BONI, Andrea
Nacque a Firenze al principio del sec. XVI da Giovanni di Andrea e da Aurelia Branchelli.
Il B. discendeva da una famiglia di popolo che cominciò a emergere in Firenze nei primi decenni del '400 con i cambiatori Giovanni e Leonardo di Bartolo e i loro figli. Nel corso del secolo i Boni estesero anche in Francia le loro attività (talora confuse con quelle dei francesi Bonis di Montauban) e Bono di Giovanni fu insignito dell'ordine cavalleresco da Renato d'Angiò nel 1442; nello stesso anno i Boni per la prima volta ebbero accesso in Firenze al priorato. Poco dopo la metà del secolo un loro banco risulta in Roma, ma verso il 1470 si assiste al fallimento della compagnia di Bono di Giovanni e dei figli Smeraldo e Andrea, quest'ultimo avo del Boni. Il padre del B., che "nel 1488fu tratto de' Signori, ma non aveva l'età", è probabilmente il Giovanni Boni che ottenne uffici, come il vicariato di Pieve Santo Stefano, ai tempi di Lorenzo de' Medici duca d'Urbino. Si può forse identificare con lui il fiorentino autore di un "capitolo" Della villa, pubblicato a Firenze nel 1530, che fra il 1533 ed il 1538 era al servizio, a Roma, di Giovanni Gaddi.
Il B. risulta "squittinato" nel 1524, ma dovette lasciar presto Firenze, forse anche per l'atteggiamento antimediceo tenuto dalla sua famiglia. Riparò a Roma, presso i discendenti di Leonardo di Bartolo Boni (che ebbero in S. Maria Maggiore le loro sepolture) e fu impiegato nella loro compagnia. Allo stato attuale delle ricerche si conosce assai poco delle attività dei Boni, che non furono certamente, comunque, fra le massime "ditte" romane dell'epoca. In particolare non si hanno notizie precise delle iniziative mercantili e bancarie del B., che fu console della nazione fiorentina a Roma nel 1554: sappiamo che aveva acquistato uffici di Curia, che aveva investito nei luoghi di Monte, che fu cointeressato, assieme ai Montalto; alla tesoreria di Romagna, che aveva proprietà fondiarie sia presso Roma sia in Toscana.
Nell'ultimo quindicennio della sua vita, a stare almeno agli estratti di un suo libro di ricordi, sembra vivesse non tanto dei profitti mercantili, quanto più delle sue rendite, non modeste certo, ma neppure elevatissime, se era al di sotto dei diecimila scudi il valore del "palatium seu domus magna" in piazza S. Eustachio acquistato nel 1555. Rimasto l'ultimo sopravvissuto della sua famiglia, più volte sollecitato a sposarsi da amici e parenti, nel 1558 il B. prese in moglie Caterina di Niccolò Acciaiuoli, con una dote, non eccezionale, di 2.500 scudi; con emozione, ormai vecchio, annotava la nascita del figlio Giovanni nel 1565, rendendo grazie "per l'accrescimento" del mio sangue, che avanti la sua nascita ero restato solo di casa mia; nel 1567, quando ebbe il secondo figlio Niccolò, a lui premorto, si rallegrava di poter sperare "maggiormente che la mia casa si abbia a riempire di huomini e risplendere non solo sì come è stata ma davantaggio".
Questo vivo senso della continuità familiare non è certamente un fatto nuovo anche al livello del ceto mercantile, ma viene acquistando più vivo significato proprio quando si abbandonano gradatamente i traffici per cercare nelle rendite fonti di guadagno più confacenti a sempre più spiccate inclinazioni nobiliari. Se "amare Dio e avere una carrozza" erano i tratti caratterizzanti l'uomo di successo nella Roma del secolo XVI, il B. non sfuggiva alla regola: così non ometteva di commentare nei suoi ricordi le "nuove" di Francia, auspicando che venisse "spenta la setta degli Ughonotti", e quanto alla carrozza ci ha lasciato un vivace appunto: "Adì 2 marzo 1557 ab incarnatione ho comperato dal Reverendissimo Cardinale de' Medici uno cocchio con sua coperta paghonazza et sua fornimenti, con uno paio di cavalle morelle, e stellate in fronte, e sfacciate con le loro coperte paglionazze per scudi cento d'oro in oro, e più ho donato a S. S. Ill.ma un Salmista in penna in cartapecora con la Storia di Davitte nel principio e tutte le prime lettere davanti de' Salmi miniate, hopera certo degna e nobile. Iddio mi lasci godere il cocchio, e le cavalle lungo tempo con contento".
Con eguali entusiasmo e fierezza il B. fornisce lunghi elenchi dei personaggi che intervengono al suo sposalizio, alle feste per i matrimoni da lui combinati o ai battesimi dei figli. Gli stessi sentimenti antimedicei della famiglia, che lo portarono al centro di un incidente diplomatico fra Firenze e Roma a seguito dei discorsi tenuti a un banchetto della "nazione fiorentina" da lui presieduto nel 1554, si scolorano se visti nel contesto dell'ambiente e delle relazioni del B., che ricorderemo si "amicissimo" e "compare" di Roberto di Filippo Strozzi, ma anche legato ai Medici, e in particolare a quel messer Niccolò, di cui curava gli interessi in Curia, col quale intrattenne un fitto carteggio, che ci è conservato in larga parte, fra il 1544 e il 1560.
Morì intorno al 1570 lasciando il solo figlio Giovanni, col quale si compirà la graduale evoluzione del mercante arrivato che si fa gentiluomo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte dell'Ancisa, GG, cc. 158 ss.; KK, cc. 361 ss.; Ibid., Carte Dei, f.10, ins. 19; Ibid., Carte Peruzzi de' Medici, ff. 117 e 138; Ibid., Mediceo avanti Principato, f.89, ins. 30 e 81; Ibid., Carte Strozziane, s. 1, f. 8, n. 71; f. 9, n. 71; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, p. 9; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 272; G. F. Pagnini del Ventura, Della decima e delle altre gravezze,della moneta e della mercatura de' fiorentini fino al sec. XVI, II, Lisbona-Lucca 1765, p. 306; A. Ademollo, Marietta de' Ricci,ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, IV, Firenze 1845, pp. 1309 s.; E. Forestié, Les livres de comptes des frères Bonis..., Paris 1890-1894, passim; R.Ehrenberg, Das Zeitalter der Fugger, I, Jena 1912, p. 273; A. Greco, Annibal Caro. Cultura e poesia, Roma 1950, p. 123; H. Lapeyre, Une famille de marchands: les Ruiz, Paris 1955, p. 340; I. Delumeau, Vie économique et sociale de Rome..., I, Paris 1957, pp. 209, 443-446; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, p. 238.