CASALI, Andrea
Figlio del senatore Mario e di Barbara Malvezzi, nacque a Bologna il 3 ott. del 1584. Resosi vacante il seggio senatorio occupato dal padre, il C. fu ammesso, a soli sedici anni, nella maggiore magistratura cittadina e il 5 ott. del 1600 fece il suo ingresso ufficiale in Senato. Governatore del Vergato per il secondo semestre del 1601, trascurò ben presto l'attività pubblica sia per una manifesta propensione per le arti cavalleresche, sia per un episodio di sangue nel quale venne implicato nell'anno 1602 e che, probabilmente, dovette costargli un'interdizione più o meno prolungata dai più importanti uffici, solitamente attribuibili ai membri del Senato. Il forte richiamo esercitato dall'interminabile guerra che si combatteva nelle Fiandre lo spinse, nel 1603, a unirsi al contingente italiano dell'esercito spagnolo: il 3 luglio partì da Bologna e, dopo essersi recato a Vienna, giunse, nel febbraio dell'anno successivo, presso Ostenda nell'accampamento delle truppe comandate da Pompeo Giustiniani. Arruolato dal "contadore" dell'esercito il 16 febbraio, fu aggregato, come venturiere, alla compagnia del colonnello milanese Ludovico Melzi.
Ufficialmente il C. morì il 19 luglio di quell'anno, colpito da un'archibugiata durante un assalto del nemico al campo spagnolo presso Ostenda. Nell'agosto giunse a Bologna Felimeo Biancani, suo compagno di arme, con la notizia della morte e con un testamento ove il defunto istituiva erede universale del suo patrimonio, valutato in 150.000 scudi romani, il cugino Michele, che lo trasmise poi al figlio Ferrante il quale occupò anche il seggio senatorio.
Dopo circa tre anni giunsero però a Bologna alcune lettere spedite dal C. alla madre, al cugino Ferrante e allo zio Protesilao Malvezzi, nelle quali egli chiedeva di essere riscattato, ma le testimonianze dei suoi compagni d'arme, e in particolare del Biancani e di Ippolito Marsili, che non solo asserivano di averlo visto morire ma anche di averne condotto le spoglie a Bruges perché fossero sepolte nella chiesa che i domenicani avevano in quella città, fecero prevalere l'ipotesi che si trattasse di un falso. Il caso fu temporaneamente accantonato, anche se nel 1615 e nel 1624 pervennero alla famiglia testimonianze dell'esistenza di un uomo, detenuto quale schiavo ad Algeri, che affermava di essere il senatore C., e Ferrante Casali sentì l'esigenza di raccogliere le deposizioni ufficiali degli uomini che affermavano di aver visto morire il cugino. Finalmente nel gennaio del 1634 i padri della Madonna della Mercede riscattarono ad Algeri un uomo che dichiarava di essere il C., ed anche a Bologna fu affisso il consueto manifesto col nome degli schiavi riscattati fra i quali figurava quello del senatore bolognese. A Roma il presunto C. iniziò le pratiche per farsi riconoscere, giungendo a rivolgersi allo stesso Urbano VIII, che egli aveva conosciuto durante la legazione bolognese, ricordando taluni particolari di incontri avuti a quel tempo. Ma le molte aderenze che Ferrante Casali vantava presso la Curia romana, e in particolare l'appoggio del cardinale Antonio Barberini, fecero sì che il presunto C. fosse arrestato come impostore e falsario. Il processo fu istruito rapidamente e l'imputato, difeso da Vitale Marchetti, poté in tal modo dare la propria versione dei fatti: egli smentì subito la versione ufficiale e affermò di essere rimasto ferito nel 1604 per un colpo di archibugio sparatogli dal Marsili (uno dei principali testimoni del cugino) per ordine di Marc'Antonio Malvezzi con il quale era in lite; derubato quindi di un giubbone "zibato pieno di gran quantità d'oro", era stato abbandonato come morto sul campo nel frattempo occupato dal nemico. Fatto prigioniero, aveva militato per circa cinque anni in una fortezza con le truppe di Maurizio di Nassau finché non gli fu accordato di ritornare in patria. Da Gravenhage passò a Barcellona ove si imbarcò per la Sardegna, ma durante il viaggio la nave fu assalita dai Turchi ed egli venne condotto in schiavitù in Barberia, ove rimase per venticinque anni. L'accusa non risparmiò alcun espediente per screditare l'imputato: questi fu individuato dapprima con un tale Santino di Cornelio, bolognese, ma si scoprì poi che questi era deceduto da circa diciassette anni. Fu fatto fare un ritratto ben poco fedele del prigioniero da spedire a Bologna per far sopire il malcontento dell'opinione pubblica, pressoché unanimemente schierata in difesa del carcerato e contro la protervia di Ferrante Casali; ma un allievo del Carracci eseguì un altro ritratto dell'imputato e lo inviò, con una lettera di autenticità, a Guido Reni che non ebbe esitazione ad individuare le fattezze, sebbene alterate dai patimenti e dall'età, del C., da lui conosciuto e "ritratto quando era giovinetto".
