Delvaux, André
Regista cinematografico belga, nato a Heverlee (Lovanio) il 21 marzo 1926 e morto a Valenza (Spagna) il 4 ottobre 2002. È stato uno dei protagonisti della rinascita del cinema belga, avvenuta negli anni Sessanta sulla scia della Nouvelle vague francese, dimostrando, in quest'ambito, una forte propensione verso le tematiche dell'ambiguità, sospese tra realtà, sogno e immaginazione. Per D. l'immagine filmica, malgrado la sua ineliminabile vocazione realistica, deve sempre caricarsi di significati ulteriori, che alludano in qualche modo a una realtà altra (o sur-realtà); in questo, è evidente il rapporto con la grande pittura visionaria belga, in particolare quella moderna di R. Magritte o di P. Delvaux. Cercare il fantastico nel quotidiano, suggerirlo attraverso notazioni discrete, solo raramente esplicite, si rivela costante intento di D., anche se una certa propensione al simbolismo, tenuta in precedenza a freno, risulta affiorare nei suoi ultimi film.
Diplomato in pianoforte e composizione, D. si era avvicinato al cinema frequentando i cineclub, dove si divertiva ad accompagnare film muti al piano. Da ciò derivò la particolare attenzione nei confronti dell'aspetto sonoro dei suoi film (non solo musica, non solo rumori, ma anche un ritmo interno al montaggio). Pittura e musica, dunque, furono tra i referenti 'colti' del suo cinema, oltre all'interesse per le questioni linguistiche, naturale in un Paese come il Belgio, lacerato tra fiamminghi e francofoni (fiammingo di nascita, D. fu francofono di formazione). Nel quadro della nuova fioritura del cinema belga, da sottolineare il suo impegno nella fondazione, nel 1962, dell'INSAS (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle et des techniques de diffusion), in cui dal 1963 fu docente di cinema. Dopo le prime esperienze in ambito televisivo (serie su Federico Fellini, sul cinema polacco ecc.), ebbe la possibilità di girare il suo primo mediometraggio, Le temps des écoliers (1962), un documentario-inchiesta sui difficili rapporti tra genitori e figli, realizzato in collaborazione con Johan Daisne; ma il primo film del tutto personale fu De man die zijn haar kort liet knippen o L'homme au crâne rasé del 1965, che lo pose all'epoca in prima fila tra i giovani cineasti emergenti. La storia (tratta da un romanzo di Daisne) narra di un avvocato di provincia che, innamorato di una donna, la incontra di nuovo dopo un certo, non individuabile, tempo, e può essere interpretata come realtà, come sogno, o anche come l'allucinazione di un malato di mente (il giovane finisce in una clinica, convinto d'aver ucciso la donna: ma forse si tratta solo di un incubo). Un certo successo internazionale arrise a D. con il suo secondo film, Un soir, un train (1968; Una sera, un treno), grazie alla presenza di star come Yves Montand e Anouk Aimée. Al centro della vicenda una coppia in crisi, sullo sfondo delle tensioni (anche linguistiche) tra fiamminghi e valloni. Il protagonista (Montand), che privilegia una razionalità esasperata a scapito degli affetti, non riesce più a comunicare con la moglie, e tenta di riconciliarsi con lei durante un viaggio in treno. Ma la donna scompare, il treno si ferma e il protagonista, sceso con altri due viaggiatori, si ritrova in un misterioso paese, tra strani abitanti di cui non comprende la lingua, fino all'incontro con un'inquietante ragazza dal nome emblematico di Moira. Forse, però, tutti gli eventi non sono che il frutto di un'allucinazione, e forse è avvenuto un incidente, forse il treno è deragliato e la moglie è morta tra le braccia del marito, in un'ultima, tardiva riconciliazione. Si precisa così il metodo di D., che colloca tracce segrete e premonizioni nel corso del film per arrivare alla fine a uno scioglimento da cui esse traggono senso, ma che resta pur sempre aperto a una pluralità di possibili significati. Altrettanto misterioso, in Rendez-vous à Bray (1971), è l'appuntamento tra due amici, nel 1917, in un villino a Bray, dove il protagonista trova soltanto un'enigmatica donna: nessuna traccia del suo amico, pilota, forse morto in guerra. Anche in Belle (1973) vi è l'incontro di uno scrittore con una misteriosa ragazza senza nome, da lui poi chiamata Belle, che vive nei pressi di una torbiera ed è minacciata da un fantomatico straniero. Avviene un delitto: vero o immaginario? La neve, nella torbiera, avvolge i personaggi, li fa scomparire nel nulla come fantasmi. Nel 1975 D. girò Met Dirk Bouts, documentario sul pittore del Quattrocento fiammingo Dirk (o Dieric) Bouts. Del 1979 è Een vrouw tussen hond en wolf (Donna tra cane e lupo): nel Belgio degli anni Quaranta invaso dai nazisti, una donna si dibatte tra un marito collaborazionista, che non ama, e un partigiano, che ama, ma che diventerà dopo la guerra un politico senza ideali. La donna alla fine abbandonerà entrambi e partirà con il figlio, decisa a ritrovare sé stessa altrove. Dopo un film-omaggio a Woody Allen (To Woody Allen from Europe with love, 1980), D. girò altri film a intervalli sempre più lunghi. Sia Benvenuta (1983) sia L'œuvre au noir (1988; L'opera al nero, dal romanzo di M. Yourcenar), pur muovendosi lungo il consueto, sottile crinale tra realtà e sogno, testimoniano di un certo appannamento d'ispirazione, con la loro struttura sovraccarica di simboli.
André Delvaux, a cura di R. Ellero, Venezia 1981.
P. Davay, Mémoires d'un glouton optique, s.l. 1985.
A. Nysenholc, André Delvaux ou les visages de l'imaginaire, Bruxelles 1985.
H. Agel, J. Marty, André Delvaux: de l'inquiétante étrangeté à l'itinéraire initiatique, Lausanne 1996.