BORGO (Burgo), Andrea
Appartenente a una famiglia di mercanti residente in Cremona sin dal sec. XII, nacque il 7 o l'8 sett. 1467, verosimilmente in Cremona. Della sua famiglia sono noti il padre Oprando e i fratelli Daniele e Lombardino.
Già all'età di undici anni e mezzo, dunque nel 1479, entrò al servizio del duca di Milano Ludovico il Moro, che prese il ragazzo sotto la sua protezione e ne fece presto uno dei suoi servitori più fedeli. Prima del 1489 era già coadiutor nella cancelleria ducale; a partire dal 1490 è ricordato come cancelliere nella cancelleria segreta. Nel settembre 1496 si trovò tra gli oratori inviati a ricevere a Vigevano il re dei Romani Massimiliano. Nel dicembre del 1499, nel corso dei preparativi per la riconquista del ducato, appare come intermediario tra Ludovico e l'ambasciatore milanese Erasmo Brasca. Dopo la cattura del duca (10 apr. 1500), andò in esilio in Germania. Fu condannato dai Francesi come ribelle e partigiano di Ludovico, ma non possedeva in Milano alcuna proprietà che potesse essere confiscata. Poco dopo entrò al servizio del re dei Romani e dal novembre del 1502 è ricordato come segretario reale.
Durante gli anni successivi fu utilizzato assiduamente per diverse missioni diplomatiche. Nel 1504 andò varie volte in Spagna. Nel luglio di quell'anno Cypryan von Serntein, Filiberto Naturelli e il B. furoni inviati a trattare con la corte francese a Blois, dove arrivarono il 4 settembre. Gli ambasciatori si erano accordati in precedenza con l'influente ministro di Massimiliano, il cardinale Matteo Lang, per trarre vantaggi personali dal desiderio di pace dei potentati italiani. Nel 1506 il B., che nel febbraio di quell'anno era stato nominato cavaliere, condusse, insieme con Charles de Poupet signore di Lachaulx, trattative per conto di Massimiliano e suo figlio Filippo con il re Ferdinando d'Aragona sulla questione della reggenza in Castiglia e fu nominato, in qualità di rappresentante di Massimiliano, membro del consiglio di reggenza istituito il 24 sett. 1506, un giorno dopo la morte di Filippo, sotto la presidenza del cardinal Ximenez. Già allora egli godeva di una pensione spagnola a vita di mille ducati d'oro annui. All'inizio del 1507 garantì per conto di Massimiliano a Cesare Borgia, che desiderava entrare al suo servizio, di non essere abbandonato alla mercé del re d'Aragona nel caso che il re dei Romani si fosse accordato con lui. Nel febbraio di quello stesso anno si recò per incarico di Massimiliano d'Asburgo nelle Fiandre, con l'intenzione di proseguire alla volta dell'Inghilterra munito di una istruzione dell'arciduchessa Margherita, la quale però ottenne di inviarlo prima in Spagna. Le importanti trattative tra gli Asburgo e Ferdinando che portarono all'adesione della Spagna alla lega di Cambrai furono condotte dal Borgo. Nel 1508 egli si recò per due volte come ambasciatore in Inghilterra. Dato che non gli furono concessi mezzi finanziari sufficienti, doveva tentare di provvedere alle sue spese utilizzando la sovvenzione di 100.000 corone d'oro che Massimiliano sperava di ottenere dalla corte inglese. Nel dicembre del 1508 si presentò a Ferdinando d'Aragona come ambasciatore residente di Massimiliano, ma in conseguenza dei difficili rapporti fra le due corti dovette abbandonare la Spagna.
In cambio ottenne di rappresentare Massimiliano alla corte francese per parecchi anni. Nella primavera del 1509 seguì Luigi XII in Italia, dove fu presente alla battaglia di Agnadello (14 maggio) e accettò, come rappresentante dell'imperatore, il 2 e il 3 giugno le chiavi della città e il giuramento di fedeltà dei Veronesi, ma lasciò subito la città senza preoccuparsi di insediarvi un governo provvisorio. Il B. stesso fu tra i principali beneficiari della caduta di Verona, dato che acquistò per sé, per il fratello Lombardino e, altri parenti numerosi immobili nei dintorni della città confiscati alle famiglie patrizie veneziane, in particolare ai Capello. Quando Massimiliano, nel luglio del 1510, ordinò la restituzione di questi beni, dal provvedimento furono esclusi i maggiori beneficiari, e in particolare il Borgo. In questo periodo egli manteneva rapporti anche con i Veneziani, ai quali suggerì varie iniziative per indurre l'imperatore alla pace. Malgrado ciò, si pronunciò ripetutamente per la continuazione dell'alleanza franco-imperiale, sottolineando il leale comportamento di Luigi XII verso Massimiliano e verso Margherita e condannando severamente quei consiglieri che da entrambe le parti si adoperavano per uno scioglimento dell'alleanza. A questa linea di condotta il B. si mantenne fedele negli anni successivi, sebbene il re di Francia lamentasse la sua durezza nel corso delle trattative per questioni di confine nella Gheldria.