Limitandosi ai soli atti processuali, emerge incontestabilmente la precostituita volontà della corte di condannare l'imputato: le deposizioni dei testi a carico, in particolare quelle del Biancani e dei Marsili, discordavano in più punti. Fu accertato che il C. era stato cancellato dal libro del "contadore" dell'esercito, come avveniva per i morti, e che nei Libri mortuorum dei domenicani di Bruges vi era memoria della sepoltura di un gentiluomo bolognese nel luglio del 1604. Nonostante queste verifiche positive non portassero alcun elemento decisivo per l'accusa, non furono condotte indagini analoghe sulla versione dei fatti sostenuta dall'imputato. In particolare Cesare Martelli, che aveva combattuto all'assedio di Ostenda sotto il comando del conte Guido Sangiorgio, sostenne che Ferrante Casali aveva cercato in più occasioni di fargli testimoniare il falso e che egli, pur essendo venuto a conoscenza del ferimento del C., non era mai stato informato della sua morte. Lo stesso smentì inoltre clamorosamente la testimonianza di Carlo Campanazzi, uno dei principali testimoni di Ferrante, giurando di averlo visto altrove mentre si svolgevano i fatti in oggetto. La difesa riuscì a dimostrare che Ferrante Gasali aveva, a più riprese, tentato di inquinare le prove e presentò ben diciassette testimoni a discarico: fra costoro vi fu chi ricordava alcuni tratti fisici particolari del C., quali una "verga" nel mignolo della mano sinistra e una voglia su una spalla, che furono riscontrati anche sull'imputato. Fu inoltre presentata una memoria redatta da due sacerdoti che affermavano di aver assistito spiritualmente per lungo tempo in Barberia uno schiavo da loro conosciuto come il senatore C.; ma soprattutto non si tenne conto dell'esistenza di due testamenti del C., in più parti diversi, redatti a trentacinque giorni di distanza, mentre i testimoni asserivano che egli era morto sei ore dopo esser stato colpito.
Nonostante ciò, dopo un processo durato tre anni, l'imputato fu riconosciuto colpevole e rinchiuso nel carcere di Civitavecchia, ove morì nel marzo del 1639 continuando a protestare ad alcuni gentiluomini bolognesi, che erano venuti ad assisterlo, la sua identità.
Fonti e Bibl.: Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat. 11.734: Discorso della causa che verteva tra A. C. e Ferrante Casali, ff. 106-132; Vat. lat. 13.399: Estratto delle depositioni de' testimoni... (causa A. C.), ff. 39-62v; Bologna, Biblioteca comunale, ms. B 43, n. 16: Causa contro A. C., cc. 87-123; ms. B 671: B. Carrati, Compendio delle famiglie senatorie di Bologna, cc. 78 ss.; ms. B 3607: Discorso sopra la causa del Sig. A. C. carcerato in Torre di Nona e il Sig. Ferrante Casali bolognesi, cc. 45 ss.; Ibid., Bibl. Univ., ms. 208, n. 23: Lettera di L. Martelli che dà contezza della morte di A. C. (19 marzo 1639); ms. 686, n. 44: Lettera di un vescovo domenicano nobile bolognese [Girolamo Zambeccari] a motivo della causa di A. C. (29 dic. 1635), cc. 225-277v; ms. 770, vol. XXI: A. F. Ghiselli, Mem. antiche di Bologna, cc. 140, 224, 226; ms. 1269, Processo di A. C., I-VI; ms. 1914, n. 2: Scrittura sopra la causa diA. C., cc. 44 ss.; ms. 4207: L. Montefani Caprara, Famiglie bolognesi, XXIV, c. 99; Ibid., Archivio Isolani, Fondo Casali, ms. B 26, n. 16: Elez. di A. C. in governatore di Vergato (1601); ibid., Copia del testam. di A. C., red. il 12 giugno 1604 in Ostenda, rogito Giacomo A. Bordoni;G. N. Pasquali Alidosi, LiRiformatori dello stato di libertà di Bologna, Bologna 1614, p. 25; Catal. delli schiavi che ha riscattato il Real Ordine di Nostra Signora della Mercede... in quest'anno 1634... nella città di Tunisi, s.n.t.; C. Achillini, Vindiciae secundum fidem Hippoliti Marsilii et omnium eorum, qui mortem A. C. asseruerunt, Lodi 1635; Sentenza contro A. C., Bologna 1637; Decretum et sententia lata, in causa contra publicum, et notorium falsarium et impostorem, qui se Romae falso asseruit A. C., Bononiae 1637; G. Sitoni, Clarissimae Casaliorum familiae... chrono-genealogica monumenta, s. l. 1731, p. 28; G. Guidicini, I Riformatori, III, Bologna 1877, pp. 31 s.; L. Frati, Un morto redivivo, in Nuova Antologia, 16 maggio 1912, pp. 305 ss.; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, Busto Arsizio 1936, p. 152.