ANCHISE ('Αγχίσης o 'Αγχείσης; lat. Anchīsa)
Probabilmente in origine fu divinità preellenica o asiatica, collegata con Afrodite (i Greci infatti ne spiegavano il nome con ἄγχι "[colui che è] presso [ad Afrodite]"). Figlio di Capys e nipote di Assaraco, era perciò discendente da Dardano e secondo cugino di Priamo (Iliade, XX, 215 segg.), ed aveva in Troia una posizione eminente; ma il suo dominio particolare era la città di Dardano. Già l'epopea conosce i suoi amori con Afrodite, ampiamente narrati nell'inno omerico alla dea (III). Giove, che non voleva la dea immune dalla passione che essa stessa ispirava agli dei e agli uomini, le ispirò l'amore per A., al quale essa apparve sotto spoglie umane sull'Ida, ove egli pasceva i suoi buoi. Rivelatasi a lui dopo l'atto d'amore, gli vietò di palesare che il nascituro Enea era figlio di Afrodite, pena il fulmine di Giove; ma non avendo A. rispettato il divieto, fu dal fulmine acciecato (per altri reso zoppo o ucciso). Caduta Troia, fu salvato dal figlio Enea, e sarebbe secondo una tradizione morto sull'Ida, ove si venerava la sua tomba, come in altre località della Grecia; ma più diffusa è la leggenda posteriore, che si riscontra già in Stesicoro, che egli abbia seguito Enea in Italia. Catone lo faceva morire nel Lazio; Virgilio, nel cui poema egli è il sacerdote e l'indovino di Enea, a Trapani in Sicilia (Aen., III, 710; V, 760), e un heroon gli sarebbe stato eretto sul M. Erice. Enea lo ritrovò poi (ibid., VI, 669) ai campi Elisi, dove egli palesò al figlio i destini futuri della sua stirpe. Fra le varie figurazioni di Anchise, la più nota è il rilievo in bronzo proveniente dall'Epiro (in Baumeister, Denkmäler des klass. Altertums, Lipsia 1885, I, p. 48).
Bibl.: E. Wörner, in W. H. Roscher, Ausführliches Lexikon d. griech. u. röm. Mythologie, I, col. 327 segg.; O. Rossbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., I, col. 2106 segg.