Nel settembre del 1509, incaricato espressamente dall'imperatore di condurre trattative con la Spagna, il B. sarebbe rimasto vittima di un intrigo alla corte dell'arciduchessa, che da allora in poi gli tolse la sua fiducia. Inoltre si trovò alla corte francese in precarie condizioni finanziarie che lo costrinsero a vendere i suoi mobili e non gli permettevano di portare neanche i vestiti prescritti dal cerimoniale. Le ripetute lamentele sulla sua indigenza non furono prese in considerazione né da Massimiliano né da Margherita, sebbene anche il Gattinara si adoperasse per lui.
Il 12 dic. 1509 il B. sottoscrisse, insieme ad altri diplomatici, il trattato di Blois, concluso tra Massimiliano e Ferdinando d'Aragona. Nel novembre del 1511, dopo ripetute richieste, venne dimesso dalla sua ambasceria presso la corte francese e, benché gravemente ammalato, si recò, passando per Milano, a Innsbruck, dove nel febbraio del 1512 discusse con il Lang e altri consiglieri imperiali sulle prossime trattative di pace. Nel marzo era di ritorno a Blois. In questo periodo Massimiliano gli aveva concesso in usufrutto la signoria di Enn, per remunerarlo dei suoi crediti di 5.000 fiorini. Quindi lo investì anche del feudo di Castelleone, del quale prese subito possesso in suo nome il fratello Daniele, e lo innalzò al rango di cavaliere. A partire dall'ottobre prese parte insieme al Lang alle conversazioni di pace che portarono alla conclusione della Lega santa (19 nov. 1512). In questa occasione il B. riuscì a conquistarsi la fiducia di Giulio II, sul quale in precedenza egli si era espresso in modo molto sfavorevole.
Era anche in ottimi rapporti con i Gonzaga e nell'ottobre avvertì la marchesa Isabella delle mire imperiali su Ferrara che il Lang intendeva sottrarre agli Estensi e a Giulio II che la rivendicava, con la scusa di assumerla temporaneamente in custodia fino alla soluzione della vertenza. Fu proprio per l'intervento del B. che il cardinale Ippolito, che aveva in quel momento la reggenza degli Stati estensi, riuscì a sventare la manovra del Lang. Delle stesse simpatie non godevano più i Veneziani che non riuscirono ad assicurarsi la sua mediazione di pace, neanche con la promessa di versargli una grossa somma. Ancora nel dicembre egli spingeva il viceré di Napoli Raimondo de Cardona ad allestire nuovi preparativi militari contro la Repubblica.
Quando, nel dicembre del 1512, Matteo Lang abbandonò Milano, il governo effettivo del ducato restò nelle mani di un triumvirato costituito dal Cardona, dal cardinale Matteo Schiner e dal B., nella sua qualità di ambasciatore imperiale. Dal duca Massimiliano, privo di ogni potere effettivo sul ducato, ebbe in dono, oltre a molto oro, un canonicato a Novara per il fratello Lombardino; egli contraccambiò questi doni lavorando instancabilmente per lui: continuò ad assisterlo politicamente anche nei momenti disperati (tumulti del marzo e discesa di un esercito francese nel maggio del 1513), mantenendo la calma e restando a Milano minacciata dai Francesi, senza cedere alle sollecitazioni del viceré che insistette a lungo per indurlo a trasferirsi a Napoli. Alla fine di maggio del 1513 riuscì a stento a rifugiarsi segretamente a Lodi, sfuggendo agli attentati della fazione filofrancese in Milano. Dopo il ritorno del duca a Milano, il 7 giugno 1513, egli poté rafforzare la sua influenza sulla politica interna ed estera del ducato, entrando in conflitto con l'ambizioso cardinale Schiner e con gli Svizzeri. In un primo momento si oppose alle smisurate contribuzioni imposte dagli Svizzeri su Milano, cercando tuttavia di collaborare con lo Schiner. Alla fine di dicembre intervenne in favore del monastero di S. Ambrogio occupato manu militari dal frate Arcangelo Matregnano e dal suo seguito. Nel febbraio del 1514 si recò come commissario imperiale a Crema.
