CALMO, Andrea
Commediografo e comico veneziano nato circa il 1510 e morto nel 1571. Delle sue commedie, alcune (la Rodiana, rappresentata a Venezia nel 1540 e falsamente attribuita al Ruzzante nella prima edizione, del 1553, e il Travaglia, rappresentato nel 1546 e stampato dieci anni dopo) s'attengono, quanto agli argomenti e alla struttura, alla tradizione del teatro classico; altre (la Spagnola, stampata sotto lo pseudonimo di Scarpella bergamasco nel 1549, e il Saltuzza stampato nel 1551) hanno una semplicità di temi e una rapidità e vivacità di svolgimento, che le allontanano dalle forme antiche e dànno loro un colorito realistico: altre infine sono magri rifacimenti di commedie altrui: la Pozione (1552) della Mandragola del Machiavelli, e la Fiorina (1552) della commedia omonima del Ruzzante. Nelle sue commedie il C. introduce, accanto a personaggi che parlano la lingua letteraria, altri che parlano dialetto: chi veneziano, chi pavano, chi bergamasco, chi dalmatino, chi l'ibrido linguaggio greco-veneto degli stradiotti e chi altri idiomi; e viene così a dare uno sviluppo fino allora inusato ad una consuetudine che già dianzi aveva conquistato la scena italiana, e che egli estese anche alle sue quattro Egloghe pastorali (1553), nelle quali l'idealismo bucolico si mescola col realismo e con la facezia volgare. Per l'originale figura di vecchio che compare in tutte le commedie del C., e che ha indubbie somiglianze con la maschera di Pantalone, nonché per il costume di qualche battuta recitata all'improvviso, egli merita di essere considerato quale un precursore della commedia dell'arte.
Di un volumetto di Rime (1553), varie di argomento, di metro, di tono, basti aver fatto cenno e averne rilevato il colorito lagunare che quasi tutte le domina al pari che I piacevoli et ingeniosi discorsi in più lettere compresi et ne la lingua antica volgare dechiariti, fortunata raccolta di chiacchierate bizzarre, di fantasticherie, di "fiabe", di "chimere", esposte in forma di lettere, non già vero e proprio epistolario, la quale ebbe dal 1547 al 1610 una ventina di edizioni tra parziali e compiute, e una ristampa anche ai dì nostri (Le lettere di M. A. C. riprodotte sulle stampe migliori, con introduzione e illustrazioni di V. Rossi, Torino 1888). Le lettere dei primi tre libri si immaginano scritte a persone più o meno note alla storia, da poveri pescatori appartenenti a una stessa famiglia nel corso di più generazioni; onde vengono ad avere una certa unità di spirito e d'ambiente che vien meno nel quarto e ultimo libro, dove le lettere dirette a cortigiane di Venezia, non recano sottoscrizione alcuna.
Un'onda indiavolata di scherzi, di freddure, di spiritosaggini corre atttaverso codesto finto epistolario, scritto in un dialetto veneziano arcaizzante, cui si mescolano slatinature spropositate, faceti storpiamenti di parole, elementi gergali. I frequenti ricordi di canzoni, proverbî, giochi, balli, poemetti, novelle di popolo e la ripresa di alcuni motivi della letteratura popolare, conferiscono alle "lettere facete e ghiribizzose" del C. un notevole valore storico; ma non manca loro neppure qualche pregio d'arte.
Bibl.: Oltre all'introduzione citata alle Lettere, v. C. Musatti, Il testamento di A. C. e di sua moglie, in Ateneo veneto, gennaio-giugno 1925.