di nuovi esperimenti, affrontò il pubblico televisivo negli anni Sessanta e si fece apprezzare come capitano Ivan Mironov nella Figlia del capitano, riduzione di F. Palmieri e L. Cortese da A. Puškin (12 maggio-23 giugno 1965) e come Thomas Fuller nel giallo La donna di fiori di M. Casacci e A. Ciambricco (19 settembre-24 ottobre successivo), mentre il candido e indulgente Perry Lascoe di Al calar del sipario di N. Coward (26 novembre successivo) costituì un ritorno al versante crepuscolare. Un successo senza precedenti, puntualmente registrato da M. Doletti, gli venne nel 1971 quando sostenne la parte dei minatore Robert Fenwick che muore in una galleria nello sceneggiato… E le stelle stanno a guardare da A. J. Cronin sotto la regia di A. G. Majano (dal 7 settembre): egli fu esemplare per misura, evitando sapientemente il pericolo degli effetti melodrammatici e sovrastò, secondo il Doletti, perfino gli attori protagonisti.
Nel contempo l'instancabile presenza nel cinema fu affidata alle robuste interpretazioni di Sauret, apprezzato da G. Grazzini, nel colossal Waterloo di S. Bondarciuk (1965) e del "francese", il capo della Resistenza reggiana, nell'epico I sette fratelli Cervi dell'amico Puccini (1968), e alle ironiche, gustose apparizioni nel protervo, ma innocuo Io uccido, tu uccidi del Puccini (1965, episodio Giochi acerbi), nello scanzonato Io, io, io, e gli altri del Blasetti (1966) e nel western all'italiana Quien sabe? di D. Damiani (1967). Dopo l'ultima fatica sul set, la parte di un onesto e dimesso ferroviere in Un apprezzato professionista di sicuro avvenire di G. De Santis (1972), fu in televisione il maggiordomo Betteredge nella Pietra di luna da W. W. Collins (dal 21 apr. 1972) diretto dal Majano. I saggi estremi dei suo talento li offrì come Edoardo Barrett nella Famiglia Barrett di R. Besier (18 maggio 1973) e come Creonte, accanto a I. Papas e con la regia di M. Scaparro, nella Lunga notte di Medea di C. Alvaro, andata in onda, post mortem, il 7 giugno 1974 colpito, nel febbraio 1974, da periartrite nodosa, dopo un breve ricovero in una clinica di Ginevra, morì a Roma il 29 marzo 1974.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio di stato civile; Ibid., Archivio del Centro sperimentale di cinematografia, ad nomen; Ridotto, gennaio, aprile 1958; Sipario, febbraio, aprile 1958; febbraio 1959; La Giustizia, 5 apr. 1958; Il Dramma, giugno 1958; C. Lizzani, L'oro di Roma, Rocca San Casciano 1961, pp. 140-144; Radiocorriere TV, 19-25 sett., 21-27 nov. 1965; 5-11 sett. 1971; 16-22 apr. 1972; 13-19 maggio 1973; 2-8 giugno 1974; Il Messaggero, 30 marzo 1974 (necrologio); Il Tempo, 30 marzo 1974 (necrologio); F. Savio, Ma l'amore no, Milano 1975, pp. 29-30, 32, 156-157, 201, 289-290, 390-392; G. Grazzini, Gli anni Settanta in cento film, Bari 1977, p. 68. Vedi inoltre: Encicl. dello spettacolo, III, Roma 1956, coll. 573-574; Filmlexicon degli autori e delle opere, I, Roma 1958, coll. 1256-1257; F. Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, II, Roma 1985, pp. 484-485.