ANATOMIA umana (fr. anatomie humaine; sp. anatomia humana; ted. menschliche Anatomie; ingl. human anatomy)
L'Anatomia è quella scienza biologica, la quale studia la forma e la costituzione degli esseri viventi. Il nome è derivato dal greco ἀνατομή "dissezione" (ἀνά e τομή, da τέμνω "taglio"), designante appunto, già presso gli antichi, il primitivo ed ancor oggi più idoneo mezzo d'indagine di tale scienza.
La dissezione infatti, insieme con altri metodi di ricerca più moderni e delicati, permette di stabilire che, a prescindere dagli esseri viventi più semplici, ogni individuo è costituito da parti bene distinte per origine, struttura e funzione, dette organi (da ὄργανον strumento"), donde il nome di organismo dato al singolo essere; e che ciascun organo consta a sua volta di un certo numero di parti minori, le cosiddette unità sopracellulari di vario ordine e i tessuti, risultanti a loro volta di elementi minuti, quasi sempre invisibili ad occhio nudo, cioè le cellule e i derivati cellulari.
La scienza che studia poi particolarmente tale minuta struttura prende il nome di Istologia (da ἰστός "tessuto" e λόγος "discorso") o Anatomia microscopica, così detta dallo strumento, il microscopio (da μικρός "piccolo" e σκοπέω "osservo"), per mezzo del quale questi minuti elementi si rendono accessibili alla nostra osservazione.
L'istologia si suddivide poi in generale e speciale: la prima, detta anche, meno propriamente, anatomia generale, studia la minuta struttura dei diversi tessuti; l'istologia speciale indaga invece la costituzione microscopica dei varî organi. Lo studio particolare delle cellule è poi affidato a quella sezione ddl'istologia che più propriamente prende il nome di Citologia (dal gr. κύτος "involucro, cellula").
Ma l'anatomia non si limita oggi a considerare la forma e la struttura dei singoli organismi giunti al loro completo accrescimento; essa indaga altresì la storia del loro graduale e progressivo sviluppo, ne studia cioè l'Embriologia (da ἔμβρυον "embrione"e λόγος): in questa, a seconda che vengono poi particolarmente considerati nella loro evoluzione i primi stadî, gli organi, oppure i tessuti, si distinguono le tre branche rispettivamente dell'Embriogenia, dell'Organogenia e dell'Istogenia con la Citogenia ("genesi" dal gr. γένεσις "generazione").
E non solo l'anatomia studia separatamente sia la costituzione e la struttura, sia lo sviluppo di ogni singolo organismo, ma, procedendo dalle forme più semplici alle più complesse, indaga i rapporti che intercedono da tale doppio punto di vista fra i diversi esseri viventi, e ciò per mezzo di quelle due particolari discipline denominate Anatomia comparata (v. morfologia e biologia) ed Embriologia comparata, con le relative suddivisioni sopra accennate.
Considerata sotto tali diversi aspetti, l'anatomia s'identifica con la Morfologia (da μορϕή "forma" e λόγος) e trova il suo necessario complemento nella Fisiologia (da ϕύσις "natura" e λόγος), altra branca delle scienze biologiche la quale studia. gli organismi da tutti i complessi punti di vista delle loro funzioni, e fornisce inoltre alle scienze morfologiche il prezioso sussidio dell'esperimento.
Essendo il mondo organico suddiviso nei due regni animale e vegetale, si distinguono rispettivamente un'anatomia animale o Zootomia (da ζῷον e τομή) ed un'anatomia vegetale o Fitotomia (da ϕυτόν "pianta" e τομή), a seconda che essa ha per oggetto d'indagine i rappresentanti dell'uno o dell'altro regno, con le suddivisioni prima ricordate, avvertendo che queste concernono di preferenza il regno animale: né mancano studî morfologici comparativi fra gli esseri animali e i vegetali.
E poiché l'organismo umano, per la posizione che occupa in natura al sommo della scala zoologica, e per le strette relazioni che ha lo studio di esso con il campo medico, fu in ogni tempo considerato come l'obiettivo principale della ricerca anatomica, così tale studio fu distinto, con il nome di Antropotomia (da ἄνϑρωπος "uomo" e τομή), da quello della Zootomia riservato ai rimanenti animali.
Oggidì tuttavia prevale su questa denominazione quella più semplice di Anatomia umana o meglio Anatomia dell'uomo; e poiché essa considera il nostro corpo in condizioni di sanità, così viene pure chiamata Anatomia normale, contrapposta a quella che studia l'organismo nelle diverse condizioni morbose, e che prende perciò il nome di Anatomia patologica (v. qui sotto).
L'anatomia normale dell'uomo viene indagata da numerosi punti di vista: embriologico, istologico, sistematico, topografico, artistico, antropologico e costituzionale.
Delle tre branche sopra distinte nell'embriologia la prima soltanto, cioè l'embriogenia, viene comunemente considerata a parte nell'uomo: in essa si studiano, oltre gli elementi sessuali (uovo e spermatozoide), i fenomeni della fecondazione e le progressive trasformazioni che va subendo il germe, anche lo sviluppo delle forme esterne e gli annessi embrionali e fetali. L'organogenia e l'istogenia vengono di preferenza aggregate rispettivamente all'anatomia sistematica e all'istologia.
Tuttavia tanto nell'embriologia quanto nell'istologia dell'uomo difficilmente lo studio rimane circoscritto in maniera esclusiva alla nostra specie; pure costituendo questa l'obiettivo principale, sono frequenti i richiami comparativi alle disposizioni di altri Vertebrati, specialmente Mammiferi.
Si considera di solito a parte la sola istologia generale (anatomia generale), inclusa l'istogenia, mentre l'istologia speciale viene riunita all'anatomia sistematica.
L'anatomia sistematica, detta anche impropriamente anatomia descrittiva, studia analiticameate la conformazione, i rapporti, la struttura microscopica (istologia speciale), lo sviluppo (organogenia) e il significato morfologico dei diversi organi del nostro corpo, raggruppati in sistemi e in apparecchi, donde il nome di organologia, con cui viene pure moderatamente designata. Per sistema s'intende un gruppo di organi aventi eguale origine, eguale struttura, eguale funzione, mentre con apparecchio si designa invece un gruppo di organi associati nel compimento d'una medesima funzione. Tale distinzione ha tuttavia perduto oggi molto del suo valore, poiché, in base alle date definizioni, ogni sistema è anche un apparecchio; ed infatti nella moderna anatomia sistematica si tende a considerare soltanto apparecchi (Chiarugi), in base alle diverse funzioni disimpegnate dagli organi, strumenti d'esse funzioni.
L'anatomia topografica studia invece gli organi sinteticamente a seconda della sede che occupano e dei reciproci rapporti. Suddivide a tal uopo la superficie delle parti del corpo umano in territorî o zone e in regioni, in ciascuna delle quali descrive per strati, dai più superficiali ai più profondi, gli organi che totalmente o parzialmente vi corrispondono. È una disciplina essenzialmente pratica, in sussidio degli studî di medicina e chirurgia, donde i nomi di anatomia medico-chirurgica o applicata, con cui pure si designa.
Del corpo umano vengono poi studiate le forme esterne e le proporzioni fra le diverse parti: è compito questo precipuo dell'anatomia artistica, detta anche, meno propriamente, pittorica o plastica, la quale guida in tal modo l'artista alla perfetta conoscenza della cosiddetta figura umana. Oltre alla superficie esterna del corpo vivente, essa studia anche gli organi superficiali, specie quelli del movimento, i quali determinano le molteplici modificazioni di forma di essa superficie in rapporto con i diversi atteggiamenti e con l'espressione dei sentimenti che si vogliono rappresentare.
È oggetto dell'antropologia (fisica) lo studio dei caratteri anatomici delle varie razze umane (v. antropologia).
Va finalmente oggi acquistando importanza sempre maggiore lo studio anche anatomico dei diversi tipi individuali di costituzione organica. I varî organi, lungi dall'essere indipendenti, presentano frequentemente tra loro le cosiddette correlazioni morfologiche, e dalle variazioni correlative nei caratteri, e particolarmente nella grandezza dei diversi organi, dipendono variazioni di forma e di dimensioni delle singole parti, e quindi dell'intero corpo, a seconda degl'individui. Altre discipline, e particolarmente la fisiologia e la clinica, portano dal rispettivo punto di vista notevoli contributi a un tale studio dell'uomo, che pure nei metodi statistici moderni (Biometrica) trova valido mezzo d'indagine.
Per anatomia umana in senso stretto si comprendono tuttavia di preferenza le sole anatomie sistematica e topografica.
Gli organi e le diverse parti nelle quali essi si dividono e suddividono, nonché le varie regioni del corpo umano, non venivano sino a un trentennio fa, e in parte non vengono tuttora, designati ciascuno con un nome solo da tutti gli anatomici, bensì spesso con più o meno numerosi sinonimi, non di rado inesatti ed improprî. Ad eliminare tale inconveniente veniva proposta ed approvata nella riunione annuale del 1895 dell'internazionale Anatomische Gesellschaft una nomenclatura unica a voci latine, che dalla sede del congresso prese il nome di Nomenclatura Anatomica di Basilea (Basileae Nomina Anatomica, B. N. A.), la quale, scegliendo opportunamente fra i diversi sinonimi la voce più razionale e adatta ed eventualmente modificandola quand'era necessario, per uniformarla a criterî generali, è riuscita a risolvere, almeno in gran parte, la complessa questione, ed è di particolare utilità per noi, data la stretta affinità fra la lingua latina e la nostra.
Questa nomenclatura, lungi dall'essere già in origine perfetta, non può neppur ora ritenersi tale, nonostante le numerose modificazioni che per essa vengono continuamente proposte: tuttavia, dati gl'indiscutibili vantaggi che presenta, viene oggi seguita, per lo meno nelle linee generali, da tutti i più autorevoli anatomici, soprattutto tedeschi ed italiani.
Il corpo umano presenta la tipica fondamentale costituzione propria della serie più elevata del regno animale, quale è quella dei Vertebrati. Come la massima parte di questi, così anche l'organismo umano, considerato nella sua conformazione esterna, è a simmetria bilaterale: un piano immaginario, detto sagittale mediano (v. più sotto), lo suddivide in due metà, chiamate antimeri, l'una destra, l'altra sinistra, superficialmente simmetriche, o piuttosto solo grossolanamente tali, ché un attento esame diretto, e meglio ancora accurate misurazioni, dimostrano l'esistenza di lievi asimmetrie parecchie delle quali abbastanza costanti.
Asimmetrici sono invece in gran parte gli organi profondi accolti entro le cavità del tronco (visceri).
Come nella maggior parte dei Vertebrati, così anche nell'uomo il corpo viene suddiviso in parti, le une assiali ed impari, le altre appendicolari e pari. Le prime sono, procedendo dall'alto al basso, la testa o capo, il collo ed il tronco; le seconde gli arti superiori o toracici e gl'inferiori o addominali. Nel tronco si distinguono, dall'alto al basso, il torace, l'addome e la pelvi o bacino. Nell'arto superiore si considerano, a partire dalla radice, i segmenti della spalla, del braccio, dell'antibraccio e della mano: nell'arto inferiore nella stessa direzione (a prescindere dal bacino compreso nel tronco), i segmenti della coscia, della gamba e del piede.
Il corpo umano viene considerato nella posizione verticale simmetrica di "attenti", con i piedi avvicinati, gli arti superiori pendenti e addossati al tronco, ma con le palme delle mani rivolte in avanti anziché all'interno (per mantenere parallele le due ossa dell'antibraccio); esso presenta così quattro facce, una anteriore o ventrale, l'altra posteriore o dorsale, più estese, e due laterali più ristrette, una destra, l'altra sinistra: in più, due estremi, uno superiore corrispondente al vertice del capo, l'altro inferiore corrispondente alle piante dei piedi. Il corpo umano è poi in tale posizione paragonato ad un parallelepipedo rettangolo, dove i tre sistemi di piani paralleli alle rispettive coppie di facce e tra di loro perpendicolari costituiscono i piani fondamentali del corpo.
Il primo di tali sistemi, disposto verticalmente e dall'avanti all'indietro, è quello dei piani sagittali, di cui vedemmo testé il mediano dividere l'organismo nei due antimeri. Degli altri piani sagittali si denominano poi laterali, destro e sinistro, i due che sfiorano le facce laterali, rispettivamente destra e sinistra, del corpo, e sagittali intermedî gli altri, teoricamente innumerevoli, interposti tanto a destra quanto a sinistra, fra il mediano e il laterale.
Il secondo sistema di piani, disposto pure verticalmente, ma da destra a sinistra, è quello dei piani frontali: tra gl'innumerevoli piani prendono poi il nome di ventrale o anteriore, e di dorsale o posteriore, i due piani frontali tangenti alle parti più sporgenti delle omonime facce del corpo.
Finalmente il terzo sistema di piani, orizzontale, è quello dei trasversali, dei quali i due tangenti al vertice del capo e alle piante dei piedi si dicono rispettivamente superiore e inferiore.
Sagittali, frontali e trasversali si chiamano pure le sezioni condotte nel senso dei piani omonimi sul nostro corpo, o su parti di esso, per lo studio degli organi e dei loro reciproci rapporti.
Le rette d'incrocio fra i piani dei tre sistemi corrispondono agli assi del corpo umano: quelli derivati dall'incrocio tra piani sagittali e frontali, disposti verticalmente, si dicono assi longitudinali, ed asse longitudinale per eccellenza quello che passa per il vertice del capo sul piano sagittale mediano. Gli assi formati dall'incrocio dei piani sagiaali e trasversali, disposti per ciò orizzontalmente dall'avanti all'indietro, si dicono assi sagittali, e quelli finalmente, pure orizzontali ma diretti da destra a sinistra, risultanti dall'incrocio dei piani frontali con i trasversali, si chiamano assi trasversali.
Per designare la posizione di organi o parti di organi l'uno rispetto all'altro, sono poi in uso denominazioni speciali. Premettiamo che un organo posto nell'antimero destro, il quale abbia il corrispondente più o meno simmetrico a sinistra, si dice pari: quando esiste un solo organo, questo si chiama impari, e se è per giunta interessato dal piano sagittale mediano nella sua parte media o in vicinanza di essa, si chiama anche mediano; altrimenti è impari e laterale. Un organo (o parte di esso) ha posizione mediale o laterale rispetto ad altro, quando si trova più vicino di questo al piano sagittale mediano oppure al laterale; ha posizione ventrale o dorsale, nei rapporti con altro organo, quando rispetto ad esso giace più vicino al piano frontale ventrale oppure al dorsale. Riferendosi poi specialmente alle parti assiali del corpo, si parla di posizione superiore, o craniale, (o anche rostrale) e di inferiore, o caudale, per designare parti più vicine rispettivamente al vertice del capo e all'estremo inferiore del tronco (coccige). Riguardo alle parti appendicolari, sono in uso le denominazioni di prossimale e di distale per le posizioni rispettivamente più vicine al tronco e più lontane da esso. A seconda poi che un organo è più vicino o più lontano dalla superficie del corpo, in paragone con altro, si dice superficiale (o sublime) o profondo rispetto a questo. Sono finalmente in uso anche i due aggettivi esterno ed interno, sinonimi però il primo tanto di laterale quanto di superficiale, il secondo così di mediale come di profondo; perciò si adoperano solo quando non generino equivoci.
Veniamo ora più particolarmente all'anatomia sistematica. Accennammo più sopra, a proposito dei varî tipi individuali, alle variazioni correlative degli organi: uno stesso organo non presenta sempre in tutti gl'individui i medesimi caratteri, ma, con una certa frequenza, deviazioni dal tipo normale compatibili con la perfetta funzionalità di esso, le quali si dicono appunto variazioni. Alcune di queste sono legate al sesso, all'età, al tenore di vita, alla razza, ecc., altre, come vedemmo, ai tipi individuali di costituzione organica; di varie altre sfuggono le ragioni e le cause. Le variazioni concernono il volume, il peso, la forma, la costituzione, la topografia, e seguono fino ad un certo punto determinate leggi, nel senso che, intorno al tipo più frequente che costituisce la disposizione quale viene descritta come normale, le diverse variazioni possono di solito raggrupparsi secondo la loro natura e la loro frequenza. Le variazioni concernono ancora la presenza e il numero. Accanto alla maggior parte degli organi, costanti (o assenti solo in casi di rarissime anomalie), altri ve ne sono, detti incostanti, che possono mancare con frequenza diversa; in tali casi, a seconda che compariscono in più o in meno del 50% degli individui, rappresenta una varietà la loro assenza oppure la loro presenza. Riguardo al numero, possiamo avere o la suddivisione di un organo normalmente unico, o la comparsa di uno o più organi accessorî.
Qualora le deviazioni dalla disposizione normale siano più profonde e possano portar seco un'alterata funzionalità dell'organo, allora in luogo di variazione si parla di anomalia. Le anomalie, assai meno frequenti delle variazioni, trapassano gradatamente in altre deviazioni più gravi e più rare dal tipo normale, nelle cosiddette mostruosità, che escono dal campo dell'anatomia normale, invadendo quello della patologica: sono oggetto di studio della cosiddetta Teratologia (dal gr. τερας "mostruosità").
Si parla tuttora di variazioni regressive e di variazioni progressive degli organi: le prime, assai più frequenti, conservano anche a termine di sviluppo, nell'adulto, disposizioni transitorie del periodo evolutivo, oppure riproducono più o meno disposizioni normali di generi, famiglie, ordini o classi inferiori. Le variazioni progressive dovrebbero rappresentare una disposizione dell'organo ad evolversi ulteriormente e perfezionarsi nella sua costituzione, per armonizzare meglio con la funzione della quale è strumento.
Le variazioni presentano particolare frequenza in quegli organi, detti poco propriameme rudimentali, i quali durante lo sviluppo, in luogo di evolversi e nelle dimensioni e nella struttura così come gli altri, si arrestano a un determinato stadio, conservando più o meno il carattere iniziale di rudimenti, e subendo in qualche caso un processo di regressione. Alcuni di essi vanno incontro a un tale processo, venendo a mancare nella vita autonoma la funzione che avevano nella vita fetale: altri organi rudimentali, proprî della sfera genitale, rappresentano organi bene sviluppati e funzionanti nel sesso opposto; altri ancora, spesso soggetti a variazioni regressive e incostanti, sono ritenuti eredità dai nostri antichi progenitori cioè da animali che nella lenta evoluzione delle specie ci avrebbero preceduto, e in cui detti organi avrebbero avuto una ben precisa funzione, venuta poi a mancare: riproducono spesso disposizioni più perfette in altri animali. Si ritiene che gli organi rudimentali abbiano funzione assai ridotta o ne siano privi.
Le corrispondenze morfologiche di diverse modalità, che possono verificarsi fra determinati organi, prendono il nome di omologie (contrapposte alle analogie, che riguardano le corrispondenze fisiologiche); se esse concernono organi di specie differenti, non esclusa la nostra, abbiamo le omologie speciali o in senso stretto, studiate principalmente dall'anatomia comparata; se si riferiscono ad organi di una stessa specie e, nel caso presente, della specie umana, abbiamo le omologie generali. Distinguiamo talune di queste con nomi speciali: cosi si dicono omotipie le corrispondenze antimeriche fra un organo pari di un lato e quello del lato opposto; omodinamie quelle fra più organi pari o impari posti in serie lineare (vertebre, coste, dita).
Venendo ora alla classificazione degli organi in apparecchi o sistemi, premettiamo che essa vien fatta oggidì in base a criterî morfologici un po' diversi da quelli di un trentennio fa, e quindi in maniera un po'differente da quella adottata dalla nomenclatura di Basilea. Pur conservando di questa i titoli dei varî apparecchi, ricorderemo anche i principali sinonimi.
Le differenze nel raggruppamento degli organi consistono essenzialmente in questo. L'integumento comune, riunito in B. N. A. agli organi di senso, costituisce nella sua parte fondamentale un apparecchio a sé, mentre i soli organi di senso distribuiti in esso rimangono aggregati ai rimanenti organi che adempiono a tale ufficio. L'osteologia e la sindesmologia vengono riunite in un solo apparecchio, lo scheletrico; mentre la splancnologia viene suddivisa nei tre apparecchi che la costituiscono, digerente, respiratorio e urogenitale. La milza, aggregata in B. N. A. all'apparecchio digerente, viene considerata ora con le ghiandole linfatiche nell'apparecchio vascolare, mentre la ghiandola tiroide, il timo ed altre d'origine branchiale, riunite in B. N. A. all'apparecchio respiratorio, la ghiandola soprarenale già aggregata all'apparecchio urogenitale ed altre a secrezione interna non incluse in altri organi, tendono pure oggi a costituirsi in un apparecchio speciale, l'endocrino.
Ciò premesso, consideriamo per sommi capi i singoli apparecchi o sistemi.
Integumento comune (B. N. A.); A. o S. tegumentale. - È rappresentato essenzialmente dalla cute, o pelle, con le sue produzioni, e secondariamente dal tessuto sottocutaneo. Quella e questo rivestono in forma di membrane continue l'intero corpo, costituendone gli strati più superficiali e gli organi essenziali di protezione, in corrispondenza degli orifici naturali di esso vi si introflettono per diversa estensione modificando più o meno la propria struttura. Produzioni della cute sono da un lato i peli e le unghie, dall'altro le ghiandole cutanee glomerulari, sebacee e mammarie, queste ultime raggruppate ai due lati del petto, dove formano nella donna la parte essenziale delle mammelle. Cute e tessuto sottocutaneo sono sede di molteplici organi di senso.
Osteologia (B. N. A.) e Sindesmologia (B. N. A.) o Artrologia (da gr. ὀστέον "osso"; σύνδεσμος "legamento"; ἄρϑρον "articolazione"). - Vengono oggi considerate insieme nell'A. o S. Scheletrico (da σκελετός "arido, disseccato"), e concernono lo studio di quegli organi duri e resistenti, che sono le ossa e accessoriamente le cartilagini, i quali costituiscono l'intelaiatura generale dell'organismo, ne circondano più o meno le maggiori cavità e, riunendosi fra loro per mezzo delle articolazioni e dei legamenti, che ne permettono per lo più la reciproca mobilità, formano quel complicato sistema di leve, che rappresenta l'apparecchio passivo del movimento volontario.
Miologia (B. N. A.; dal gr. μῦς "muscolo"); A. o S. muscolare.- Ha per oggetto di studio i muscoli, detti nell'insieme volgarmente "carne", i quali rappresentano gli organi attivi del movimento volontario, poiché, accorciandosi nella contrazione sotto lo stimolo nervoso, determinano il reciproco avvicinamento dei punti delle ossa, più di rado del tegumento o di altre parti molli, ai quali sono attaccati con i loro estremi opposti. L'attacco ha luogo o direttamente con la parte carnosa, o indirettamente per mezzo dei tendini o delle aponevrosi. Si considerano con i muscoli anche le fasce che li involgono e le annesse borse e guaine mucose.
Splancnologia (B. N. A.; dal gr. σπλάγχον "viscere"):
a) A. digerente (B. N. A.). - La funzione della digestione è disimpegnata da un lungo condotto di calibro e struttura diversi, che, incominciando nella testa con la rima orale, attraversa successivamente il collo, il torace, l'addome e la pelvi, terminando con l'ano. Vi si distinguono la cavità orale con il suo vestibolo, i denti, la lingua, le fauci; la faringe e il tubo digerente propriamente detto, suddiviso in esofago, ventricolo o stomaco e intestini: il tenue, distinto in duodeno e mesenteriale; il crasso, distinto in cieco con processo o appendice vermiforme, colon e retto. Oltre a numerosissime ghiandole minute sparse lungo tutto il percorso nello spessore delle pareti, si considerano a parte le ghiandole salivali maggiori (parotide, sottomandibolare e sottolinguale), il pancreas e il fegato con le vie bilifere.
b) A. respiratorio (B. N. A.). - Alla funzione respiratoria provvedono i due polmoni destro e sinistro rivestiti ciascuno da una tonaca sierosa, la pleura, accolti nel torace, e in rapporto con il mondo esterno per mezzo delle cavità del naso (anche della cavità orale, fauci e faringe), della laringe, organo pure della fonazione, della trachea e dei bronchi.
c) A. urogenitale (B. N. A.). - Si considerano insieme, per gli stretti rapporti embriologici e topografici, l'apparecchio adibito alla separazione dell'urina dal sangue (Orġani uropoietici [B. N. A.] da οὖρον "urina" e ποιέω "produco", A. urinario) e quello della riproduzione (Organi genitali [B. N. A.]; A. genitale), accolti entrambi nell'addome e nella pelvi. Il primo è costituito da un organo pari, il rene, che secerne l'urina, e da un sistema di condotti e cavità destinati ad eliminarla all'esterno, cioè ureteri, vescica e uretra. Il secondo è dato anzitutto da un organo pari, il corpo genitale, rappresentato nell'uomo dal testicolo, nella donna dall'ovaio, per la produzione delle cellule sessuali, rispettivamente spermatozoidi ed uova e secondariamente da un sistema di organi per l'accoppiamento e inoltre, nella femmina, per guidare e conservare poi l'uovo, se fecondato, durante la sua evoluzione. Organi dell'accoppiamento sono nel maschio i condotti deferenti con vescichette seminali e condotti eiaculatori, la prostata e l'uretra inclusa nell'ultima sua parte nel pene, che è il vero e proprio organo copulatore; nella donna le parti genitali esterne e la vagina, mentre gli organi per accogliere l'uovo sono rappresentati dalle due trombe uterine e dall'utero.
In appendice all'apparecchio urogenitale si descrive il perineo, che chiude inferiormente la pelvi, e completa la splancnologia lo studio del peritoneo, tonaca sierosa della cavità addominale.
Angiologia (B. N. A.; da ἀγγεῖον "vaso" e λόγος); A. o S. circolatorio o vascolare. Questo è rappresentato da un insieme complicatissimo di condotti ramificati, detti vasi, nei quali circolano due umori nutritizi, il sangue e la linfa; in base a tale diverso contenuto si distinguono due sotto-sistemi, il sanguifero o sanguigno, e il linfatico. Il S. sanguifero possiede inoltre un organo centrale pulsante, il cuore, rivestito dal pericardio entro alla cavità toracica, donde partono le arterie, che si distribuiscono ramificandosi, per mezzo dell'aorta, in seno a tutti gli organi, per mezzo dell'arteria polmonare nei polmoni: le ramificazioni suddividendosi ulteriormente trapassano nei capillari e questi nelle vene, che convergendo in tronchi sempre maggiori ritornano al cuore. Il S. linfatico (B. N. A.) è costituito da vasi che si iniziano dagli interstizî dei tessuti o dalla parete dell'intestino tenue e con i tronchi maggiori, nei quali a poco a poco convergono disposti a plesso, si versano in due grosse vene vicine al cuore: intercalate nel loro decorso si trovano le linfoghiandole, con le quali pure si descrivono le emolinfoghiandole, il midollo delle ossa e la milza.
Nevrologia (B. N. A.; dal gr. νεῦρον "nervo"); S. o A. nervoso. - Si suddivide nei tre sistemi centrale, periferico e autonomo. Il S. nervoso centrale (B. N. A.) o nevrasse, coordinatore diretto o indiretto delle funzioni di tutti gli organi e, nelle sue parti superiori, sede dei fenomeni psichici, è costituito dalla midolla spinale accolta nel canale delle vertebre al lato dorsale del collo e del tronco, e dall'encefalo contenuto nel cranio e suddiviso in rombencefalo e cervello. Si studiano con esso anche le meningi che lo rivestono. Il S. nervoso periferico (B. N. A.) è rappresentato dai nervi, distinti in sensitivi, con annessi ganglî, che portano le impressioni periferiche dagli organi dei sensi ai centri, e da nervi motori, che recano dai centri gli stimoli ai muscoli volontarî. Il S. nervoso autonomo, suddiviso in simpatico propriam. detto (B. N. A.: dal gr. συμπαϑεῖν, "aver conformità di sentire") o ortosimpatico (dal gr. ὀρϑός "giusto, proprio") e in parasimpatico (da παρά "a lato"), è pure costituito da ganglî, in parte inclusi nel nevrasse, e da nervi, e sovraintende in prevalenza alle funzioni motorie, secretorie e forse sensitive viscerali.
Organi dei sensi (B. N. A.); estesiologia (da αἴσϑησις "sensazione" e λόγος). - Concernono quegli apparecchi più o meno differenziati che ricevono gli stimoli periferici trasmettendoli per mezzo dei nervi sensitivi del sistema periferico ai centri nervosi. Oltre agli apparecchi di senso specifico, che servono all'olfatto, al gusto, alla vista, all'udito, all'equilibrio, esistono organi di senso diverso, soprattutto nei tegumenti, nei muscoli e nei tendini.
S. o A. endocrino (da ἔνδον, dentro e κρίνω "secerno"). - È costituito da organi ghiandolari a secrezione interna, differenti per origine, struttura e funzione: essi producono sostanze diverse le quali, immesse nella circolazione, sono destinate a regolare speciali funzioni dell'organismo e particolarmente i fenomeni dell'accrescimento. Come vedemmo in parte più sopra, un gruppo di ghiandole endocrine, tiroide, paratiroide, timo, appartiene per l'origine al sistema branchiale: altro gruppo, il soprarenale, è costituito non solo dalle omonime ghiandole maggiori, ma da altre minori (organi midollari e corticali accessorî) sparse per l'organismo: altre ghiandole endocrine sono finalmente comprese in apparecchi speciali, quali principalmente il digerente, l'urogenitale, il nervoso centrale.
Nei riguardi fisiologici, gli apparecchi si suddividono in due gruppi, a seconda che le funzioni a cui adempiono sono proprie dei soli animali, oppure comuni a questi e alle piante. Al primo gruppo, detto degli organi somatici o della vita animale o di relazione, appartengono quelli adibiti alla sensibilità e al movimento volontario, cioè il sistema nervoso centrale e da un lato gli organi di senso, dall'altro gli apparecchi muscolare e scheletrico, sotto il diretto dominio, per mezzo del sistema nervoso periferico, del detto sistema centrale, che ne coordina le funzioni. Al secondo gruppo, detto degli organi viscerali, splancnici o della vita vegetativa, appartengono gli apparecchi tegumentale, digerente, respiratorio, urogenitale, circolatorio, endocrino, alle dirette dipendenze del sistema nervoso autonomo, ma indirettamente in rapporto anche con il centrale.
Per la diffusa descrizione dei singoli apparecchi si vedano le diverse voci che ad essi, o ad uno dei loro sinonimi, corrispondono.
Anche nel campo dell'anatomia topografica, la nomenclatura di Basilea ha non poco contribuito a semplificare le modalità nella suddivisione della superficie del corpo umano, di fronte alle numerose e differenti classificazioni proposte dai diversi autori. La sua suddivisione non può tuttavia seguirsi che nelle linee fondamentali, perché riconosciuta ora un po' deficiente, ora poco appropriata, ora eccessivamente analitica. Noi esporremo perciò una classificazione un po' modificata in confronto con quella originale, in cui satà anche tenuto conto delle variazioni che alcuni autori hanno proposte.
Le varie parti del corpo umano vengono anzitutto suddivise alla superficie in aree di una certa estensione, che nelle parti assiali prendono il nome di territorî, nelle appendicolari quello di zone, in ciascuna delle quali si considera poi un certo numero di regioni. In talune di queste vengono poi distinte ancora delle aree più circoscritte, dette pure regioni (più propriamente sottoregioni) o, se avvallate, fosse. Le regioni interessate dal piano sagittale mediano sono impari e divisibili in due metà simmetriche; le rimanenti, pari e simmetriche.
Distinguiamo così, anzitutto, nella testa i due territorî impari del cranio o capo e della faccia: nel collo le quattro facce: anteriore (ventrale), posteriore (dorsale) e laterali destra e sinistra; nel tronco i quattro territorî impari del petto, dell'addome, del dorso e del bacino.
Delle parti appendicolari distinguiamo in ciascun arto superiore le zone della spalla, del braccio, del gomito, dell'antibraccio e della mano; in ciascun arto inferiore quelle della coscia, del ginocchio, della gamba e del piede.
Per quanto riguarda poi la suddivisione dei singoli territorî e zone in regioni con le eventuali regioni secondarie, ci rimettiamo per brevità agli specchietti seguenti, corredati dai tre annessi schemi.
