CAVALCANTI, Andrea
Discendente da illustre e famosa famiglia fiorentina, nacque a Firenze il 5 settembre 1610 da un Lorenzo di Vincenzio: la sua vita e, di conseguenza, la sua attività di letterato ed erudito si svolsero pressoché interamente durante il regno del granduca Ferdinando II, in un’epoca che a Firenze trova il maggior centro di riferimento culturale nell’istituto dell’Accademia della Crusca – della quale il C. entrerà a far parte – e nel connesso intenso lavoro di sistemazione e amministrazione del patrimonio linguistico e letterario del recente passato.
Bibliofilo e studioso provvisto di una notevole padronanza della lingua latina, il C. partecipa a quei cenacoli che accoglieranno per un decennio Salvator Rosa (dal 1640 al 1649), entrando in rapporti di amicizia con le figure di maggior rilievo del Seicento fiorentino e toscano, da Antonio Magliabechi a Lorenzo Panciatichi, da Carlo Roberto Dati a Francesco Redi; volgendo la sua attenzione di biografo a personaggi delle generazioni immediatamente precedenti, specialmente agli “scapigliati” fiorentini, dedicandosi alla raccolta di libri e manoscritti dei quali fornisce spesso copie ad altri studiosi e amici, e guadagnandosi una discreta fama fra i contemporanei che varca ben presto i confini del granducato (notevole fra tutte la testimonianza di stima nei suoi confronti dell’erudito ligure Angelico Aprosio).
Non si conosce la data del suo ingresso nell’Accademia della Crusca, ma già nel 1634 la pubblicazione di una sua operetta dedicata ai solenni funerali di Francesco de’ Medici (Esequie del serenissimo principe Francesco celebrate in Firenze... il 30 ag. 1634) indica il suo inserimento nell’ambiente della cultura ufficiale fiorentina e insieme documenta precocemente quella mansione, che anche altre testimonianze gli attribuiscono, di compositore di elogi e di epigrafi celebrativi degli scomparsi più illustri. Nel 1658 raggiunge il culmine della carriera accademica ricoprendo la carica di arciconsolo della Crusca; intorno al 1660, probabilmente, stende le Notizie intorno alla vita di Bernardo Segni, che saranno pubblicate soltanto nel 1723. Ammalatosi nel 1673, morrà alla fine di quest’anno, sicuramente dopo il 18 settembre. Alla scarna biografia ricostruibile si può aggiungere la sua partecipazione all’Accademia dell’Urn a (uno dei tanti circoli minori di letterati che fiorirono nel Seicento a Firenze), la cui caratteristica pare fosse la pratica spietata della critica nei confronti di chiunque, anche degli amici; mentre non privo di interesse, soprattutto come indizio di gusto stilistico, è l’aneddoto che ce lo raffigura pronto in ogni occasione alla citazione di Petronio, fino a suscitare reazioni infastidite da parte dell'amico Dati.
La produzione letteraria del C., minuta e quasi esclusivamente manoscritta ebbe, vivente l’autore, circolazione limitata alla cerchia dei conoscenti e, nei decenni successivi alla sua morte, conobbe una relativa ma disordinata proliferazione di copie: ciò generò qualche confusione e qualche errore di attribuzione che si riflettono nel catalogo compilato da Anton Maria Biscioni, prefetto della Laurenziana dal 1741. Questi scritti si possono dividere in tre gruppi: una serie di operette di carattere erudito (biografie, commenti letterari, aggiunte e ampliamenti ad opere altrui), cinque novelle, diverse narrazioni cronachistiche di casi tragici; avvertendo però che un dato unificante è costituito da un comune atteggiamento narrativo, improntato a un gusto prevalentemente aneddotico. Due operette ritenute a lungo sue furono, alla fine del secolo scorso, restituite allo scrittore coevo Stefano Rosselli: si tratta della Vita di don Vaiano Vaiani, figura furfantesca di prete corrotto e ipocrita che riesce a beffare persino il tribunale dell’Inquisizione, e del Commento ai sonetti di Francesco Ruspoli (1572-1625) pervasi da un’acre satira antigesuitica; di quest'ultimo in realtà il C. scrisse un rifacimento che circolò fra gli amici in luogo dell’oriiginale, rifiutandone però la paternità in vista molto probabilmente, di una diffusione maggiore o di una pubblicazione.