Nella primavera dello stesso anno lo Schiner iniziò una campagna di diffamazione contro il B., al quale rimproverava abusi di potere e arricchimento personale. In realtà il B. si opponeva alla politica svizzera di appoggio a Leone X che in quel momento trattava segretamente con gli altri Stati italiani la conclusione di una lega contro Spagna e Impero. Alle trattative partecipava anche il Morone con il quale il B. si trovò in aspro contrasto. In un primo tempo il duca lo difese, controbattendo tutti gli attacchi e sottolineando i suoi meriti verso Milano. Alla fine però dovette cedere alla pressione degli Svizzeri, decidendosi a bandirlo dai suoi Stati alla fine del 1514. Si oppose anche più tardi a un suo tentativo di ritornare a Milano. Di lui si diceva che nel corso del soggiorno milanese aveva accumulato 80.000 ducati. Alla fine di gennaio del 1515 egli era già a Trento.
Dopo numerose missioni diplomatiche in Italia e in Svizzera, alla fine di dicembre del 1515, fu inviato come ambasciatore imperiale a Bruxelles. La sua istruzione riguardava la successione in Spagna, gli accordi matrimoniali con gli Iagelloni e la progettata divisione dei paesi asburgici fra i nipoti dell'imperatore, Carlo e Ferdinando. Inoltre egli si adoperò, ma senza successo, per ottenere il sostegno finanziario di Carlo alle imprese italiane dell'imperatore. Anche questa missione ebbe una conclusione infelice, dato che il B., in conseguenza di un intrigo ordito dall'ambasciatore aragonese Juan de Nuca, cadde nuovamente in disgrazia di Margherita, tanto che si rese necessaria la sua revoca. Malgrado ciò egli ricevette il 6 sett. 1516, prima di partire da Bruxelles, ancora cospicui doni in denaro e provvisioni per sé e per i suoi parenti.
Dopo una missione a Praga, il 15 maggio 1517 si recò in Ungheria come ambasciatore insieme all'umanista Johannes Cuspinian e a Johann Mrakes von Noskau. Nel corso del viaggio entrò in grande dimestichezza con il segretario del Cuspinian, Johannes Gremper, e che poco dopo gli dedicò la sua edizione di Teofrasto. I due anni successivi furono impiegati dal B. in numerose missioni diplomatiche di breve durata. All'inizio di maggio del 1519 si recò in Ungheria; poco dopo fu deputato da Carlo V a trattare con Venezia questioni di confine, nel giugno assistette a Francoforte alla sua elezione a re dei Romani. Dal novembre del 1519 al febbraio del 1520 proseguì a Verona le conversazioni con i procuratori veneziani e fu preconizzato anche oratore residente in Venezia. Nell'agosto del 1521 si recò in Svizzera con il compito di assoldare milizie per l'esercito imperiale.
Di maggiore importanza fu la sua nuova missione alla corte ungherese, dove arrivò alla fine di agosto del 1521 per restarvi con qualche interruzione fino all'ottobre del 1523. Godette sin dall'inizio di tutto il favore della famiglia reale, benché cercasse ripetutamente di attivizzare l'incapace re Ludovico, da lui spesso aspramente rimproverato. Tanto più doveva scontrarsi con i magnati, che attribuivano all'influenza del marchese di Brandeburgo e del B. la pigrizia del re e la mania di divertimenti della regina e perciò lo perseguitavano con tutti i possibili intrighi di corte. Per questo motivo alla fine del 1522 il B. fu sostituito per breve tempo da Johann Schnaitpeck, che si rivelò ancor meno capace di lui di sostenere il peso di siffatte trame. Dall'agosto del 1522 fino all'inizio del 1523 il B. si trasferì, con l'incarico di una delicata missione, a Praga, dove gli riuscì di impedire la minacciata alleanza della Boemia con la Francia. Dal 15 al 19 ott. 1523 fu presente all'incontro austro-ungarico-polacco di Wiener Neustadt come portavoce dell'arciduca Ferdinando. Immediatamente dopo ricevette finalmente il congedo tanto a lungo richiesto e si recò nel suo castello di Enn, con la ferma intenzione di non accettare più alcun incarico diplomatico.
La rivolta contadina nel Trentino del maggio 1525 lo colse di sorpresa. Fece appena in tempo a rifugiarsi con la moglie a Trento, che il castello di Enn fu saccheggiato dai ribelli. Nel corso di una nuova missione diplomatica in Spagna si ammalò in territorio francese e riuscì ad arrivare a stento a Genova all'inizio di agosto del 1525. Dato già per spacciato dai medici, guarì in un mese e mezzo. Sembrò allora che egli, rimasto nel frattempo vedovo, avesse l'intenzione di abbracciare lo stato ecclesiastico. Per una decisione della dieta di Rákos del 12 maggio 1526 il B. perdette tutti i suoi beni ed entrate in Ungheria. Dopo aver trascorso alcuni mesi come ambasciatore di Ferdinando nel campo imperiale in Italia, nel sett. 1526 andò con le stesse funzioni a Ferrara, dove rimase con qualche interruzione fino all'agosto del 1528.