Di ogni regione l'anatomia topografica studia anzitutto la sede, cioè la parte del corpo, il territorio o zona e la posizione che in questi essa occupa; poi i limiti rispetto alle regioni contigue, i quali possono essere o naturali, quando vengano determinati da sporgenze di organi o parti di organi o da solchi, avvallamenti ecc., oppure artificiali, se stabiliti da linee immaginarie, i cui estremi e la cui direzione corrispondono tuttavia di solito a punti bene stabiliti; indi la conformazione esterna, cioè la forma, l'orientazione e i caratteri che si possono rilevare con l'inspezione e con la palpazione.
Si procede successivamente allo studio particolareggiato dei diversi strati della regione, dai più superficiali ai più profondi (cute, connettivo sottocutaneo nelle sue suddivisioni, fascia, organi proprî), giungendo così sino al piano osseo o alle eventuali cavità: si descrivono inoltre, nel loro decorso e nei loro rapporti, le arterie, le vene, i vasi e gangli linfatici ed i nervi. La topografia dei visceri ed altri organi profondi viene studiata di solito a parte, considerandosi la proiezione di essi e delle loro singole porzioni sulla superficie del corpo a livello delle regioni, che all'esterno vi corrispondono.
Dato l'indirizzo essenzialmente pratico della disciplina, allo studio topografico degli strati e degli organi si associano quei dati che possono maggiormente interessare dal punto di vista della chirurgia e della medicina.
Tale studio nel cadavere deve rappresentare tuttavia, dal punto di vista didattico, la semplice guida per giungere alla conoscenza dell'anatomia topografica la quale, non meno dell'artistica, vuol essere appresa sul corpo umano vivente nei suoi diversi atteggiamenti, dove per mezzo dell'inspezione, della palpazione via via più profonda ed eventualmente anche della percussione, della radioscopia ecc., si giunge al riconoscimento della maggior parte possibile degli organi preparati strato per strato nelle varie regioni del cadavere, ed all'esatta intuizione, per mezzo di punti o linee d riferimento, della sede e profondità di quelli inaccessibili, come se veduti per trasparenza attraverso agli strati che li ricoprono. Così dev'essere veramente intesa la cosiddetta Anatomia superficiale di alcuni autori.
Riassunto storico.
I papiri, le sacre scritture, i poemi e gli altri documenti della primitiva cultura dei più antichi popoli civili dimostrano già presso questi un insieme di cognizioni anatomiche, che oltrepassa la pura e semplice nomenclatura delle parti e dei principali organi del corpo. Cosicché le origini più remote dell'anatomia debbono farsi risalire addirittura ai primi inizî di tali civiltà, allorché s'incominciarono appunto a designare con nomi speciali le varie parti esterne ed i principali visceri ed altri organi profondi del corpo animale, e particolarmenie di quello umano.
L'osservazione diretta nel corpo dell'uomo nel caso di vaste ferite penetranti, lo sventramento dei grossi mammiferi nelle cacce, per i bisogni dell'alimentazione e soprattutto nei sacrifizî, ove nelle occasioni più solenni venivano pure immolate vittime umane, condussero alla conoscenza dei maggiori e più importanti organi interni: encefalo, cuore, polmoni, fegato con i diversi lobi e la cistifellea, milza, stomaco e intestini, omento, reni, utero, ghiandole genitali, grossi vasi ecc., e persino pancreas e ghiandole soprarenali.
Sorgeva in tal modo la cosiddetta Anatomia aruspicina, per mezzo della quale i sacerdoti eseguivano una grossolana dissezione dell'animale offerto in sacrifizio, e traevano, dalla posizione e dai caratteri normali o patologici di determinati visceri, i diversi auspici. Tale anatomia ebbe particolare importanza presso i Babilonesi, gli Egiziani, gli Ebrei, i Greci, gli Etruschi e i Romani, i Germani.
Del resto, oltre agli organi esterni ed ai rilievi della muscolatura superficiale attraverso i tegumenti nei ginnasti e nei lottatori, furono sempre accessibili all'esame diretto le ossa macerate provenienti dai sepolcri e spesso gli scheletri dei giustiziati scarnificati dagli avvoltoi e dai corvi o dal processo stesso di putrefazione.
Pure importanti per la storia dei primordî dell'anatomia sono le riproduzioni di visceri isolati o raggruppati, nonché di organi esterni, sia in disegno, come nei geroglifici egiziani, sia in plastica (bronzo, alabastro, terracotta ecc.), soprattutto quali offerte votive, usate presso gli antichi popoli orientali, i Greci, gli Etruschi, i romani.
Particolarmente in Egitto la pratica delle imbalsamazioni, diverse assai per modalità e per tecnica nei differenti periodi storici, permise di raggiungere speciale perizia dissettoria e di approfondire le cognizioni sull'interna costituzione del corpo umano.
Nuovo impulso trassero gli studî anatomici dal sorgere delle prime scuole mediche sacerdotali nell'Asia e in Egitto, ove le dette pratiche dell'imbalsamazione venivano, almeno per un certo periodo di tempo, affidate ad esperti medici-sacerdoti, ai quali si attribuivano notevoli conoscenze soprattutto nel campo dell'anatomia topografica e dell'angiologia.
L'inizio di un'anatomia scientifica può riconoscersi tuttavia soltanto allorché si costituirono le scuole filosofiche greche, e particolarmente quella italica fondata, o per lo meno rinnovata a Crotone nella Magna Grecia da Pitagora (Πυϑαγόρας, Pythagŏras) di Samo intorno al 529 a. C., alla quale appartennero specialmente Filolao (Θιλόλαος, Philolāus) ed Alcméone ('Αλκμαίων, Alcmaeon), detti appunto da Crotone. Essi circoscrissero tuttavia i loro studî dissettorî al solo corpo dei bruti, ma esposero sullo sviluppo dell'uomo alcuni concetti, che meritano d'essere ricordati anche se escono un po' dallo stretto campo anatomico. Pitagora sosteneva in proposito che non solo l'uomo, ma anche la donna, siano atti a produrre liquido seminale, e che non appena lo sperma, che rappresenta una spuma della parte più eletta del sangue, un superfluo della nutrizione, è giunto nell'utero, stillano dal cervello materno liquidi e sangue, donde si costituisce in quaranta giorni il feto, mentre l'elemento vaporoso del seme dà origine all'anima ed agli organi di senso. Secondo Filolao il corpo si sviluppa dal calore dell'utero: la parte umana di esso si localizza nel cervello, la animale nel cuore, la vegetale nell'ombelico. Alcmeone (a prescindere dai 17 volumi di anatomia, che si pretende siano stati scritti dal faraone Athotis) è riconosciuto come il primo autore di un'opera anatomica, di cui solo poche tracce sono a noi indirettamente pervenute. Egli riteneva che lo sperma fosse parte del cervello e che la testa si evolvesse per prima nel feto; ma spetta a lui particolarmente il merito di avere riconosciuto che a questo cervello, sede dell'anima, sono collegati, per mezzo di speciali vie conduttrici (πόρροι), gli organi di senso e specialmente quelli del tatto. Eseguì ricerche sull'occhio scoprendo i relativi nervi ottici, conobbe la tuba uditiva, la trachea (ἀρτηρίη) e distinse le arterie (ϕλέβες), che trovò nelle dissezioni quasi vuote, dalle vene, che ritenne dal loro contenuto i veri e proprî vasi sanguiferi (αἱμόρροοι). Altri filosofi medici, Parmenide (Παρμενίδης, Parmenĭdes) di Elea e Democrito (Δημόκριτος, Democrĭtus) di Abdera, ritennero il sesso dovuto alla preponderanza del rispettivo seme, maschile o femminile. Il primo lo mise pure in rapporto con il modo di mescolarsi dei semi e con il testicolo del maschio e il lato dell'utero della femmina, dove aveva luogo lo sviluppo, cioè con quelli di destra il sesso maschile, con i sinistri il femminile. Democrito sostenne poi che lo sperma sia una specie di estratto di tutto il corpo e che del feto si costituiscano anzitutto l'ombelico, indi il capo ed il ventre, da ultimo gli organi interni. Egli pure studiò l'anatomia dei soli animali bruti e particolarmente quella del camaleonte, sulla quale si crede abbia lasciato uno scritto: s'era dedicato con tanta passione a tali ricerche zootomiche, che si tirò addosso gli scherni e il disprezzo dei suoi concittadini, incapaci di comprenderlo, e dovette appartarsi da essi.
Empedocle ('Εμπεδοκλῆς, Empedŏcles) d'Agrigento ritenne, a differenza dei due precedenti filosofi, che la sovrabbondanza di uno dei due semi, maschile e femminile, stabilisca semplicemente la somiglianza del figlio al genitore, non già il sesso, il quale sarebbe determinato invece dalla temperatura fredda o calda dell'utero. Secondo Empedocle il feto maschile si evolve più rapidamente; le mostruosità ripetono la loro causa dalla sovrabbondanza, dalla deficienza, dalla dispersione o dalla deviazione dello sperma: il primo organo che si costituisce è il cuore: i varî organi si formano poi per differenti combinazioni dei quattro elementi, aria, acqua, fuoco e terra. Descrisse per primo con il nome di amnio (αμνίον) la membrana involgente il feto. Ammise ancora che il sangue, sede dell'anima, si raccolga nel petto, donde caccia l'aria innanzi a sé attraverso canali, che la recano agli organi di senso, compresa la cute, e a quelli della nutrizione. Gli si attribuisce la scoperta del labirinto dell'orecchio interno e sembra pure ch'egli abbia studiato i rapporti che intercedono fra scheletro e parti molli, così da potersi quasi ritenere un precursore nel campo della sindesmologia e della miologia.
Soprattutto dal punto di vista dell'angiologia umana è poi importante Diogene (Διοηένης, Diogĕnes) d'Apollonia, il quale ammetteva nel corpo dell'uomo la presenza di due vasi (ϕλέβες) massimi longitudinali, destro e sinistro, dai quali si diramano vasi minori per la rispettiva metà del corpo e maggiori per gli arti, per il. cuore e in più uno a destra per il fegato (ἡπατῖτις), l'altro a sinistra per la milza e i reni (σπληνῖτις). Non sono distinte in tale descrizione le arterie dalle vene; si ritiene che tutte contengano senza distinzione sangue ed aria. Negli accenni ai vasi del collo e della testa sono riconoscibili le carotidi e le giugulari.
Anassagora di Clazomene sostenne contro i Pitagorici l'inettitudine a produrre seme da parte della donna, la quale non fornisce che l'ambiente allo svolgimento del feto: ammise inoltre con Parmenide che i maschi derivino dal testicolo destro e si sviluppino nella metà destra dell'utero, inversamente le femmine, e con Alcmeone che primi organi a differenziarsi siano la testa e l'encefalo. Nel cervello si deve a lui la scoperta dei ventricoli laterali.
Ippone riteneva che il seme provenisse dal midollo delle ossa e che dalla maggiore o minore sua densità dipendesse il sesso maschile o femminile del nascituro. Riprendendo il concetto attribuito a Pitagora, ammetteva che, costituitosi il feto in quaranta giorni, vi si formassero poi al quarto mese la carne, al quinto le unghie e i capelli e che al settimo mese il corpo fosse perfetto. Seguendo poi un'opinione forse già avanzata da Diogene, Ippone credeva che il feto si nutrisse nell'alvo materno suggendo una specie di papilla analoga a quella mammaria.
Particolarmente nelle due celebri scuole asclepiadee di Cnido e di Coo, lo studio dell'anatomia andava di pari passo con quello della medicina, nella quale scienza si contesero esse a lungo il primato, rimasto poi definitivamente alla scuola di Coo. Tuttavia, sulla fede di Galeno, l'anatomia venne particolarmente coltivata con frutto dalla scuola di Cnido, di cui erano caratteristiche le denominazioni date ad alcuni organi, come ad esempio quelle di tralci (ὄσχοι) ai legamenti uterini, di volpe (ἀλωπηξ) al muscolo dei lombi ecc. Eurifone, uno dei maggiori esponenti della scuola, sapeva distinguere le emorragie arteriose dalle venose.
In uno scritto anonimo della stessa scuola sulle carni (Περὶ συρκῶν) è sostenuto, d'accordo con quanto avevano già ammesso Eraclito e Parmenide, che il calore sia il fondamento di ogni cosa e che le diverse parti del corpo derivino da diverse forme di putrefazione della terra sotto l'azione del calore divino. Altro scritto della scuola sui sette pianeti (Περὶ ἑβδομάδων) dimostra l'influenza che questi esercitano sull'uomo-microcosmo; ma il più importante degli scritti cnidici è quello intorno alle ghiandole (Περὶ ἀδένων), che tratta della loro sede e funzione: vi è ammesso che esse si trovino nei visceri, nelle reni, nel collo, nella testa e nella cavità ascellare; ghiandola massima è dichiarato il cervello.
Alla scuola di Coo vengono attribuiti tre scritti anatomici, l'uno sull'anatomia (Περὶ ἀνατομῆς), l'altro sul cuore (Περὶ καρδίης), il terzo sulla natura delle ossa (Περὶ ὀστέων ϕύσιος); specialmente il secondo sembra però doversi attribuire ad epoca posteriore, anzi addirittura al periodo post-aristotelico. Nel primo opuscolo sono trattati gli organi princ. pali del corpo, cioè trachea, polmoni, cuore, reni, vescica, esofago, ventricolo, diaframma, milza, intestini: nel secondo è data una descrizione del cuore e particolarmente dei suoi apparecchi valvolari; nel terzo sono accenni all'anatomia topografica del tronco con vasi e loro diramazioni, nervi e tendini.
Ricorderemo finalmente, della scuola dei sofisti, lo scritto sulla natura dell'uomo (Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου): questo sarebbe costituito dalla fusione di quattro qualità (caldo, freddo, umido, secco), rappresentate dal sangue, dalla pituita e dalle due bili gialla e atra.
Gli scritti delle tre ultime scuole, testé menzionate, sono già considerati nel gruppo di quelli costituenti il cosiddetto Corpus hippocraticum, dal nome del celeberrimo Ippocrate, il secondo della serie degli omonimi, della scuola stessa di Coo. I diversi collaboratori di tale enciclopedia, dei quali varî appartenenti senza dubbio ad età posteriore, attinsero prevalentemente le loro conoscenze anatomiche, come i predecessori, dalla dissezione degli animali: non può escludersi in via assoluta che taluno di essi (anzi, secondo il Haller, lo stesso Ippocrate) in qualche raro caso abbia potuto spingere l'indagine sino entro il cadavere umano. Tale molteplicità di autori dà sufficiente ragione delle contraddizioni che spesso riscontriamo nelle notizie, particolarmente nel campo embriologico.
Quantunque venisse ammessa dalla scuola l'esistenza dei due semi maschile e femminile, secreti da tutte le parti del corpo, pure il primo seme è ritenuto più robusto; il sesso viene messo in rapporto con la differente costituzione dei genitori e con la quantità del seme, e così pure la somiglianza del figlio nei singoli organi al padre o alla madre è ritenuta in relazione con la quantità del seme stillato dagli organi corrispondenti dell'uno o dell'altra. Dalla mescolanza dei due semi nell'utero, il feto si svolge per un processo di cottura simile a quello del pane nel forno; tutti gli organi s'iniziano contemporaneamente.
Nel campo più propriamente anatomico le notizie attinte dai diversi scritti ippocratici in senso stretto permettono di ricostruire un'anatomia ippocratica non scevra certo da molteplici lacune ed errori, ma tale tuttavia da segnare una notevole tappa nell'evoluzione storica dell'anatomia.
Relativamente all'apparecchio scheletrico, sono descritte le principali ossa del teschio con le loro suture, i seni frontali, la diploe, le ossa e le cartilagini nasali, l'etmoide, le mascelle. Delle vertebre (σϕόνδυλοι) non è menzionata la prima, mentre è ricordato il dente della seconda; il loro numero va da 18 a 22; vi sono descritti i legamenti longitudinali e le fibrocartilagini intervertebrali. È d'origine ippocratica il nome dato all'osso sacro (ἱερὸν ὀστέον). Sono menzionate sette coste (πλευραί) vere e parecchie spurie e lo sterno con i suoi rapporti con la clavicola. Notevole, nell'osteologia degli arti, l'acromion considerato come osso autonomo, distinzione pure attribuita ad Eudemo (v. più sotto). È ricordata anche la presenza di sinovia nelle articolazioni, per facilitarne lo scorrimento.
Riguardo alla carne, cioè ai muscoli, parecchi ne sono conosciuti; il temporale ed il massetere, quelli del dorso, gl'intercostali, il gran pettorale e il deltoide, i muscoli e i tendini dell'omero, i flessori della mano e delle sue dita, gli psoas (ψόας), i glutei, i muscoli della coscia, il tendine calcaneo ecc. Giova avvertire che Ippocrate designa per lo più tendini e nervi con lo stesso termine di νεῦρα.
È affermato che i liquidi non passano dalla faringe nel polmone, ma in parte nel ventricolo, in parte nel pericardio, per rinfrescare il cuore. Nel tubo digerente si distinguono due cavità, il ventricolo e gl'intestini: il primo è collegato ai reni per mezzo di vasi e di fibre e trapassa nel colon (κῶλον), lungo 12 braccia, al quale fa segnito il retto (ἀρχός); è pure menzionato il digiuno (νῆστις). Sono anche conosciuti il peritoneo, il mesentere ed il mesocolon. Raramente è ricordata la parotide; non mai il pancreas; il fegato solo come origine del sangue.
Dell'apparecchio respiratorio sono particolarmente menzionati l'epiglottide, la trachea, i bronchi, i polmoni, questi di colore grigio-cenere, a struttura di vespaio, divisi in 5 lobi. L'aria va bensì ai polmoni, e da questi per mezzo dei vasi al cuore, ma la parte più sottile di essa, attraverso alla bocca e al naso, si reca al cervello.
Nell'apparecchio urogenitale troviamo ricordati i reni per la secrezione dei liquidi; del resto, per tacere dei testicoli, vengono solo menzionati vagamente i condotti deferenti e le vescichette seminali. Dei genitali femminili sono descritti, oltre agli esterni, l'utero, creduto, come quello degli animali, bicorne e quindi doppio (μῆτραι), e i suoi legamenti; nessun accenno all'ovario.
Del cuore sono descritti, oltre al pericardio e al liquido pericardico simile all'urina, la conformazione esterna ed interna (v. il citato scritto Περὶ καρδίης). Notevole l'avvertimento relativo alle auricole (ὦτα), che nulla abbiano a che fare con la funzione dell'udito. Incerti e contraddittorî sono i dati intorno ai vasi. Le vene (ϕλέβες) si fecero sorgere dapprima dal capo, più tardi dall'aorta e dalla cava; le arterie (ἀρτηρίαι) si ritennero esclusivamente condotti aeriferi. Seguendo Diogene d'Apollonia, si ammise ancora che dal fegato e dalla milza derivassero rispettivamente la cava e l'aorta addominale, ramificantisi in tutti gli organi. Tale milza viene descritta in forma di suola al lato sinistro dell'addome. Degli altri organi linfatici sono conosciute le tonsille e le linfoghiandole del collo: si ricordano ancora le ghiandole toraciche e le mesenteriali.
Il cervello è considerato per lo più come la massima ghiandola del corpo, piena di liquido freddo, o come il collettore del seme, secreto dall'intero corpo, che scende poi ai testicoli: è riconosciuto altresi come sede del pensiero, del senso e del movimento. Vi sono descritti i due emisferi separati dalla falce e due meningi (μήνιγγες), la dura (σκληρά) e la tenue (λεπτή). È d'origine ippocratica il termine usato tuttora per designare la midolla spinale (νωτιαῖος μυελός).
Dei nervi encefalici sono conosciuti il trigemino, l'acustico ed il vago; dei midollari il plesso brachiale e il nervo ulnare, gl'intercostali e lo sciatico. Anche del simpatico è fatta menzione.
Degli organi di senso vengono descritti l'occhio, l'orecchio e il naso. Nel primo sono riconosciute tre tonache, la bianca, l'interna (iride) e l'aracnoide, nonché, al davanti della pupilla, la cornea. L'occhio è collegato al cervello dal nervo ottico e da molte vene, per mezzo delle quali il liquido oculare con le sue particelle si reca al cervello determinandovi le impressioni visive. Dell'orecchio sono note la membrana del timpano e la piramide del temporale, dove il labirinto, come notammo, sarebbe stato osservato già da Empedocle; il suono fa vibrare la parte petrosa dell'osso e viene trasmesso al cervello attraverso cavità che circondano l'orecchio. È sconosciuto il nervo olfattorio e si ammette che gli odori salgano direttamente al cervello attraverso l'etmoide.
Fra gl'immediati successori di Ippocrate è da ricordarsi il genero e allievo di lui Polibo, autore di studi embriologici sul pollo e su giovani feti umani, al quale è dovuta una descrizione, non meno arbitraria di quella di Diogene, dei vasi del corpo umano, dei quali i maggiori disposti in quattro paia. Si ricorda ancora Diocle da Caristo, autore di una 'Ανατομή ov'erano particolarmente descritti cuore, polmone, fegato e cistifellea con condotti (πόροι) interposti, valvola colica, ureteri, piloro. Secondo Diocle partono dal cuore due sistemi di vasi, quello della vena cava (κοίλη ϕλέψ) e della grossa arteria (παχεῖα ἀρτηρία), la quale contiene, oltre al sangue, aria (πνεῦμα) che va al cervello.
Contemporaneo di Diocle fu il medico ed anatomico Prassagora di Coo, a cui è dovuta la netta distinzione fra vene e arterie, quest'ultime in relazione con il polso. Descrisse la midolla allungata come dipendenza di quella spinale verso il cervello e intravide la funzione sensitiva dei nervi, che distinse nettamente dai tendini, pure ammettendo, in armonia con i concetti del tempo, il centro della sensibilitâ nel cuore.
Altri anatomici all'incirca dello stesso periodo furono Senofonte di Coo, Plistonico e Filotimo, il quale ultimo avrebbe descritto particolarmente le trombe uterine, con il nome di κόλποι.
Anche al sommo Platone la scienza anatomica riconosce qualche concetto non privo, dal punto di vista storico, d'importanza. Dalla midolla e particolarmente dalla sua parte più nobile, cioè il cervello, sede di elaborazione del seme, derivano, per mezzo del sangue, le ossa e le parti molli (muscoli). Il cuore è il sito di riunione di tutti i vasi e da esso il sangue si reca a tutti i membri. I liquidi ingeriti penetrano con l'aria nei polmoni, donde, attraverso i reni, passano nella vescica, mentre del ventricolo non è fatta menzione, ritenendosi che la parte solida degli alimenti scenda direttamente per l'esofago in cavità addominale. Bene descritti sono il fegato e la milza: alla costituzione di quello contribuiscono lobi (λόβοι), condotti (δοχοί) e porte (πύλαι); la seconda è cava e funge da collettore delle impurità generatesi dalle malattie.
Se è di fondamentale valore il contributo portato da Aristotele allo studio dell'anatomia comparata e dell'embriologia, non altrettanto possiamo ripetere, come ora vedremo, nei riguardi dell'anatomia dell'uomo. È ben nota, né qui staremo a ricordarla, la teoria peripatetica sulla generazione in base al connubio fra sperma e sangue mestruale, esposta in forma così superbamente elevata dalla bocca di Stazio nel canto XXV del Purgatorio e svolta pure nel IV trattato del Convivio dantesco. Per Aristotele il primo organo che comparisce nel germe è il cuore (nel pulcino al terzo giorno); i rimanenti organi si sviluppano poi ad epoca determinata, da materiale determinato e secondo determinate modalità.
Le 'Ανατομαί di Aristotele andarono purtroppo smarrite, e i suoi concetti anatomici si deducono principalmente dai primi tre dei dieci libri della Storia degli animali (Περὶ ζῴων μορίων) e dai quattro delle Parti degli animali (Περὶ ζῴων μορίων). Apprendiamo da tali fonti come lo Stagirita, oltreché non avere complessivamente portato molto innanzi le conoscenze anatomiche in confronto con le ippocratiche, rimase spesso indietro in confronto di esse. Pure avendo segnalato il colore diverso dei due sangui, venoso e arterioso, non giunse tuttavia a distinguere nettamente le vene dalle arterie. Dal cuore, viscere fondamentale dell'organismo e suddiviso in tre cavità, emanano oltre a due vasi, dei quali è bene descritto nella struttura e nella distribuzione solo il sinistro, cioè l'aorta (ἀορτή), anche i nervi: concetto quest'ultimo del quale, malgrado ne fosse dimostrata la falsità, rimase convinto seguace qualche ostinato peripatetico sino in pieno secolo decimosettimo. Sono bene distinte le varie parti dell'intestino. Il cervello freddo, a differenza della midolla spinale, e privo di sangue, occupa solo la parte anteriore e media del cranio, accogliendo la rimanente il cervelletto (παρεγκεϕαλίς). Nervi, tendini, legamenti, sono tutti per Aristotele πόροι. È dovuta ancora a lui la primitiva distinzione delle parti del corpo in similari e dissimilari: queste corrispondenti alle singole parti del corpo, quali testa, collo, tronco, estremità; quelle alle formazioni sparse e distribuite in tutto il corpo, quali le ossa, le cartilagini, la carne, il grasso, il sangue ecc.
Viene ricordato pure come anatomico il nipote di Aristotele, Callistene di Olinto. Del contemporaneo Clearco di Soli sappiamo essere stato autore di uno scritto sulle ossa (Περὶ σκελετῶν).
Fra gli Empirici qualcuno ebbe fama come anatomico: ricordiamo Serapione di Alessandria, il quale riteneva che l'utero si trovasse libero entro il corpo; Apollonio di Citio, cui si attribuisce un trattato delle articolazioni (Περὶ ἄρϑρων πραγματεία), ornato di numerose figure colorate; Marino, autore di una Πραγματεία τῶν ἀνατομικῶν, le cui osservazioni, relative soprattutto alle ghiandole, ci sono note per le citazioni di Galeno, che lo considerava come un restauratore dell'anatomia; Lico, autore di un trattato sui muscoli (Περὶ μυῶν), che viceversa fu aspramente criticato da Galeno; finalmente Aristogene di Cnido il quale, sempre sulla fede di quest'ultimo autore, era versato nell'anatomia soprattutto del teschio.
L'apice dello splendore della scienza anatomica nell'antica cultura ellenica veniva raggiunto intorno al principio del III sec. a. C. in seguito alla fondazione, ad opera di Tolomeo I, della scuola anatomica di Alessandria, della quale rimangono perenne vanto ed onore Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Ceo, quest'ultimo specialmente pure dottissimo medico, fondatore di una scuola che contava a Roma numerosi seguaci ancora nel II sec. dell'èra volgare. Fama minore dei due predetti ebbe, come anatomico della stessa scuola, Eudemo. Nulla purtroppo degli scritti loro è rimasto, e le notizie relative ci vennero tramandate principalmente da Celso, da Rufo d'Efeso e da Galeno. Se deve accogliersi con somma diffidenza a loro riguardo l'affermazione di Celso, di Tertulliano, del rabbino Ismael e di altri, che Erofilo ed Erasistrato nocentes homines, a regibus ex carcere acceptos, vivos inaderint (non mancò invece, narrano gli Annali di Tacito, fra i medici successori di Celso in Roma, chi si prestò, e ben altrimenti che a scopo di studio, a segare le arterie alle infelici vittime della tirannide imperiale), è invece fuori di dubbio ch'essi abbiano metodicamente dissecato il cadavere umano, seguendo una tecnica speciale per cui prima veniva aperta la cavità addominale, indi la toracica: aveano luogo dei veri e proprî corsi di anatomia con dimostrazione di preparati ed altri mezzi didattici.
Ad Erofilo sono dovute anzitutto diligenti ricerche sul cervello e sopra i suoi rivestimenti e la primitiva descrizione del quarto ventricolo con il calamus scriptorius, dei plessi corioidei, del confluente dei seni o torcular (cosi tradotto impropriamente da ληνός): altri organi da lui particolarmente studiati sono l'osso ioideo, il duodeno δωδεκαδάκτυλος), il fegato, l'arteria polmonare o vena arteriosa e il polmone, i genitali, di cui particolarmente la prostata e le vescichette seminali, l'occhio, ove egli riconobbe tuttavia nel nervo ottico semplicemente un πόρος per il pneuma.
Erasistrato è noto anzitutto per i suoi studî sul cuore, nel quale descrisse le valvole tricuspidale (τριγλώχιν), bicuspidale e semilunari (σιγμοειδεῖς) con più cura che non avesse fatto Erofilo e, a quanto pare, precedentemente al già citato anonimo autore del Περὶ καρδίης della scuola di Coo: distinse definitivamente le arterie dalle vene, pur seguitando ad ammettere la presenza di aria in quelle e l'origine del pneuma dal cuore e del sangue dal fegato. Studiò anch'egli a fondo il sistema nervoso, riconoscendo la grande ricchezza di circonvoluzioni del cervello umano in confronto con quello di altri animali. È a lui anche dovuto il termine di parenchima (παρέγχυμα) per designare la sostanza propria degli organi ghiandolari, che egli riteneva derivata dal sangue.
Tanto ad Erofilo quanto ad Erasistrato vengono poi riconosciute, sia la distinzione dei nervi in sensitivi e motori, sia la scoperta dei vasi chiliferi, avendo essi sperimentalmente osservato (chi rivendica il merito piuttosto all'uno, chi all'altro) che nel mesentere sono dei vasi proprî dell'intestino i quali, in luogo di recarsi per la porta al fegato, terminano in certi corpi ghiandolari del mesentere stesso.
Anche Eudemo studiò particolarmente il cervello e i nervi.
Da tale periodo aureo sino a Galeno l'anatomia greca attraversa un periodo di decadenza, durante il quale soltanto il nome di qualche medico e filosofo merita di essere ricordato. Fra questi il Metodico Sorano d'Efeso, non tanto per una sua nomenclatura anatomofisiologica, quando per una descrizione, non scevra di errori e lacune, degli organi genitali femminili premessa al trattato di ostetricia; il Pneumatico Ateneo, seguace delle teorie embriologiche di Anassagora, il quale riteneva gli ovarî senza significato, presenti solo per analogia con gli organi dell'altro sesso, come le papille mammarie nei maschi; l'Eclettico Areteo da Cappadocia, cui spetta il merito di avere osservato, benché inesattamente interpetrati, i tubuli retti dei reni e di aver pure notato che l'intestino è costituito da due membrane sovrapposte: è anche a lui dovuta l'idea di sondare con strumenti metallici i vasi connessi con il cuore e con il fegato, per studiarne i rapporti. Degno di particolare menzione è finalmente il già ricordato Rufo d'Efeso, che studiò l'anatomia esterna sui corpi nudi degli schiavi e l'interna nelle scimmie, e compose varî trattati, fra i quali uno sulla nomenclatura delle parti del corpo umano (Περὶ ὀνομασίας τῶν τοῦ ἀνϑρώπου μορίων), e un altro sulle ossa (Περὶ ὀστῶν). Fu particolarmente versato nell'anatomia dell'occhio, nel quale riconobbe sette membrane (compresa la capsula della lente cristallina), e segnalò pure il chiasma dei nervi ottici e la caruncola lagrimale. Descrisse inoltre le trombe uterine, il timo come formazione non costante, e distinse il pancreas dalle ghiandole mesenteriche.
Claudio Galeno di Pergamo, fiorito nella seconda metà del II secolo dell'era volgare, deve la somma importanza che dal punto di vista degli studî d'anatomia gli è riconosciuta, non solo ai cospicui contributi personali, ma anche a questo che, per mezzo degli scritti di lui rimastici, parte almeno dell'opera dei suoi predecessori, altrimenti perduta per sempre, poté essere da noi conosciuta. Approfonditosi negli studi in Alessandria (ove s'era recato, per quanto egli stesso confessa, spintovi dal desiderio di vedere uno scheletro umano completo), in quella scuola ancora in vigore, quantunque decaduta dalla primitiva grandezza, ebbe poi modo di continuarli dopo la sua venuta a Roma: tuttavia, mancatogli quivi per la ricerca il cadavere umano, dovette limitarsi alla dissezione di mammiferi, principalmente cani e scimmie (di queste a preferenza la specie Macacus ecaudatus), commettendo l'errore di riferire senz'altro alla specie nostra le disposizioni osservate in quelli: errore che dovette poi, come vedremo, amaramente scontare sotto l'acerba critica dei restauratori dell'anatomia, invano strenuamente difeso dai suoi tardi seguaci. È indubitato ch'egli sia ricorso inoltre alla vivisezione di detti mammiferi, ché altrimenti non avrebbe potuto fornire adeguata ragione di certi fenomeni fisiologici da lui osservati, come il passaggio dei cibi per il ventricolo, la secrezione dell'urina dai reni, il contenuto sanguigno del ventricolo sinistro del cuore e delle arterie, la paralisi consecutiva alla recisione dei nervi spinali.
