BAIARDI, Andrea
Nacque a Parma da Giammarco attorno alla metà del sec. XV (e certamente prima del 1459, perché da quell'anno ha inizio il Registro dei battezzati della città, in cui il suo nome non appare) e morì a Parma il 28 ott. 1511.
Quella dei Baiardi era una famiglia parmense di antica nobiltà: ad essa appartennero nel sec. XIV Giberto, alle cui cure di precettore il Petrarca aveva affidato il figlio Giovanni, e nel sec. XV uomini d'arme e di Chiesa, che spesso ebbero cariche politiche e parteciparono alle lotte tra le varie fazioni (dei Pallavicino, dei Rossi, dei Correggio, dei Sanvitale) in cui era divisa la città. Anche il B., che fu a capo della ricca casata da cui dipendevano i feudi del contado, prese parte alla vita politica: fu tra gli Anziani del Comune e devoto di Ludovico il Moro che nel 1499 lo creò "cavaliere aurato", forse anche in considerazione della sua grande abilità di giostratore.
Alle lotte tra le fazioni il B. pagò un doloroso tributo nel 1479: nell'ottobre di quell'anno, infatti, mentre faceva la sua entrata in Parma il cardinale Ascanio Sforza, accompagnato da dignitari ecclesiastici e civili e da molti cittadini, alcuni esiliati politici organizzarono un improvviso assalto contro il corteo che seguiva il cardinale e il B. rimase "atrociter" ferito. Nel 1482 la Torre degli Albari, che apparteneva al B. o a un suo omonimo parente, fu occupata e distrutta da Guido Rossi (le due notizie in Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis Italiae, 2 ediz., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi: 24 ott. 1479; 9 giugno 1482).
Nel genn. 1500 Parma, con la Lombardia, passò ai Francesi, ma il 3 febbraio il partito ducale, approfittando della partenza delle milizie francesi, fece insorgere la città e inalberare la bandiera sforzesca. Le truppe francesi tornarono e cinsero Parma d'assedio costringendola a pagare una forte taglia. Probabilmente a questa circostanza (o forse al 1510, in occasione dell'assedio dei Pontifici e Spagnoli, quando il B. fu uno dei cittadini preposti all'allestimento delle opere di difesa) risale un sonetto in cui il B. descrive la confusione che regna in città e implora l'aiuto di Dio perché ottenga a Parma il perdono dei Francesi e conceda "al nostro Roy prosperitade". Negli anni che seguirono il B. collaborò con i Francesi e la sua casa (presso la chiesa di S. Vitale) ospitò spesso i ministri regi: nel 1500 fu presso di lui Gervais de Beaumont, luogotenente di Luigi XII per lo Stato di Milano; nel 1511 gli fecero visita il vescovo di Parigi e il connestabile di Borbone. In quello stesso anno il B. si recò con altri legati di Parma presso Gaston de Foix, il nuovo luogotenente di Luigi XII a Milano. Al ritorno da questa ambasceria lo colse la morte. Non molto sappiamo della sua vita familiare: la moglie morì giovane lasciandogli ancor piccoli i figli, fra cui Elena, che andò sposa a Francesco di Lodovico Tagliaferri.
La somiglianza del nome con quello del Boiardo non mancò di creare confusioni e abbagli, motivati anche da certa affinità ideale che accomuna in qualche modo i due scrittori (l'esaltazione dell'armeggiare cavalleresco, una certa aristocraticità feudale), come da certo parallelismo esterno fra la loro opera letteraria, imperniata in entrambi i casi su un canzoniere petrarchesco e un romanzo in ottave.
Le Rime del B. giacciono ancora in gran parte inedite in un codice della Biblioteca comunale di Reggio Emilia (duecentotrentadue sonetti, nove lunghe terzerime e qualche canzonetta: forse un'altra copia dell'opera si trova presso i discendenti del B. a Parma). A giudicare dai quarantadue sonetti e dalle due terzerime editi nel sec. XVIII dal Fogliazzi (Rime del cavaliere A. B. Parmigiano cavate dal suo Canzoniere inedito, e Notizie intorno alla sua vita scritte dal Dottor Francesco Fogliazzi, Milano 1756, e si tenga presente che il Fogliazzi ha scartato tutti i componimenti in cui era troppo forte per lui la "licenza" e la "barbarie"), si tratta di un tipico canzoniere petrarchesco, centrato sopra l'amore per due donne, Fenice e Aurora, in cui sono molto frequenti le espressioni e i versi interi (particolarmente nella sentenza finale) mutuati dal modello. Le immagini sono caricate alla maniera del Tebaldeo e di Serafino Aquilano (la cui morte è pianta in due sonetti); l'impasto linguistico, che si indovina sotto l'operazione di "purga" compiuta dal Fogliazzi, doveva essere vistosamente mescolato con qualche apporto succosamente dialettale; la qualità stilistica e metrica appare spesso mediocre.
