FLEURY, André-Hercule de
Cardinale e uomo di stato, nato a Lodève il 26 giugno 1653, morto a Parigi il 29 gennaio 1743. Compì i suoi studî a Parigi nelle scuole dei gesuiti e a 15 anni aveva già un canonicato a Montpellier (1668). Non era ancora prete, allorché fu nominato elemosiniere della regina Maria Teresa (1679). Morta la regina, divenne elemosiniere del re Luigi XIV (1683), da cui ebbe l'abbazia della Rivour (1686) e il vescovato di Fréjus (1698). Quando il duca Vittorio Amedeo II di Savoia e il principe Eugenio invasero la provenza nel 1707, il F. li accolse nella cattedrale e seppe indurli a non taglieggiare molto quella regione: fu perciò accusato di tradimento, ma non ebbe dal re alcuna noia, grazie alle sue relazioni nella corte. Nel 1715, designato precettore dell'erede al trono, conquistò tutta la fiducia del suo discepolo divenuto re Luigi XV, ma non ne abusò e, alla morte del duca d'Orléans, nel 1723, propose il duca di Bourbon per primo ministro. Il Bourbon, geloso del potere del F. presso il re, cercò di eliminarlo, ma il F. lo fece esiliare a Chantilly l'11 giugno 1726 e realizzò il sogno di essere cardinale e primo ministro.
Il F. pensava di fare una politica estera di raccoglimento e di dedicarsi con tutte le sue forze all'amministrazione e all'economia: sotto di lui, per l'ultima volta nell'antico regime, si realizzò un certo equilibrio finanziario tra le spese e le rendite. Il commercio fracese prese un grande sviluppo e prosperò la marina mercantile; le comunicazioni interne migliorarono; alla moneta fu dato un valore fisso (15 giugno 1726); le taglie furono ridotte e ridotte anche le spese; dotti francesi furono inviati in Grecia e in Egitto per studî. Ma non mancarono ombre: il sistema finanziario della ferma ebbe incremento, le corvées reali furono rimesse in vigore; i giansenisti e i protestanti furono perseguitati e al clero fu accordata l'esenzione dal cinquantesimo (8 ottobre 1726).
Più ardua fatica fu per il F. la politica estera, per i suoi propositi che lo costringevano a cozzare contro tradizioni storiche radicate nella classe dirigente francese e a predicare pace in un paese tutto imbevuto dall'amore della gloria. Quando assunse il potere, le grandi potenze erano divise in due aggruppamenti ostili, l'uno composto da Francia, Inghilterra e Olanda, l'altro da Spagna e Austria. Resistendo agli inviti inglesi a muovere contro il gruppo avverso, il F. staccò l'Austria dalla Spagna (31 maggio 1727), indusse la Spagna a ritirare le sue truppe dall'assedio di Gibilterra (13 giugno 1727), fece convocare un congresso generale delle potenze a Cambrai, poi a Soissons (1728), di cui fu presidente, e celebrò il suo trionfo col trattato di Siviglia (9 novembre 1729), nel quale la Spagna rinunciava a Gibilterra e l'Inghilterra riconosceva i diritti di don Carlo di Spagna su Parma e Piacenza e Toscana, e col trattato di Vienna (16 marzo 1731), nel quale l'Austria si pacificava con le corti borboniche. Ma la successione polacca implicò il F. in una guerra europea, per opera della corte e soprattutto del suo brillante secondo Chauvelin, diplomatico di razza, fedele alle vecchie tradizioni. Il F. non poté fare altro che localizzare il conflitto, promettendo all'Inghilterra e all'Olanda di non invadere il Belgio e inviando scarsi aiuti al partito francese in Polonia. Ma il 3 ottobre 1734, con un colpo di testa pacifista, si prese la rivincita: trattando direttamente con l'imperatore Carlo VI, all'insaputa dello Chauvelin e della diplomazia ufficiale, il F. firmò con l'Austria i preliminari di pace che assicuravano alla Francia la Lorena dopo la morte di Stanislao Leczinski e a Carlo di Borbone le Due Sicilie. Anzi andò anche più in là, e cominciò a meditare l'alleanza austriaca, poiché del conflitto austro-francese aveva sempre approfittato l'Inghilterra. Ostacolato nei suoi disegni sempre dallo Chauvelin, il F. lo fece mandare in esilio nel 1737, e nel 1739 fu arbitro della pace di Belgrado fra l'imperatore e la Turchia. Ma la morte di Carlo VI pose di nuovo in fiamme l'Europa e il F. non poté di nuovo impedire la guerra, tanto più che aveva perduto il potere in Inghilterra il suo amico personale Walpole. Tuttavia, dopo i primi insuccessi militari, scrisse direttamente a Maria Teresa per iniziare negoziati all'insaputa del re. L'imperatrice pubblicò le sue lettere e la Francia si levò sdegnata contro il F., accusato di gettare nel fango l'onore nazionale. E quell'accusa, nonostante la difesa del Bourgeois, domina ancora il giudizio storico sull'ultimo cardinale-ministro dì Francia.
Bibl.: A. Baudrillart, Philippe V et la Cour de France, Parigi s. a., III e IV; Boisjhourdain, Mélanges, Parigi 1807; E. Bourgeois, Manuel historique de polituqe étrangère, Parigi 1928, 10ª ed., I, pp. 476-96; duc de Broglie, Le card. F. et la Pragmatique impériale, in Revue historique, 1882; A. van Hoey, Lettres et négociations de M. van Hoey pour servir à l'hist. de la vie du card. F., Londra 1743; L. Ranke, Französ. Geschichte ecc., IV: Die Regentschaft u. card. F., in Sämmtl. Werke, XI, Lipsia 1869; P. Vaucher, R. Walpole et la politique de F., Parigi 1924; V. Verlaque, Hist. du card. F. et de son administr., Parigi 1879.