Ben quattordici scritti più o meno estesi di argomento anatomico, senza tener conto dei dati esposti in altre opere, ha lasciato Galeno, di cui più notevoli i 17 libri sull'uso delle parti (Περὶ χρείας μορίων) e i 9 sulle preparazioni anatomiche (Περὶ ἀνατομικῶν ἐγχειρήσεων); altri sull'anatomia delle ossa, dei muscoli, delle vene e arterie, dei nervi, dell'organo dell'olfatto, dell'utero, dell'embrione: due scritti sull'anatomia del corpo vivo e del morto, due sull'anatomia rispettivamente ippocratica e di Erasistrato, uno sulle divergenze d'opinioni in anatomia.
Dal punto di vista embriologico Galeno ammette l'esistenza di un seme anche nella femmina, indipendente dal sangue mestruale che è estraneo alla generazione e serve soltanto alla nutrizione del feto e alla costituzione di alcuni organi, detti appunto sanguigni ciò spermatici: organo spermatico per eccellenza è il cervello, organo sanguigno il fegato. Questo si sviluppa per primo, indi il cuore, terzo il cervello. Il seme maschile trasmetterebbe i caratteri individuali, il femminile quelli inerenti alla specie. Descrisse poi Galeno, sempre in base all'osservazione sugli animali, ma attribuendoli alla specie umana, gli annessi fetali: l'amnio (già segnalato da Empedocle), l'allantoide, il corio, i cotiledoni, l'uraco.
Seguendo fondamentalmente Aristotele, Galeno considerò nell'organismo i varî corpi similari, distinti in spermatici e sanguigni, ma specificandone maggiormente i caratteri: così ad esempio nella sostanza dura del cuore descrisse diverse graduali modalità, da quella solo lievemente cartilaginea (ἀρτέμα χονδρώδης) alla cartilagine perfetta (ἀκριβὴς χόνδρος), alla cartilagine ossea (χόνδρος ὀστώδης), all'osso cartilagineo (χονδρῶδες ὀστοῦν).
Di tutti i capitoli dell'anatomia galenica l'osteologia è indubbiamente il più importante, e per quanto concerne in particolare le ossa del teschio con le loro varie porzioni, con le suture e le connessioni, per mezzo dell'atlante e dei legamenti, alla colonna vertebrale, la descrizione è chiara e precisa, e qui si riconoscono meno che nell'esposizione delle rimanenti parti scheletriche e degli altri apparecchi i riferimenti alle disposizioni pitecoidi.
Notevoli in miologia le descrizioni della muscolatura cutanea della testa e del collo, dove è galenica la denominazione di platisma mioide (πλάτυσμα μυοιδές), dei muscoli proprî degli occhi, della laringe, della lingua, dello ioide, della faringe, per tacere dei maggiori scheletrici.
Gli organi splancnici del torace e dell'addome sono particolarmente descritti; notevoli le osservazioni sulla struttura dell'esofago e degli intestini, costituiti da diversi strati; ritenne però Galeno che anche il fegato umano consti di quattro lobi e attribuì anche alla milza una funzione nel processo digestivo; riconobbe un'analogia, come fra gli ovarî ed i testicoli, così fra l'utero bicorne e lo scroto.
L'angiologia è l'apparecchio dove le cognizioni galeniche non andarono oltre a quelle di Erasistrato, qualora se ne eccettui l'osservazione, nel cuore del feto, del foro ovale fra gli atrî; tuttavia anche il setto dei ventricoli era ritenuto pervio.
Notevole la descrizione dell'encefalo, studiato specialmente nei buoi, e la relativa tecnica dissettoria. Vi sono particolarmente trattati i ventricoli, con le rispettive comunicazioni, il setto pellucido, il fornice, i corpi striati, l'ippocampo, il corpo calloso, il corpo pineale (σῶμα κωνοειδές), l'ipofisi e l'infundibolo, creduto in comunicazione con le fosse nasali attraverso la lamina cribrosa dell'etmoide, i corpi quadrigemini superiori o natiche (γλούτια) e inferiori o testicoli (δίδυμα o ὄρχεις), il ponte, ecc., nonché i plessi corioidei e i vasi, fra i quali la grande vena cerebrale che da lui prende nome.
Sono distinti i nervi motori, in rapporto con la midolla spinale, dai sensitivi, in rapporto con l'encefalo, e si considerano sette paia di nervi cerebrali, oltre agli spinali e al simpatico.
Nell'occhio sono considerati cinque tonache e quattro umori, cioè, oltre all'acqueo e al vitreo, quello della lente e una speciale sostanza visiva; il nervo ottico è ritenuto cavo e in rapporto con un recesso del terzo ventricolo, detto talamo (ϑαλάμη).
Passando dai Greci ai Romani, tutti anteriori a Galeno, premettiamo che di essi per verità uno solo, Cornelio Celso, fu medico ed anche parzialmente anatomico, laddove gli altri autori, negli scritti dei quali è qualche concetto attinente alla nostra scienza, furono interamente estranei all'anatomia. Ricordiamo semplicemente in proposito i dati embriologici contenuti nella fine del quarto libro del De rerum natura di Lucrezio, e quelli anatomici dei quali è questione nel libro secondo del De natura deorum di Cicerone e nell'undicesimo libro della Naturalis historia di Plinio il Vecchio.
Aulo Cornelio Celso, fiorito nei primi decennî dell'era volgare, fornisce nel primo capitolo del libro quarto della sua Medicina un riassunto dell'anatomia delle parti interne del corpo umano, e nel primo capitolo del libro ottavo un breve trattato di osteologia pure dell'uomo: all'anatomia dell'occhio è poi dedicato il § 13 del settimo capitolo del libro settimo. Si tratta di cognizioni attinte, se non totalmente, certo prevalentemente a fonti greche, e in particolare alla scuola d'Alessandria. Si vorrebbe, ma con deboli argomenti, che non gli fossero stati ignoti i canali semicircolari del labirinto osseo, da lui designati come multa et tenuia foramina, nei quali il meato dell'orecchio iuxta cerebrum... diducitur.
Appartiene finalmente al periodo antico della nostra scienza la cosiddetta anatomia del Talmūd, la quale non costituisce un vero e proprio trattato, ma solo una ricca raccolta di cognizioni trasmesse, dapprima solo verbalmente, di generazione in generazione presso diverse scuole rabbiniche a partire dai primi secoli dell'era volgare. I dati più importanti sono indubbiamente dovuti a medici ebrei allievi della scuola d'Alessandria.
Sono trattate nel Talmūd in modo speciale le ossa il cui numero è portato a 248 nel maschio e 251 nella donna (3 in più nei genitali), computandosi forse a parte le epifisi staccatesi nel processo di macerazione di scheletri giovani, ed aggiungendovisi uno speciale ossicino, il cosiddetto ossiculum lus, resistente all'acqua, al fuoco, allo schiacciamento, dal quale, secondo il dogma della resurrezione, dovrà poi ricostituirsi l'intero individuo: forse il dente dell'epistrofeo, ma più probabilmente un osso immaginario.
Fra le parti molli, i muscoli sono considerati dai talmudisti nel loro insieme come carne. Dell'apparecchio digerente sono bene conosciute particolarmente le ghiandole salivari, la faringe e l'esofago, costituito da due membrane, una rossa esterna ed una bianca interna, riunite da tessuto lasso; il ventricolo, paragonato all'omaso dei ruminanti; la cistifellea, riunita al fegato per mezzo di un sottile condotto; il pancreas, il peritoneo, l'omento.
Nell'apparecchio respiratorio, mentre non è neppur fatto accenno alla trachea, la laringe, come organo della voce, è considerata costituita di tre cartilagini, corrispondenti alla cricoidea, alla tiroidea ed all'epiglottica: sono pure menzionate le cartilagini triticee. I polmoni vengono considerati come le due ali di un viscere unico, separate per mezzo di un setto, che corrisponde al mediastino: ad ogni ala va un bronco principale, nel quale si aprono i minori: avendo forse a base la disposizione dei ruminanti, si considera in ciascun'ala un lobo principale e tre lobi secondarî (orecchi) a destra e due a sinistra, designati più tardi con nomi speciali: fu persino descritto, con il nome di fogliolina di rosa, l'accessorio lobo retrocardiaco di destra. Furono anche segnalate le pleure, come membrane analoghe a quelle che rivestono il cervello.
Dell'apparecchio urogenitale era specialmente nota l'anatomia normale e patologica dei reni. Si ritenne invece l'uretra suddivisa longitudinalmente da un setto in due condotti, uno per l'urina, l'altro per lo sperma (più tardi i medici arabi ne ammisero persino un terzo per il secreto della prostata, la quale invece nel Talmūd non è neppure menzionata). Degli organi genitali sono particolarmente descritti gli esterni: degna di nota l'anatomia dell'utero, ritenuto non già bicorne, ma semplice e impari.
Pochi e non nuovi sono i concetti sui vasi, mentre la milza è ritenuta di così poca importanza, da ammettersene l'ablazione perfettamente compatibile con la vita.
Anche il sistema nervoso è considerato piuttosto succintamente: il cervello, del quale fa parte la midolla allungata, è rivestito da due membrane, ed è collegato a tutte le parti del corpo per mezzo di 32 vie, che si dipartono d'ambo i lati del suo prolungamento, cioè della midolla spinale, costituendo in basso ciò che i talmudisti appunto denominarono cauda equina.
Nel Medioevo la storia dell'anatomia, per quanto abbia parecchi nomi di autori da ricordare, non può segnalare tuttavia alcun rilevante progresso: salvo qualche rara eccezione, è bandito lo studio del cadavere umano, e i pochi, non soddisfatti dell'autorità degli antichi, ricorrono alla dissezione degli animali.
I padri della Chiesa che si occuparono occasionalmente di medicina e di anatomia, e così pure la maggior parte dei medici del periodo bizantino, quali Aezio, Alessandro di Tralle, Paolo da Egina via via sino a Giovanni Attuario, si limitarono, in fatto di cognizioni anatomiche, a ripetere pedissequamente le opinioni dell'uno o dell'altro autore greco. Particolare menzione meritano solo in proposito Teofilo Protospatario, nel cui riassunto dell'opera galenica è qualche osservazione nuova relativa ai legamenti vertebrali, al nervo olfattorio e specialmente ai tubuli seminiferi del testicolo, ed Oribasio di Pergamo, al quale è dovuta pure un'anatomia galenica non strettamente fedele, ma in alcune parti, ad esempio relativamente alle ghiandole salivari, modificata e completata: gli è pure da taluno attribuita un'anonima introduzione anatomica (Εἰσαγωγὴ ἀνατομική) in 60 capitoli, basata sopra dati prevalentemente aristotelici, della quale altri ritengono autore Porfirio. Ed è pure da ricordare fra i bizantini il monaco frigio Melezio, autore di un trattato sulla struttura dell'uomo (Περὶ τῆς ἀνϑρώπου κατασκευῆς), nel quale sembra aver avuto a modello uno scritto di Gregorio di Nissa sulla creazione dell'uomo: nell'uno, e particolarmente nell'altro trattato, è un'esposizione anatomica sommaria, subordinata a preconcetti teologici.
Sono poi verosimilmente da attribuirsi, secondo il Fuchs, a tale periodo bizantino alcune tavole anatomiche conservate in un manoscritto parigino, già ritenute dell'anteriore età greca.
Importanza superiore ha nella storia dell'anatomia medievale la letteratura araba. Concetti embriologici ritroviamo già nel Corano e, fra gli autori, particolarmente in Ibn Sīnā od Avicenna (v.) morto nel 1037, il quale, commentando Galeno, osserva, trattando de generatione embryonis, che questo è formato anzitutto da tre vescicole, donde si sviluppano successivamente il fegato, il cuore e il cervello. Del resto anche nel campo anatomico gli scrittori arabi sono in generale, più che commentatori, semplici seguaci dei medici greci, e particolarmente del Pergameno. Ricordiamo fra essi Rhazes o Razi (Abū Bakr Muḥammad ibn Zakariyyā' ar-Rāzī, morto nel 932), nel cui liber medicinalis Almansoris il primo trattato ha per titolo: De figura et forma membrorum; Alī ibn al‛Abbās al-Magiūsī (morto nel 994), e, per tacere di Averroè, nelle cui opere sono pure molteplici dati anatomici, più notevole fra tutti il predetto Avicenna, che nel primo libro (qualcosa anche nel terzo) del suo celebre Canone (Qānūn) trattò pure d'anatomia e in parte di fisiologia sulle orme galeniche, esercitando anche sotto tale riguardo vasta influenza sulla medicina scolastica del Medioevo. Notevoli la descrizione delle partes (Aristotele) o corpora (Galeno) similaria, da lui trattate con il nome di membra simplicia o similia, e la rivendicazione, fatta da taluno ad Avicenna, della priorità nell'osservazione delle valvole delle vene.
Il medico ‛Abd al-Laṭīf (morto nel 1231), nel suo libro sull'Egitto, narra d'essersi appositamente recato con altri studiosi su una collina, presso Alessandria, per esaminarvi ossa umane accumulatevisi in grande quantità e d'aver così potuto riconoscere in talune, come nella mandibola e nel sacro, disposizioni diverse da quelle descritte da Galeno.
Parecchie denominazioni arabe d'alcuni organi, conosciute attraverso le traduzioni medievali latine, si trovano ancora usate nel sec. XV-XVI da altri anatomisti e particolarmente da Leonardo da Vinci: meri (cioè marū') per faringe-esofago, myrach (marāqq) per addome, syphac (ṣifāq) per peritoneo, zirbus (tharb) per omento, ecc.
In appendice all'anatomia degli Arabi daremo qualche cenno di tale disciplina presso altre popolazioni orientali e particolarmente presso gl'Indiani.
Nelle antiche opere, e in modo speciale nelle tre classiche enciclopedie mediche indiane, che portano il nome dei celebri medici Caraka, Sušruta, e Vāgbhaṭa sono molteplici i dati anatomici ed embriologici: ricca ne è specialmente quest'ultima opera, appartenente all'età medievale, ove l'argomento è svolto in 10 capitoli della terza parte. È indubitato che, sebbene in linea di massima la religione vietasse il contatto con i cadaveri, gli anatomici indiani abbiano tuttavia praticato egualmente la dissezione del corpo umano. Per evitare l'uso del coltello, si ricorreva però, almeno per un certo periodo di tempo, al metodo della macerazione: apprendiamo a questo proposito dalla Sušruta-Saṃhitā che il cadavere era sottoposto in una gabbia, per 7 giorni e 7 notti, a un processo di decomposizione entro l'acqua di un fiume, dopo di che, data l'alterazione dei tessuti, un semplice mazzetto di crini o di radici, passato ripetutamente sulla superficie del cadavere, spazzando via i tegumenti e i successivi strati di parti molli macerate, permetteva l'osservazione dei singoli organi e visceri sino ai più profondi. Un tale artificio di usare per gli studî anatomici cadaveri macerati a lungo nell'acqua era noto del resto anche a Galeno e veniva più tardi consigliato pure da Mondino, da Berengario da Carpi e da altri, ma solo come mezzo secondario, a cui ricorrere in qualche caso speciale.
Nell'embriologia indiana si trova fondamentalmente svolto il principio aristotelico. Le membra si sviluppano sincronicamente: nei primi stadî di differenziazione il germe è costituito da sette pellicole, substrato dei futuri tessuti, e ogni mese di vita fetale è caratterizzato da speciali fatti evolutivi.
Nel corpo umano si considerano 6 membri principali che si differenziano al terzo mese, cioè i 4 arti, il tronco e la testa, e membri secondarî, dei quali alcuni impari, come l'addome, il dorso, l'ombelico, la fronte, il mento, il collo...., altri doppî, come gli occhi, gli orecchi, le cavità nasali, le mammelle, i testicoli. Alla costituzione del corpo partecipano 300 (Sušruta) sino a 360 (Caraka) ossa, 210 articolazioni, 900 legamenti, 500 muscoli nell'uomo e 20 in più nella donna, 700 vene e 24 nervi irradianti dall'ombelico, 13 canali, 7 organi cavi nell'uomo e 3 in più nella donna (mammelle e utero), 9 organi di senso. Vi s'aggiungano 7 pellicole, 7 segmenti, 7 elementi essenziali, 3 umori del corpo, 3 umori di secrezione. Non sembra che il sistema nervoso centrale sia stato preso in particolare considerazione dall'anatomia indiana.
Anche presso gli Armeni ed i popoli dell'Estremo Oriente, Cinesi, Giapponesi e Tibetani non mancano documenti, dei quali taluni risalgono alla remota antichità, i quali provano come nella loro cultura fossero numerose e svariate le conoscenze sulla costituzione del corpo umano. Si tratta tuttavia in maggioranza, specialmente per gli organi interni, di dati più o meno fantastici, subordinati a preconcetti religiosi, di scarsa o nulla importanza nella storia dell'anatomia scientifica. Qualche dato, particolarmente embriologico, risente spesso l'influenza della cultura greca. Degni di nota, nell'anatomia esterna dei Tibetani, il numero di 11.000 assegnato ai capelli e quello di 11 milioni ai pori piliferi dell'intero corpo.
Per lungo tempo in Occidente le scienze mediche, e con esse le anatomiche, confinate quasi esclusivamente nell'ombra dei monasteri, si riducevano a pedisseque e superficiali compilazioni delle antiche dottrine greche, specialmente delle peripatetiche, di cui fanno fede, fra il sec. VI e il IX, l'enciclopedia del vescovo Isidoro di Siviglia, gli Elemema philosophiae del venerabile Beda, e particolarmente il 6° e 7° dei 22 libri di Physica di Rabano Mauro (Hrabanus Maurus); finché a scuoterle dal secolare torpore sorgeva, in stretti rapporti con quel dotto ordine di padri benedettini che già da secoli aveva nel non lontano monastero di Montecassino la sua primitiva e più cospicua sede, la scuola salernitana, per lunghi anni centro di cultura e di diffusione degli studî medici ben oltre i confini dell'Italia meridionale. E già intorno alla metà del sec. XI cominciano a comparire, per cura di Alfano (Alphanus) I, alcuni scritti di contenuto in piccola parte anatomico e fisiologico: ma più importante assai è il successivo periodo della scuola, a partire cioè dalla seconda metà del predetto secolo, in cui vi primeggiano i due nomi di Costantino Africano e di Cofone il giovane. Il primo, monaco benedettino e profondo orientalista, traduttore delle opere arabe per mezzo delle quali la scienza medica greca poté dircttamente esercitare la sua influenza sulla scuola salernitana, lasciò numerosi scritti, fra i quali, o per lo meno fra quelli a lui attribuiti, è una Anatomia in due libri rispettivamente di 17 e 37 capitoli. Cofone il giovane è ritenuto autore della celebre Anatome porci, d'importanza più che altro storica e sino al sec. XVI annoverata fra le opere spurie di Galeno, in confronto dell'anatomia del quale non segna certo un progresso. Infine anche nei Regimen sanitatis della Scuola stessa 4 capitoli della 3ª parte concernono l'anatomia.
È dubbio se la dissezione anatomica, anche come esercizio pratico, sia rimasta ciicoscritta agli animali, specialmente al maiale, oppure, almeno nei periodi posteriori, sia stata estesa, a Salerno ed a Napoli, anche al cadavere umano. A favore di questa seconda ipotesi starebbe il decreto di Federico II, della prima metà del sec. XIII, in base al quale nessun chirurgo doveva essere ammesso alla pratica, nisi.... praesertim anatomiam humanorum corporum in scholis didicerit, et sit in ea parte medicinae perfectus; ma è prevalente opinione che tale studio del corpo umano non fosse spinto in realtà sino all'incisione di esso, limitandosi a quella del corpo suino, data particolarmente l'affermazione di Cofone che interiorum partium nulla animalia inveniuntur nobis adeo similia, ut porci. Una tale sostituzione veniva del resto ufficialmente sancita più tardi, nel 1440, dalla facoltà medica di Vienna, nel caso di mancanza di cadaveri umani: porcus anatomizetur, et perinde chirurgici habiliores redderentur pro corpore humano. Anche Berengario da Carpi, nonostante la grande quantità di cadaveri umani di cui poté disporre, ricorreva talora, e non soltanto in gioventù, alla dissezione del maiale.
Mentre in tal modo le scienze anatomiche trovavano sino al sec. XIII asilo tranquillo e fecondo in Salerno, gli Scolastici e gli Enciclopedisti, attingendo sempre; con preconcetti teologici, alla secolare fonte della scienza greca e particolarmente alla peripatetica, invadevano con le loro opere, estese a tutte le discipline naturali, pure il campo dell'anatonomia, senza aggiungere osservazioni originali proprie. Primo per importanza in tale età è il domenicano Alberto Magno nelle cui opere sono esposti molteplici dati relativi non solo all'anatomia ed embriologia degli animali, ma anche, benché in succinto, all'anatomia dell'uomo. Egualmente si dica all'incirca dello Speculum naturale di Vincent de Beauvais il cui 29° libro tratta de formatione corporis humani, e del Conciliator e altre opere minori di Pietro d'Abano, né vanno dimenticati Bartolomeo Anglico, della cui Enciclopedia il 5° dei 19 libri espone l'anatomia seguendo i dati del già citato Isidoro di Siviglia, e l'olandese Tommaso di Cantimpré e l'opera di lui, De naturis rerum, che nella parte a contenuto antropologico, cioè anatomico, fu più tardi, nel sec. XIV, riassunta in lingua tedesca dal canonico Corrado di Megenberg. In tutti questi scritti, oltre ad Aristotele, troviamo frequentemente citati, per l'anatomia, fra gli autori greci in particolare Galeno, fra i romani specialmente Plinio, e gli arabi.
Se, come più sopra fu osservato, è assai dubbio che nella prima metà del sec. XIII si sia osato violare la sacra integrità del cadavere umano in nome della scienza e dei suoi imprescindibili diritti, è invece sicuramente accertato che già a partire per lo meno dalla seconda metà del secolo precedente, in nome sia pure di un pietosissimo fine, ma con mezzi altrettanto ripugnanti e profani, si usava sottoporre le salme dei più alti personaggi morti lontano dalle proprie regioni a procedimenti speciali, e principalmente all'ebollizione, per separarne le parti mólli dallo scheletro, che più agevolmente poteva così essere riportato in patria.
Tale trattamento subirono infatti nel 1167 i cadaveri dei principi, dei vescovi e di altri dignitarî al seguito di Federico Barbarossa, morti per un'epidemia nelle vicinanze di Roma, e più tardi la salma dello stesso imperatore, perito in Oriente nel 1190: poco meno di un secolo dopo, la medesima operazione veniva ripetuta sul corpo di San Luigi di Francia a Tunisi, nel 1270, e poco appresso su quello della nuora Isabella d'Aragona e, più tardi, del figlio stesso di lui, Filippo III, nel 1285, per non ricordare che i casi più ragguardevoli.
Come è ormai indiscutibilmente provato, appunto dagli orrori di simili macabre operazioni fu provocata la famosa bolla De sepulturis di papa Bonifacio VIII (i marzo 1299), bolla che per lungo tempo si volle, e si vuole tuttora da taluno, emanata allo scopo di arrestare il primissimo risveglio degli studî anatomici ricondotti al vero e naturale loro obiettivo, o per lo meno di stornare da essi i religiosi, confermando sul capo di Bonifacio la severa ma ingiusta accusa del Haller di imperitus et ferox pontifex. Nella bolla infatti vengono colpiti da scomunica esclusivamente i corpora defunctorum exenterantes, et ea immaniter decoquentes, ut ossa, a carnibus separata, ferant sepelienda in terram suam, mentre non c'è il minimo accenno, neppure indiretto, alla dissezione anatomica a scopo di studio, né avrebbe potuto esserci, dato che le prime regolari incisioni di cadaveri umani con tale intendimento ebbero luogo circa tre lustri dopo in Bologna, per opera di Mondino; e solo in singoli casi eccezionali a scopo diagnostico, in occasione di epidemie o per sospetto di veneficio, s'era proceduto anche anteriormente, verso la fine del Duecento e ai primordî del Trecento, all'apertura del cadavere umano.
È innegabile però una certa influenza paralizzatrice, che l'editto del capo della Chiesa non mancò di esercitare sulla rinascente disciplina, quantunque Mondino stesso riuscisse a conciliare i suoi doveri di buon cristiano con la propria coscienza, astenendosi solo dal far bollire ossa per liberarle dalle parti molli: metodo, questo, cui non mancarono peraltro di ricorrere i suoi successori, e particolarmente il De Chauliac, l'Achillini, il Benedetti, il Berengario.
Luigi Mondino de' Liuzzi incominciava adunque la pubblica anatomia nello Studio bolognese intorno al 1315 (fig. 4), dissecando in tale anno, in meno di tre mesi, due cadaveri di donna, come riferisce egli stesso nella sua Anathomia, divulgata l'anno successivo. Egli procedeva nello studio dell'anatomia sul cadavere secondo un ordine speciale, seguito poi scrupolosamente dagli allievi e particolarmente da Nicolò Bertuccio, sulla fede di Guy de Chauliac. Dopo un esame generale del cadavere, rilevando id quod homo differentiam habet ab aliis animalibus, egli procedeva excarnando, cioè mercé la dissezione, allo studio analitico, metodico, dei diversi organi, e lo divideva in quattro lezioni, dedicando le tre prime ai visceri accolti nei tre ventri a cominciare dall'inferiore, e riservando l'ultima lezione allo studio delle estremità. Egli distingueva a tale proposito un venter inferior, cioè l'addome, nel quale erano accolti i membra naturalia, che doveano studiarsi per primi perché, essendo foetida (citius putrebilia, nota lo Chauliac), prius abiiciantur; un venter medius, cioè il torace, sede dei membra spiritualia o vitalia, e un venter postremus, contenente i membra animata, cioè il capo, di cui parte essenziale il cerebrum.
In realta il Mondino si attenne più o meno a Galeno e agli Arabi, dai quali pure attinse, come vedemmo, alcune denominazioni; solo nella descrizione del cuore, degl'intestini, del cervello e di pochi altri organi gli si vuol riconoscere qualche concetto nuovo. Il merito principale di lui rimane però quello di aver inaugurato il metodo di studiare l'anatomia non sui libri, ma sul cadavere umano, rinnovando a sedici secoli di distanza le classiche tradizioni della scuola d'Alessandria.
E di fatto il testo del Mondino, con valore soprattutto, diremmo oggi, di guida metodica agli esercizî di preparazione, fu poi seguito per due o tre secoli in quasi tutte le università italiane e straniere; in molte anzi, come a Padova e a Tubinga, era fatto obbligo espresso ut anatomici explicationem textualem ipsius Mundini sequantur.
I due celeberrimi Studî di Bologna e di Padova, con il collegio medico di Venezia, hanno il vanto di essere i primi e più antichi centri di tali studî rinnovati, nonché in Italia, nel mondo. In realtà anche in Francia, nell'università di Montpellier, già nell'ultimo periodo scolastico l'anatomia andava assumendo, nei rispetti della chirurgia, un significato speciale, ed è forse da attribuirsi a tale scuola, piuttostoché alla salernitana, una cosiddetta Anatomia Richardi illustrata dal Daremberg, appartenente con verosimiglianza a quel periodo, durante il quale il chirurgo Enrico di Mondeville insegnava in tale università, sia pure sulle tracce di Avicenna, l'anatomia del teschio sopra una preparazione originale e quella del rimanente corpo sopra 13 tavole murali; ed è pure gloria della stessa scuola Arnaldo di Villanova, lo strenuo avversario del tomismo e precursore dei nuovi studi anatomicî. Tuttavia la prima dissezione non ebbe luogo a Montpellier che nel 1376 o nel 1377; più tardi, nel 1391, a Lerida di Catalogna, e solo nei primi anni del sec. XV, nel 1404, a Vienna, per opera del padovano Galeazzo di Santa Sofia, che spese in tale dissezione otto giorni.
Di speciale importanza per la storia dell'iconografia anatomica è la cosiddetta serie di cinque figure (fig. 5), di cui si conservano varî codici, il primo dei quali risale alla metà del dodicesimo secolo. Tali figure riproducono in maniera quanto mai rozza ed irreale, nel corpo umano visto di faccia, rispettivamente le vene, le arterie, i nervi, le ossa e i muscoli. Pure degne di nota sono le illustrazioni annesse a codici posteriori, e specialmente a quelli dell'Anatomia di Enrico di Mondeville.
Fra gli anatomici trecentisti sono da ricordare particolarmente i predetti Bertuccio, allievo e successore del Mondino in Bologna, e Guy de Chauliac, nella cui Chirurgia magna il primo trattato concerne l'anatomia basata sui dati di Galeno e di Mondino; Guido da Vigevano, medico di Giovanna di Borgogna e di Filippo VII, la cui Anathomia, oltre al resto degli scritti medici, è sempre estratta a libris Galieni e corredata di disegni anatomici di corpi umani quanto mai schematici e primitivi. È degno pure di particolare menzione il medico inglese Giovanni di Arderne, non tanto per il testo dei suoi scritti, quanto per le 13 tavole anatomiche annesse, delle quali la IV e la XIII di speciale interesse, perché riproducono, dal vero, quantunque in forma primitiva, le due metà del cadavere umano, viste rispettivamente davanti e di dietro, separate mercé un taglio sagittale mediano.
A cavaliere ai due secoli decimoquarto e decimoquinto, ricorderemo, della scuola di Bologna, Pietro di Argelata, e di Padova il predetto maestro Galeazzo di Santa Sofia, e Ugo Benzi da Siena, non solo chirurgo il primo, filosofi e medici gli altri due, ma anche provetti anatomici e continuatori delle tradizioni del Mondino.
In pieno secolo decimoquinto due anatomici sono degni di particolare menzione, Giammatteo Ferrari de' Gradi e Bartolomeo Manfredi, di Bologna. Al primo compete il merito speciale dî avere meglio riconosciuto la natura degli ovarî femminili, ch'egli descrive come duo ova coperti da piccoli corpi ghiandulosi, mentre il secondo, nella sua De corporis humani anothomia, scritta in volgare, benchè i titoli dei capitoli siano latini, si attiene essenzialmente a Mondino.
Allo stesso secolo, quantunque vissuti sino ai primi anni del successivo, si considerano pure appartenenti altri due anatomici, aggregatî per ciò al gruppo dei cosiddetti arabisti, cioè Gabriele de' Zerbi di Verona e Alessandro Achillini di Bologna. Ma mentre il primo avanzava di poco il Manfredi nei rapporti con il Mondino, rispetto al quale gli si riconosce tutt'al più una migliore descrizione dei nervi olfattorî e delle vie lacrimali, l'Achillini invece potrebbe a buon diritto considerarsi già all'avanguardia del primo gruppo dei restauratori, tanto riuscì, per mezzo delle sue molteplici dissezioni del cadavere umano, a far progredire le scienze anatomiche, ampliando e rettificando, in un razionale commento dell'opera mondiniana, le osservazioni dell'insigne capo scuola. Sono infatti a lui attribuite la prima descrizione degli ossicini incudine e martello dell'orecchio medio, del condotto sotto-mandibolare, della valvola colica, detta poi del Bauhin, dell'imene; una migliore descrizione del tarso, delle vene del braccio, del duodeno; ulteriori osservazioni, a complemento delle galeniche, nel campo del sistema nervoso centrale, relative all'olfattorio, ai ventricoli e specialmente al corno inferiore dei laterali, e alla midolla spinale, ch'egli ha riconosciuto arrestarsi a livello della prima vertebra lombare.