Il Filogine,romanzo in ottava rima (Libro d'arme e d'amore, intitolato Philogine, del magnifico cavaliero messer A. B. parmeggiano, nel quale si tratta di Hadriano e di Narcisa, delle giostre e guerre fatte per lui e di molte altre cose amorose e degne), fu stampato per la prima volta a Parma nel 1507; altre edizioni seguirono a Parma nel 1508 e a Venezia nel 1520, 1530, 1538, 1547. Esso si compone di circa quindicimila versi, è diviso in due libri (di sette canti il primo e di cinque il secondo) e fu condotto a termine, secondo quanto afferma il B., in soli quattro mesi. Fu dedicato a Giovan Francesco Garomberti, suo cugino, e presentato da Antonio Carpesano, amico del Baiardi.
Il tema principale del romanzo è quello dell'amore fra Adriano, un giovane parmense discendente da "un gran baron di Francia", e Narcisa, ricca e giovane vedova. A questo si intrecciano altri amori che Cupido accende nel petto di altre molte "delicatissime persone", fra cui Fenice, una nobildonna milanese che si innamora di Adriano e, respinta, tenta il suicidio; Luceacerba, gentildonna parigina, e Scaldacor, milanese, entrambe innamorate del protagonista. Non manca il solito apparato di avventure e complicazioni: ci sono "le argutie de' servi" (Franco, servo di Adriano, e Saetta, la furba serva di Narcisa), "li fortuiti contrasti", "li dolci colloqui" resi possibili dal ritrovato boccaccesco di un foro nel muro della camera di Narcisa che offre agli amanti i primi pretesti di sensuale abbandono. Il primo libro si conclude con le nozze fra Adriano e Narcisa, che saranno particolareggiatamente narrate nel secondo, aggiunto e forse concepito più tardi, ove al tema degli amori si intreccia quello delle giostre, delle feste, dei viaggi diplomatici a Milano e a Parigi e dove la descrizione ama indulgere sulle scene della vita signorile di Parma (cacce, conviti, giochi di società), secondo un orgoglio cittadinesco ingenuo e spontaneo.
Il romanzo fu giudicato dal Baretti "una grossa cosaccia in ottava rima scritta da un poetastro parmigiano... di cui l'invenzione è puerilmente stolta, e i versi tanto flosci e miseri, che non merita il pregio buttar via una pennata d'inchiostro di più in cosa tanto dannulla". E in effetti la struttura del romanzo è molto difettosa e piena di lungaggini, l'espressione sovente è goffa, il metro e lo stile sono cadenti. Ciò che non ha tolto al Rizzi la possibilità di scoprirvi, forse con eccesso di indulgenza, "passi di popolaresca schiettezza e ingenuità".
Ad altre opere del B., di cui non si ha però più notizia, accenna A. M. Da Erba in un compendio storico manoscritto citato dal Tiraboschi (Storia della letteratura italiana, VII, pp. 1183-84): "scrisse in prosa volgare un Libro dell'occhio,uno Della Mente,e di romanzi... uno intitolato la Tromba d'Orlando". Alla Tromba d'Orlando allude anche A. F. Doni (La seconda Libraria,Venezia 1501, p. 25).
Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, IV, Bologna 1739, pp. 445 s.; F. Fogliazzi, Notizie intorno alla vita [di A. B.], in Rime..., Milano 1756, pp. 9-28; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1,Brescia 1758, pp. 68 s.; G. Baretti, La Frusta letteraria, a cura di L. Piccioni, I, Bari 1932, pp. 361-63; I. Affò, Mem. degli scrittori e letter. parmigiani, III, Parma 1791, pp. 94-104; A. Pezzana, Mem. degli scrittori e letterati parmigiani raccolte dal p. I. Affò, VI, 2, Parma 1827, pp. 377 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano 1824, VI, p. 1284; VII, p. 1803; G. B. Ianelli, Diz. biogr. dei Parmigiani illustri, Genova 1877, p. 28; I. Stanga, La famiglia di P. Manara, Cremona 1949, pp. 258 ss.;F. Rizzi, A. B. - Studio, in Aurea Parma,aprile-giugno 1954, pp. 71-91.