Le cinque novelle, provenienti da un medesimo codice (Ricc. 2270), furono pubblicate nello spazio di pochi anni fra il 1870 e il ’73: in quell’occasione due di loro, quelle che per articolazione e situazioni hanno una struttura più propriamente novellistica, ebbero un titolo moderno (Il vicario burlato, in cui un gentiluomo fiorentino si vendica di un mancato favore da parte del vicario dell’arcivescovo facendolo bastonare da un mendicante cieco, e La carità da frati, burla di un pittore che, incaricato da un frate di dipingere una “carità” adeguata al convento e ai confratelli, raffigura sulla tela tre asini che si grattano vicendevolmente); delle altre degna di attenzione è quella che narra della sciocca presunzione, punita da una sarcastica risposta, di un senese che osava criticare Dante, dove all’interessante testimonianza del culto dantesco si unisce un tradizionale motivo di satira municipalistica (della “savia risposta” essendo autore l’erudito fiorentino Iacopo Soldani). Due scarni aneddoti sono le rimanenti due novelle, la cui motivazione principale consiste ancora nella risposta pronta ed arguta, in un caso data da un gentiluomo fiorentino, attempato gaudente, alla sorella avara e importuna, nell’altro da una nobildonna viterbese a chi in un periodo di sua minor fortuna l’aveva trascurata.
Non è certamente casuale che nelle prime due novelle, così come nella biografia di Curzio da Marignolle (Novellette intorno a Curzio Marignoli, poeta fiorentino, pubblicate nel 1870), vittime delle burle siano ecclesiastici: la stessa politica antipontificia del granducato incoraggiava tali atteggiamenti e il C. era stato preceduto già da almeno una generazione di spiriti spregiudicatamente anticlericali. D’altra parte nella stessa dichiarazione programmatica reperibile nella Carità da frati (“...et in questo secolo... par che la maggior parte delle genti, quando la può far vedere a un frate, non glie la perdoni per cosa al mondo”), si avverte un certo impaccio in espressioni come “par che” e “la maggior parte delle genti” che tendono a genericizzare e attenuare l’affermazione. In altri termini sembrerebbe che la posizione del C. sia ideologicamente meno convinta e partecipe di quella dei già citati Ruspoli e Rosselli: innanzi tutto non privo di significato è il fatto che egli si limiti a esibire l’anticlericalismo altrui evitando di assumerlo in prima persona e bilanciando poi la naturale solidarietà fra se stesso narratore e il protagonista “scapigliato” dell'azione con lo schermo della necessaria e convenzionale tipicità della situazione (la beffa come topos letterario connaturato al genere novellistico), e più ancora dirottando l’interesse proprio e l’attenzione di chi legge sul piano dell’espressione. È infatti il forte rilievo dato a una sintassi e, soprattutto, a un lessico iperfiorentini e arcaizzanti – in linea con la tendenza che proprio l’Accademia della Crusca esprimeva – a suggerire il sospetto che i dati tematici divengano in una certa misura pretestuosi, occasione di un elegante e compiaciuto esercizio stilistico in cui, peraltro, vivacità e grazia restano solo nell’intenzione e i sovrabbondanti diminutivi e vezzeggiativi o le locuzioni e i sostantivi desueti rischiano di degenerare nel manierato e nel freddo e, comunque, tradiscono, contro la pretesa di colorito popolareggiante, un’attitudine aristocratica della scrittura.
In ogni caso non si può negare che nelle Novellette su Curzio da Marignolle, così come nel Vicario burlato o nella Carità da frati, la burla si carichi talora di ferocia, né che siano individuabili interessanti elementi ideologici e momenti politicamente significativi, come l’intervento del granduca che salva i beffatori dalla vendetta ecclesiastica, che chiaramente allude alla consapevolezza di una protezione reale da parte del potere nei confronti dell’Inquisizione (è il caso della più nota e minutamente narrata impresa di Curzio, che, dopo aver vestito degli asini con le cocolle e i cappucci stesi ad asciugare da un gruppo di frati che gli avevano negato ospitalità, viene da questi, che appunto vorrebbero ricorrere all’Inquisizione, addirittura risarcito con un gran banchetto grazie all’intervento del granduca).
Queste novelle, caratterizzate anche da vistosi squilibri di struttura interna e dal quasi costante rifiuto del discorso diretto, che contribuisce a sminuire il già scarso dinamismo dell'azione, testimoniano in definitiva di un atteggiamento del C. che si potrebbe definire di anticlericalismo controllato, consistente in un’adesione a temi e motivi che nello Stato mediceo avevano libera circolatione ed erano trattati da altri scrittori con ben altro vigore. Si spiegherebbe così anche il suo silenzio ufficiale circa la paternità del commento ai feroci sonetti del Ruspoli, da lui rifatto, come si è detto, sulla falsariga di quello del Rosselli, rispetto al quale non è che un'amplificazione ispirata a criteri di vivacizzazione linguistica: oltre al timore di possibili accuse di plagio, non è da escludere che egli nutrisse un qualche imbarazzo per il carattere osceno e violento di quelle rime che si scagliavano, facendone tutt’uno, contro bacchettoni, pedanti e gesuiti (“tafani neri”).