Inversamente il contemporaneo Alessandro Benedetti di Legnago, benché considerato fra i restauratori dell'anatomia, rimase nel campo delle osservazioni anatomiche al di sotto dell'Achillini: gli si attribuisce il merito di avere per primo tentato la conservazione a secco dei preparati di muscoli, vasi e nervi, e di aver osservato gli sbocchi delle ghiandole vestibolari maggiori, dette poi del Bartholin. Il suo merito principale gli deriva tuttavia dalla cattedra di Padova, e non tanto per il primo teatro anatomico da lui quivi eretto, quanto per l'indipendenza dei giudizî e la ribellione alla autorità del testo del Mondino nell'insegnamento pubblico dell'anatomia, cosicché egli viene non a torto considerato come il fondatore della scuola anatomica padovana.
A cavaliere dei due secoli decimoquinto e decimosesto devono pure ricordarsi, specialmente dal punto di vista iconografico, le pubblicazioni di alcuni stranieri, quali il Fasciculus medicinae del Ketham, il Philosophiae naturalis compendium e la Compendiosa capitis phisici declaratio del Peyliglí, l'Amhropologium de hominis iligititate del Hundt (Magnus HriJrdt), la lI argariia philosophiae del Reisch e, un po' più tardi, l'Anatontiac pars prior di Johannes Eichmann (Dryander). Le illustrazioni anatomiche, di cui sono corredate tali opere, sono quanto mai rozze e primitive, cosicché la loro importanza è esclusivamente d'indole storica.
Primo fra i veri e proprî restauratori dell'anatomia veniva generalmente considerato Iacopo Berengario da Carpi, ma da pochi anni la sua figura viene, e non poco, adombrata da quella gigantesca di Leonardo da Vinci, conosciuta ora finalmente attraverso i manoscritti pubblicati nella loro integrità.
Anche nella storia delle scienze anatomiche Leonardo deve essere considerato da un punto di vista tutto speciale, in primo luogo perché l'opera sua, a differenza di quella dei rimanenti autori, non giunse a noi nella veste definitiva, ma in fasi diverse della sua evoluzione, forse non mai ultimata; in secondo luogo perché tale opera, rimasta quasi interamente sconosciuta sino ai giorni nostri, non poté regolarmente inserirsi nella naturale successione dei progressi fatti a traverso i secoli dall'anatomia.
A differenza del Mondino, che con Galeno, Avicenna, de' Zerbi e Benedetti, è fra i pochi anatomici che, molto parcamente, egli ricordi, Leonardo non si limitava, nelle numerose ed accurate dissezioni del cadavere umano ch'ebbe occasione di fare, a ricercarvi e ad annotare quanto osservava più o meno in armonia con le affermazioni degli antichi, ma, indipendentemente o quasi da qualsiasi preconcetto, riproduceva, talora con semplici schizzi, non di rado con disegni quanto mai fedeli e dimostrativi (figg. 6, 7), i preparati anatomici da lui allestiti, e li illustrava quindi con note descrittive ed interpetrative, se non sempre esatte, certo notevoli per profondo spirito di osservazione e di critica. Spetta quindi a Leonardo il sommo merito di avere per primo riprodotto direttamente dal naturale e con esattezza gli organi del corpo umano, isolati o raggruppati e spesso veduti ciascuno da più parti, e non solo nella dissezione per strati, ma anche in sezioni secondo piani variamente orientati: ad es. gli arti inferiori in tagli trasversi, la testa, il tronco, il bacino in tagli sagittali mediani (metodo questo, come vedemmo, già seguito in precedenza dall'Arderne).
Altri metodi dimostrativi grafici da lui ideati consistono nel rappresentare trasparenti gli organi più superficiali per rendere manifesti i profondi; nel sostituire i muscoli con fili attaccati alle rispettive origini ed inserzioni per comprenderne la funzione; nel dimostrare i visceri dal lato dorsale, previa ablazione della parete posteriore del tronco. Dev'essere poi particolarmente a lui rivendicata la priorità dell'idea di iniettare con masse solidificabili gli organi cavi, per riprodurre esattamente la forma delle loro cavità: metodo che egli usò per ritrarre il getto in cera dei ventricoli cerebrali. Notiamo tuttavia incidentalmente come già Galeno usasse iniettare d'aria i vasi cerebrali per meglio conoscerne la distribuzione, e come il concetto di Leonardo applicato ai vasi per mezzo di liquidi diversamente colorati possa farsi risalire ad Alessandra Giuliani di Persiceto, allieva del Mondino. Avendo ancora Leonardo proposto, per lo studio dell'occhio, di immergerlo in chiara d'uovo e far bollire il tutto per poi tagliare insieme massa coagulata ed occhio, egli può essere anche considerato come un precursore dei metodi d'inclusione della moderna tecnica istologica. Degno inoltre di particolare segnalazione il principio vinciano di associare allo studio degli organi quello della loro funzione.
L'embriologia, l'anatomia sistematica, topografica, artistica ed anche costituzionale dell'uomo, non che l'anatomia e l'embriologia comparate, ebbero dagli studî di Leonardo validissimi contributi. Ci limiteremo per brevità a ricordare le osservazioni, e più di esse i meravigliosi disegni, del feto, la cui lunghezza è ritenuta eguale a quella del cordone ombelicale, mentre sui rimanenti annessi fetali egli rimase essenzialmente fedele a Galeno e ad Avicenna; altrettanto si dica relativamente ai membri semplici, dei quali, seguendo fondamentalmente i Greci e gli Arabi, egli distingue i seguenti undici: cartilagine, ossi, nervi, vene, arterie, pannicoli, legamenti, corde e cotica, carne e grasso. Veramente originali sono le osservazioni sullo scheletro, e particolarmente sul teschio con le sue cavità pneumatiche e sull'esatta posizione del bacino; sui diversi gruppi di muscoli e particolarmente sul diaframma e sulle loro funzioni; sulla sistematica e topografica dei vasi e dei nervi; sul cuore, rispetto al quale e al problema della circolazione non seppe superare, nonostante felici tentativi, gli antichi errori, pure avendovi bene riconosciuto l'endocardio parietale, gli atrî come cavità indipendenti dalle vene (ventricoli superiori), un caso di foro ovale nell'adulto, le trabecole intraventricolari, compreso il fascio moderatore, detto appunto trabecola di Leonardo (Holl), le valvole specialmente semilunari nella loro struttura e funzione, e i seni detti poi del Valsalva. Pur non essendo sempre riuscito a distinguere le arterie dalle vene, intuì tuttavia l'esistenza dei capillari. Dati importantissimi concernono pure i visceri, fra i quali l'utero considerato come formazione impari; il sistema nervoso centrale, e particolarmente i ventricoli cerebrali, e l'occhio.
Nel campo dell'anatomia artistica, oltre ai fondamentali precetti raccolti principalmente nel trattato della pittura, sono degni di particolare menzione gli studî sulle proporzioni del corpo dell'uomo (nonché del cavallo e del cane), costituenti un canone, se non definitivo, certo più particolareggiato e perfetto di quello degli antichi, specialmente di quello cosiddetto di Varrone e del vitruviano, e dei poco anteriori o contemporanei di Cennino Cennini, di Lorenzo Ghiberti, di Leon Battista Alberti, di Pomponio Gaurico. Esso precede di poco il classico canone del pittore tedesco Albrecht Dürer.
Ricordiamo poi semplicemente, perché spettanti di preferenza alla fisiologia, gli studî vinciani sulla meccanica del corpo umano.
L'ipotesi dell'influenza, che, secondo il Vasari, avrebbe avuto Marcantonio Della Torre sugli studî anatomici di Leonardo, ha perduto oggi, in base ai risultati della critica, quasi ogni valore.
Anche Berengario da Carpi, come vedemmo più sopra, ebbe modo di fondare le osservazioni sopra abbondantissimo materiale umano, avendo dissecato in sua vita quamplurima centena cadaverum, e tanto nei commentarî al trattato del Mondino, quanto nelle Isagogae breves (corredati di disegni, fra i quali uno di scheletro umano, che per la sua primitiva rozzezza sembra di molti secoli anteriore ai disegni osteologici di Leonardo, v. fig. 8), modificò e corresse inesattezze ed errori, nonché di Galeno, del suo predecessore nello Studio bolognese, e aggiunse numerose particolarità alla conoscenza di parecchi organi. Ricordiamo in proposito l'anatomia del feto; le parti similari; alcune ossa del teschio e in modo speciale i seni sfenoidali; l'osservazione della maggiore ampiezza del torace maschile e del bacino femminile; la migliore descrizione dei muscoli addominali, delle suddivisioni delle carotidi alla base del cranio, negandovi l'esistenza delle reti mirabili ammesse da Galeno; del condotto sotto-mandibolare; degli strati dello stomaco; del processo vermiforme; delle cartilagini aritenoidi; del timo; dei reni, le vene dei quali egli iniettava per sy,ringam, aqua calida plenam; di alcune parti del cervello; dei nervi olfattorî ed ottici e dei due maggiori ossicini dell'udito.
Degli anatomici prevesaliani d'Italia meritano ancora un ricordo Guido Guidi (Vidus Vidius) di Firenze, la cui Anatomia corredata di 78 tavole, fu tuttavia pubblicata più di mezzo secolo dopo la Fabrica vesaliana; noto nella scienza per il canale pterigoideo dello sfenoide, che insieme con il nervo e i vasi che lo percorrono, da lui prende nome, mentre erroneamente gli venne attribuita la scoperta dei noduli delle valvole semilunari; e Nicola Massa di Venezia il quale, nonostante alcune rettifiche all'anatomia di Galeno, ne rimase pur sempre sostenitore; gli è attribuito particolarmente il merito d'aver ammesso che l'appendice vermiforme rappresenti quella parte del cieco, che ha conservato i primitivi caratteri.
Contemporaneo del Vesalio, piuttostoché prevesaliano come viene spesso considerato, fu Giambattista Canano di Ferrara, che dimostrava, solo però verbalmente, le valvole delle vene; è autore di un trattato di miologia umana corredato di 27 figure disegnate da Girolamo da Carpi, concernente i muscoli dell'estremità superiore. In esso si trova illustrato il palmare breve.
Ricordiamo anche, prima del Vesalio, la scuola francese, che vanta fra i suoi più cospicui rappresentanti i due maestri di quel sommo: Giacomo Dubois (Iacobus Silvius) e Giovanni Gonthier o Günther di Andernach (Guintherus Andernacensis): appartennero anche a questa scuola Carlo Ètienne o Estienne (Carolus Stephanus) di Parigi, Giovanni Fernel (Fernelius) forse di Clermont, anche matematico, filosofo e medico e, un po' posteriore, il chirurgo Ambrogio Paré (Paraeus) di Laval.
Nonostante rare autopsie, di cui vedemmo la prima eseguita a Montpellier, già nella seconda metà del secolo decimoquarto, le immense difficoltà e spesso l'impossibilità di poter dissecare il corpo umano a scopo scientifico costrinsero tali autori a limitarsi nelle loro ricerche ai soli animali; si aggiunga che, essendo generalmente rimaste loro sconosciute le opere del Mondino e degli altri anatomici italiani dei secoli XIV e XV, vennero a trovarsi, per il periodo nel quale fiorirono, in condizioni d'inferiorità, rimanendo caldi seguaci e fautori di Galeno e, all'occasione, strenui difensori delle sue dottrine di fronte a coloro che osavano infirmarne l'esattezza.
Accanito ed eccessivo nella forma, in tale difesa, fu il Dubois contro il Vesalio, allorche questi, come vedremo fra poco, aveva riconosciuto alla stregua delle osservazioni sul cadavere umano gli errori nei quali era caduto il medico di Pergamo, attribuendo all'uomo i reperti della dissezione degli animali.
Spetta tuttavia al Dubois l'incontestato merito d'aver fondato la scuola anatomica francese; nonostante la cieca fede nelle dottrine ippocratiche e galeniche, la storia gli riconosce qualche merito: egli usava mettere in evidenza i vasi iniettandoli per mezzo di piccoli tubi con aria o con liquidi colorati (vedemmo più sopra come di tale metodo spetti ad altri quella precedenza, che taluno a lui riconobbe); si noti però che il Sylvius, al quale si volle, pure erroneamente, legato il nome dell'acquedotto, non che della fossa e della fessura laterale del cervello non è, come alcuni credono, il Dubois, bensì Franz de le Boë del secolo decimosettimo, mentre invece al Dubois spetterebbe il merito d'aver segnalato, oltre alla valvola venosa allo sbocco dell'azigos e ad altre valvole, anche quella della vena cava inferiore, detta poi dell'Eustachio: membranae epiphysis... in... trunco cavae ex hepate prosilientis. Non mancano quelli che vogliono localizzare tale valvola allo sbocco delle vene epatiche, dove secondo altri sarebbe stata segnalata invece dall'Ètienne. Il quale, meno pedissequo seguace delle dottrine galeniche in confronto del maestro Dubois, merita qualcosa più del semplice ricordo, anche per altre osservazioni proprie, relative non solo alle valvole delle vene (apophyses venarum), ma soprattutto al sistema nervoso, dove illustrava la presenza del canale centrale lungo tutta la midolla spinale e stabiliva l'autonomia del simpatico rispetto al vago e l'origine del nervo frenico. Fra i già menzionati della scuola francese l'Andernach è finalmente da segnalarsi come illustratore delle ossa dette poi wormiane.
Andrea Vesalio di Bruxelles, benché allievo della scuola francese, viene a buon diritto riconosciuto come appartenente alla scuola italiana, avendo trovato solo nel nostro paese quelle agevolazioni e quella larghezza di mezzi di studio, negategli, nonché nel suolo francese, nella sua stessa patria, che gli permisero di condurre a termine in breve tempo la sua opera monumentale. E infatti sono frutto quasi esclusivo degli studî compiuti a Venezia ed a Padova dal 1537 al 1543 i famosi sette libri De humani corporis fabrica e l'Epitome, con le mirabili tavole disegnate da Johann Stephan v. I Kalkar (figg. 9 e 10), pubblicati allorché contava appena ventinove anni, cosicché di fronte alla mole dell'opera condotta a termine in età così giovanile non mancarono quelli, che lo vollero più o meno plagiario di Leonardo: ipotesi destituita di serio fondamento.
Il Vesalio è a ragione considerato il fondatore della vera e propria anatomia dell'uomo. Mentre dei suoi due massimi predecessori il primo, il Mondino, non aveva saputo riconoscere nella struttura del corpo umano disposizioni diverse da quelle sancite ormai dalla secolare autorità del dogma galenico e il secondo, Berengario, pure avendo ampiamente e fecondamente attinto da un tale studio diretto, non era tuttavia riuscito a sottrarsi interamente a molti preconcetti, il Vesalio, seguendo la medesima via già opportunamente da essi tracciata e calcandola con orme più vaste e profonde, giunse ad abbattere dalle fondamenta la falsa anatomia dell'uomo foggiata dal Pergameno a somiglianza di quella dei bruti ed a rettificarne gli errori, ampliando con copia di interessanti particolari le descrizioni dei varî organi; invano scosso in tale sua opera radicalmente innovatrice dalla riprovazione, degenerata poi nelle più aspre invettive e nei più ingiustificati attacchi, del vecchio maestro fedele al giuramento sul verbo galenico e difensore ad oltranza di esso contro il presunto profanatore. Ed in realtà rimaneva nel Dubois così incrollabilmente ferma la certezza della verità di quanto aveva 14 secoli innanzi affermato Galeno, da essere piuttosto inclinato, di fronte ai contraddittorî reperti del Vesalio, a supporre che la struttura del corpo umano fosse mutata, anziché tacciare di errore il sommo maestro dell'antichità. È indispensabile un cenno riassuntivo, un po' neno sommario dei precedenti, del contenuto dell'opera fondamentale del Vesalius, pure rinunciando a riferire sulle secondarie.
Preceduta da una larga introduzione, la Fabrica tratta anzitutto, nel primo libro, dello scheletro: ossa, cartilagini e articolazioni. Ci limiteremo a menzionare in proposito la prima esatta descrizione dello sfenoide (os cuneiforme); l'osservazione, nel temporale, del vestibolo con la finestra ovale e del fondo del meato acustico interno; il riconoscimento della non esistenza nella mascella dell'osso intermascellare autonomo, proprio di altri animali; e altri riconoscimenti, quali: l'unità, anziché la duplicità della mandibola; il fatto che il sacro è costituito di cinque vertebre, anziché di tre, e lo sterno di tre segmenti, anziché di sette; l'assenza dell'osso cardiaco. Delle cartilagini Vesalio descrive quelle delle palpebre, delle orecchie, del naso, della laringe, della trachea.
Nel secondo libro sono trattati i legamenti ed i muscoli: egli ne distingue le varie specie, considerando come legamenti anche le cavità sierose ed i tendini. Espone diffusamente la miologia, descrivendo i muscoli per strati, premesso lo studio dei comuni tegumenti, nelle diverse parti del corpo a partire dalla testa: nelle estremità tuttavia preferisce considerarli in ordine fisiologico, a seconda del loro diverso ufficio. Qui pure non manca di rilevare gli errori di Galeno, per esempio relativamente allo scaleno posteriore, al dentato anteriore, al retto dell'addome, al diaframma. Non è da tacersi tuttavia come alcuni muscoli, quale l'elevatore della palpebra superiore, lo pterigoideo esterno, nonché quelli del palato, della faringe e varî della laringe gli siano sfuggiti.
Il terzo libro tratta delle vene e delle arterie, e anzitutto dei loro caratteri e differenze. Il Vesalio distingue, delle prime, quattro tronchi principali: due nell'addome, cioè la vena porta e, nel feto, la ombelicale, riunite per mezzo delle epatiche e del condotto venoso; due nel torace, rappresentati dalla cava (atrio destro il quale, come vedemmo più sopra, già Leonardo aveva, con il sinistro, considerato parte integrante del cuore) e dalla vena arterialis (arteria polmonare). Distingue inoltre due tronchi arteriosi, cioè l'aorta e l'arteria venalis (atrio sinistro). Pur avendo così abbattuto il concetto galenico dell'origine epatica delle vene, rimase tuttavia legato ancora agli antichi concetti sulla circolazione del sangue. Alla categoria dei vasi assegnava anche gli organi molto vascolarizzati, come il fegato, la milza e varie membrane (pia madre, mucose).
Il quarto libro concerne i nervi e la midolla spinale (medulla dorsalis): sono stabiliti di quelli i caratteri generali, l'origine dal cervello e dalla midolla, la presenza di ganglî nel loro decorso; tuttavia nella descrizione delle sette paia cerebrali non si discosta di molto da Galeno.
Passando nel quinto libro agli organi della nutrizione, il Vesalio incomincia con il peritoneo, descrivendo poi faringe ed esofago come formazione unica (stomachus, secondo la denominazione greca già seguita da Celso e da Cicerone), di cui considera quattro ghiandole annesse, cioè all'inizio le tonsille e a metà altezza un incostante corpus glandulosum pari, che altro non è se non il gruppo delle linfoghiandole bronchiali; il ventricolo, l'omento e il pancreas (glandulosum omenti corpus), gl'intestini con le loro ghiandole, corrispondenti alle linfatiche mesenteriali, il fegato con la bilis flavae vesicula, la milza, di cui nega i rapporti fisiologici generalmente ammessi con il ventricolo e descrive bene la grossolana struttura. Passa quindi allo studio dei reni, ureteri e vescica, poscia agli organi della generazione, da un lato i testicoli con le diverse tonache, condotti deferenti e pene, dall'altro l'utero (la cui imparità, già riconosciuta dai talmudisti e da Leonardo, di fronte alla duplicità ammessa da Galeno, costituisce forse, per Galeno, il più grave capo d'accusa) con gli ovarî (mulierum testes), dove è pura riconosciuta la presenza dei follicoli, le trombe (seminaria vasa) e la vagina (cervix uteri, contrapposta al fundus, corrispondente all'utero propriamente detto) con imene e genitali esterni. Nella successiva descrizione degli annessi fetali non si discosta dagli antichi concetti, pur negando nell'uomo i cotiledoni (uteri acetabula), e chiude il libro con la descrizione della mammella e con precetti tecnici sulla dissezione dei visceri.
Segue nel libro sesto uno studio accurato del cuore e degli organi ad esso legati. Incomincia con la pleura (membrana costas succingens), facendo seguire il mediastino, laringe e trachea (aspera arteria), ghiandole delle fauci, velo palatino e specialmente uvula (gargareo), polmoni, ove nel destro nega la presenza del quinto lobo (lobo retrocardiaco), che Galeno aveva descritto accusando Erofilo e Marino di non averlo veduto, il che si spiega, avverte l'autore, quum illi hominum cadavera, non autem cum ipso (Galeno) simiarum ae canum duntaxat aggrederentur. Passa quindi alla descrizione del pericolo nella sua esatta topografia rispetto al diaframma ed alla descrizione del cuore nella sua sede, forma, costituzione, nelle due cavità (ventricoli) e negli apparecchi valvolari ai quattro orifici: notevole l'osservazione della mancanza dei fori ammessi da Galeno e non negati neppur da Leonardo, nel setto dei ventricoli.
L'ultimo libro è dedicato al cervello e agli organi di senso. Incomincia con lo studio della dura madre e del pericranio, e a questo punto fa menzione delle vene emissarie e delle granulazioni aracnoidali; seguono, accuratamente descritte, le principali formazioni del cervello e del cervelletto, con distinzione fra sostanza bianca e grigia, e i ventricoli. Degli organi di senso vengono separatamente trattati quello dell'olfatto; l'occhio nei suoi mezzi di refrazione e nelle sue tonache, riconoscendosi nella retina un'espansione del nervo ottico; sommariamente gli organi dell'udito, del gusto e del tatto. Il libro, e con esso l'opera, si chiudono con precetti sulla dissezione delle parti descritte e sulla vivisezione.
L'Epitome riassume in ordine diverso la materia trattata nella Fabrica. Per tacere delle figure intercalate nel testo, la Fabrica è corredata di 17 tavole riproducenti 3 lo scheletro e 14 i muscoli dell'intero corpo umano: al Compendio sono invece annesse 7 tavole, delle quali 2 rappresentano il nudo maschile e femminile e cinque i muscoli d'insieme.
Il Vesalio ebbe una serie di allievi non solo diretti, ma anche indiretti fra quelli che ne studiarono le opere e che, per questo solo fatto, si considerarono come tali: tra questi il Falloppia.
Primo fra tutti deve menzionarsi il suo successore nella cattedra di padova, il cremonese Realdo Colombo (Columbus), che nei suoi 15 libri De re anatomica espone, basati sull'osservazione di innumera corpora, molteplici fatti che completano in alcune parti l'opera del maestro. Ricordiamo una più accurata descrizione di varie ossa, la scoperta di alcuni muscoli, quali il piramidale, disegnato ma non descritto dal Vesalio, il genioglosso, il sopracciliare; osservazioni sulla laringe e specialmente sui suoi ventricoli; sul cervello e partilcolarmente sui suoi vasi e sul circolo arterioso della base, detto poi del Willis; sull'orecchio interno. Il merito principale del Colombo rimane tuttavia quello, condiviso, ma in grado inferiore, dallo spagnolo Miguel Servet (Servetus), di avere, con una più accurata descrizione del cuore e delle due arterie maggiori, intuito il meccanismo della piccola circolazione del sangue, aprendo con Girolamo Fabrici d'Acquapendente (v. più innanzi) la via per la quale Andrea Cesalpino e William Harvey giunsero alla scoperta della circolazione generale del sangue.
Al nome del Colombo si associa quello dell'allievo spagnolo Juan Valverde de Hamusco, autore di una storia della composizione del corpo umano, corredata di tavole in rame, condotta precipuamente sulla falsariga della Fabrica vesaliana
Successore nella cattedra di Padova al Colombo, allorché questi si trasferiva a Pisa, il modenese Gabriello Falloppia (Falloppius) nelle sue celebri Observationes anatomicae e secondariamente in altri scritti, trattò di preferenza argomenti lasciati incompiuti dal Vesalio, rettificandone varie affermazioni e cercando, ma con armi ben diverse da quelle usate pochi anni prima dal Dubois, di difendere Galeno dalle troppo gravi accuse del Vesalio, mostrando che le descrizioni di questo potevano riferirsi, anziché all'adulto, a feto umano, e che alcune di esse, come quella, ad es., dello sterno con i suoi sette punti di ossificazione, potevano trovare adeguata giustificazione. La tesi non lasciava tuttavia indifferente il Vesalio il quale, in forma dignitosa, rispondeva con un Examen di dette Osservazioni, tentando di rimettere i fatti nella loro giusta luce.
Si attribuisce anzitutto al Falloppia il merito d'avere descritto le partes similares del corpo umano (in lezioni raccolte dagli allievi Volcher Coiter e Andrea Marcolini), classificandole in base ai caratteri fisici e a seconda che traggano origine dal sangue o dal seme, così da doversi ritenere un precursore degli studî istologici moderni: il principio risale tuttavia, come vedemmo più sopra, ad Aristotele, a Galeno (del quale è la predetta classificazione embriologica), ad Avicenna, e ne trattarono pure più o meno gli arabisti, Leonardo da Vinci ed altri anatomici del Rinascimento. Merito maggiore spetta invece al Falloppia per gli studî sulle ossa particolarmente del feto, nei riguardi dei punti di ossificazione e sul significato del periostio, su alcuni muscoli e particolarmente sull'elevatore della palpebra superiore e su quelli del palato molle, sulla valvola colica, sugli organi genitali e specialmente sulle trombe uterine alle quali, avendole egli per primo esattamente descritte, legava poi indissolubilmente il suo nome; sopra varî nervi encefalici, trigemino, facciale con la corda del timpano, acustico, glossofaringeo; sui plessi cardiaci, sull'organo dell'udito, di cui illustrò particolarmente l'anello timpanico, le finestre, i canali semicircolari e la chiocciola.
L'accusa fata al Falloppia d'aver sezionato vivi dei condannati a morte, cade di fronte ad un severo esame critico dei documenti; in realtà la sezione fu eseguita sopra cadaveri di condannati fatti da lui morire con la somministrazione di forti dosi d'oppio; l'accusa di omicidio, sia pure a fine scientifico, non rimane però cancellata.
Accanto al Falloppia trova degno posto Bartolomeo Eustachio da San Severino nelle Marche, il quale, con minore serenità di quello, ma con pari convincimento, cominciò a difendere Galeno contro l'opera demolitrice del Vesalio, non mancando tuttavia di correggere lo stesso Galeno dove lo trovava in effettivo errore. Numerosi e importantissimi sono i suoi contributi: nel campo del sistema scheletrico descrisse meglio alcune ossa del teschio, illustrando quelle accessorie già vedute dall'Andernach e dette poi impropriamente wormiane dal nome del Worm; riconobbe i rapporti che intercedono fra i capi articolari delle diverse ossa e illustrò quelle sesamoidee (sesamina) della mano e del piede. Mirabili le sue ricerche sulla struttura e sullo sviluppo dei denti e sulla struttura del rene, studiata iniettandone alternativamente i vasi e l'uretere con spirito o con acqua. Ed appunto per tali studî si vuole ritenere l'Eustachio il primo che, non soddisfatto d'indagare la semplice conformazione macroscopica degli organi, volle spingersi a ricercarne l'intima costìtuzione. Altre indagini degne di nota sono quelle sulla vena azigos, nelle quali si accenna all'esistenza nel cavallo del condotto toracico con la cisterna del chilo, detta poi del Pecquet, e con lo sbocco nella vena giugulare sinistra; sulla valvola della vena cava inferiore, che prende il nome da lui; sul fegato e sul piccolo omento. Classiche le ricerche sull'orecchio, condotte quasi parallelamente a quelle del Falloppia, ove l'Eustachio illustrava particolarmente la tromba uditiva che porta il suo nome e scopriva il muscolo tensore del timpano e molte particolarità inerenti alla chiocciola. Dobbiamo finalmente ricordarne le Tabulae anatomicae, in origine in numero di 54, ma ridotte poi a 47, le quali rimasero purtroppo inedite sino ai primi anni del secolo decimottavo, quando videro la luce per merito del Lancisi; molte particolarità anatomiche messe in tal modo in evidenza già dall'Eustachio, rimasero così sino a questo tempo sconosciute.
Di minor fama, ma non indegno dei predetti anatomici fu il loro contemporaneo, il siciliano Giovanni Filippo Ingrassia di Regalbuto, pure allievo del Vesalio, il quale, nella sua opera fondamentale sulle ossa, uscita postuma nei primissimi anni del secolo decimosettimo, continua l'opera emendatrice del Vesalio sugli antichi concetti galenici: oltre ad aver meglio illustrato alcune ossa del teschio, e particolarmente lo sfenoide nei suoi processi pterigoidei da lui denominati, l'etmoide e la conca nasale inferiore, egli scoprì la staffa dell'orecchio medio, sfuggita al Vesalio, un po' prima che quasi contemporaneamente la segnalassero il Colombo, il Falloppia e l'Eustachio. Non è tuttavia da tacersi che gli spagnoli rivendicano tale scoperta a Pedro Gimeno, altro vesaliano, nel 1549. Sono pure dovute all'Ingrassia accurate ricerche sui corpi cavernosi del pene e dell'uretra e sulle vescichette seminali.
La scuola di Bologna vanta, nella seconda metà del sedicesimo secolo, due anatomici di alto valore, che noi possiamo anche, e particolarmente il primo, considerare della stessa scuola vesaliana: Giulio Cesare Aranzi, e Costanzo Varoli. Nella sua opera fondamentale cioè De humano foetu, l'Aranzi portò larghi contributi soprattutto allo studio degli annessi e della circolazione fetali: ampliando le osservazioni del Vesalio, dimostrò, contrariamente alle vedute di Galeno, che in corrispondenza della placenta, non solo non esiste continuità fra la sostanza dell'utero e le radici dei vasi ombelicali ma che fra l'una e l'altro è interposta una caro media: ammise intorno al feto umano solo il corio, che deriva dal peritoneo, e l'amnio, proveniente dalla cute, mentre vi negava la presenza dell'allantoide e dell'uraco, ammesse da Galeno, sostenendo esser questi proprî dei soli bruti. Descrisse nel funicolo due guaine, l'esterna formata dall'amnio, l'interna dal corio, riunite da una sostanza glutinosa, quella che fu poi detta gelatina del Wharton. Nella circolazione fetale sono notevoli i contributi da lui apportati nei riguardi del foro ovale del cuore e della sua valvola, del condotto arterioso e particolarmente del condotto venoso che da lui prende nome; ut si specillum in umbilicalem venam immiseris, inde in portae truncum, dein dictae continuationis ratione recta in cavam pervenies. Nelle Observations anatomicae l'Aranzi deserisse alcuni muscoli nuovi o poco noti, fra i quali l'elevatore della palpebra superiore (descritto anche dal Falloppia, e non del tutto ignoto agli antichi), dimostrando l'origine profonda dei muscoli dell'occhio in corrispondenza del contorno del foro ottico, anziché della dura madre; l'anatomia dell'occhio, dei ventricoli laterali del cervello e particolarmente quella del corno inferiore di questi con l'ippocampo (pes hippocampi), e di alcuni seni venosi della base. Illustrò pure, non solo all'orificio aortico, ma anche a quello dell'arteria polmonare, i noduli valvularum semilunarium, che tuttavia solo nel primo orificio portano il suo nome.
Con assiduità maggiore del suo illustre, conterraneo, il Varoli si dedicò allo studio dell'encefalo, proponendo un nuovo metodo di dissecarlo dal basso all'alto, e illustrandone parecchie formazioni, quali principalmente i nervi ottici, l'origine della maggior parte dei nervi cranici, le comunicazioni fra i varî ventricoli non senza un accenno al foro interventricolare, detto poi del Monro, l'ippocampo e, legato al suo nome, il ponte: ille processus cerebelli, quem pontem appello. Di contro a questo e alla midolla allungata segnalò poi il Varoli per primo l'aracnoide cerebrale.