Diversamente dagli altri ambasciatori imperiali, egli descrisse nei suoi dispacci il duca Alfonso come ben disposto verso l'imperatore, che solo dal comportamento ambiguo dei ministri imperiali era stato costretto a trattare con i Francesi. Nel corso del soggiorno ferrarese il B. riallacciò stretti contatti con la corte di Mantova e favorì Federico Gonzaga, capitano generale della Chiesa, nei cordiali rapporti intrecciati con suo cognato, Georg Frundsberg, disceso in Italia alla testa dei lanzi per marciare su Roma. Nel maggio del 1528 si recò appositamente a Mantova per proporre al marchese un'azione mediatrice per riconciliare Clemente VII e Carlo V e associarli nell'impresa contro Firenze. La trattativa si protrasse per alcuni mesi, ma non riuscì al B. di vincere la resistenza del pontefice, che esitava davanti alla prospettiva di procurare a Firenze la stessa tragica esperienza del sacco già vissuta da Roina. Alla fine di gennaio del 1529il B. assunse la sua ultima grande legazione come ambasciatore di Ferdinando a Roma, dove egli doveva restare fino alla morte.
Il suo principale obiettivo era quello di ottenere dal papa una sovvenzione, quanto più cospicua possibile, per sostenere la guerra contro i Turchi. Inoltre aveva anche il compito di collaborare con gli ambasciatori imperiali, in particolare con Miguel Mai, per sottrarre il papa all'influenza della fazione francese, dominante in quel momento a Roma, e attirarlo dalla parte dell'imperatore. Quest'ultimo compito fu però reso ancor più difficile dalla circostanza che Carlo V stava assoldando in quello stesso momento truppe per una campagna in Italia. Un altro punto della sua istruzione riguardava il ruolo del papa nella vicenda dell'annullamento del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra. Nell'aprile del 1529egli riuscì a concludere un buon accordo con Clemente VII, dichiarando che gli Asburgo erano pronti a rinunciare alla richiesta del concilio in favore di un arbitrato di dotti nel senso della proposta di Erasmo da Rotterdam. Come rappresentante di Ferdinando alle trattative di Bologna della fine del 1529 il B., in un primo momento, non poté esercitare alcun influsso, dato che l'imperatore e i suoi consiglieri non tenevano presenti gli interessi di Ferdinando e lasciarono il B. sistematicamente all'oscuro. Malgrado ciò egli dovette firmare per ordine imperiale l'atto di pace del 23 dicembre. Tuttavia poté conseguire quattro importanti risultati: la scomunica del voivoda di Transilvania Giovanni Zápolya, una sovvenzione papale per la guerra contro i Turchi abbastanza alta, l'incoronazione di Carlo V a Bologna e non a Roma e il suo successivo ritorno in Germania.
Nel maggio del 1530 il B. fu di nuovo a Roma. Sebbene egli sollecitasse ripetutamente il papa a mettere a disposizione le somme promesse e altre ancora per la difesa dai Turchi, divenne presto uno dei suoi confidenti più stretti. Dalla sua viva voce apprese i numerosi progetti, mai realizzati, di un rinnovamento politico dell'Italia. Il 15 dic. 1532 il B. ritornò ancora una volta a Bologna per partecipare alle conversazioni di pace tra il papa e l'imperatore relative ai rapporti con la Francia. Ivi morì il 1º genn. 1533.
Sul B. come uomo e diplomatico i contemporanei espressero i giudizi più contrastanti. Dai suoi nemici fu descritto come intrigante, altezzoso e bugiardo, avido di denaro e venale; anch'essi però dovettero ammettere la sua abilità diplomatica. I giudizi positivi tuttavia prevalgono. Nei suoi ultimi anni di vita venne descritto come un vecchio, venerando e incorruttibile diplomatico, al quale si rivolgevano come ad un oracolo gli ambienti diplomatici: avrebbe avuto il solo difetto di cedere all'impulso dell'ira. Diffidente verso le grandi imprese politiche, era spesso eccessivamente cauto e nella sua corrispondenza mostrava una faticosa prolissità. Massimiliano I e Ferdinando I riconobbero in lui un diplomatico insostituibile. Malgrado il soldo sempre insufficiente, egli mostrò una devozione irremovibile verso la casa d'Austria ed era il suo più alto titolo di onore essere considerato come "bonus Australis".
Il B. si sposò due volte, la prima volta con Dorotea di Thun da Trento (morta nel 1525)e la seconda volta con Caterina Anguissola di Piacenza, che gli sopravvisse insieme al figlio postumo Ferdinando. Per suo desiderio fu sepolto nella chiesa cremonese di S. Pietro al Po.
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