Di contenuto e stile assai diversi sono gli scritti relativi a cronache di episodi della vita fiorentina contemporanea: pervasi di truculenza e tragicità, non conditi dalla consueta leziosità linguistica, hanno talvolta fatto dubitare dell’assegnazione al C. da parte del Biscioni. Ancora inediti si trovano – anche in differenti redazioni – in vari codici (tra i quali i più accreditati sono i Panciat. 108 e 117 della Biblioteca nazionale di Firenze), sotto gli eloquenti titoli: Morte della Ginevra Morelli detta la Rossina, cortigiana fiorentina seguita nel 28 marzo 1649; Morte della signora Caterina Canacci seguita in Firenze ne’ 31 dic. 1638; Vita e morte della signora Caterina Picchena Buondelmonti, seguita in fondo di Torre a Volterra; Morte di G. B. Cavalcanti e della Maddalena del Rosso, seguita a Firenze a’ 14 di maggio 1652; Morte di Lelio Griffoli e di Paride Bulgarini, senesi, con il matrimonio della Fulvia Piccolomini vedova del Griffoli con Lattanzio Bulgarini fratello del suddetto; Caso di Vincenzo Sezzelli e Accidente seguito a Niccolò Compagni.
Queste cronache, comunque, forniscono un esempio interessante di gusto seicentesco improntando la loro narrazione da una parte al senso di meravigliato stupore che casi e situazioni così tragici non possono non suscitare, dall’altra alla connessa riflessione morale: ebbero un interessato lettore ottocentesco in Francesco Domenico Guerrazzi che ne trasse materia per due suoi tardi romanzi (La figlia di Curzio Picchena, Milano 1874 – già apparso a puntate fra il 1867 e il 1869 col titolo Il Mastio di Volterra, che è tratto dalla cronaca dei casi di Caterina Picchena Buondelmonti – e Il destino, Milano 1869 – anch’esso già pubblicato a puntate che narra la vicenda di Fulvia Piccolomini).
Opere: Esequie del serenissimo principe Francesco celebrate in Firenze dal sereniss. Ferdinando II Gran Duca di Toscana suo fratello in San Lorenzo il 30 ag. 1634, Firenze 1634; Epigramma e Distico latini in G. Nardi, De rore disquisitio physica, Florentiae 1642, p. XVII; Notizie intorno alla vita di Bernardo Segni, in B. Segni, Storie fiorentine..., Augusta 1723; Il vicario burlato, a cura di P. Fanfani, Firenze 1870; Novellette intorno a Curzio Marignoli, poeta fiorentino..., a cura di G. Piccini, Bologna 1870; Rime varie di Curzio da Marignolle con le notizie intorno alla vita e costumi di lui..., a cura di C. Arlia, Bologna 1885; La carità da frati, Firenze 1871; Novella inedita... (è la risposta di I. Soldani al detrattore senese di Dante), in G. Papanti, Catalogo dei novellieri italiani in prosa..., II, Livorno 1871, pp. CXVII-CXIX; Due novelle di A. C. per la prima volta stampate, a cura di G. Papanti, Livorno 1873; Sonetti di F. Ruspoli... col commento di A. Cavalcanti..., a cura di A. Bacchi della Lega, Bologna 1876.
Fonti e Bibl.: Oltre alle introduz. di curatori alle edizioni delle singole opere del C., vedi A. Aprosio, Biblioteca aprosiana, Bologna 1673, pp. 332 s., 457, 466, 542, 568; J. Rilli, Notizie lett. ed istor. intorno agli uomini illustri dell’Accademia fiorentina, Firenze 1700, pp. 351-353; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 33; F. Baldinucci, Notizie de’ profess. del disegno..., VI, Firenze 1728, p. 267; D. Moreni, Bibliografia storica ragionata della Toscana…, Firenze 1805, I, pp. 233 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1843, XII, pp. 427 s.; G. B. Marchesi, Per la storia della novella italiana nel sec. XVII, Roma 1897, pp. 123-139; A. Belloni, Il Seicento, Milano s. d., pp. 219, 379; F. Massai, Una lettera di F. Redi, in Giorn. st. della letter. ital., CI (1933), p. 97 n. 2; G. Spini, Ricerca dei Libertini. La teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze 1950, pp. 301-305; R. Ridolfi, Novità sulle “Istorie” del Segni, in Belfagor, XV (1960), pp. 663-676 (spec. 664 s., 675); C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1966, pp. 478, 487, 524; C. Varese, Teatro, Prosa, Poesia, in Il Seicento, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, V, Milano 1967, pp. 715 s.