Non certamente inferiore alla scuola bolognese fu, nella seconda metà del Cinquecento e nel primo quarto del secolo successivo, la scuola anatomica padovana, ove, intorno alla gigantesca figura di Girolamo Fabrici d'Acquapendente, succeduto nel 1565 nella cattedra al maestro Falloppia, fecero poi degna corona Giulio Casseri di Piacenza e Adriano Spigeli (Adriaan van den Spieghel, Spigelius) di Bruxelles, naturalizzatosi poi padovano, mentre altri valorosi stranieri, usciti dalla celebre scuola, diffondono poi in tutta Europa, coltivandola per proprio conto, la scienza da lui primitivamente appresa: i danesi Caspar Bartholin e Ole Worm, lo svizzero Caspar Bauhin, il tedesco Caspar Hofmann e, più importante di tutti, l'inglese William Harvey.
Le opere biologiche del Fabrici, venute alla luce solo a partire dal 1600, quantunque le relative osservazioni risalgano a parecchi anni innanzi, concernono solo parzialmente l'anatomia e l'embriologia dell'uomo, ma anche nella parte relativa all'anatomia e all'embriologia comparate, non è minore l'importanza che dobbiamo di riflesso riconoscervi pure nei rispetti dell'anatomia umana, poiché se i predecessori ricorsero talora al paragone fra le disposizioni degli animali e quelle dell'uomo, lo fecero precipuamente allo scopo di dimostrare gli errori nei quali era incorso Galeno, laddove il Fabrici conobbe veramente l'importanza che un tale studio comparativo ha nello stabilire il significato morfologico degli organi del corpo umano. Come già un secolo prima Leonardo, con il quale il Fabrici ha tanti punti di contatto, anche al di fuori dell'identità degli argomenti biologici presi a trattare, egli faceva seguire allo studio anatomico degli organi quello della loro funzione, e l'importanza ch'egli pure riconosceva all'iconografia quale necessario complemento della parte descrittiva, è dimostrata non solo dalle incisioni molteplici e in generale accurate che adornano le sue opere, ma anche dagli otto volumi delle sue Tabulae anatomicae, che si conservano a Venezia nella Biblioteca Marciana. Fedele a tali principî scientifici, l'Acquapendente studiò con indirizzo comparativo la formazione del feto e dei suoi annessi e la sua fisiologia, nelle quali ricerche, pure rettificando parecchi errori galenici, non seppe tuttavia interamente guardarsi dal non cadere egli pure in taluno di essi. Importantissimo il principio da lui sostenuto che maxima animalium pars ex ovis gignitur. Nel campo anatomofisiologico sono da menzionarsi le ricerche sui muscoli e sulle articolazioni, nei riguardi principalmente della meccanica, estesa poi allo studio del moto locale dell'intero corpo. D'argomento più propriamente anatomico sono le ricerche sui tegumenti; sulla struttura della faringe e dell'esofago (gula), del ventricolo e degli intestini; altro importantissimo gruppo di ricerche concerne l'occhio, l'orecchio e la laringe, sempre studiati anche in intimo rapporto con il loro modo di funzionare. Degne pure di rilievo le osservazioni, prime in ordine cronologico (fatte nel 1578, pubblicate solo nel 1603) sulle valvole delle vene (venarum ostiola), non già, come vedemmo più sopra, da lui scoperte, ma più accuratamente illustrate, non solo nei caratteri morfologici, ma anche dal punto di vista della loro ragion d'essere, contribuendo così notevolmente alla soluzione del problema del circolo sanguigno.
Primo fra gli allievi anatomici della scuola fabriciana, Giulio Casseri, inspirandosi ai principî del maestro, nonostante le acerbe lotte e il fiero antagonismo che li tennero divisi, studiò egli pure gli organi della voce e dell'udito dal punto di vista non solo dell'anatomia umana, ma anche di quella comparata e della loro funzione, e nel Pentaestheseion (da πέντε, "cinque" e αἴσϑησις, "senso"; inspirato forse nella scelta del titolo da quello biblico di Pentateuchos chirurgicum di un'opera del maestro) i cinque organi di senso, cioè del tatto, del gusto, dell'olfatto, dell'udito (riportando la precedente descrizione) e della vista, recandovi egli pure notevoli contributi. Non meno importanti sono le 78 Tabulae anatomicae e le 10 de formato foetu, pubblicate postume da Daniel Rindfleisch (Bucretius) di Breslavia, nelle quali sono messe in evidenza varie disposizioni, poco o punto note in precedenza, come l'aracnoide midollare.
Lo Spigeli invece, morto precocemente, lasciava un trattato anatomico distribuito in 24 lezioni, del quale le suddette Tavole casseriane avrebbero dovuto essere le illustrazioni, pubblicato poi dal predetto Rindfleisch sotto forma di 10 libri, e una monografia De formato foetu, edita pure postuma con le tavole del Casseri sullo stesso argomento. Il nome dello Spigeli è legato nella scienza al lobus quadratus del fegato, da lui bene illustrato, quantunque non scoperto, e, sebbene impropriamente, anche alla linea semilunaris dell'aponevrosi del trasverso dell'addome.
Dei rimanenti fabriciani è soprattutto degno di menzione il Harvey il quale, a prescindere dal sommo merito nel campo fisiologico, condiviso con il Cisalpino, della scoperta della circolazione del sangue, dev'essere qui segnalato per i suoi studî embriologici nei quali, completando il concetto fabriciano, giunse alla conclusione ovum esse primordium commune omnibus animalibus. Non è da tacersi tuttavia l'opinione del Harvey che l'uovo di mammifero, da lui osservato nell'utero, un po' dopo il concepimento, in forma di vescicola piena di liquido, sia una produzione dell'utero stesso, mentre gli ovarî non avrebbero importanza alcuna sulla sua genesi: lo sperma maschile avrebbe il semplice ufficio d'influire sull'organismo materno in modo da renderlo atto a produrre uova feconde.
Ritornando all'anatomia in Italia, ricordiamo, fra i contemporanei dei maestri testé menzionati, Leonardo Botallo di Asti, al quale, con precedenza su Giambattista Carcano, si attribuiva la scoperta dell'eventuale presenza nel cuore dell'adulto del foro ovale che da lui prende nome, già illustrato nel feto da Galeno, Vesalio ed Aranzi: vedemmo invece come tale scoperta nell'adulto debba rivendicarsi a Leonardo. Anche il canale arterioso non è senza contrasti legato al nome del Botallo.
Nella prima metà del secolo decimosettimo, mentre in Francia si segnalava in modo speciale nell'anatomia Jean Riolan il giovane, un altro grande italiano è degno anzitutto di particolare menzione: Gaspare Aselli di Cremona, il quale a Milano nel 1622 osservava incidentalmente in un cane ucciso durante la digestione (pur non riuscendo bene a interpetrare) le vene o vasi lattei, cioè i chiliferi, già segnalati, come vedemmo, dalla scuola anatomica di Alessandria per merito di Erofilo e di Erasistrato. Le sue osservazioni non venivano tuttavia pubblicate che nel 1627, quando ormai le vene lattee, in seguito a notizie giunte da Pavia, si dimostravano già a Padova, come ci riferisce il tedesco Werner Rolfinck, allievo dello Spigeli (e non del Fabrici, come fu erroneamente affermato). Solo più tardi, nel 1634 (non nel 1628 come si ritiene per lo più), per interessamento di Nicolas Fabri de Peiresc, consigliere al parlamento di Aix, informato dal Gassendi della scoperta dell'Aselli, venivano trovati i chiliferi, un'ora e mezzo dopo la morte, nel mesentere di un giustiziato, cui era stato fornito abbondante pasto poco prima dell'esecuzione.
In questi medesimi anni altri ricercatori recavano il loro contributo allo stesso argomento, e fra essi particolarmente Johann Wesling di Minden, prima a Venezia e poi a Padova, che con le sue dimostrazioni indicava la via della distinzione fra vasi chiliferi e linfatici propriamente detti, mentre nel 1647 Jean Pecquet di Dieppe descriveva negli animali la cisterna che da lui prende nome, già scoperta come vedemmo dall'Eustachio, che poi nel 1652 era da Jan van Horne di Amsterdam dimostrata nell'uomo. Intorno a questo periodo di tempo, o poco dopo, era definitivamente riconosciuta, per merito di Thomas Bartholin di Copenaghen (padre di Caspar Bartholin iunior, l'illustratore delle glandule vestibolari maggiori della vagina e del condotto sottolinguale maggiore), dell'inglese George Joyliffe, dello svedese Olåv Rudbeck e di qualche altro, la distinzione fra vasi lattei e linfatici già intravvista dal Wesling. Al nome di questo maestro dello studio patavino si ricollega quello dell'allievo Johann Georg Wirsung, che nel 1642 scopriva a Padova nell'uomo il condotto pancreatico che da lui prende nome.
Fra gli anatomici italiani della prima metà del seicento è ancora da menzionarsi Cecilio Folli (Folius) di Fanano per gli studî sull'organo dell'udito, per i quali il processo anteriore del martello porta il suo nome. Al principio della seconda metà appartiene l'astigiano Giovanni Guglielmo Riva, cui è riconosciuto il merito di aver data, fra i primi, la dimostrazione grafica completa del sistema chilifero dell'uomo.
Ma nella seconda metà del Seicento un nome ben maggiore di italiano si impone su quelli dei più insigni anatomici contemporanei del mondo: il nome di Marcello Malpighi di Crevalcore il quale, avendo applicato tra i primi l'uso del microscopio composto alle ricerche biologiche, giunse con le sue geniali osservazioni a risultati così notevoli, da essere meritamente considerato come il fondatore dell'anatomia microscopica. Fece accurate ricerche sulla struttura e sullo sviluppo delle ossa e dei denti; diede per primo un'idea esatta della costituzione del polmone e delle modalità con cui vi terminano i bronchi ed i vasi; riconobbe la circolazione capillare (già intuita, come vedemmo, da Leonardo); scoprì le ghiandole gastriche e intestinali; fece minute indagini sulle papille linguali, sulla struttura dell'encefalo descrivendo le cellule della corteecia cerebrale come minutissimi corpi ovoidali, dai quali traggono origine le fibre che costituiscono la sostanza bianca: vide pure, interpetrandole tuttavia come ghiandolette, le cellule della corteccia cerebellare dette poi del Purkinje. Restano, poi, indissolubilmente legati al suo nome lo strato germinativo dell'epidermide, i noduli linfatici lienali, le piramidi e i corpuscoli del rene. Si aggiungano le ricerche embriologiche, particolarmente sull'uovo, ch'egli riuscì ad osservare nella vacca non solo nell'ovario, ma ancora entro alla tromba uterina.
Accanto al Malpighi, nei riguardi particolarmente della struttura dei reni e delle papille linguali, va ricordato Lorenzo Bellini di Firenze, al cui nome si associano i tubuli renali retti; ma non è da dimenticare come la primitiva osservazione di questi voglia farsi risalire sino ad Areteo da Cappadocia.
Quasi contemporaneamente al Malpighi e al Bellini tracciavano orme profonde nel campo dell'anatomia microscopica l'inglese Robert Hooke e i due olandesi Jan Swammerdam e Antonie van Leeuwenhoch, al quale viene pure da taluno rivendicata la scoperta della cellula nervosa, e inoltre quelle dei corpuscoli del sangue e del latte, non che, a mezzo di un suo allievo, il Hamm, degli spermatozoidi, segnando così una data memorabile anche nel campo dell'embriologia.
Il sistema nervoso centrale e periferico ebbe, accanto al Malpighi, un acutissimo ricercatore contemporaneo nella persona dell'inglese Thomas Willis, del quale altre indagini pure assai accurate sulla struttura del polmone, dell'intestino, dei vasi sanguiferi e delle ghiandole passano in seconda linea al paragone con quelle nevrologiche. Mentre i predecessori avevano studiato quasi esclusivammte il sistema nervoso nell'uomo, il Willis, adottando nella sua Cerebri Anatome quel metodo comparativo, che in altri capitoli dell'anatomia aveva dato così fecondi frutti in Italia, ad opera precipuamente del Fabrici e del Cosseri, studiò il sistema nervoso dell'uomo, paragonandolo con quello degli altri Vertebrati, avendo avuto a collaboratore il compatriota ed amico Richard Lower, al quale del resto egli deve discreta parte della fama conseguita. Poté in tal modo illustrare nell'uomo numerose particolarità che più appariscono nei bruti e che ai precedenti ricercatori erano sempre sfuggite, e lo fece associando l'osservazione più attenta al ragionamento più rigoroso e sottile. Si deve inoltre al Willis una più razionale classificazione e migliore descrizione dei nervi cranici, da lui distinti in dieci paia per fusione del facciale con l'acustico (VII paio) e del glossofaringeo con il vago (VIII paio), e del sistema del simpatico (nervo intercostale).
Degno continuatore immediato dell'opera del Malpighi e del Willis nel campo nevrologico è il francese Raymond Vieussens il quale, confermando i risultati malpighiani sulla struttura della corteccia cerebrale, ne seguì le fibre attraverso il centro semiovale che da lui prende nome, la capsula interna e giù giù sino nella midolla spinale: egli è pure altamente benemerito, insieme con il predetto Lower, degli studî sulla struttura del cuore.
Numerosi altri anatomici stranieri fioriti nel Seicento meriterebbero ancora speciale menzione: ci limiteremo a ricordare, fra i principali, tre inglesi: Francis Glisson della cui Anathomia hepatis, non scevra di errori, sopravvive con il nome di lui la capsula fibrosa; Nathaniel Highmore, versato soprattutto nell'osteologia, ove legava il suo nome a quel seno mascellare già bene illustrato da Leonardo, e noto pure per gli studî sul testicolo, il cui mediastino è pur chiamato corpo di Highmore; Thomas Wharton, che nel suo trattato sulle ghiandole illustrava quel condotto sottomandibolare, che reca il suo nome quantunque già segnalato dal Berengario; il danese Niels Stenson (Stenonis) noto specialmente per i suoi studî sul sistema muscolare e sulle ghiandole salivali, di cui illustrava il condotto parotideo che porta il suo nome; il tedesco-olandese Franz de le Boë (Sylvius), menzionato più sopra a proposito del Dubois: l'olandese Frederik Ruysch, che con la sua longevità raggiungeva il primo terzo del secolo diciottesimo, l'eroe del celebre dialogo leopardiano con le mummie, il cui merito principale rimane quello di avere grandemente perfezionato la tecnica delle iniezioni dei vasi, riuscendo con tale metodo non solo ad allestire collezioni di preparati permanenti tenuti in sommo pregio, ma anche ad illustrare la minuta vascolarizzazione di molti organi membranosi, particolarmente della retina, e le valvole dei vasi linfatici e chiliferi.
È finalmente da ricordarsi nel Seicento, un po' al di fuori del campo strettamente anatomico, la classica opera del napoletano Giovanni Alfonso Borelli De motu animalium sulla meccanica del corpo animale, studio nel quale egli ebbe tuttavia predecessori, come già segnalammo, due altri grandi italiani, Leonardo e il Fabrici. Nel campo dell'embriologia occupano un posto eminente, accanto al predetto Stenson, l'aretino Francesco Redi e l'olandese Regnier van den Graaf per i loro studî di zoologia.
Alla fine del Seicento e al periodo a cavaliere fra questo secolo e il successivo, appartengono ancora all'Italia tre dei più chiari nomi che possa vantare la storia dell'anatomia: quelli del Lancisi, del Valsalva e del Santorini. Il romano Giovanni Maria Lancisi, anche dotto medico e naturalista, oltre ad aver curato, con commenti originali, la pubblicazione delle Tavole eustachiane, è autore di un trattato d'anatomia artistica in collaborazione con Bernardino Genga e di un'opera pubblicata postuma sul cuore, ricca di molte osservazioni anatomiche. Il suo nome resta principalmente legato alle strie longitudinali mediali del corpo calloso.
L'imolese Anton Maria Valsalva, allievo del Malpighi, deve soprattutto la sua fama al trattato De aure humana, basato su ricerche eseguite per sedici anni sopra più di mille cadaveri: i soli legamenti auricolari (B. N. A.) portano tuttora il suo nome. È noto ancora per i suoi studî sull'aorta, i cui seni pure da lui s'intitolano, mentre minore importanza hanno altri suoi studî sull'occhio, sulle ghiandole soprarenali, sul colon. Fama non minore che dalle opere deriva al Valsalva dall'essere stato maestro del Morgagni.
Il veneziano Giandomenico Santorini particolarmente con le sue Observationes anatomicae portò larghi contributi alle nostre conoscenze su diversi argomenti, legando a più d' un organo il suo nome. Ricordiamo gli studî sui muscoli della faccia e della faringe, sulle cavità nasali, sulla laringe, sul pancreas, di cui illustrava il condotto accessorio, e sulla papilla duodenale, sulla cistifellea, sul cervello, sopra i suoi involucri e la sua circolazione, sui gangli del trigemino e sull'orecchio. Curò pure l'esecuzione di 17 tavole anatomiche, edite poi per cura del Girardi.
Accanto ai tre maggiori merita pure un cenno l'emiliano Antonio Pacchioni di Reggio per i suoi studî sulla dura madre e sulle granulazioni aracnoidali (glandulae conglobatae durae meningis) che da lui prendono il nome, e, fra gli stranieri, i tedeschi Johann Konrad Brunner e Johann Konrad Peyer, illustratori rispettivamente delle glandule duodenali e dei noduli linfatici aggregati all'intestino tenue, e August Quirinus Rivinus, scopritore dei condottini sottolinguali di cui il maggiore veniva descritto pochi anni dopo, come vedemno, dal danese Caspar Bartholin il giovane; gl'inglesi William Cowper, il cui nome è legato alle ghiandole bulbouretrali, e Clopton Havers conosciuto per i suoi studî sulla struttura delle ossa e delle articolazioni; il francese Joseph Guichard Duverney, professore a Parigi e rimasto celebre specialmente per il suo alto valore didattico; gli olandesi Philip Verheyen e Govert Bidloo, dei quali il primo noto specialmente per avere illustrato le vene stellate del rene, il secondo per un trattato corredato da oltre cento tavole anatomiche.
Particolarmente alla prima metà del Settecento appartengono, nella loro lunga carriera scientifica, un altro sommo italiano, il forlivese Giambattista Morgagni, e il danese-francese Jacob Benignus Winsløw, ai quali seguono, di qualche anno più giovani, il tedesco olandese Bernhard Siegfried Albinus (così latinizzato da Weiss), e il suo grande allievo, lo svizzero-tedesco Albert von Haller. Qui pure ancora una volta spetta all'Italia il primato.
Il Morgagni non solo nel campo dell'anatomia patologica, della quale può a buon dritto ritenersi, più che il geniale innovatore, il fondatore, ma anche in quello dell'anatomia normale, lasciò orme indelebili. I risultati delle sue diligentissime ricerche sono affidati principalmente ai sei celebri Adversaria anatomica e alle due Epistolae anatomicae, per non dire di altre epistole e dissertazioni minori. Nessun anatomico aveva prima di lui raccolto con altrettanta cura e così razionalmente discussa la bibliografia relativa ai singoli argomenti nel raffronto con i proprî reperti, riuscendo in tal modo a portare pure notevolissimi contributi alla storia dell'anatomia, rivendicando numerose priorità di osservazioni e rettificando molteplici errori storici dei precedenti autori. Di tutti i capitoli dell'anatomia da lui studiati, la splancnologia è indubbiamente quella da lui con più frutto coltivata e dove più numerosi sono gli organi o le formazioni legati al suo nome: per rimanere a quelli sanciti dalla nomenclatura di Basilea, ricordiamo il foro cieco della lingua, le colonne rettali, i ventricoli laringei, l'appendice del testicolo, le fossa navicolare e le lacune uretrali, le appendici vescicolose dell'epooforo; ma possiamo dire che non vi sia campo dell'anatomia dove l'acutissimo spirito d'osservazione del Morgagni non sia più o meno penetrato.
Nella sua classica esposizione della struttura del corpo umano (per tacere di qualche pubblicazione minore) il Winsløw portò pure notevoli contributi alla migliore conoscenza di varie parti dell'anatomia, malgrado che, avendo egli, a differenza del maggiore suo contemporaneo italiano, omesse le indicazioni bibliografiche, tali contributi risultino posti meno in evidenza. Legati al suo nome restano particolarmente il processo uncinato del pancreas e il foro epiploico della borsa omentale.
All'Albinus spetta particolarmente il merito di una più completa ed esatta esposizione della miologia e dell'osteologia umane, non solo per il testo, ma anche per le artistiche illustrazioni.
Inferiore al maestro nell'accuratezza della dimostrazione, ma superiore nella profondità del sapere e nell'estensione del campo di ricerca, il Haller può ben dirsi, subito dopo il Morgagni, (e a prescindere dal fisiologo, dal naturalista, dal chirurgo) il più grande anatomico del secolo decimottavo. Egli pure, come già il Forlivese, tenne in grande considerazione la bibliografia come base della ricerca originale, e ne fa fede quella ricchissima copia di fonti che va sotto il nome di Elementa physiologiae corporis humani: alla sua celebre Bioliotheca anatomica andiamo debitori di un metodico trattato di storia dell'anatomia, solo di pochi anni posteriore a quello del francese Portal, di lui più giovane. Per tacere degli studî embriologici e sulle mostruosità, ricordiamo di lui le Icones anatomicae relative particolarmente al sistema vascolare, quasi a complemento di quelle sulle ossa e sui muscoli dell'Albinus: i vecchi nostri anatomici denominano ancora l'arteria celiaca "tripode di Haller", e porta tuttora il suo nome il circolo vascoloso del nervo ottico; anche altri organi, come il diaframma e il testicolo, da lui magistralmente studiati, serbano in alcune parti il suo nome (si ricordi particolarmente la rete del testicolo, B. N. A.). Furono pure oggetto di sue speciali ricerche il pericardio, la muscolatura del cuore e dell'utero, l'omento, il tessuto connettivo, come sostanza di riunione e di rivestimento degli organi.
Fra gli astri minori della prima metà del Settecento, ricorderemo degl'italiani i bolognesi Ercole Lelli, anatomico artista, e Domenico Maria Gusmano Galeazzi, illustrdtore nel 1731 delle ghiandole intestinali (già scoperte da Malpighi nel 1688), le quali vanno erroneamente sotto il nome dell'olandese Johannes Nathanael Lieberk ühn, di lui più giovane ma a lui premorto, che le descriveva solo nel 1745; i torinesi Giovanni Fantoni, cultore anche dell'anatomia comparata, e Giambattista Bianchi, noto specialmente per le sue ricerche sul fegato; il mugellano Antonio Cocchi, autore di discorsi d'argomento anatomico, dettati con fine eleganza. Fra gli stranieri sono da menzionarsi i tedeschi Lorenz Heister, il cui nome è legato alla valvola spirale del condotto cistico; Abraham Vater, lo scopritore dei corpuscoli lamellosi del derma, e Josias Weitbrecht, specializzatosi nella sindesmologia; l'inglese James Douglas, noto particolarmente per gli studî sul peritoneo, in cui illustrava la piega e l'escavazione rettouterine e la linea semicircolare della guaina del muscolo retto addominale che da lui prendono nome; il francese Antoine Ferrein, noto principalmente per le ricerche sulla struttura del rene, dove la parte radiata (B. N. A.) è ancora conosciuta con il nome di processi del Ferrein.
Nel periodo che comprende la seconda metà del Settecento sino ai primi decennî dell'Ottocento, l'Italia, malgrado seguiti a vantare nomi che ne tengono alto il prestigio, incomincia tuttavia a perdere quel primato, che conservava ininterrottamente da secoli, di fronte all'estero, e particolarmente alla Germania, ove sulle orme del Haller viene a costituirsi a poco a poco quella eletta schiera di cultori della anatomia, che porterà tale nazione nel successivo periodo storico ad una vera e propria supremazia.
Ricordiamo fra i più cospicui italiani, nel campo embriologico, l'emiliano Lazzaro Spallanzani, come precursore del moderno indirizzo sperimentale, mentre nell'istologia è degno di particolare menzione il trentino Felice Fontana per le sue ricerche di anatomia microscopica specialmente sul nucleo delle cellule, sulle fibre nervosa e muscolare e sull'occhio, ove gli spazî dell'angolo irideo portano il suo nome. Nel campo più strettamente anatomico figura il bolognese Luigi Galvani, l'immortale scopritore dell'elettricità animale, cui sono dovute ricerche non prive di valore sulla mucosa nasale, sulla ghiandola pineale, sui reni e sull'organo dell'udito degli uccelli, sul quale argomento ebbe polemiche per questioni di priorità con lo Scarpa. Pure di Bologna è Carlo Mondini, al quale si attribuisce particolarmente il merito d'avere illustrato la lamina fusca della sclera, già segnalata tuttavia dall'Acquapendente. Vanno ricordati anche Pietro Tabarrani di Lucca, autore di ricerche sulle ossa, e il bresciano Michele Girardi, l'editore delle tavole Santoriniane. Leopoldo Marcantonio Caldani di Bologna, successore del Morgagni a Padova, ove ebbe a collaboratore e a successore il nipote Floriano, è degno di menzione specialmente per le tavole corredate da testo esplicativo, dov'è particolarmente illustrato il legamento bicorne della scapola, e per indagini sull'orecchio, sui denti, sugli involucri del testicolo. Michele Vincenzo Malacarne di Saluzzo, uno dei primi e più felici cultori, anzi addirittura il fondatore dell'anatomia chirurgica, deve altresì la sua fama alle classiche indagini sulla conformazione del cervelletto. Il toscano Paolo Mascagni, noto principalmente per le ricerche sui linfatici e per la pubblicazione di grandi tavole anatomiche, è pure benemerito per altri studî di anatomia macroscopica sopra vari argomenti.
L'anatomia dell'orecchio, oltre ai già menzionati, ebbe tre altri esimî cultori nelle persone del pugliese Domenico Cotugno, lo scopritore della perilinfa e di quelli che egli chiamò acquedotti del vestibolo e della chiocciola, non che del nervo nasopalatino, descritto solo successivamente dallo Scarpa del quale conserva impropriamente il nome; del friulano Andrea Comparetti, autore anche di ricerche sui ganglî del nervo vago, e del suo corregionale Antonio Scarpa, il maggiore dei tre, il quale non solo legava il suo nome alla finestra della chiocciola e alla membrana secondaria del timpano, ma eseguiva anche fondamentali ricerche sui gangli e plessi nervosi encefalici e cardiaci, sulla struttura delle ossa, sui vasi degli arti e, in relazione con le corrispondenti ernie, sulla regione inguinale e sul triangolo subinguinale, che porta il suo nome. Alla fine di tale periodo appartiene il torinese Luigi Rolando, celebre per gli studî sul sistema nervoso centrale, in virtù dei quali varie formazioni (sostanza gelatinosa, tubercolo cinereo, solco centrale) passano alla scienza sotto il suo nome.
In Kaspar Friedrich Wolff, contemporaneo dello Spallanzani, vanta anzitutto la Germania il grande innovatore degli studî embriologici, il quale, sulle orme del nostro Malpighi, riconosceva che nulla è preformato nel germe e che gli organi si differenziano successivamente da strati o foglietti distinti: illustrava poi particolarmente lo sviluppo del canale intestinale e di quegli organi embrionali conosciuti con il nome di corpo e di condotto del Wolff.
Nel campo più strettamente anatomico ricordiamo fra i tedeschi Johann Friedrich Meckel, allievo del Haller e maestro del Wolff, e il viennese Lorenz Gasser particolarmente per i loro studî sul trigemino; Johann Gottfried Zinn, delle cui fondamentali ricerche sull'occhio rimangono documento le formazioni che portano il suo nome; Heirich August Wrisberg e Samuel Thomas v. Sömmering, rispettivamente maestro e allievo, il primo per gli studî sui nervi encefalici e sui plessi nervosi viscerali, pel quali legava il suo nome al ganglio cardiaco, e sulla laringe, nella quale pure da lui s'intitolano la cartilagine e il tubercolo cuneiforme; il secondo per il suo fondamentale trattato, oltre che per ricerche sugli organi di senso e specie sulla base dell'encefalo, ove nei peduncoli cerebrali illustrava la sostanza nera; Johann Christian Reil per le classiche ricerche sul sistema nervoso centrale, ove individuava il lemnisco e legava il suo nome all'insula; finalmente Johann Friedrich Blumenbach, considerato, per i suoi studî sul teschio, come il fondatore della moderna antropologia.
Fra gl'Inglesi dello stesso periodo, meritano particolare ricordo i fratelli William e John Hunter per le loro indagini, l'uno sull'utero gravido e le decidue, l'altro sui testicoli e la loro discesa, legando il suo nome al gubernaculum testis; William Hewson e William Cruikshank per gli studî sopra i linfaticî. In Iscozia poi figura degnamente in questo tempo Alessandro Monro II per le sue ricerche, alle quali si associava più tardi l'omonimo figlio (il terzo della dinastia) sulle borse mucose e sul sistema nervoso centrale, ove tuttavia il foro interventricolare porta impropriamente il suo nome.
In Francia fra i più vecchi del medesimo periodo sono da segnalarsi Joseph Lieutaud per i suoi studî sul cuore e sulla vescica, di cui il trigono conserva il suo nome; Exupère-Joseph Bertin, che si occupò particolarmente delle ossa, fra le quali illustrava le conche sfenoidali, delle articolazioni e dei reni; nell'anatomia dell'occhio si segnalarono Marc-Ant. Petit e Pierre Demours, quest'ultimo in contesa con Jean Dechemet sulla priorità dell'osservazione di quella lamina elastica posteriore della cornea che, sulla fede del Hyrtl, era già stata descritta dal Duddel sin dal 1728. Fama ben superiore raggiunsero Félix Vicq d'Azyr, a prescindere dagli studî di anatomia comparata, per quelli di nevrologia, (il fascicolo talamomammillare porta il suo nome), e Antoine Portal per la sua classica storia dell'anatomia più che non per il trattato anatomico. Finalmente fra i più giovani del periodo (oltre ad anatomici secondarî, fra i quali ci limiteremo a ricordare Jacques-René Tenon per le ricerche sulle fasce oculari), figurano due fra i massimi che onorano le scienze morfologiche: Georges Cuvier, il fondatore dell'anatomia comparata moderna, e Xavier Bichat, famoso non tanto per le osservazioni nel campo anatomico (corpo adiposo della guancia, fessura trasversa del cervello ecc.), quanto quale autore del primo grande trattato di anatomia generale, cardine e base degli ulteriori studî in questo campo. Né passeremo sotto silenzio, fra i più anziani del presente periodo, l'olandese Petrus Camper, non solo come anatomo-comparatista, ma anche quale antropologo.
La storia dell'anatomia umana del secolo decimonono può venir suddivisa in due periodi, dei quali il primo (da cui restano esclusi, come vedemmo i primi decennî) giunge all'incirca sino all'ultimo ventennio e vi appartiene perciò in proprio, mentre il successivo caratterizzato dall'indirizzo morfologico comparativo avente a primitiva base le teorie darwiniane ed haeckeliane sull'origine dell'uomo, invade anche il secolo presente giungendo sino ai dì nostri.
Il periodo vero e proprio dell'Ottocento s'inizia con la comparsa della teoria cellulare per merito del tedesco Theodor Schwann, nel 1839, cui segue un rapido moltiplicarsi e perfezionarsi dei metodi di tecnica microscopica, istologica ed embriologica, per i quali si apre un nuovo campo all'indagine anatomica, prima di allora esplorato solo parcamente e con mezzi rudimentali e limitati
Si distinsero fra noi, particolarmente nel ramo istologico, il modenese Giambattista Amici, il geniale innovatore nella tecnica della costruzione dei microscopî, per le classiche ricerche sulla struttura delle fibre muscolari striate, ove la cosiddetta linea scura porta tuttora il suo nome: il pistoiese Filippo Pacini, il quale illustrava istologicamente quei corpuscoli lamellosi, che da lui pure s'intitolano, e il suo concittadino Atto Tigri, lo scopritore del tessuto reticolare (Castaldi). In tempi a noi più vicini ricordiamo, per tacere di altri, i tre fisiologhi E. Oehl, G. Giannuzzi ed E. Sertoli, che legavano il loro nome rispettivamente allo strato lucido dell'epidermide, alle semilune delle glandule salivari e alle cellule di sostegno dei tubuli seminiferi del testicolo; il calabrese Giuseppe Ciaccio per gli studî particolarmente sulla congiuntiva e le sue ghiandole e, più notevole fra tutti, il patologo varesino Giulio Bizzozzero, non solo per le classiche ricerche sul midollo osseo, sul sangue, sugli epiteli, sulle sierose, ma anche perché fondatore in Torino di una scuola fiorentissima, della quale è vanto massimo nel campo istologico Camillo Golgi, il cui nome segna una delle epoche più gloriose nella storia degli studî sulla struttura del sistema nervoso.
Nel campo embriologico sono da ricordarsi, per lo studio dei primi stadî di sviluppo, Giuseppe Bellonci e Alessandro Tafani; degni ancora di nota, il primo per le ricerche microscopiche sul sistema nervoso, il secondo per gli studî sull'organo dell'udito e sulla struttura della placenta, dove si segnalarono pure il bolognese Giambattista Ercolani e il napoletano Giovanni Palladino.
Ricordando semplicemente, perché cultori più particolamente dell'embriologia e dell'anatomia comparata, Mauro Rusconi, Bartolomeo Panizza e Stefano delle Chiaie, e venendo più propriamente all'anatomia, sono poi da menzionarsi specialmente il pistoiese Filippo Civinini per le sue ricerche di osteologia, egli descrisse accuratamente il canale della corda del timpano e le variazioni dello sfenoide, il cui processo pterigospinoso porta il suo nome; il lombardo Andrea Verga, che legava specialmente il suo nome alla cavità (detta impropriamente ventricolo) che comparisce talora nel cervello tra corpo calloso e fornice; il piemontese Alfonso Corti, che eseguiva a Vienna quei fondamentali studî sull'organo dell'udito, che lo conducevano ad illustrare l'organo spirale dell'orecchio interno al quale legava perennemente il suo nome; il bolognese Luigi Calori, al quale, oltre a numerosi studî di anatomia comparata e di antropologia, sono dovuti, nel campo strettamente dell'anatomia umana, ricerche di teratologia, di osteologia, di angiologia e su alcuni nervi soprattutto encefalici. Ricordiamo finalmente il tortonese Carlo Giacomini il quale, per quanto segnalatosi anche nel campo embriologico, deve tuttavia precipuamente la sua fama agli studî sull'anatomia del negro, sulla topografia del cuore, sulle circonvoluzioni cerebrali e specialmente sull'ippocampo e le sue connessioni. Il Giacomini illustrò la benderella che porta il suo nome.
I tedeschi, come già è stato notato, tengono indiscutibilmente in tale periodo il primato. Nell'istologia, sulle orme dello Schwann, segue una feconda schiera di ricercatori, di cui ricordiamo fra i principali Robert Remak, Joseph Gerlach, Karl Bogislaus Reichert, Max Joseph Schultze, giù giù sino a Walter Flemming e ad Albert v. Kölliker. Nel campo embriologico, oltre a taluno dei precedenti, eccellono i nomi di Karl Ernst v. Bärr, Heinrich Rathke, Christian Pander e dello svizzero-tedesco Wilhelm His.
Nell'anatomia comparata è particolarmente da menzionarsi Johannes Müller, il maestro dello Schwann. Nell'anatomia propriamente detta ricordiamo anzitutto, non solo per fondamentali ricerche originali, ma anche per i classici trattati, Friedrich Gust. Jac. Henle e Karl Friedrich Krause, entrambi pure di gran valore in istologia, ove hanno legato il loro nome ad un grande numero di formazioni; Hubert v. Luschka, anche autore di studî soprattutto sulla laringe e scopritore del glomo coccigeo; Joseph Hyrtl, anche insigne storico dell'anatomia, e Karl Langer. Particolarmente nello studio del sistema nervoso centrale legarono il loro nome ad insigni scoperte Ernst Burdach, Benedikt Stilling, Bernhard Aloys v. Gudden, Friedrich Goll, Paul Emil Flechsig.
Fra gl'Inglesi di tale periodo si ricordano i due Quain: Jones, il maggiore, autore di un diffuso trattato, e Richard, il minore, specializzatosi nell'anatomia delle arterie; William Bowman, che descriveva la capsula del glomerulo renale e la lamina elastica anteriore della cornea; William Sharpey, l'illustratore delle fibre perforanti del periostio. In Iscozia fioriva l'embriologo Allen Thomson.
In Francia ricordiamo nell'istologia e nella tecnica istologica Louis-Antoine Ranvier: più come anatomico che come embriologo, fra i più vecchi del periodo, Gilbert Brechet; celebre non solo come antropologo, ma anche come anatomico, Pierre-Paul Broc, che legava il suo nome all'area parolfattoria del rinencefalo. Nell'anatomia sistematica sono degni di menzione gli autori di classici trattati Jean Cruveilhier e Marie-Philibert Sappey, al quale sono pure dovute ricerche accurate sul sistema linfatico, mentre di anatomia topografica, scienza originariamente italiana, fondata come vedemmo dal Malacarne, rimangono insigni documenti i trattati di Alfred Armand Velpeau, Jules-Germain Cloquet e Joseph-François Malgaigne, per tacere di minori.
Sono finalmente degni di nota in tale periodo il grande istologo ed embriologo boemo Jan Evangelista Purkinje e l'anatomico svedese Anders Adolf Retzius: di qualche decennio più giovani gli ungheresi Michael v. Lenhossék e Viktor v. Mihalkovics, prevalentemente istologo l'uno, embriologo l'altro.
Il periodo presente nella storia dell'anatomia umana data, come vedemmo, dagli ultimi decennî del secolo scorso, ed è caratterizzato dall'applicazione alle ricerche anatomiche della teoria dell'evoluzione, ad opera soprattutto del tedesco Carl Gegenbaur e della sua fiorentissima scuola; ricerche favorite dall'ulteriore perfezionamento dei metodi d'indagine microscopica. In base agli stretti rapporti riconosciuti fra sviluppo della specie (filogenia) e sviluppo dell'individuo (ontogenia), per cui si ritenne questo una ricapitolazione di quello, si instituirono metodiche indagini allo scopo di stabilire, per mezzo dell'anatomia comparata e dell'embriologia, il significato morfologico dei diversi organi attraverso la serie dei Vertebrati sino alla specie umana. Tale metodo, la cui origine deve farsi risalire alla gloriosa scuola italiana dell'Acquapendente, per cui l'anatomia umana assume vero e proprio carattere di scienza, viene tuttora seguito ed è fecondo di risultati sempre nuovi, conducendo all'illustrazione, nel corpo nostro, di formazioni e di disposizioni in precedenza sconosciute.
Altre scienze contribuiscono in questi ultimi anni in maniera più o meno diretta, al febbrile progresso degli studî d'anatomia, solo temporaneamente rallentato durante la guerra mondiale e l'immediato dopoguerra: l'embriologia e l'istologia sperimentali, quest'ultima soprattutto con gli studî delle culture in vitro, non che le ricerche, pure in parte sperimentali, in parte statistiche in base ai moderni metodi biometrici, in parte istologiche, sulle correlazioni morfologiche degli organi, come abbiamo già accennato.
A tale moderno risveglio degli studî di anatomia umana, nel quale gl'Italiani tornano validamente ad affermarsi fra i primi, contribuiscono a gara anche tutte le nazioni civili; che nei precedenti periodi non s'erano particolarmente segnalate: ricordiamo fra esse in modo speciale, al di fuori delle europee, gli Stati Uniti d'America ed il Giappone.
Considerando l'anatomia dal punto di vista didattico, a partire dal periodo del Rinascimento, essa si trovò nell'inizio legata in modo speciale alla chirurgia nei rapporti di scienza teorica a scienza applicata, l'una complemento dell'altra, ed anzi l'una subordinata all'altra, come avvenne per secoli nei maggiori centri di cultura dell'anatomia, e particolarmente nei due massimi, in Bologna e in Padova. In questa università infatti i decreti senatoriali e ducali del Cinquecento stabiliscono che i professori siano condotti a leggere la chirurgia con obbligo di far anche l'anatomia, e solo nel 1609, per una particolarissima deferenza all'Acquapendente, si concede lo sdoppiamento della cattedra, riservando a lui la sola anatomia; ma successivamente questa viene ricongiunta alla chirurgia. Si ristabilisce più tardi, ad intervalli, lo sdoppiamento, venendo però allora all'anatomia aggregate altre letture, finché da ultimo essa si rende interamente autonoma, e al primo insegnamento autonomo di essa fu chiamato, nel 1715, Giambattista Morgagni. Non molto diversamente andarono le cose in Bologna ove, benché sino dal 1570 un decreto, sollecitato dall'Aranzi, stabilisse la separazione dell'anatomia dalla chirurgia, ciò non avvenne in realtà che un secolo dopo.
Ma l'anatomia del Morgagni, oltre a quel rigoglioso novello ramo di essa, del quale egli è meritatamente considerato il fondatore e che non si rendeva autonomo se non più di 80 anni dopo la morte del maestro, conteneva già in sé i germi di altre scienze biologiche. Mentre verso la fine del sec. XVIII (1786) si costituiva a parte, e dapprima fuso con la cosiddetta anatomia sublime (cioè con l'istologia, così denominata poi nel 1819 dal tedesco Franz Joseph Karl Mayer), l'insegnamento della fisiologia, di cui era stato sino allora esimio cultore l'anatomico Leopoldo Caldani, andarono poi nell'ultimo periodo a poco a poco differenziandosi in seno alla anatomia umana normale, intorno al nucleo principale rappresentato dalla descrittiva o sistematica, la topografica, l'istologia e l'embriologia, che quivi, come altrove, sono andate poi. o vanno staccandosi, quasi per gemmazione, dal ve, cchio ceppo comune: ceppo vecchio sì, ma pur sempre vigoroso e fecondo di nuovi germi, che nell'ulteriore evoluzione della scienza non mancheranno certamente di costituirsi e di svilupparsi.
Bibl.: J. B. Morgagni, Epistolae anatomicae duae, quibus... Anatomicorum inventorum historia evolvitur..., Venezia 1762; A. Portal, Histoire de l'Anatomie et de la Chirurgie, Parigi 1770-1773; A. Haller, Bibliotheca Anatomica, Leida, 1774-1777; A. Burgraeve, Précis de l'histoire de l'Anatomie, Gand 1840; L. Choulant, Handbuch der Bücherkunde für die ältere Medicin, Lipsia 1841; P. Tosoni, Della anatomia degli antichi e della scuola anatomica padovana, Padova 1844; F. Cortese, Sull'influenza della scuola anatomica padovana nei progressi dell'anatomia in Europa, Padova 1845; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, Napoli 1845; M. Medici, Compendio storico della scuola anatomica di Bologna, Bologna 1857; Asson, Anatomia, in Encicl. med. ital., I., Milano s. a.; A. Corradi, Dello studio e dell'insegnamento dell'anatomia in Italia nel Medioevo ed in parte nel Cinquecento, in Rend. Ist. lomb. di Sc. e Lett., s. 2ª, V-VI, Milano 1873; J. Hyrtl, Lehrbuch der Anatomie des Menschen, Vienna 1889, traduzione italiana di G. Antonelli, Napoli s. a.; M. Del Gaizo, Della pratica della anatomia in Italia sino al 1600, in Atti R. Accad. med.-chir., Napoli 1892; M. Roth, Andreas Vesalius Bruxellensis, Berlino 1892; W. His, Die Anatomische Nomenclatur - Nomina anatomica, Lipsia 1895; G. Romiti, Manuale di anatomia topografica, Milano 1905; E. Gurlt, Geschichte der Chirurgie, Berlino 1898; Th. Pumann, M. Neuburger, J. Pagel, Handbuch der Geschichte der Medizin, Jena 1902-1903; L. Hopf, Die Anfänge der Anatomie bei den alten Kulturvölkern, in Abhandl. z. Gesch. d. Medicin, IX, Breslavia 1904; B. Bloch, Die geschichtlichen Grundlagen der Embryologie bis auf Harvey, in Abhandl. k. Leop. - Kar. deutsch. Akad. d. Naturforscher, LXXXII, Halle 1904; G. Favaro, Per la storia dell'embriologia, Padova 1907; G. Sterzi, I progressi della nevrologia, Cagliari 1910; F. G. Parsons, Anatomy, in Encyclopaedia Britannica, 11ª ed.; G. Martinotti, L'insegnamento dell'anatomia in Bologna prima del secolo XIX. - P. Lambertini e lo studio dell'anatomia in Bologna, in Studi e Mem. per la Storia dell'Università di Bologna, Bologna 1911; G. Sterzi, Anatomia del sistema nervoso centrale dell'uomo, 2 voll., Cagliari 1914-1915; Ch. Singer, A study in early Renaissance anatomy, ecc., in Stud. in the Hist. a. Meth. of Science, Oxford 1917; id., The evolution of Anatomy, Londra 1925; A. Mieli, Manuale di storia della scienza, Antichità, Roma 1925; G. Favaro, Studi Vinciani e Fabriciani: v. elenco di questi ultimi, in Boll. Ist. Stor. It. Art. San., VII (1927), fasc. I; A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1927; G. Favaro, Gabriele Falloppia modenese. Studio biografico, Modena 1928.
Anatomia artistica.
La conoscenza del corpo umano è argomento necessario per la riproduzione artistica della figura: ma l'arte nei varî tempi e presso i diversi popoli si è preoccupata in varia misura di questa conoscenza, poiché ora si è limitata a rappresentare quel minimo di struttura ossea e muscolare che è strettamente occorrente per disegnare o plasmare una figura, ora invece ha voluto segnare di quella struttura ogni pur minimo particolare e vibrazione, facendo quasi di questo il precipuo scopo della sua rappresentazione.
Nell'antichità l'arte che meno si preoccupò del problema fu l'arte egizia, sebbene la mitezza del clima le ponesse avanti quasi costantemente la figura nuda, e quindi fosse nella migliore delle condizioni per studiarne la struttura e le sue variazioni nei diversi atteggiamenti di stasi e di moto. Più larga conoscenza anatomica troviamo nei monumenti babilonesi e assiri, e una rappresentazione efficace del corpo umano, preludio a quella piena e ideale che si avrà nell'arte greca, è nell'arte cretese micenea.
È infatti appunto l'arte greca, che nella contemplazione e nella riproduzione del nudo acquista la maggiore libertà spirituale, raggiunge nell'età antica il massimo grado di conoscenza dell'anatomia del corpo: conoscenza della realtà che tuttavia guida alla costruzione di tipi ideali. Onde non è possibile astrarre nell'indagare del maggiore o minor grado di questa conoscenza anatomica che ebbero i singoli artisti o i singoli periodi dell'arte greca, dal tipo di bellezza ideale del corpo nudo, soprattutto del corpo virile dell'atleta che gli stessi artisti e gli stessi periodi artistici si crearono.
E quando in età ellenistica la concezione ideale dell'uomo si tramuta in concezione reale, allora noi vediamo che la struttura ossea e muscolare del corpo umano si accentua fino all'esagerazione dei particolari più miserevoli e più repugnanti: ciò tuttavia non per una più perfetta ed ampia conoscenza del soggetto, o per lo meno non soltanto per essa, ma perché questa rappresentazione risponde al gusto e alle tendenze del tempo.
Col Rinascimento si affermano distintamente i rapporti fra l'anatomia e l'arte. Alcuni dei grandi maestri di quell'epoca, nella quale lo studio dell'anatomia era in fiore nelle nostre scuole, appresero coll'esame diretto del cadavere nozioni anatomiche. Piero della Francesca fu conoscitore profondo dell'anatomia. Di Michelangiolo si sa che dissecò cadaveri di uomo e di animali, e di questi studî rimane traccia in alcuni dei suoi disegni. Benvenuto Cellini, come scrive nella sua Vita, prendeva parte alle dissezioni di Vido Vidi e di Berengario da Carpi, anatomici. Fra tutti emerge Leonardo da Vinci, che vide per il primo e descrisse innumerevoli particolarità di conformazione e di struttura del corpo umano, riproducendole magistralmente con disegni, rendendosi conto della funzione di parecchi organi con osservazioni precise o con intuizioni geniali. Si diffondeva, dietro questi esempî, la convinzione che l'anatomia è utile all'artista. Gli statuarî greci avevano agio di apprendere sul vivo nel corpo nudo dei lottatori la bellezza delle forme, delle movenze e delle proporzioni. Cambiati i costumi, una simile opportunità mancava, ma, anche prescindendo da questo, si comprese che lo studio del modello riesce particolarmente istruttivo qualora venga fatto avendo a guida la conoscenza della conformazione e dell'ufficio degli organi interni.
È buona regola in anatomia, qualunque sia l'obiettivo delle indagini, aver sempre presente la funzione assegnata a ciascun organo; ma ciò è assolutamente necessario per le applicazioni all'arte; si può dire anzi che morfologia e fisiologia debbono in molti casi procedere di pari passo.
L'artista che voglia trarre dall'anatomia dell'uomo le nozioni che possono essergli utili, deve per prima cosa prendere idea della architettura generale del corpo e applicarsi in seguito all'esame particolareggiato di quegli apparecchi che hanno la massima parte nella determinazione delle forme.
Lo studio dello scheletro ha nell'anatomia artistica un'importanza fondamentale; perocché esso forma l'intelaiatura generale del corpo, serve di sostegno a molti organi, che si modellano sopra di esso o vi prendono inserzione. La maggior parte delle ossa sono altrettante leve, che rappresentano gli organi passivi del movimento. In alcuni punti, parti dello scheletro si accostano più o meno alla superficie del corpo, e sono riconoscibili attraverso la pelle anche nel vivente. Riesce di molta utilità considerare la maniera con la quale si effettua la congiunzione fra ossa vicine, e se tra loro si formano articolazioni mobili, riconoscere la qualità e i limiti delle varie specie di movimenti.
Un apparecchio organico, che ha gran parte nella determinazione delle forme del corpo, è l'apparecchio muscolare. Le masse muscolari delle varie regioni, e di quelle più particolarmente i muscoli superficiali, debbono essere riconosciuti nella loro posizione, nei loro attacchi e nei loro rapporti. Lo studio che se ne fa nel cadavere deve servire di guida per esaminarli in vita, perché la loro forma varia se sono in riposo, se vengono stirati o distesi, se, stimolati dai nervi, entrano in contrazione, moderata o energica, parziale o totale. La contrazione di un muscolo determina o concorre a determinare un movimento, che deve essere esaminato nelle sue caratteristiche e nei suoi effetti.
Di altre specie di organi, più che la conoscenza diretta, giova quella dei cambiamenti, apprezzabili dall'esterno, che dipendono dalla loro funzione, come è delle variazioni di ampiezza e di forma del torace dovute ai polmoni nei movimenti alterni della respirazione. Di alcuni vasi sanguigni, quasi esclusivamente vene superficiali, si dovranno conoscere il decorso e le variazioni, in rapporto con lo stato della circolazione del sangue.
Del tegumento, il vario colorito, la mobilità o l'aderenza alle parti sottostanti, i solchi a sede costante o accidentale, in dipendenza dei movimenti delle articolazioni e della contrazione dei muscoli, la variabile quantità del tessuto grassoso, formeranno oggetto di esame. Col tegumento saranno considerati gli organi annessi, capelli, peli, e nella donna le mammelle.
Questo esame, condotto con metodo analitico, prepara allo studio d'insieme delle singole regioni, delle quali con le conoscenze acquistate si potranno interpretare i cambiamenti in rapporto alla posizione delle parti, alle svariate attività muscolari, all'influenza degli organi interni; prepara anche allo studio delle condizioni da cui dipende nelle varie attitudini l'equilibrio del corpo; aiuta a riconoscere ciò che conferisce o che nuoce alla bellezza delle forme.
Una regione sulla quale l'artista deve fissare in modo particolare la sua attenzione è quella della testa. Sono da considerare la forma generale di essa, le parti dello scheletro che in determinate circostanze sono meglio riconoscibili anche nel vivente, il padiglione dell'orecchio, tutta quanta la faccia, il naso, gli occhi, le palpebre, le labbra; parti soggette a grandi variazioni individuali e alcune anche a cambiamenti continui, specialmente in rapporto con la mimica. A un apparato muscolare assai complesso, posto sotto la pelle, è devoluto quest'ultimo ufficio: i fascetti muscolari che lo compongono - di rado contraendosi separatamente, di solito associandosi fra loro nella funzione nella più svariata maniera - servono, coi cambiamenti che inducono nella pelle della faccia, nello stato delle palpebre, delle labbra, delle narici, alla manifestazione dei varî stati di animo nelle loro innumerevoli sfumature. Vi è una mimica intellettuale e una mimica emotiva. Peraltro nelle opere d'arte, in generale, la fisionomia non riproduee le emozioni nei loro immediati riflessi. È stato sostenuto che la bellezza trova la sua più perfetta manifestazione nella calma assoluta. Il Darwin nella sua classica opera sull'espressione dei sentimenti osserva di non aver potuto ricavare dati per il suo studio dalle opere di pittura e di scultura dei grandi maestri. Lo stato d'animo del soggetto in queste suol essere rivelato dall'atteggiamento della persona, dalla posizione data alla testa e agli arti superiori, da accessorî abilmente disposti, ed è accennato sobriamente dalle linee della faccia. Non mancano opere peraltro nelle quali, senza scapito della compostezza o della grazia della figura, si è raggiunto un sufficiente grado di verità fisiologica; se ne trovano esempî nelle sculture del periodo ellenistico dell'arte greca, e in pitture del Rinascimento. Nei Bizantini ed in altri pittori primitivi l'espressione della fisionomia è resa talora in modo esagerato o grottesco.
Un argomento al quale gli artisti, prima degli anatomici, hanno recato notevoli contributi, è quello delle proporzioni. Fino dalla antichità si era cercato di determinare, in base a una serie di misure su oggetti normali, il tipo medio ideale nelle dimensioni del corpo umano e delle sue parti, fissandolo in un modulo o canone. Si conosce il canone artistico egiziano; quello di Policleto, del quale ci lasciò un documento nella sua celebre statua del Doriforo; il canone di Vitruvio, che riassume dati tolti dai Greci, specialmente da Lisippo. Nel Rinascimento studiarono le proporzioni del corpo Pier della Francesca e Leon Battista Alberti, matematico e artista, e in modo particolare Albrecht Du̇rer e Leonardo da Vinci. Quest'ultimo, di cui è ben nota la figura d'un uomo iscritto nel quadrato e nel cerchio, lasciò nei suoi manoscritti molteplici e minuziose indicazioni sulle proporzioni delle varie parti del corpo, saltuariamente registrate, che ora si vanno raccogliendo e coordinando. Il Dürer, poi, ha raccolto il frutto delle sue molte osservazioni nella voluminosa opera Die vier Bücher von menschlicher Proportion (1528).
I moderni, antropologi e medici, hanno continuato con metodo più rigoroso e con nuovi intendimenti lo studio delle proporzioni, specialmente da quando sono stati presi in esame più di proposito i fenomeni dell'accrescimento e il problema delle costituzioni. Dai resultati conseguiti gli artisti potranno trarre utili ammaestramenti.
Vi è un tipo medio, alquanto variabile da regione a regione, da razza a razza, ma che molto approssimativamente corrisponde, come diremo, una legge naturale di deformazione di questo tipo medio in tutte le razze (Viola), si creano due varietà antitetiche: la varietà longilinea in cui il tronco si fa schiacciato in senso antero-posteriore e più lungo che largo, con scarsa superficie laterale e con predominanza del torace sul ventre. Rispetto al tronco in questo tipo gli arti e il collo sono molto lunghi e sottili, i muscoli sono poco voluminosi, anch'essi relativamente più lunghi che larghi e il pannicolo adiposo è molto scarso. La varietà brevilinea, invece, è tutta tronco, e, nel tronco, il ventre prevalente sul torace. Il torace ed il ventre sono molto sviluppati nel diametro antero-posteriore, hanno larghe superficie laterali e tutto il tronco pesantissimo prevale sugli arti, che sono brevi e tozzi con muscoli corti. Il pannicolo adiposo riveste a spessore notevole tutto il corpo c0n abbondante sviluppo sull'addome.
S'incontrano poi numerosi tipi misti con proporzioni mescolate del tipo medio, di quello longilineo e di quello brevilineo.
Anche nella varietà dei tipi, la natura segue, come abbiamo detto, certe sue leggi di correlazione, per cui variando una parte del corpo in un dato senso, tutte le altre sono costrette a variare secondo un determinato senso, affinché si raggiunga un nuovo equilibrio morfologico-funzionale compatibile con la vita. Pertanto se l'artista ha sotto gli occhi un determinato individuo che gli serve da modello, non sbaglia mai, perché s'ispira a un documento di natura. Ma è vero altresì che ai fini suoi spesso introduce delle varianti nel modello stesso e queste devono uniformarsi alle leggi che la natura segue nella produzione delle stesse varianti. L'impressione sgradevole di certe linee di una scultura, che non mirava affatto a riprodurre un mostro contro natura, ma a cogliere una espressione particolare di natura, derivano dal fatto che quell'espressione particolare non è riprodotta secondo la segreta legge di natura, ed offende quest'ultima. Insomma l'artista è libero d'immaginare ciò che di modo che non gli accada di esserne uscito senza volerlo e senza saperlo, anzi quando meno voleva e sapeva.
Ecco perché in tutti i tempi gli artisti sentirono il bisogno dei canoni artistici d'orientamento (v.).
Nei tempi moderni varî cultori delle scienze anatomiche, o di altri londato su dati scientifici. Il più conosciuto è il canone di Fritsch, escogitato da molto tempo da C. Schmidt (1849) e C. Carus (1854) e recentemente perfezionato appunto da G. Fritsch (1895). Esso assume come modulo, ossia come misura fondamentale (v. antropometria), la distanza che passa nell'uomo in posizione di attenti militare, fra la base del naso e il margine superiore del pube: questa distanza viene divisa in quattro parti eguali di cui una costituisce il sotto-modulo e serve a determinare tutti gli altri punti necessari alla costruzione della figura umana nelle sue principali dimensioni. Lo Stratz, confrontando la figura che risulta dal canone di Fritsch con la figura normale della donna data dall'anatomico Merkel, con quella data dal Richer, con le figure date dal Froriep e con le misurazioni fatte sulle statue classiche dal Langer, ha dimostrato che si corrispondono con differenze trascurabili. Viola, componendo una figura umana maschile sul fondamento dei valori medî seriali di 32 misure lineari del corpo umano, condotte sopra 400 individui della regione veneta, ottenne una figura di perfette proporzioni corporee che corrispondeva, con grande approssimazione, alle proporzioni corporee delle più reputate statue greche.
Da tutto ciò risulta evidentemente che l'ideale artistico corrisponde alla realtà di natura, espressa dalle medie seriali. E siccome le medie seriali rappresentano i valori più frequenti a riscontrarsi nel gruppo etnico studiato, così parrebbe che l'artista, dopo aver contemplato moltissimi uomini, incoscientemente fissasse appunto di essi più profondamente nella propria memoria le dimensioni che più frequentemente si presentano all'osservazione perché più frequentemente si ripetono nei varî uomini, e di codeste proporzioni più frequenti fosse formato il suo concreto ideale di bellezza del corpo umano.
Ecco come un procedimento scientifico, quale quello delle medie seriali, può venire in aiuto degli artisti, e come si giustificano presso di essi i canoni proposti da varî anatomici dei tempi nostri.
Se a ciò si aggiungerà, per le ragioni sopra esposte, nell'avvenire, nei trattati di anatomia artistica, la proposta anche di canoni consimili per le fondamentali varietà del tipo fondamentale che si riscontrano in tutti i gruppi etnici, si renderà un servizio anche maggiore agli artisti, i quali da queste nozioni non vengono affatto limitati nella loro sconfinata libertà di rappresentazione, ma solo resi coscienti dell'opera propria (v. tavv. XIX a XXII).
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Anatomia patologica.
È quel ramo delle discipline mediche che si prefigge lo studio anatomico degli organi malati e mira a risalire, dalle constatate alterazioni, ai disordini funzionali, da cui deriva il complesso clinico della malattia. Essa è l'epilogo della storia dei morbi, di cui tende a ricostruire le fasi in uno sforzo di sintesi, che parte dal rilievo analitico delle modificazioni, diverse per natura e per grado, che la malattia induce nei visceri. Questo suo compito non si limita alla percezione macroscopica delle variazioni organolettiche, ma si spinge sino al riconoscimento microscopico dei turbamenti di forma e di costituzione chimica dei tessuti; onde il campo di studio dell'anatomia patologica non si arresta dinnanzi alle presunte morti funzionali. E poiché essa aspira a confortare le sue induzioni mediante l'accertamento delle cause morbigene, siano esse da riferirsi ad una condizione organica intrinseca, o provengano dall'ambiente in cui abbraccia quella parte dello scibile medico, che fornisce la spiegazione del come si sviluppi la malattia vagliata nelle sue prime manifestazioni, del perché la malattia evolva secondo le modalità clinicamente tangibili, ed infine del modo secondo cui la malattia si risolve nell'esito favorevole od infausto. L'anatomia patologica è perciò considerata, a ragione, come una delle colonne angolari della medicina. Essa rappresenta l'anello di congiunzione tra la anatomia e fisiologia normale da un lato e la clinica dall'altro. Nella ricostruzione dei fenomeni morbosi sulla base del reperto obiettivo fornito dagli organi, le giovano i dati dell'anatomia normale, come termini di confronto morfologici e i dati della fisiologia, come punti di partenza funzionali. E dalla fusione delle prenozioni anatomo-fisiologiche col giudizio suggerito dallo stato del viscere malato trae l'anatomia patologica gli elementi per elevarsi al concetto del disordine funzionale, cioè del sintomo clinico, di cui si studia di dare una spiegazione concreta. Mentre l'anatomia normale è virtualmente statica e con sfera d'azione estesa sì a tutto l'organismo, ma senza la possibilità di togliersi da uno schematismo morfologico quasi immoto, cioè suscettibile ormai di variazioni men che modeste sull'indicazione dei ritrovati dei rami ausiliarî, quali l'istologia e l'embriologia, l'anatomia patologica, oltre che assai più vasta, perché degli atteggiamenti d'ogni parte anatomica nelle più diverse condizioni morbose si deve rendere conto, è per eccellenza una materia dinamica, dovendo affrontare problemi sempre nuovi e reciprocità e consensualità morbose singolari e strane, di cui si dà ragione stabilendone l'essenza, l'origine e i rapporti di cronologia, per fornire di adeguato chiarimento il quadro clinico. In ciò sta la sua perenne evoluzione, intimamente legata come è a quella della malattia, che essa segue passo passo nel suo destino e nella sua multiforme fisionomia.
Quale importanza le spetti nell'evoluzione e nel progresso della medicina è facile intuire sol che si pensi che della malattia si valutavano un tempo eselusivamente i sintomi, senza indagare quali ne fossero le basi materiali: e poiché queste erano quasi del tutto ignorate, si ascrivevano i primi ad alterazioni fantastiche e arbitrarie di organi o di succhi organici che l'anatomia patologica dimostrò in seguito erroneamente chiamati in causa. Donde un disordine palese nella ricostruzione dei fenomeni morbosi ed un falso e pernicioso indirizzo nei provvedimenti curativi. Su questa specie di solidismo posto a fondamento del concetto di malattia, l'anatomia patologica creò un'orientazione nuova del pensiero medico, lo provvide di elementi positivi in luogo di concezioni astratte e giovò al Laënnec per erigere, nella prima metà del secolo XIX, quella dottrina dell'ascoltazione mediata degli organi sani e malati di che sarà detto più oltre e da cui ebbero la spinta le più sagaci e fertili iniziative nel campo della terapia. In questo meraviglioso lavoro di creazione l'anatomia patologica tolse dall'anatomia normale le nuove conoscenze di morfologia e di topografia viscerale, dalla fisiologia normale i corollarî più moderni sulle funzioni organiche investigate con mezzi fisico-chimici e dalla istologia e dalla batteriologia le deduzioni più sicure sulla fine struttura dei tessuti sani e malati e sull'origine prima delle alterazioni anatomiche. Il suo solidismo fu ed è in continua evoluzione: essa si sforza cioè, diuturnamente, di fornire di un substrato morfologico tangibile quei disordini funzionali che si definiscono sine materia, poiché non sembrano avere un fondamento plastico, mentre è intuitivo che lo debbano possedere. Il suo programma, ripetiamo, non è statico anche perché si prefigge non solo di prospettare l'alterazione anatomica pervenuta all'acme, ma di seguirne le fasi d'ascesa e di regresso e studiarne gli esiti, rievocando così la malattia lungo tutto il suo decorso.
L'anatomia patologica è un ramo di scienza relativamente giovane, per quanto risalgano ad epoche assai remote le rappresentazioni grafiche delle malattie nell'arte primitiva. L'iconografia anatomopatologica nelle sue espressioni frammentarie di anomalie teratoidi e di mostruosità ridicole o terrificanti, precedette di gran lunga il dottrinale della materia. Dalle notizie pervenuteci dalle più anriche civiltà, come l'indiana, la cinese, la babilonese, l'egiziana, non si deduce che fossero conosciute e descritte le alterazioni morbose dei visceri, mentre lo erano sicuramente quelle dei tegumenti e delle ossa. Ciò è tanto più strano se si pensi che presso alcuni popoli, come ad esempio l'egiziano, era costume imbalsamare i cadaveri, che con particolari norme venivano in parte eviscerati da esperti, i paraschisti, ed infarciti di sostanze balsamiche. Theodor Puschmann ricorda che siffatti imbalsamatori di mestiere non trovavano il tempo per alcun'osservazione anatomica, giacché subito dopo l'eviscerazione, praticata attraverso ad un unico taglio ventrale, si allontanavano in tutta fretta, ricorsi a colpi di pietra dai congiunti del morto. Secondo Gusztáv Scheuthauer gli Egiziani conoscevano le alterazioni provocate nell'intestino dei malati di clorosi dal Dochmius duodenalis constatato durante le manipolazioni necessarie all'imbalsamazione e il Katzenelson opina che le conoscenze anatomopatologiche dei medici ebrei dal sec. II al I a. C., non dovessero essere scarse, essendo noto, da quanto comunica Abraham Hartog Israels, che i rabbini e i tribunali ebrei concedevano le autopsie specie a scopo giudiziario.
Nella raccolta degli scritti ippocratici vi è solo quanto riflette l'aspetto anatomico delle alterazioni superficiali, essendo anche presso i Greci, come presso i Romani, intangibile il cadavere umano. Aristotele, che eseguì sui bruti molte esercitazioni anatomiche, desumeva da queste i criterî per giudicare su malattie viscerali umane, che però non poté controllare obiettivamente. All'opposto, notevole impulso ebbe l'anatomia patologica con l'avvento della scuola alessandrina nel sec. IV e III a. C. in quanto non solo era permessa la dissezione dei cadaveri, ma pare che esercitazioni anatomico-chirurgiche potessero farsi in corpore vili, cioè sui criminali. Appartennero a questa scuola Erofilo ed Erasistrato vissuti nel sec. III a. C., esperti nel dissecare cadaveri umani ed abili nel porre in evidenza alcuni particolari di morfologia e nel tentativo tutt'affatto embrionale di dare una base anatomica alle singole malattie. Haller (Biblioth. anatom., I, Zurigo 1774, p. 60), attribuisce, p. es., ad Erofilo l'osservazione che nella lussazione dell'anca si lacera il ligamentum teres. Ma la tendenza allo studio del cadavere non durò a lungo nemmeno nella scuola alessandrina.
I Romani ricevettero dai Greci l'indirizzo naturalistico e fu d'origine greca quel Claudio Galeno che di tanta fama rifulse sotto l'impero di Marco Aurelio per le due sue dissezioni degli animali e per i corollarî anatomo-fisiologici che ne dedusse. Ma non vi è alcun elemento di fatto per ammettere che egli eseguisse necroscopie d'uomini e che la sua conoscenza in materia di alterazioni dei visceri umani provenisse da personale esperienza, piuttosto che dalla tradizione della scuola alessandrina.
L'era bizantina, che ebbe pure i suoi celebri cultori della medicina, quali Oribasio, Aezio e Paolo di Egina, non ci ha tramandato alcuna nozione anatomica che non fosse già consegnata nelle opere più antiche; e presso gli stessi Arabi, che nella chirurgia avevano raggiunto progressi memorabili, il divieto alla dissezione posto dal Corano valse ad ostacolare ogni iniziativa e a impedire ogni nuova acquisizione nel rilievo diretto delle alterazioni organiche.
Nel Medioevo, nonostante i diffusi pregiudizî d'ordine etico e religioso, l'Italia ebbe il merito di noverare qua e là ricercatori che, o per motivi di studio, o per ragioni di indole giuridica, sezionarono cadaveri umani, riferendo più o meno concisamente le constatate modificazioni d'indole patologica. A prescindere dalle notizie tramandateci, secondo cui l'antichissima Scuola di Salerno coltivò fin dal sec. XI gli studî anatomici, non vi ha dubbio che in altri centri di cultura italiani si praticarono, nel sec. XIII e nel XIV, dissezioni anatomiche nel corso di grandi epidemie col proposito di accertarne le cause sulla fede delle alterazioni degli organi interni. Secondo quanto riferisce il Corradi, il padre minorita Salimberti narra che, durante l'epidemia scoppiata in Italia nel 1286, un medico nostrano, di cui non è detto il nome, aperse molti cadaveri a scopo d'investigazione sulla causa del morbo. Frattanto, sul principio del sec. XIV, l'anatomico Mondino de Liuzzi (1316), insegnante nell'università di Bologna, componeva la prima opera descrittiva anatomica (Anathomia) che vide poi la luce per le stampe a Venezia nel 1478, che fu ristampata un secolo dopo e in cui, oltre a dati di morfologia elementare del corpo umano, sono ricordate alcune alterazioni viscerali ed esposti concetti di ordine fisiologico. Anche il Bertuccio, allievo e successore del Mondino, si attenne nel suo Collectorium allo stesso indirizzo, non perdendo di vista l'importanza del rilievo delle modificazioni patologiche dei visceri. È all'incirca dell'epoca del Mondino la fondazione in Ispagna, nell'ospedale annesso al monastero di Guadeloupe, d'una scuola anatomopatologica di cui si hanno vaghe notizie nella raccolta bibliografica della Medicina española pubblicata a Madrid dal Morejón nel decennio 1842-1852.
L'evoluzione scolastica degli studî medici, affermatasi in Italia sempre più organicamente verso la metà del sec. XV, col sorgere e sistemarsi di nuovi centri di cultura umanistica, fornì l'impulso alla volgarizzazione delle dottrine anatomiche attraverso gli scritti di Antonio Guainerio professore a Pavia, di Michele Savonarola e di Bartolomeo Montagnana, insegnanti entrambi di medicina a Padova, e di Giovanni Arcolani maestro della stessa disciplina a Bologna. La facoltà medica di Vienna attese fino al 1404 che un medico italiano, Galeazzo di Santa Sofia, aprisse il primo cadavere umano, avvenimento questo che si ripeté in tutto il sec. XV altre sette volte soltanto e quasi sempre sub Iove frigido, cioè all'aperto, non essendovi locale adatto.
Andrea Vesalio col suo trattato De humani corporis fabrica gettò nel sec. XVI le basi dell'anatomia descrittiva, conferendo immediatamente valore alle osservazioni d'ordine anatomopatologico che alcuni osservatori del suo tempo rendevano qua e là di pubblica ragione. Ma prima ancora che l'opera sua potesse esercitare tale influenza, la storia del principio del sec. XV segnala le chiare illustrazioni dei calcoli biliari e dell'apoplessia lasciateci da Alessandro Benedetti insegnante a Padova e fondatore di un antico teatro anatomico ormai scomparso, nonché le molteplici descrizioni anatom0patologiche di Berengario da Carpi chirurgo dell'università di Bologna, che si vantava di avere al suo attivo più di cento necroscopie, cosa invero eccezionale per quei tempi, quando si pensi che mezzo secolo dopo un Bartolomeo Eustachio dell'università di Roma, morto nel 1574, affermava d'essere stato il primo a praticare in Roma investigazioni patologiche sul cadavere, come si legge nella prefazione che il Lancisi compose per le sue Tabulae anatomicae. Ma né lui né Vesalio lasciarono eredità veruna da questo lato: di Vesalio v'è solo qualche richiamo incidentale ad alterazioni organiche in alcuni punti dei sette libri della sua magistrale opera sulla conformazione del corpo umano. Da alcuni altri contemporanei di Vesalio, quali Realdo Colombo, cremonese, insegnante di anatomia a Padova, a Pisa e a Roma, Giovanni Filippo Ingrassia, che professò anatomia a Napoli, e Giulio Cesare Aranzi che insegnò a Bologna, ci pervennero notizie, vuoi su malformazioni viscerali congenite osservate all'autopsia, vuoi su reperti di malattie acquisite. Dell'Aranzi è degna di menzione una monografia sull'origine dei tumori e sul loro contegno in relazione alla sede dello sviluppo. Forse più di tutti contribuì nel sec. XV alla divulgazione delle conoscenze anatomopatologiche un colto medico fiorentino, Antonio Benivieni, con un'opera che vide la luce nell'anno stesso in cui egli si spense e che costituisce una miniera di osservazioni necroscopiche le più varie, tanto che da von Hecker, uno dei più autorevoli biologi del sec. XIX, egli è considerato come il vero "padre dell'anatomia patologica". Fra gli stranieri che nello stesso sec. XVI si occuparono di osservazioni anatomiche van ricordati il Kentmann di Torgau, l'YHoullier di Parigi, il von Grafenberg di Friburgo e il van Hilden (Fabricus Hildanus) di Berna, che pubblicò una memoria sull'importanza e sul valore dell'anatomia. A vero dire, l'opera del van Hilden appartiene al secolo successivo ed ha soprattutto indirizzo chirurgico. Fra i nostrani vanno infine ricordati i precetti insegnati dal ferrarese Ippolito Boschi nel suo De facultate anatomica.
La scoperta del microscopio ad opera del Galilei e quella della circolazione del sangue dell'inglese William Harvey (1628) dischiusero all'anatomia patologica, all'alba del sec. XVII, un'era nuova, imprimendole un indirizzo fisiologico e gettando le fondamenta di quell'edifizio dell'istologia normale e patologica ch'ebbe il più largo seguito nei secoli successivi.
I primi sprazzi di luce sull'anatomia istologica e sulla batteriologia derivarono dalla scoperta dei globuli rossi del sangue e della circolazione capillare fatta da Marcello Malpighi insegnante a Bologna, nella seconda metà del sec. XVII, e da quella degli Infusorî e dei Batterî di Antonie van Leeuwenhoek, insegnante libero in Delft, nel 1675. Lungo tutto il sec. XVI e una gran parte del XVII, non v'è quasi opera anatomica di un qualche valore, ove non si descrivano variazioni patologiche dei visceri e non si richiami l'attenzione sull'importanza di questi rilievi nei riguardi dell'arte di medicare, ed in ispecie del buon indirizzo delle intraprese chirurgiche. Ne scrissero tra i molti Jean Riolan Junior, Adriaan van den Spieghel, Nikolaas Tulp, Tommaso Bartolino, Johann Vesling, Federik Ruysch, Philipp Verheyen, Antonio Molinetti, Giulio Cesare Claudini, Francus Glisson, Pietro de Marchetti, Thomas Willis, Johann Peyer, Raymond de Vieussens, e Gian Battista Fantoni.
A Roma per iniziativa di Giovanni Guglielmo Riva, vissuto verso la metà del sec. XVII, veniva fondato il primo museo anatomopatologico nell'ospedale della Consolazione e creata la prima società per l'incremento particolare di questo ramo della medicina. Attraverso tutto il sec. XVII, sia pure per merito di osservazioni frammentarie, va concretandosi il bisogno di un' individualizzazione dell'anatomia patologica e del suo netto distacco dall'anatomia normale. Così Boot e Glisson descrivono la rachitide; Johann Jacob Wepfer per il primo dà il reperto delle cicatrici conseguenti a vecchi focolai emorrogici; Francesco Redi segnala come dovute ad uno speciale parassita le alterazioni cutanee della scabbia e Raymond de Vieussens descrive le malattie del pericardio, dall'idrope all'infiammazione ed ai suoi esiti. Si acuisce in questo secolo la tendenza alla compilazione di raccolte di casi importanti nei riguardi anatomici e anatomopatologici sotto il titolo di Sillogi (Georg Hieronymus Welsch), di Sepolcreti (Théophile Bonet), di Biblioteche mediche (Jean Jacques Manget) e di Spicilegi (Theodor Kerckring) che troveranno nel secolo successivo la più classica e veramente magistrale espressione nell'opera del Morgagni De sedibus, che tutte le supera per intrinseco valore critico e per ricchezza di documentazione. Theodoro Kerckring nel suo Spicilegium anatomicum raccoglie una centuria di annotazioni fra anatomiche ed anatomopatologiche: vi sono, tra le prime, la descrizione delle valvole conniventi della mucosa intestinale che da lui presero il nome; tra le seconde un contributo sui vizî congeniti del cuore, l'esatta descrizione ed interpretazione dei cosiddetti polipi cardiaci ed un caso di congenita apertura della vòlta cranica e della colonna vertebrale (cranio-rachischisis) finemente analizzato. Il Blankaart, fra alcune stranezze ed errori d'interpretazione, pubblica diligenti reperti sul cancro uterino, sulle cisti dermoidi dell'ovario e sulla tubercolosi dei polmoni. Théophile Bonet e Jean Jacques Manget lo seguono a breve distanza con le loro voluminose memorie ispirate allo stesso principio di sottoporre alla meditazione dei contemporanei una congerie di osservazioni, in parte cliniche e in parte anatomopatologiche, racimolate dalla casistica dei predecessori, o frutto della loro personale esperienza, senza però un vero obiettivo di sintesi e perciò senza l'enunciazione di leggi d'ordine generale. Vi è bensì nel Sepolcreto del Bonet una ripartizione delle malattie, ma soltanto secondo un ordine puramente topografico, ben lontano dal concetto di quella patologia sistematica che costituirà l'indirizzo prevalente delle epoche successive: cosicché il Bonet per l'opera sua emerge, tra l'altro, come un precursore di quell'anatomia patologica topografica, che non ha trovato in seguito cultori degni dell'importanza che le compete per l'utilissimo contributo di conoscenze che può recare al buon esercizio professionale.
Dal tronco staminale dell'anatomia normale germogliò, sul principio del sec. XIX, come materia a sé, l'anatomia topografica normale, vale a dire lo studio della conformazione regionale delle varie parti del corpo umano, il cui vantaggio per la chirurgia cruenta e incruenta non è mestieri commentare, tanto è palese. Poiché l'anatomia patologica è figlia primogenita dell'anatomia normale e ne ha seguite dappresso le orme fin dall'antico, dovevano i tempi recare con sé anche la naturale inclinazione allo sviluppo del ramo parallelo di patologia topografica, onde l'esempio del Bonet apportasse i suoi frutti. Né si sa invero perché questa eredità non sia stata raccolta. Ciò non toglie che Théophile Bonet e Jean Jacques Manget debbano considerarsi indiscutibilmente come i precursori di un'era nuova, per l'iniziativa che loro spetta d'aver posto in rilievo il valore del controllo anatomico alle sindromi cliniche e di aver tentato di dare a queste ultime una giustificazione d'ordine fisico, che per quei tempi era già molto, giacché significava sostituzione alle speculazioni metafisiche del fatto di osservazione, cioè di un elemento concreto di giudizio. La posizione di prim'ordine che acquista l'anatomia patologica nel sec. XVIII trova le sue ragioni in quest'indirizzo prettamente sperimentale che culmina nella magistrale rassegna critica di Gian Battista Morgagni intitolata De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (Venezia 1761). Sono di questo medesimo secolo parecchi scritti apologetici sulla portata dottrinale e pratica della dimostrazione anatomica per l'interpretazione dei fenomeni morbosi; la maggior parte di essi precede l'opera del Morgagni e le prepara, a dir così, l'atmosfera spirituale che stabilì il suo indiscusso trionfo: tali, ad esempio, le pubblicazioni al riguardo di Abraham Vater, di Gerhard Andrea Müller e di Friedrich Hoffmann; altri la seguono come quelli di Edward Sandifort e di Paul S. Graeuwen, quasi avessero preso lo spunto per spingere innanzi e costruire su quelle basi granitiche la nuova dottrina dalla mirabile miniera di documenti anatomici raccolti dal Morgagni.
Ma il padre legittimo e universalmente riconosciuto dell'anatomia patologica, con tutto il rispetto dovuto all'opinione di von Hecker, è però sempre quest'ultimo grande italiano. Gian Battista Morgagni (v.) occupa nella storia della medicina del secolo XVIII lo stesso posto che Galileo Galilei tiene nella storia della fisica del sec. XVII. È infatti suo merito insigne l'aver sostenuto e dimostrato che non vi può essere comprensione completa della natura d'una malattia se non si risalga alle origini dei sintomi con lo scoprirne il fondamento anatomico, col vagliare se il legame tra la funzione lesa e l'alterazione plastica viscerale soddisfaccia alla critica patologica per la sua naturalezza, col riconoscere infine se qualcosa pure esista della sindrome che non trovi adeguata giustificazione nel modificato aspetto degli organi. La ricostruzione fedele di un quadro morboso non poteva per lui prescindere dall'assoluta necessità della metodica osservazione anatomica di un gruppo di casi dello stesso tipo; e, per quanto il bisogno di un simile logico complemento delle conoscenze mediche fosse già stato, come si vide, adombrato in passato, è indubbio che nessuno prima di lui seppe, con tanta ampiezza di dati, rivelare il substrato fisico delle malattie e designare lo studio del cadavere non come espressione del dovere d'ogni medico di conoscere l'organizzazione normale del corpo umano, ma come mezzo indispensabile di valutazione delle modificazioni indotte dai morbi nelle sue intime strutture. Dall'anatomia normale si staccava quindi, per opera sua, ed acquistava dignità di materia a sé l'indagine sullo stato anatomico dei visceri malati: e se l'anatomia patologica è meritamente assurta nel sec. XIX al valore d'insegnamento dottrinale e pratico in tutte le università del mondo, si deve ricercare la sorgente prima di questa sua autonomia nelle investigazioni del Morgagni durate oltre 60 anni e nella preziosa eredità d'indirizzo e di pensiero che egli ha lasciato alla medicina.
Della vita e delle opere di questo grande, che diede all'Italia il primato in un ramo di scienza, è detto ampiamente nella voce che lo riguarda; ma qui sia lecito osservare, non certo a minoralità e d'individualità che egli impresse all'anatomia patologica e in ossequio all'equita della critica storica, che egli, come segnò della sua orma l'epoca in cui visse, trovò indubbiamente anche nel tempo e negli uomini il meritato appoggio. La Repubblica di Venezia, che teneva alto il decoro dello Studio di Padova e ne curava l'incremento in ogni ramo dello scibile, lo elevò alla cattedra giovanissimo, su designazione dei Riformatori e, accertatone il valore, lo tenne in grande pregio, concedendogli mezzi, compensi ed onori, mentre pel consenso degli stessi papi e dell'Inquisizione e soprattutto per un complesso di provvide leggi, il materiale anatomico, prima negato alla ricerca scientifica dai pregiudizî del volgo e da un pietismo inconsulto e retrivo, veniva con liberale larghezza assicurato alle sue iniziative. Sotto questo riflesso i tempi furono degni dell'uomo che li seppe magistralmente piegare ai proprî fini. Il De sedibus, la sua opera fondamentale che risplende come fiaccola nelle penombre di quella vaga intuizione del vero in cui la medicina si dibatteva ancora fra i ceppi della metafisica, consta di cinque libri ed è scritta in forma di epistole e di sermoni. Nel primo libro sono esposti e analizzati numerosi casi di malattie del capo; nel secondo son trattate le malattie del torace; nel terzo quelle dell'addome; nel quarto argomenti di patologia diversi, come la febbre, gli avvelenamenti, i tumori; nel quinto, infine, sono esposte notizie e commenti complementari ai primi quattro libri. Lo Spicilegio del Kerckring e il Sepolcreto del Bonet di un secolo innanzi rappresentano opere di assai minor mole e sostanza, ma vi è in esse l'intelaiatura e il dispositivo tecnico del De sedibus con la differenza che in quest'ultimo l'indirizzo anatomopatologico, anche nelle parti dedicate al commento clinico, è preminente e l'acume critico e l'erudizione vi sono di gran lunga più elevati. Non minor merito spetta al Morgagni per le sue Adversaria anatomica, per le sue Epistolae anatomicae e per i suoi Opuscula miscellanea anche nei riguardi delle osservazioni che qua e là dedica alla materia di cui è parola in questa voce e che rimangono, per la parte che non riflette la medicina, documenti insigni della grande versatilità dell'ingegno di quest'uomo che con pari valentia scriveva di agronomia, di storia, di filologia e di scienze fisiche e naturali. Il nostro pensiero ricollega senza sforzo questa sua poderosa fecondità mentale a quella di un grande del Rinascimento, Leonardo da Vinci.
Rispetto a quello che potremmo definire culto esterno dell'anatomia patologica si deve por mente che esso, nel sec. XVIII, aveva di già assunto una veste dignitosa. In contrasto con l'abbandono in cui era stata lasciata la pratica dimostrazione collettiva del cadavere all'epoca del Vesalio, di Realdo Colombo e di Gabriele Falloppia, quando l'iniziativa dei singoli suppliva alle deficienze di ordinamenti statali o regionali e la pubblica ostensione del cadavere agli studiosi si faceva in baracche di legno improvvisate all'aperto, costruite dagl'interessati lontano dall'abitato, perché non ne fosse offesa la morale dei tempi, ed a pochi era dato assistere a pratiche lezioni tenute in segreto nella stessa casa del maestro trasformata in iscuola, in contrasto con tutto ciò, leggeva, ad esempio, il Morgagni anatomia nell'artistico teatro che, ispiratore Fabrici d'Acquapendente, la Serenissima aveva edificato nel palazzo stesso dello Studio di Padova verso il 1594 e che si conserva ancora come glorioso cimelio di quell'epoca fortunata per il progresso della medicina. Le lezioni erano pubbliche e si tenevano con grande solennità, quasi con fasto. La campana civica suonava a raccolta e appresso al maestro sedevano spesso i più alti magistrati negli abbigliamenti delle grandi cerimonie.
La seconda metà del sec. XVIII novera altri felici descrittori di reperti anatomopatologici, come Joseph Lieutaud, medico di di fiducia di Luigi XV e di Luigi XVI, che da 1200 autopsie eseguite nell'ospedale di Versailles deduce una copiosa raccolta di osservazioni, inaugurando il metodo della trattazione delle alterazioni anatomiche in forma sistematica per ogni viscere; Edward Sandifort di Leida, designato dal Cruveilhier come il padre dell'iconografia patologica per le magnifiche illustrazioni che corredano i suoi scritti sulla materia; Pieter Camper con le sue osservazioni sulle ernie; Mathew Baillie, allievo di John Hunter, profondo nell'anatomia normale come nella patologica e fondatore a Londra di un ricco museo anatomopatologico; e fra gl'italiani Antonio Vallisnieri, Gian Battista Bianchi, Gian Domenico Santorini, e Giuseppe Benvenuti, insegnanti i due primi di anatomia nell'università di Padova e di Torino, il terzo maestro d'anatomia all'ospedaletto di Venezia, ed il quarto chirurgo privato in Lucca.
La fine del sec. XVIII segna anche l'apparizione dei due primi trattati-compendio di anatomia patologica per merito di Christian Ludwig e di Georg Conradi, opere queste di valore più storico che intrinseco, ma che ad ogni modo valgono come espressione dell'idea già matura d'una completa indipendenza dell'anatomia patologica dai rami affini e in ispecie dall'anatomia normale. La chiusa di questo secolo vide anche i primi tentativi di patologia sperimentale nel campo della rigenerazione dei tessuti, con una monografia redatta da Justus Annemann e le prime oncologie sistematiche (Astruc, von Plenck, Bertrandi, ecc.), che lasciano larga parte nello svolgimento prevalentemente clinico, alla descrizione anatomica delle singole varietà di neoplasma, mentre sorgono qua e là sempre più numerose le collezioni di pezzi patologici in Iena, in Berlino, in Pavia, in Praga e altrove, con l'organizzazione di veri musei a testimonianza del bisogno sempre più sentito di conservare i documenti tangibili delle osservazioni patologiche e all'occasione di giovarsene come contributo casistico e come materiale dimostrativo per l'insegnamento pratico nelle università o negli ospedali.
Nel sec. XIX l'orizzonte dell'anatomia patologica si allarga, mentre prende piede sempre più il principio che la informa del controllo anatomico delle sindromi cliniche; si allarga, in quanto essa non si limita a stabilire quale alterazione organica, manifesta alla necroscopia, corrisponda a quel determinato disordine di funzione o a quel complesso di disordini che è il quadro sintetico della malattia, ma cerca di spingere più oltre lo sguardo con la determinazione della causa delle alterazioni anatomiche e delle modificazioni strutturali più delicate del terreno organico sul quale la causa agisce. A ciò contribuirono da un lato i progressi apportati nella tecnica fisica con l'impiego di sistemi di lenti, necessarî alla visione delle fini strutture, e in ispecie con l'applicazione al microscopio delle lenti acromatiche per opera di Fraunhofer, e di obiettivi a più lenti e ad immersione costruiti da Chevalier e da Amici, onde furono rese percettibili particolarità istologiche non mai rivelate per lo innanzi, sia nel campo delle strutture normali sia in quello più vario delle modificazioni patologiche; dall'altro, le coperte della microbiologia che, passata dalle divinatorie intuizioni di Agostino Bassi alla concreta sistemazione di principî fondati sull'esperimento per opera di Louis Pasteur e di Robert Koch snebbiò l'origine prima delle malattie da un'infinità d'incertezze e di misteri, arricchendo di rivelazioni insperate la dottrina delle cause morbigene a corredo del solido fondamento anatomico già costruito dal Morgagni.
Il secolo si apre con gli studî di Xavier Bichat sull'istologia generale e speciale degli organi e con quelle sue osservazioni d'istologia patologica, che videro la luce dopo la sua morte e che rappresentano il primo serio documento della nuova via dischiusa all'investigazione del cadavere. Il punto naturale di partenza, per qualsiasi illazione d'ordine patologico suggerita dalle ricerche microscopiche nel campo dell'istologia, si doveva infatti costituire col tenace lavoro degli anatomici, cioè con la sistematica dimostrazione delle proprietà morfologiche più elementari dei tessuti animali, dopo di che le alterazioni indottevi dalle malattie sarebbero riuscite di più facile comprensione. A questo lavoro preparatorio oltre al Bichat concorsero, tra gli altri, Charles Bell con le sue ricerche sul sistema nerveo spinale, Jan Purkinje ed Ernst von Baer con quelle embriologiche, Theodor Schwann e Friederich Tiedemann con le loro osservazioni di chimica fisiologica e d'istologia comparata. D'altro verso le alterazioni fisiche grossolane degli organi nel corso delle malattie acquistarono importanza sempre maggiore dopo che R.-Th.-H. Laënnec rivelò la percettibilità nel vivente di alcune di esse col mezzo dell'ascoltazione: onde sorse in Francia quella scuola che si potrebbe dire del solidismo, che pose l'anatomia patologica al primo piano, trasformandola da dottrina dell'epicrisi in materia basilare pel giudizio clinico, più di quanto prima non fosse. Ne venne una fioritura di scritti anatomopatologici non soltanto da parte di studiosi specializzati nel ramo, ma altresì ad opera di clinici di valore, quali il Billard, il Louis, il Broussais, l'Andral, ed altri seguaci di quell'indirizzo che il Prost aveva propugnato nella sua Médecine eclairée par l'observation et l'ouverture des corps (Parigi 1804) e che portò, proprio in quegli anni, alla creazione in Francia della prima cattedra di anatomia patologica coperta in Strasburgo da Martin Lobstein fra il 1819 ed il 1835. Dalla grande esperienza nello studio delle alterazioni viscerali il I, Lobstein trasse materia per un trattato di anatomia patologica corredato di atlante, rimasto disgraziatamente incompleto, ma ancor oggi degno di considerazione per l'impronta personale che l'autore gli ha dato nella ripartizione sistematica delle modificazioni organiche in rapporto ai caratteri fisici. L'esempio di Strasburgo fu tosto seguito da altre università francesi, prima fra tutte da quella di Parigi, ove per un cospicuo lascito testamentario del celebre chirurgo Guillaume Dupuytren sorgeva nel 1836 la seconda cattedra di anatomia patologica, che ebbe per lettore Jean Baptiste Cruveilhier, rivelatosi buon anatomico già con la sua dissertazione di laurea dal titolo Essai sur l'anatomie pathologique en général et sur les transformations organiques en particulier (Parigi 1816), pubblicata a 25 anni e precorrente di trentatré anni il suo celebre trattato della materia, che valse a diffondere la sua fama e fece testo sino a quando le tecniche nuove apportarono negli accertamenti anatomopatologici una radicale trasformazione.
Nel resto d'Europa non fu minore, nella prima metà del secolo XIX, il fervore di questi studî per quanto la culla dell'anatomia patologica, l'Italia, non disponesse di menti cosi elevate da conservare il primato acquistatole dal Morgagni. Stefano delle Chiaie di Napoli, Vincenzo Malacarne di Padova, Gian Battista Palletta di Milano e Floriano Caldani di Bologna, non sono tali da illustrare un'epoca, né può dirsi che in essi la tradizione del '700 abbia trovato adeguata rappresentanza. In Inghilterra ebbe largo seguito la scuola del Baillie e si affermarono uomini d'alto valore quali John Howship, Richard Bright, Thomas Hodgkin, Paston Cooper, Alexander Monro e Robert Todd, alcuni dei quali legarono il loro nome a individualità nosografiche a base prettamente anatomica (morbo di Bright, morbo di Hodgkin), infigurano come innovatori nell'ambito delle investigazioni anatomopatologiche. In Austria e in Germania il periodo che precede la riforma inaugurata da Rudolf Virchow, cioè il primo cinquantennio del sec. XIX, risente l'influsso di teorie unilaterali e non alimenta la patologia desunta dall'osservazione anatomica di nuove correnti di pensiero. Friedrich Henle, professore di anatomia a Heidelberg e Gottinga, è forse il solo che vi porti una nota di originalità con le sue profetiche induzioni sulla natura infettiva dei miasmi e dei contagi (Pathologische Untersuchungen, Berlino 1840): ma non è tuttavia da trascurare l'intenso movimento di volgarizzazione che si compendia nella creazione in qualche università e in grandi ospedali (Vienna, Lipsia, Würzburg) di cattedre e di prosetture patologiche con la nomina di titolari ad hoc, in veste d'insegnanti anche nelle prosetture, e nella pubblicazione di un numero notevole di scritti in parte illustrativi di casi patologici, in parte d'indole monografica, con riguardo alle malattie dell'uno o dell'altro viscere e soprattutto di manuali specifici della materia, quali il voluminoso Handbuch der pathologischen Anatomie di Fiedrich Meckel, corredato d'osservazioni personali e di un atlante stampato a parte, e le molte altre opere di minor mole, ma dello stesso carattere, del Voigtel, dell'Otto, dell'Arnold e del Hasse. Nel 1824 sorse a Vienna la prima cattedra della materia che fu affidata al Biermayer, col titolo di professore straordinario, e poi a Karl von Rokitansky, quale ordinario, nel 1844. Solo cinque anni più tardi fu creato in Germania, e precisamente all'università di Würzburg, il primo ordinariato di anatomia patologica e l'ebbe Rudolf Virchow, invitato a lasciare per la nuova mansione la prosettura di Berlino, ov'era succeduto a Robert von Froriep, professore d'anatomia chirurgica e prosettore insieme. La qual nomina gli aperse poi le porte dell'università di Berlino, che, su proposta di Johann Müller, fondava, nel 1856, la prima cattedra di anatomia patologica e vi chiamava infatti il Virchow ancora giovanissimo.
Ciò che accadde in Germania nei primi decennî del sec. XIX non era in fondo che il riflesso della situazione fatta all'anatomia patologica presso tutti i grandi centri di cultura d'Europa; essa era sempre tenuta per materia collaterale e come tale legata, al pari della fisiologica, all'anatomia normale, in guisa che l'anatomico fungeva talora da fisiologo, tal'altra da patologo, a seconda delle necessità contingenti; e dagl'insegnanti di anatomia si ebbero le prime nozioni fisiopatologiche sino al distacco definitivo delle cattedre, maturatosi, per l'anatomia patologica, lungo tutta la prima metà del sec. XIX e sorto a sistema presso tutte le università del mondo nella seconda metà dello stesso secolo.
Da Vienna e da Berlino s'irradia in questo tempo sull'anatomia patologica la maggior luce: Rokitansky e Virchow ne sono i cultori eminenti. Rokitansky è il grande macroscopista del 1800, come Virchow ne è il grande istopatologo. L'uno raccolse l'eredità di Cruveilhier, infondendole quello spirito nuovo che derivava all'osservazione anatomica e all'interpretazione dei reperti dalle prime conquiste della microscopia applicata allo studio dei tessuti patologici: l'altro riformò i criterî del giudizio epicritico trasformando, per così dire, il solidismo da macroscopico in microscopico e gettando le fondamenta di quella costruzione concezionale e pratica, che assorbirà l'attività dei patologi della seconda metà del sec. XIX il periodo aureo delle scoperte istopatologiche, e che spronerà al rilievo delle modificazioni cellulari morfologiche e chimiche quale sorgente prima e reale dei processi morbosi.
Karl von Rokitansky, che visse sino a 74 anni, ne dedicò ininterrottamente ben 50 al ramo di scienza di cui qui si tratta, imitando la scuola francese in ciò che essa aveva di veramente utile e che risentiva dello spirito morgagniano, cioè della tendenza a uno stretto collegamento tra i reperti del malato e quelli del cadavere, ond'egli lavorò in comunione con lo Skoda, il clinico insigne del suo tempo e creò quella scuola di Vienna, che fu la meta dei medici di ogni paese e dove l'immediato contatto col fatto naturale tenne luogo del dogmatismo d'ogni origine e d'ogni maniera. L'ingentissimo numero di cadaveri che il Rokitansk9 ha sezionato (Hans Chiari lo valuta a 30.000 sino al marzo 1866) gli permise la costruzione di complessi nosografici rispondenti, nei loro elementi anatomici, ad altrettanti quadri sintomatici, vale a dire la realizzazione di una patologia anatomica come cardine organico della fisiopatologia. Sotto questo riguardo il Rokitansky può veramente ritenersi continuatore felice dell'indirizzo del Morgagni, per quanto egli sia stato assai più un insuperabile descrittore di reperti che un fisiopatologo. La sua opera fondamentale è il Handbuch der pathologischen Anatomie (Vienna 1841-46; 2ª ed., ibid. 1855-61), cui fa corona un gran numero di note anatomopatologiche su osservazioni di casistica, o su argomenti di indole generale. Il suo manuale ebbe larga fortuna tra gli studiosi e segnò un effettivo progresso nell'evoluzione della materia.
Più larga e meritata fama diffuse attorno al suo nome Rudolf Virchow, che apparso sull'orizzonte scientifico, come si è ricordato, poco dopo del Rokitansky, ma di parecchio più giovane, volle fortuna lo superasse in longevità, tanto che del suo genio rifulge tutta intera la seconda metà del sec. XIX. Allevato alla scuola dello Schleiden e dello Schwann, che alla morfologia cellulare avevano indirizzate le investigazioni con metodo rigoroso e tecnicamente adeguato, egli fece della dottrina dei costituenti elementari dei tessuti il suo programma di riforma, spostando i termini di giudizio e trasformando la patologia anatomica in patologia cellulare. Insieme con Benno Reinhardt fondò, nel 1847, l'Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und klinische Medizin, ora al suo 271° volume, che raccolse buona parte della produzione scientifica sua, della sua scuola e degli studiosi di tutto il mondo e che figura tuttora tra i più reputati giornali di patologia che la letteratura scientifica registri. È in gran parte opera sua quella grande collezione di preparati anatomici che costituisce il Museo anatomopatologico di Berlino, già ricco di oltre 23.000 pezzi poco prima che egli morisse e accresciuto da materiale nuovo dai suoi successori Johannes Orth e Otto Lubarsch. Il patrimonio scientifico originale che egli ha lasciato alla medicina è rappresentato dalle sue lezioni sulla patologia cellulare e dall'opera sulle neoformazioni patologiche che ne è il seguito e il naturale corollario. L'una e l'altra mostrano una chiara impronta della sua genialità di profondo e acuto studioso dei fenomeni naturali; e poiché egli vi trasfonde la sua convinzione capitale che gli organi ammalino in quanto ammalano gli elementi cellulari che li formano e ne fornisce la prova irrefragabile con una congerie di sistematiche osservazioni microscopiche, può dirsi egli risusciti, con le sue iniziative, l'indirizzo del Malpighi, trasportando nel campo della patologia quanto quest'ultimo avea intuito e dimostrato nell'ambito della citomorfologia normale. Il Virchow non negò, in sostanza, la patologia umorale, come taluno mostra di credere, ma ne sostenne la subordinazione alle modificate condizioni nutritive degli aggregati cellulari di cui i visceri e l'organismo intero sono composti. Non vi è quasi argomento di patologia anatomo-istologica e sperimentale in cui il suo nome non figuri e per quanto alcune sue affermazioni non abbiano resistito alla critica o alle innovazioni del metodo che allargò i confini dello scibile, la sua statura d'uomo di scienza, e d'anatomopatologo in specie, giganteggia siffattamente in tutta la seconda metà del sec. XIX, ch'egli può considerarsi tra le figure più rappresentative che, dopo Giambattista Morgagni, abbiano onorato l'umanità nel campo delle discipline biologiche. Non è esagerato il dire che a lui specialmente si deve la generalizzazione dell'uso della microscopia come mezzo complementare dell'indagine anatomica in tutti i paesi d'Europa e la conseguente fondazione di cattedre universitarie e d'istituti anatomopatologici ospedaliei nei maggiori centri urbani d'ogni popolo civile. Si fece allora vieppiù sentito il bisogno di personale addestrato in questi studî e venne rendendosi ancor più palese il distacco dell'anatomia patologica dalle materie affini e la sua definitiva erezione in corpo di dottrina. Dalle scuole di Rokitansky e di Virchow presero ispirazione quasi tutti i cultori dell'anatomia patologica che copersero e coprono ancor oggi, in Europa ed altrove, posti direttivi e per quanto le nuove scoperte della batteriologia e della biochimica abbiano dopo di essi create insospettate sorgenti di lavoro e reso maggiormente complesso il compito dell'investigazione anatomica ai fini della diagnosi, è al di sopra di ogni possibile contestazione che l'inquadratura dello studio e della produzione anatomopatologica risente di quell'impronta originariamente data ad essa dai due grandi patologi tedeschi. Ma all'infuori di questa constatazione e delle possibili isolate deviazioni da questo indirizzo, sta il fatto che negli ultimi decennî del sec. XIX, per merito dell'impulso partito da Vienna e da Berlino, l'anatomia patologica entrò in tutte le università nel numero delle materie fondamentali indispensabili per la cultura e per la preparazione pratica dei medici. È di quest'epoca la fondazione in Italia di cattedre ad hoc nelle università di Roma, di Napoli, di Torino, di Bologna, di Genova, di Pisa, di Palermo, di Padova, di Pavia e in altri centri culturali, come nell'Istituto superiore di Firenze, ora trasformato in università: e le crearono perfino i piccoli atenei di Siena, di Sassari, di Perugia e di Camerino, mentre di conserva ne sorgevano in tutte le università dell'Impero tedesco, dell'Austria-Ungheria, della Francia, dell'Inghilterra, della Spagna, della Svizzera, della Russia, del Belgio, della Danimarca, nei piccoli stati dell'Oriente europeo, negli Stati Uniti e nel Giappone. Laddove ragioni contingenti lo esigevano, si trasformarono i settorati ospedalieri in cattedre o si affidarono ai professori universitarî i settorati, per evitare conflitti nelle attribuzioni oltre che dannose dispersioni del materiale anatomico. D'altro lato la biochimica e la batteriologia imposero, come si disse, doveri nuovi all'anatomopatologo: la biochimica gli diede modo di varcare i confini della morfologia pura per penetrare nell'intimo delle modificazioni subite dalla materia vivente nelle alterne vicende della malattia e della guarigione; la batteriologia gli fornì un'arma utilissima non solo per lo studio delle cause, ma altresì per la ricostruzione sperimentale delle malattie, consentendogli intraprese operative che sarebbe stato vano instaurare nell'epoca pre-batteriologica, onde ne venne il frazionamento analitico della patogenesi, con più precisione di quanto la natura potesse concedere nel metodico controllo delle successive fasi dei fenomeni morbosi spontaneamente insorti. Acquistò così largo dominio nelle scuole anatomopatologiche la patologia sperimentale e non vi fu quasi avvenimento morboso, constatato alla necroscopia, che non fosse sottoposto al vaglio della riproduzione in corpore vili. Emersero in queste iniziative Claude Bernard, fisiologo, farmacologo e sperimentatore di genio, Brown-Séquard, Julius Cohnheim, Paolo Mantegazza, Viktor Pašutin, Ettore Marchiafava e la sua scuola, Salamon Stricker, Giulio Bizzozzero e Camillo Golgi con la pleiade dei loro valenti allievi disseminati nei varî centri culturali della penisola. L'anatomia patologica da dottrina dell'epicrisi divenne così campo amplissimo di studio dell'eziologia e del meccanismo di produzione delle malattie e perciò palestra di addestramento superiore dei giovani non solo nell'ambito della macroscopia anatomica resa fine a sé stessa, ma come fucina di preparazione spirituale e di ginnastica critica per tutti i rami pratici della medicina. La costruzione di microscopî sempre più perfetti, l'introduzione di apparecchi adatti a sostituire utilmente lo strumentario primitivo nell'allestimento dei preparati istologici, l'impiego di sostanze coloranti particolari e di miscele cromatiche ad azione mista, fondate sul principio della diversa affinità chimica dei costituenti cellulari e soprattutto l'uso degli artifizi di impregnazione metallica per merito di Ramón y Caial e del Golgi per dar risalto ai più delicati e fini caratteri strutturali dei tessuti, valsero a creare una vera aristocrazia anatomica e ad accentrare nelle mani di esperti tutto un lavoro d'osservazione e di metodo, che esigeva ormai per la sua multiformità un'assoluta dedizione e un lungo e specifico tirocinio dei suoi cultori. Il grande sviluppo assunto dai settorati verso la fine del sec. XIX, non solo nelle maggiori città d'Europa e d'America, ma anche in quelle a popolazione più limitata e prive di università ai cui istituti gli enti di assistenza civile e i privati cittadini potessero ricorrere, è espressione palmare di questa stretta specializzazione dell'anatomia patologica moderna e della sua indispensabile assimilazione per l'esercizio pratico della medicina.
I grandi fondatori dell'edificio batteriologico, Louis Pasteur, (1822-1895) e Robert Koch (1843-1910), con le loro rivelazioni sulle cause delle malattie infettive crearono, in quest'epoca, nell'anatomopatologo un senso di eclettismo nuovo, ond'egli pose a servizio della sua arte dispositivi d'esperimento tutt'affatto originali, non consentendo ormai più il progresso scientifico ch'egli dinanzi al problema della diagnosi d'una forma sospetta infettiva si perdesse in congetture e trascurasse quegli accertamenti tecnici, che gli potevano spianare la via all'esatta valutazione dei fatti naturali. Così la più complessa visione del quadro morboso, analizzato sotto ogni aspetto, gli conferì maggiore larghezza di percezione e l'importanza del suo compito s'impose anche nei riguardi della medicina sociale.
È della fine del sec. XIX la tendenza, in quasi tutti i paesi, alla scissione dell'anatomia patologica in una parte generale ed in una speciale, o meglio, nell'anatomia patologica sistematica, che ha di mira l'illustrazione anatomica delle singole malattie e nella patologia generale che studia le leggi generali che presiedono allo sviluppo dei processi morbosi, vagliate con i metodi della fisiologia e con quell'indirizzo positivo che rifugge da qualsiasi brillante sfoggio di divagazioni speculative. Presso di noi questa tendenza fece capo a Giulio Bizzozzero, a Camillo Golgi e, sul principio del sec. XX, ad Alessandro Lustig, che completa la triade di coloro la cui mirabile opera scientifica e didattica guidò alla rinascita della patologia in Italia. Di qual progresso questi tre insigni abbiano fatto beneficiare la scienza da essi professata e i rami affini, è data ampia documentazione nella voce patologia generale.
Restando nel campo dell'anatomia patologica è opportuno ricordare che, nella seconda metà del sec. XIX e all'alba del XX, assistiamo a una sorprendente fioritura di monografie sugli argomenti più disparati dell'anatomia patologica, alla pubblicazione di giornali di patologia, vere raccolte di osservazioni e di ricerche anatomopatologiche originali, e alla compilazione di trattati classici della materia che fanno tuttora testo. Nello stesso tempo le nozioni embriologiche fornivano gli elementi per una giustificazione scientifica delle più strane malformazioni del corpo umano e gli esperimenti eseguiti sugli embrioni dei bruti dal Dareste, dallo Schultze, dal Roux tentavano di sceverare quanto nella genesi delle deformità dipendesse da un difetto essenziale dello sviluppo primigenio e quanto da cause estrinseche ai tessuti fetali. Si gettavano così le basi di quella teratologia che nel Taruffi, nel Förster, nel Marchand, nello Schwalbe e nel De Vecchi ebbe volgarizzatori all'altezza dell'estrema difficoltà del tema. Sul tronco ormai robusto della batteriologia germogliava la novella dottrina dell'immunità, che nell'ambito delle infezioni e di alcune intossicazioni rappresentava un ritorno all'antica teoria umorale, con la differenza che nei succhi organici erano concezionalmente riposte non le ragioni prime delle malattie, ma, invece, quelle della difesa utile o vana contro l'attacco dei morbi. In conseguenza di ciò non perdeva terreno la patologia cellulare, né ammainava, a dir così, la sua bandiera quel solidismo, che nella sua nuova veste istopatologica aveva creata la corrente neo-vitalistica come contraltare alle dottrine vitalistiche del Brown, puramente speculative e lontane dalla natura. Poteva solo affermarsi che i principî della fisicochimica tenevan luogo della fisica pura, senza che ne uscisse perciò menomata l'importanza della morfologia grossa e minuta nella sintetica concezione della malattia. Il solidismo macro- e microscopico fruttò infatti in quest'epoca gli accuratissimi e geniali studî anatomo-fisiologici sui disordini della nutrizione dei tessuti cui l'Ehrlich, il Mallory, il Ljbimov, il Weigert e moltissimi altri posero mano, e quelli sulle alterazioni del circolo sanguigno investigate dal Cohn, dal Bizzozero, dallo Zenker, dal Bonome e le sistematiche osservazioni microscopiche sulla rigenerazione normale e patologica di Cornil e Ranvier, del Bizzozero e della sua scuola (Vassale, Griffini, Morpurgo, Sacerdoti), nonché le innumerevoli osservazioni di ematologia e di parassitologia vegetale ed animale degli organi e tessuti umani lasciateci dal Dubini, dal Laveran, dall'Hayem, dal Marchiafava, dal Foà e più di recente dallo Schaudinn, dal Negri, dal Castellani e dal Ferrata.
Sono di questo scorcio di secolo e dell'inizio del XX i più voluminosi manuali anatomopatologici che sieno mai stati dati alle stampe e che, a differenza degli antichi, son corredati di illustrazioni di reperti macro- e microscopici inserite nel testo, così da compendiare in sé le caratteristiche del trattato e dell'atlante insieme, mentre portano a conoscenza dello studioso, in forma concisa, quanto di meglio accertato esiste nel dottrinale biochimico, etiologico e patogenetico pertinente ad ogni malattia viscerale singolarmente descritta. Tali il celebre manuale di Johannes Orth, quello del Ribbert e di Cornil e Ranvier specialmente dedicati alla patologia cellulare, le lezioni di anatomia patologica del Valenti ed i trattati del Ramón y Cajal, del Kaufmann, del Banti, dell'Aschoff sino agli ultimi apparsi del Foà e di Henke e Lubarsch. Ai compendî sull'arte del dissecare con obiettivo patologico del Nauwerk, del Fischer, del Reussy ed Ameille e del Chiari fecero riscontro in Italia i manuali del Pianese, del D'Arrigo, del De Vecchi, del Franco, parte con puro intento metodologico, come quest'ultimo, parte con indirizzo prevalentemente diagnostico. Così la letteratura anatomopatologica si è fatta oggi tanto abbondante, da poter competere con quella dei rami più fiorenti della medicina, non rimanendo la materia estranea alla fisico-chimica ed alla scienza degli esseri infinitamente piccoli, da cui seppe trarre quanto poteva esser utile al proprio fine che si concreta nella rievocazione il più possibile completa della malattia dal suo esordio alla fine.
Lo iatromeccanicismo preconizzato da Gian Battista Morgagni e da lui magistralmente applicato, nel moderno indirizzo dell'anatomia patologica si è ravvivato alle sorgenti della chimica e della microbiologia, assumendo quella veste più complessa e più perfetta che il grande italiano designava come il portato ideale dell'enciclopedismo medico nel campo delle scienze naturali. Vaticinava egli infatti non potersi raggiungere alcun reale progresso nello studio delle malattie senza una sufficiente conoscenza delle scienze ausiliarie della medicina ed in particolare della fisica e della chimica, e da insuperato anatomista-patologo qual'era, si valse in tutta la sua vita dei ritrovati dell'una e dell'altra quali potevano essergli forniti dal grado di evoluzione che esse avevano raggiunto all'epoca in cui egli impresse nello studio della natura umana l'orma incancellabile del proprio genio.
Bibl.: Fra le opere da consultare ricordiamo i trattati di anatomia patologica di Cruveilhier, di Ziegler, di Orth, di Valenti, di Aschoff, di Banti, di Foà e di Henke e Lubarsch nonché i manuali di tecnica anatomopatologica di Orth, di Chiari, di D'Arrigo, di Fischer, di De Vecchi e di Franco, oltre alle opere e memorie seguenti: G. Arcolani, Practica medica, Venezia 1483; B. Montagnana, Selectorium operum in quibus consilia, variique tractatus alii, tum proprii, etc., Venezia 1497; A. Benivieni, De abolitis nonnullis et mirandis morborum et sanationum causis, Firenze 1502-1504-1506; A. Guainerio, Opus praeclarum ad praxim non mediocriter necessarium, Pavia 1518; P. d'Egina, 'Επιτομῆς ἰατρ χῆς βιβλία ἐπτά, Venezia 1528; B. Alessandri, Historia corp. humani, Venezia 1533; Bertuccio, Collectorium artis medicae tam practicae quam speculativae, Lione 1509 e Colonia 1537; J. Houllier, De morbis internis libri duo, ecc., Parigi 1555; M. 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Anatomia vegetale.
È quella parte della morfologia che si occupa della struttura dei vegetali e delle modificazioni che questa presenta nelle diverse età della pianta o delle parti di essa. Ha anche nome di morfologia interna per distinguerla dall'altro ramo della morfologia che dei vegetali considera le forme esterne. Più precisamente l'anatomia vegetale si propone lo studio della struttura microscopica degli elementi dei tessuti, del loro ordinamento e dei loro rapporti.
Poiché, per la natura stessa delle piante, questi e non altri dovevano essere gli obiettivi dell'anatomia vegetale, è naturale che essa abbia avuto principio soltanto parecchio tempo dopo l'invenzione del microscopio composto, avvenuta nei primi del Seicento. Prima di quell'epoca le nozioni d' indole anatomica sui vegetali si limitavano ad un incerto riconoscimento, già avvenuto da parte degli antichi, delle correlazioni fra i cerchi del legno e il succedersi degli anni di vita delle piante; osservazioni riprese con maggior precisione da Leonardo da Vinci, che studiò la grossezza relativa dei cerchi e dimostrò che in uno stesso cerchio la parte più sottile corrisponde a quella superficie del fusto che è esposta a tramontana.
Nello sperimentare le applicazioni del microscopio, il fisico Hooke (1665) vide per la prima volta in lamine di sughero e di midollo di sambuco piccole cavità che chiamò cellule, ma qualche anno doveva ancora passare perché s'intendesse l'importanza di tale osservazione.
Difatti il vero inizio dell'anatomia e dell'istologia vegetale si ha soltanto con Marcello Malpighi (1628-1694) da Crevalcuore (Bologna) e con Nehemiah Grew (1628-1711), inglese, i quali, indipendentemente l'uno dall'altro, presentarono nel 1671 alla Reale accademia di Londra una memoria, in cui esponevano le prime ricerche sulla struttura delle piante. L'opera del primo (Anatomes Plantarum idea) presentata il 7 dicembre 1671, cioè alcun tempo prima dell'opera del Grew (The Anatomy of Vegetables Begun), contiene osservazioni assai più accurate e minuziose, e perciò nel Malpighi va riconosciuto il fondatore dell'anatomia vegetale. Ampliando e sviluppando la memoria primitiva egli pubblicò poi , nel 1675 l'Anatome Plantarum, che si deve considerare il primo trattato di anatomia e d'istologia delle piante. La scoperta dei vasi, delle vescicolette o utricoli (cellule), delle fibre, dei vasi latticiferi; l'analisi della struttura della corteccia, dei raggi midollari, dei fasci fibro-vascolari, del midollo; le osservazioni sulla struttura della foglia, dei semi, dei frutti e dell'embrione, connesse con le prime interpretazioni delle loro funzioni, segnano un brillante inizio di tale ramo della scienza. Anche il Grew completò la sua memoria del 1671, pubblicando nel 1682 The Anatomy of Plants, la quale contiene le stesse scoperte del Malpighi, basate in parte sulle indicazioni del predecessore, perfezionate e ampliate. Nello stesso periodo l'olandese Leeuwenhoek (1632-1723) descrisse l'organizzazione del polline, del lievito, dell'amido e la presenza di cristalli entro le cellule. Ma i primi saggi della nuova scienza, che sorgeva nella seconda metà del sec. XVII in Italia, in Inghilterra e in Olanda, dovevano rimanere per lungo tempo senza alcun seguito.
Durante tutto il sec. XVIII non sono da ricordare che gli studî di Caspar Friedrich Wolff apparsi nel 1759. Le considerazioni contenute nella sua Theoria generationis sull'origine della struttura cellulare, ch'egli attribuisce alla comparsa e allo sviluppo di vacuoli in una massa amorfa, rappresentano un regresso rispetto alle osservazioni fatte nel secolo precedente, cosicché fu necessario agli anatomici posteriori ritornare ai sani principî malpighiani.
Soltanto dal principio del sec. XIX l'anatomia vegetale cominciò a progredire in maniera sensibile e continua e cominciò decisamente da parte dei botanici il contributo a questi studî, coltivati in precedenza soltanto da medici, da fisici e da filosofi.
Il primo periodo va dagli albori del secolo fin verso il 1840. Le ricerche di quel tempo, informate ai concetti linneani, hanno carattere puramente descrittivo; i dati di osservazione che furono raccolti formarono la base delle ricerche del seguente periodo. Il francese Brisseau-Mirbel (1808) ristabilì definitivamente il termine di cellula di Hooke, sostituendolo a quello malpighiano di utricolo già usato in precedenza; scoprì le piastre dei tubi cribrosi, descritte poi meglio dal Hartig (1837), dimostrò l'origine dei vasi da cellule allungate disposte a pila, il che venne confermato dal Treviranus (1808); questi a sua volta dimostrò la continuità degli spazî intercellulari. Moldenhawer in Germania (1812) e Turpin in Francia (1827) dimostrarono, contro la teoria del Wolff, che ciascuna cellula ha un'individualità e una specializzazione sua propria. Amici e Treviranus studiarono gli stomi, Moldenhawer i canali resiniferi, Meyen (1828) i granuli d'amido e i cloroplasti. Mirabile fu la scoperta dovuta all'Amici (1823) del budello pollinico: egli ne dimostrò in seguito la funzione, e sostenne l'origine dell'embrione dalla cellula uovo preesistente nel sacco embrionale, contro l'opinione del tedesco Schleiden. Sempre nel periodo suindicato comparvero le opere dei tedeschi Bernhardi, (1805), Treviranus (1806-1811), Link (1807) e dello svedese Rudolphi (1807), che portarono notevoli contributi all'anatomia del caule. Treviranus fece osservare che le formazioni liberiane possono in alcuni casi corrispondere perfettamente alle formazioni legnose, separate fra loro da una zona formatrice di tessuto; ma soltanto nel 1808 il Mirbel espose la doppia funzione del cambio, che chiamò "zona generatrice", nell'accrescimento del caule. Moldenhawer nel 1812 riconobbe col metodo dell'anatomia comparata l'accrescimento centripeto del libro e centrifugo del legno, e che nelle dicotiledoni ad accrescimento indefinito esiste precedentemente una struttura primaria analoga a quella delle piante con accrescimento definito; distinse cioè implicitamente le strutture primarie dalle secondarie.
Il secondo periodo comincia verso il 1840 per continuare fino circa al 1860. Le ricerche anatomiche di quest'epoca sono specialmente caratterizzate dall'applicazione del metodo embriologico, che si affermò sotto l'influenza della celebre dottrina delle metamorfosi del Goethe. Già nel secolo precedente questa aveva utilmente servito ai progressi della morfologia esterna delle piante, della quale Linneo aveva gettato le basi. Ammesso che ogni pianta vivente è in continua trasformazione e si sviluppa secondo un ordine prestabilito, diveniva chiaro che, per riconoscere il piano di tale organizzazione, era necessario risalire allo studio del primo apparire di ciascun organo nell'embrione e del suo successivo differenziamento. Il fondatore dell'embriologia vegetale e l'instauratore di un indirizzo più rigorosamente scientifico nelle indagini sull'anatomia delle piante, fu l'inglese Robert Brown (1773-1858). A lui si attribuisce la scoperta, la quale in verità si deve a Felice Fontana, del nucleo in cellule delle Orchidee, e la dimostrazione dell'universale presenza di questo organo cellulare. Descrisse lo sviluppo e la struttura degli ovuli, dimostrò la differenza fra perisperma e albume e, sempre su fondamento embriologico, stabilì le differenze, ancor oggi accettate, tra Angiosperme e Gimnosperme.
Il metodo seguito dal Brown esercitò un'influenza grandissima sui botanici tedeschi. Hugo von Mohl (1805-1872) riconobbe per primo la natura organizzata del protoplasma, il cui nome, adoperato da Purkinje fin dal 1840, fu da lui nel 1846 definitivamente consacrato: ebbe il merito di dimostrare che il protoplasma è il substrato fondamentale della vita e determinò un sostanziale cambiamento nel concetto di cellula, con l'attribuire al contenuto l'importanza che era stata assegnata al contenente. Dimostrò che le correnti endocellulari, già vedute da Bonaventura Corti, si effettuano nel protoplasma, e che nelle piante i vasi e le fibre non sono organi fondamentali a lato delle cellule, come stabilì Malpighi, ma sono essenzialmente anch'esse di natura cellulare e provengono da queste. All'opera profondamente innovatrice del von Mohl si deve la risoluzione di alcune questioni difficili e controverse sulla struttura del caule: riallacciandosi alle ricerche del Moldenhawer, nello studio delle Palme e delle Monocotiledoni, dette il colpo di grazia alla teoria di Desfontaines che ammetteva che l'accrescimento del caule nelle Monocotiledoni avvenisse in maniera opposta a quella delle Dicotiledoni, endogeno nelle prime, esogeno nelle seconde (De Candolle); il Mohl dimostrò invece che tutte le Angiosperme sono esogene e le strutture delle Monocotiledoni e delle Dicotiledoni non sono comparabili.
Lo Schleiden, accogliendo completamente lo spirito rinnovatore del Brown, esercitò un'influenza anche maggiore del von Mohl, con la pubblicazioni nel 1842 dell'opera: Grundzüge der Wissenschaftlichen Botanik - Die Botanik als inductive Wissenschaft, che fece rilevare tutta l'importanza del metodo embriologico ed induttivo. A lui si deve nel 1838 la prima enunciazione della teoria cellulare che l'anno dopo Schwann estese al regno animale. Poco dopo Naegeli e Unger dimostrarono l'origine delle cellule per divisione delle preesistenti all'apice del caule, portando il primo colpo decisivo alla teoria del citoblastema. È di questo periodo l'opera di Schacht, di Sanio, di Naegeli, di Hanstein che chiarirono definitivamente l'origine dei cerchi annuali libro-legnosi, della struttura primaria e secondaria, dei tessuti del caule da cellule iniziali. Naegeli in particolare ebbe l'onore e il merito di scoprire (1858) la struttura primaria della radice e l'apparizione della struttura secondaria, meglio poi precisata dal van Tieghem. Infine De Bary (1877) coordinò tutti i risultati acquisiti e con l'aggiunta di numerose osservazioni personali espose metodicamente per la prima volta l'anatomia comparata delle Cormofite.
Il metodo embrilogico caratterizzò il secondo periodo del sec. XIX e si può dire che culminò con le ricerche del Hofmeister, che segnarono una pietra miliare nello sviluppo della morfologia: mediante ricerche comparative, egli poté, su base embriologica, dimostrare il nesso di affinità che esiste fra le strutture delle grandi divisioni del regno vegetale, dai Muschi fino alle Angiosperme. L'opera sua conchiude il secondo periodo e in certo senso prepara e precorre il terzo periodo, che va da circa il 1860 in poì, dominato dai grandi problemi sorti in seguito alla teoria di Darwin. Difatti è breve il passo dalle ricerche anatomiche sulla base dell'ontogenesi comparativa, alle ricerche anatomo-embriologiche, illustrate e valutate con criterî filogenetici.
Sull'esempio del van Tieghem, l'anatomia fu applicata largamente ai problemi della sistematica, nonché allo studio dei maggiori problemi di morfologia vegetale. Il van Tieghem ebbe il merito di formulare la teoria stelare, che ha suscitato tanta eco di discussioni e di fecondo lavoro; lo Chauveaud, suo allievo, d'interpretare su base filogenetica e ontogenetica l'evoluzione del sistema vascolare e il significato morfologico dei tre membri della pianta.
D'altra parte il metodo embriologico ricevette la sua massima applicazione nelle ricerche di morfologia comparata dello Strasburger, il quale ebbe il merito, affinando la tecnica, di associarlo largamente alla ricerca citologica: gran parte ebbe quest'autore nello studio della divisione cellulare per mezzo della cariocinesi, seriando con ammirevole sagacia le fasi del processo, e nello studio particolare dei cromosomi, dei quali illustrò il comportamento nella riproduzione. L'anatomia per merito suo scruta la natura dell'organismo vegetale nel più intimo della sostanza vivente e con l'orientamento filogenetico nell'interpretazione dei fatti, derivato dalla teoria darwiniana, mette le basi per gli studî sull'eredità e sulla genetica, che ricevettero il massimo impulso nel nostro secolo.
Le ricerche anatomiche in questo periodo non sono più fine a loro stesse, come pareva dovessero esserlo in passato: lo studio approfondito della struttura si associa a quello del significato funzionale e della sua genesi, attuandosi una collaborazione più stretta, e perciò più proficua, fra i cultori dei diversi rami della botanica.
Come conseguenza di questi rapporti sorge l'anatomia fisiologica, iniziata dallo Schwendener, dal De Bary, e culminante nell'opera geniale del Haberlandt.
L'anatomia s'impadronisce del metodo sperimentale e diventa con Kny una morfologia sperimentale. Si allea con la paleontologia, e getta molta luce, con lo studio dei fossili, sui problemi filogenetici per opera di Lignier, Gothan, Scott, Seward e Jeffrey. Si applica allo studio della patologia e diventa un'anatomia patologica, che il Küster ha costituito in corpo di dottrina. Si rende, col Tschirch, elemento indispensabile della farmacognosia.
Nella patria di Marcello Malpighi tardò, più che altrove, il fiorire degli studî anatomici. Alle numerose, importanti, decisive scoperte che si succedevano oltr'Alpe noi non possiamo contrapporre che le geniali osservazioni dell'Amici, fisico e astronomo. Debbono essere però ricordati gli studî del Parlatore sull'anatomia delle piante acquatiche e quelli del Meneghini sull'anatomia delle Palme. Soltanto dopo il 1860, per opera principalmente di Giuseppe Gibelli e della sua scuola, si iniziò da Pavia quel movimento l'Italia a un posto onorevole.
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